Osservando alcuni passaggi della storia umana,
si può riconoscere in essa un processo di progressiva mortificazione
della dimensione magica a favore di un’identità esaurita in quella
razionale. Una sintesi in cinque mosse dell’arco che ha svuotato
l’uomo. Ognuna delle quali appare dall’interno nel suo carattere
omeostatico, quindi definitivo. Ma anche dai confini più o meno
permeabili.
Pieno iniziale vuoto finale
La storia è natura, non fa sconti, non ha
riguardi. Si può affermare che se ora siamo in una certa condizione,
certamente ci sono state le ragioni storiche che l’hanno
permessa/imposta.
Quindi, in qualunque situazione ci si trovi, è
opportuno legittimare quanto si osserva, al fine di trovarne le
ragioni che lo sostengono. È una modalità – la legittimazione –
di tipo fenomenologico: non antepone il giudizio morale, non
attribuisce valori. A suo modo contiene l’intento di una concezione
immacolata della realtà.
La Storia procede sincopata,
per
opposti.
Come se ogni stagione avesse in sé il suo stesso termine. Gli uomini
che le animano esplorano la vita secondo la vena che le connota,
finché l’assuefazione può crescere. Quindi, collassano sotto il
maglio di idee nuove avviando così un nuovo ciclo dall’identica
struttura vitale.
Come in ogni crisi, i cambi
di paradigma hanno il terreno per affermare ciò che nel flusso pieno
della stagione non aveva la forza per far mutare lo status quo.
Con tale promessa proviamo a seguire un arco
dell’escursione dell’umanità occidentale e non solo.
La parabola si compone di cinque periodi/miti:
Magico, Divino, Logico, Illogico, Virtuale.
Il periodo qui nominato Magico
corre dalla
preistoria all’avvento
del cristianesimo.
È il tempo il cui cuore è il sentimento di
dominio della natura sull’uomo. La natura, da un lato è del tutto
inaccessibile e misteriosa, dall’altro, si identifica in essa o ne
sente la sopraffazione. La visione è olistica. L’uomo non si sente
separato dalla natura che è la sola entità esistente.
È il momento della vita piena e vera, in cui l’immaginato non è
meno reale della realtà. La simbologia e i rituali creano un ponte
energetico tra gli uomini e i poteri che lo sovrastano. Come un bimbo
che immagina di galoppare a cavallo di una scopa e non sarà mai
convinto né di aver solo immaginato, né che era una scopa e non un
cavallo.
Nel periodo magico, l’uomo non è succube del
pensiero speculativo. I suoi poteri sono pieni e veri. La morale e il
senso di colpa gli sono sconosciuti. I saperi sono sintetizzati dal
sentire e, attraverso il sentire, permanentemente modulati. Una
specie di so di non sapere
ante litteram. Non si conosce la condizione della paura, questa non
sottintende il suo pensare e le sue scelte. La paura di morte non
condiziona la vita.
Il tempo Divino si
avvia con l’anno zero e
si protrae fino ad oggi. Corrisponde all’affermazione del
cristianesimo bigotto, ovvero di quel cristianesimo che nulla ha a
che fare con il vero messaggio di Cristo, del tutto rimasto estraneo
alla vulgata.
È il tempo del dominio di Dio.
In esso sussiste l’idea del dominio esterno
all’uomo. Una psicologia che si appesantisce con l’idea della
punizione/espiazione in funzione di un aldilà di salvezza. Il
terrore degli inferi presiede a tutto.
Il mistero è un’entità ed è per sua natura
insondabile.
Per quanto l’uomo sia altro dalla natura, tanto
che proprio con il cristianesimo si avvia il discorso del dominio sul
creato, il potere divino domina nella coscienza degli uomini che si
sentono controllati, in difetto e procedono timorati.
La paura della morte condiziona la vita, ora
costretta al giogo del peccato.
Mentre il cristianesimo, con il cardine del
perdono, ha in sé l’idea dell’Uno-Dio, entità disincarnata alla
quale si può accedere, nell’islam e nell’ebraismo sussiste la
vendetta. Come a dire che la storia è la sola verità, che l’altro
non sarà mai un noi.
Il periodo Logico
si attesta nella storia tra il
Cinquecento e la fine dell’Ottocento. Ad esso corrispondono
l’avvento del razionalismo
e, soprattutto, del suo assolutismo culturale e dell’oggettivazione
della realtà. Il mistero, il flusso, il movimento, il divenire che
il periodo magico contemplava, vengono meno a favore di un mondo
fisso, determinato e determinabile. La scienza meccanicistica che
prende avvio da Bacone, Galileo, poi celebrata da Cartesio, ha
rinchiuso la realtà entro i regolamenti che aveva escogitato,
escludendo da essa ogni altra indagine del reