NUOVI
ALLARMI PER BOSCHI E FORESTE
Le osservazioni
di 264 accademici e 224 esperti in diverse discipline inviate al
Presidente della Repubblica perché non firmi il nuovo “Testo Unico
Forestale” approvato lo scorso 16 marzo dal Governo Gentiloni. Il
plauso
di Legambiente, Accademia
dei Georgofili, Alleanza delle Cooperative Agroalimentari,
Coldiretti,
Federforeste e Uncem. Critici il Wwf, Lipu, Italia Nostra, European
Consumers, Rete Bioregionale Italiana e oltre 50
Associazioni, fra cui i Comuni virtuosi. Contrari
i 5S ed altri Movimenti, i cui timori si assommano ai ripetuti
appelli rivolti
in questi giorni al Presidente Mattarella perché rimandi la
decisione ad una consultazione partecipata e supportata da studi più
approfonditi sugli impatti del D.lgs. così come formulato dai
quattro parlamentari proponenti, tra cui il non rieletto esponente
del Partito Democratico on. Ermete Realacci, Presidente onorario di
Legambiente.
Nonostante
gli appelli sottoscritti da giuristi, da comunità scientifiche e
ambientaliste, e una non trascurabile petizione a firma di migliaia
di cittadini, il 16 marzo scorso, nel soffuso torpore mediatico e
dilagante declino morale e politico, il
Consiglio dei Ministri del governo uscente ha dato il definitivo via
libera al D.lgs.
riguardante “Disposizioni
concernenti la revisione e l’armonizzazione della normativa
nazionale in materia di foreste e filiere forestali, in attuazione
dell’art. 5 della legge 28 luglio 2016, n. 154”, meglio
noto
come “Testo
Unico Forestale”.
Oltre
a riordinare la materia e ad introdurre norme volte a disciplinare
gli interventi finanziari a sostegno delle imprese agricole, il nuovo
provvedimento intende garantire la conservazione ambientale e
paesaggistica, la crescita occupazionale nelle aree interne e lo
sviluppo di nuove “economie
verdi”.
Approvato
in attuazione della legge su semplificazione, razionalizzazione e
competitività dei settori agricolo e agroalimentare, punta a
rafforzare non solo la funzione di coordinamento istituzionale svolta
dallo Stato nei confronti delle Regioni e delle autonomie locali, ma
anche a formulare chiari indirizzi di riferimento su programmazione,
pianificazione, tutela e gestione attiva del patrimonio forestale
nazionale per i prossimi decenni.
In
breve, il nuovo testo sulle
foreste e sulle filiere forestali:
Delinea
criteri innovativi di programmazione e pianificazione forestale •
Fissa
i criteri minimi uniformi per le attività di gestione forestale,
demandando alle singole Regioni l’onere di declinarli tenendo conto
dell’estrema varietà degli ecosistemi forestali italiani •
Disciplina
in modo nuovo la trasformazione di aree boscate in altra destinazione
d’uso, mantenendo saldo il principio dell’obbligo di
compensazione •
Individua
i principi cardine per la promozione e l’esercizio delle attività
selvicolturali di gestione, anche attraverso la pianificazione di
piste utili ai lavori forestali •
Detta
principi innovativi per facilitare e incentivare la gestione di
superfici forestali accorpate, anche quando i proprietari siano molti
e le superfici unitarie piccolissime •
Rilancia
l’attività della filiera vivaistica forestale nazionale •
Pone
il Ministero al centro di un coordinamento di Enti per la raccolta e
la divulgazione di dati quantitativi e qualitativi sulle foreste.
Contrariamente
a quanti lo temono come un “via
libera alla deforestazione”
ammantata da necessità agricole ed economiche, altri, come
Legambiente,
unica
associazione ambientalista schieratasi a favore, lo
ritengono un primo passo importante
per sviluppare una politica nazionale efficace e coordinata del
patrimonio boschivo. Come affermato dal responsabile Aree Protette di
Legambiente, Antonio Nicoletti, il dispositivo non mette in
discussione gli attuali livelli di tutela ambientale e paesaggistica.
Riconosce il patrimonio forestale nazionale, che ammonta a 11,8
milioni di ettari, pari al 39% del territorio italiano, come parte
del “capitale
naturale”
nazionale e come bene di interesse pubblico. Al contempo ne promuove
la sostenibilità garantendo una gestione del bosco che consente sia
un utilizzo produttivo che il mantenimento della biodiversità. Ora
molto dipenderà dal modo in cui saranno scritti i decreti attuativi,
e da come questi potranno garantire la coerenza delle norme regionali
con le prospettive indicate nel testo.
Altrettanto
soddisfatte Coldiretti
e
Federforeste
per
le quali fino
a 35 mila nuovi posti di lavoro potrebbero nascere da una migliore
gestione dei boschi che oggi coprono una superficie record
raddoppiata rispetto all’Unità d’Italia, quando era pari ad
appena 5,6 milioni di ettari. L’Italia, spiegano gli esponenti dei
due sodalizi, non è mai stata così ricca di boschi, ma a differenza
del passato si tratta di aree senza alcun controllo e del tutto
impenetrabili ai necessari interventi di manutenzione e difesa che
mettono a rischio la vita delle popolazioni locali a causa del
degrado ed incendi. Con la nuova legislazione si va a riconoscere che
solo i boschi gestiti in modo sostenibile assolvono al meglio a
funzioni importanti per la società, come la prevenzione dagli
incendi, dalle frane e da alluvioni o l’assorbimento del carbonio,
facilitando le attività ricreative e il benessere psicofisico in
generale. Il D.lgs. consentirà di affrontare anche un’anomalia che
vede oggi l’Italia importare l’80% del legno da altri paesi,
mentre da noi ogni anno si utilizza appena il 25% della superficie
boschiva.
Anche
l’Alleanza
delle Cooperative Agroalimentari
plaude il provvedimento del Cdm. Il testo approvato, sottolineano dal
coordinamento nazionale, non è certamente un decreto perfetto poiché
frutto di tanti compromessi, ritenendo un importante passo in avanti
il fatto che si sia provveduto ad una armonizzazione della materia.
Tra
gli aspetti positivi della nuova normativa c’è la valorizzazione
del ruolo delle cooperative forestali nella gestione sostenibile del
grande patrimonio boschivo nazionale che rappresenta una grande
opportunità dal punto di vista economico, sociale ed ambientale. Le
cooperative operano in zone montane e marginali, spesso a rischio di
abbandono e spopolamento, e forniscono un servizio insostituibile per
la collettività e per lo sviluppo economico delle aree in cui
svolgono le loro attività. Il patrimonio forestale italiano è una
grande risorsa, non può essere abbandonata e ha bisogno di strumenti
di indirizzo e di valorizzazione come quelli recentemente introdotti.
Un risultato
legislativo importantissimo,
commenta l’on. Enrico
Borghi,
Presidente nazionale Uncem,
poiché il nuovo provvedimento esalta
i “servizi
ecosistemici-ambientali”
che circa 12 milioni di ettari di bosco svolgono non
solo per le aree montane, ma per le intere collettività in una
rinnovata sussidiarietà ambientale e territoriale che va costruita
tra poli urbani e aree interne del Paese.
Stando
a quanto dichiarato dall’Accademia
dei Georgofili,
il provvedimento è frutto di un lavoro di confronto e partecipazione
pubblica durato 4 anni, e riprende in gran parte un testo licenziato
nel luglio 2015 dal Tavolo di settore “Foresta
e legno”
del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali. Non
si ricorda nella storia del settore forestale italiano una esperienza
così ampia e partecipata di elaborazione di un testo normativo. È
un segnale positivo e importante, che si accompagna alla parallela
scelta di istituire una Direzione Foreste presso il Ministero per
dare dignità e capacità operativa alle autorità centrali dello
Stato in un settore ritenuto strategico per lo sviluppo del paese.
In
tal senso la rivista “Sherwood”
d’informazione tecnica sulla gestione delle foreste,
riservandosi di commentare con maggior dettaglio i contenuti della
norma, ha evidenziato quello che il decreto non comporterà, ovvero:
Non
eliminerà alcuna legge di tutela ambientale vigente • Non
eliminerà alcuna area protetta, di nessun tipo • Non eliminerà la
richiesta di autorizzazione ai fini paesaggistici, là dove è oggi
richiesta • Non eliminerà l’autorizzazione ai fini del vincolo
idrogeologico • Non toglierà la potestà alle Regioni e alle
Province Autonome in materia di foreste, pertanto rimarranno in
vigore tutte le leggi, i regolamenti e le prescrizioni di tutela
attuali • Non prevede alcun esproprio delle proprietà.
Per
questo, sottolineano dall’Accademia, risultano strane le critiche
fatte al testo in questi giorni; critiche che sono caratterizzate da
toni ultimativi e drammatizzanti che non entrano nel merito degli
articoli della norma.
Tuttavia
questo decreto, definito da tant’altri un provvedimento “ammazza
foreste”
di fine legislatura, non
è stato accolto favorevolmente da tutti gli ambientalisti.
È
ritenuto assai dannoso per il nostro patrimonio boschivo: è un testo
che incentiva l’uso dei boschi per la produzione energetica e nulla
dice per la protezione dell’ecosistema.
Secondo
il Forum
Salviamo il Paesaggio - Difendiamo i Territori
molte
nubi oscurano il futuro delle foreste italiane.
È
quanto sostiene
Franco
Pedrotti (Professore Emerito dell’Università degli Studi di
Camerino) per il quale il testo del provvedimento è il
risultato del lavoro di un ristretto gruppo di persone con competenze
limitate a specifici settori delle scienze forestali e da altri
soggetti rappresentativi del mondo agrario, commerciale e
industriale.
Totalmente assenti esperti nei settori dell’ecologia, della
botanica, della zoologia, della patologia vegetale, della geologia,
dell’idrologia, della medicina. Anche alcuni confronti pubblici
organizzati dai promotori della legge hanno avuto solo funzione di
facciata perché tutte le opinioni dissonanti rispetto
all’impostazione dell’impianto normativo non sono state tenute in
alcun conto.
Ne
è scaturita una legge che, non considerando il bosco nella sua
complessità ecosistemica, finisce
col promuoverne e sostenerne solo le potenzialità produttive,
trascurando ogni riferimento agli aspetti di tutela delle foreste e
dei suoli, se non quelli già imposti dalla normativa vigente.
Per
Patrizia
Gentilini,
oncologa ed ematologa di chiara fama, membro di Medicina Democratica
e di ISDE Italia, il decreto in questione è
stato
approvato in carenza di potere giacché trattasi di provvedimento di
straordinaria amministrazione che non può essere adottato dopo lo
scioglimento delle Camere che hanno conferito la delega. A
ereditarlo sarà pertanto un Parlamento che non l’ha proposto né
voluto.
Per
questo ed altre incongruenze giuridiche (ben evidenziate
dal Prof. Paolo Maddalena, Vice Presidente Emerito della Corte
Costituzionale) si invita il Presidente
Mattarella a non approvare questo decreto legge in quanto:
Viola
gli artt. 9 e 117 della Costituzione poiché, ignorando l’aspetto
ambientale e paesaggistico del patrimonio boschivo è contro la
tutela costituzionale del paesaggio, dell’ambiente e
dell’ecosistema • Viola anche l’art. 41, il quale dispone che
l’iniziativa economica (…) “Non
può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da
recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”
• Contiene
articoli volti alla distruzione del bosco, come quello che non
considera tale il bosco recentemente ricostituitosi a seguito
dell’abbandono dell’attività agricola (art. 12), oppure il
rimboschimento realizzato nel recente passato, anche con fondi
europei, (art. 5). Tali boschi dunque possono essere abbattuti •
Include norme di dettaglio che ledono la competenza delle Regioni in
materia di agricoltura e foreste.
Oltretutto
il D.lgs. va anche contro l’art. 32 della Carta Fondamentale
riguardante la tutela della salute, perché l’incremento delle
combustioni di biomasse non potrà che peggiorare la qualità
dell’aria, già pessima in tante zone del nostro paese, tanto da
essere sotto procedura di infrazione da parte dell’UE. Le biomasse
solide contribuiscono (dati ISPRA) per circa il 68% al PM2.5
primario, cui va attribuita una consistente quota dei circa 60.000
decessi prematuri che si registrano ogni anno in Italia per tale
inquinante. Ma alla cattiva qualità dell’aria vanno ascritte,
oltre alle morti premature per eventi cardiovascolari, numerose altre
patologie quali alterazioni della fertilità, della gravidanza, del
periodo perinatale, danni al cervello in via di sviluppo nonché
numerose patologie croniche cardio-respiratorie, metaboliche e
neurologiche, compreso Alzheimer, cancro a polmone e vescica, e
ricoveri per patologie acute (soprattutto negli esposti più
suscettibili come bambini e anziani).
Conferme
dei limiti e delle incertezze nel programmare, monitorare e
bilanciare gli effetti su scala locale vengono da pianificazioni non
sempre finalizzate alla effettiva riorganizzazione dei territori, in
cui siano presenti una pluralità di funzioni, e in cui siano
preminenti le valenze dell’interesse “pubblico”
su quello “privato”.
Avviene un pò ovunque, nondimeno dalle nostre parti, dove pur di
avallare progetti produttivi privati su aree agricole e boscate fra
le più preziose del demanio civico, se ne ridimensionano le
effettive dotazioni indicate nel PTPR, in contesti ambientali
vincolati dove i caratteri del bosco risultano inequivocabili e senza
soluzioni di continuità con le aree circostanti.
Nell’ampia
riflessione sull’argomento inviatami alcuni giorni fa, il
bioregionalista Paolo
D’Arpini
rammentava che nelle civiltà antiche l’albero era considerato
manifestazione delle divinità; ad esso, ispiratore di miti
bellissimi e fantastici, si pregava per chiedere protezione e aiuto.
In quasi tutte le tradizioni troviamo l’albero cosmico, asse
dell’universo con le sue radici affondate negli abissi sotterranei
e con i suoi rami che s’innalzano al cielo. L’ispirazione
derivante dalla presenza nell’habitat originario è ben descritta
da San Bernardo di Chiaravalle che disse: “Troverai
più nei boschi che nei libri. Gli alberi e le rocce t’insegneranno
cose che nessun maestro ti dirà”.
Anche
per D’Arpini un grandissimo problema di oggi è la sistematica
distruzione dei boschi che sono parte integrante e di primaria
importanza per il nostro ecosistema. La mentalità speculativa,
che non tiene conto della vita globale, sta distruggendo la Natura,
la flora, la fauna, i nostri alberi e… di conseguenza anche noi
stessi.
Tornando
alle principali criticità del T.U. Forestale, si riporta uno
stralcio delle ben più articolate osservazioni sottoscritte da un
nutrito gruppo di Associazioni, Comitati e Comuni Virtuosi, inviate
al Presidente della Repubblica e al Presidente del Consiglio ancor
prima della sua approvazione:
a.
Ai fini della “tutela”
del patrimonio forestale nazionale come bene di rilevante interesse
pubblico, si
vuole introdurre in maniera generalizzata la “gestione
attiva”
da attuarsi attraverso la selvicoltura. Non
è riconosciuto nel decreto il carattere autonomo degli ecosistemi
forestali, la loro evoluzione naturale e complessità e, con
l’attenzione rivolta al solo sfruttamento economico industriale
immediato, si
apre la strada ad un processo di speculazione sul legname,
foriero di artificializzazione, fragilità, semplificazione e
bruttezza dei boschi e delle foreste italiane.
b.
Sebbene ricorra in tutto il decreto, il concetto di “gestione
attiva”
non trova alcuna definizione nello stesso e ciò espone a qualsiasi
interpretazione stravagante e distruttiva: per il Tavolo della
Filiera del legno, infatti, significa “tagli
forestali”.
Certo non è usato nel significato di “gestione
sostenibile” (i
termini, infatti, sono usati separatamente) che
impone attenzione al complesso dell’ecologia dei
boschi prevedendovi
anche riserve integrali, rilasci di alberi o isole ad invecchiamento
indefinito ed
altro ancora (cfr Forest Europe, il cui indirizzo è stato preso a
riferimento dagli estensori del decreto, per la sola parte economica
e non per quelle, che devono essere contestuali, ambientale e sociale
e, pertanto, non si può parlare di sostenibilità).
c.
Nel testo manca un chiaro riferimento alla compartimentazione o
zonizzazione del patrimonio forestale nazionale, ossia una
distinzione tra boschi da destinare alla produzione (o ad altre
finalità utilitaristiche) da quelli che devono essere conservati tal
quali per ragioni ecologiche, paesaggistiche, idrogeologiche,
genetiche, culturali. Tanto
meno vengono distinte le formazioni degradate e meritevoli di
restauro più che di utilizzazione. Un salto indietro di 95 anni: la
legge “Serpieri”
del 1923 operava tale distinzione finalizzata alla difesa
idrogeologica.
d. Vengono
definiti “prodotti
forestali non legnosi”
anche
i singoli alberi fuori dal bosco
(permittére omnes arbores excidere?) che misteriosamente non sono
ritenuti legnosi e poco importa che il più delle volte
caratterizzano decisamente il paesaggio in maniera identitaria.
e. Equipara
i terreni agricoli in cui non è stata più esercitata attività e
che sono in via di rinaturalizzazione spontanea (anche
se in realtà sono attualmente boschi a tutti gli effetti che si
trovano nella fase di colonizzazione da parte di specie pioniere e si
avviano, se ciò verrà consentito, alla fase di maturità) a
“terreni
forestali”
che
“hanno
superato il turno”.
La cosa è scientificamente infondata perché si estende il concetto
di “turno”,
che dev’essere applicato unicamente alle colture (ad es. dei cedui
semplici o matricinati e alle fustaie coetanee che sono create e
sostenute dall’uomo), al bosco che invece cresce ed evolve
autonomamente. Allo stesso tempo, si introducono delle scadenze
temporali agli interventi che, paradossalmente, sono contrari alla
selvicoltura,
anche a quella produttivistica nell’accezione più riduttiva del
termine, perché impongono limiti che contrastano con la necessità
del selvicoltore di adattare le modalità di intervento a quelle che
sono le caratteristiche proprie di ciascun popolamento. Ancora una
volta i boschi sono equiparati a colture agrarie.
f. Nel
decreto i castagneti da frutto non appartengono più alla definizione
di bosco.
Non si considera che gli stessi connotano l’identità demologica
tradizionale e paesaggistica di molti comuni italiani, in rapporto ai
frutti piuttosto che al legname. Le conseguenze non sono
trascurabili: escluderli dalla categoria bosco significa ammettere
anche per castagneti secolari la reversibilità d’uso a fine ciclo,
con ritorno alla coltivazione e irrimediabile perdita dell’identità
paesaggistica dei luoghi.
g.
Viene introdotto, mal interpretando il regolamento U.E. 1307/2013, il
concetto di “bosco
ceduo a rotazione rapida”
(vale a dire sottoposto a tagli più ravvicinati), mentre tale
definizione andrebbe applicata solo ai terreni agrari con alberi
piantati, suscettibili di reversibilità d’uso a fine ciclo.
h.
Il decreto non
adotta, per i boschi, la definizione della FAO,
utilizzata già dagli inizi degli anni 2000, e che garantisce di
proporre le statistiche come le chiede l’Europa e la FAO stessa; è
un passo indietro adottarne una che era stata superata e che ora
viene riproposta.
i.
Vengono inspiegabilmente ed incredibilmente esclusi
dalla categoria
“bosco”,
e
quindi sono eliminabili, tutti i rimboschimenti, compresi quelli
storici della fine dell’Ottocento
e quelli realizzati con fondi europei.
j.
Il decreto demanda
alle Regioni e alle Province Autonome la scelta dei soggetti a cui
affidare la redazione e l’attuazione dei Piani di Gestione, purché
dotati di “comprovata
competenza professionale”.
Il requisito è talmente vago da aprire ad ogni discrezionalità e
abuso: i laureati in Scienze Forestali, specialisti in questo
settore, iscritti al proprio Ordine Professionale, potrebbero quindi
essere ignorati e i compiti affidati a soggetti più vicini ai saperi
dei taglialegna e che, ottenuto il primo incarico, possono
“comprovare”
nel proprio curriculum la “competenza”
e candidarsi - senza alcun controllo indipendente garantito
dall’Ordine Professionale - ad assumere incarichi per sempre.
k.
Il decreto afferma che la conversione a ceduo delle fustaie è sempre
vietata; poi contraddice l’affermazione aprendo a una folla di
eccezioni nel caso in cui le Regioni decidano il contrario. Alla fine
arriva sostanzialmente ad includere
la conversione a ceduo di ogni tipo di utilizzazione forestale,
purché si abbia rinnovazione.
l.
Viene liberalizzata,
surrettiziamente, la
possibilità di cambio di destinazione d’uso del suolo
introducendo,
all’art. 8, la “trasformazione”
intesa come “ogni
intervento che comporti l’eliminazione della vegetazione arborea e
arbustiva”. L’eliminazione
del bosco, inoltre, può essere compensata anche con l’apertura di
strade e opere simili che
in realtà vanno oggettivamente a vantaggio delle aziende che operano
i tagli. Si fa presente che l’istituto della “compensazione” è
utilizzato (ad es. nei pareri di V.I.A.) solo allorquando un’opera
assolutamente necessaria, che non ha alternative praticabili e che
abbia adottato tutte le possibili mitigazioni, risulti comunque
carica di un importante impatto ambientale residuo non eliminabile.
Non è certo, questo, il caso della cancellazione di un bosco.
m.
È gravissimo e contrario
alla Costituzione, il disposto dell’art.12 per cui le Regioni e le
Province Autonome possono procedere al taglio coattivo dei boschi
esistenti su terreni privati il cui proprietario abbia lasciato
decorrere il turno (di taglio) e di quelli sui terreni “silenti”,
vale a dire di cui non si è riusciti a rintracciare il proprietario.
Rappresenta, di fatto, un esproprio della disponibilità d’uso del
soprassuolo forestale, immotivato nei confronti della natura e della
volontà dei Cittadini che oggi ne curano la tutela e l’esistenza
per il solo piacere di vederlo crescere, invecchiare, rinnovare
spontaneamente e che stanno svolgendo un servizio encomiabile per la
collettività e per il Paese.
In
conclusione
questa legge è fatta male, contrasta con diverse altre discipline
che regolano la materia e presenta profili di incostituzionalità.
Non
è condivisa da una larga parte del Paese che
si è vista costretta a intervenire con prese di posizioni pubbliche,
petizioni e appelli.
Non
è condivisa neppure da forze politiche oggi candidate legittimamente
ad esprimere un nuovo governo.
Si
basa su presupposti incredibilmente antiscientifici come
quello secondo cui il bosco morirebbe senza l’intervento costante
dell’uomo e che “l’abbandono”
sarebbe responsabile del loro degrado e addirittura degli incendi.
Ha
un’impostazione pressoché produttivistica, utile
solo al profitto immediato delle industrie del pellet e delle grandi
centrali elettriche a biomasse (peraltro assai inquinanti),
che oggi proliferano solo grazie agli incentivi statali senza i quali
non hanno competitività di mercato, di cui alcune travolte da
inchieste giudiziarie denominate “silvomafie”.
Il
peccato originale di questa legge è di aver ignorato, sebbene
richiamato in linea di principio, ma poi senza conseguenti
articolazioni, che la sostenibilità, per l’ONU e per la UE, si
basa sullo sviluppo
contestuale e armonico di tre fattori: economico, ecologico e
sociale.
Per
completezza andrebbe aggiunto il fattore
culturale. In
tutto l’assetto del T.U. prevale invece l’ottica economicistica
“bruciante”
di
dimensioni industriali foriera di molti danni per il nostro Paese.
In
un pungente articolo dello scorso febbraio, l’ex direttore Anpa
Giovanni
Damiani,
assai
critico nei confronti di quel provvedimento ritenuto “un’aggressione
ai boschi italiani nel trionfo della motosega”,
sosteneva che commissionare in via privilegiata alla filiera del
legno la stesura di un tale decreto è come affidare la disciplina
della tutela delle galline alle associazioni delle volpi.
Ad
oggi non tutto è perduto perché Mattarella deve ancora
firmarlo. Dallo
scorso 16 marzo, in assenza di clamori
mediatici e mobilitazioni di piazza,
tantissimi cittadini si stanno rivolgendo direttamente al Capo dello
Stato affinché non promulghi quel dissennato piano “albericida”
messo in atto da un governo inequivocabilmente bocciato dagli
italiani.
Italo
Carrarini
(da: LA PIAZZA DI CASTEL MADAMA – Anno 15 – n. 4, Aprile 2018)
..................................
Articoli collegati:
http://bioregionalismo-treia.blogspot.it/2016/12/gli-alberi-sono-la-vita-del-pianeta-un.html
http://www.terranuova.it/Blog/Riconoscersi-in-cio-che-e/Anche-gli-alberi-hanno-un-anima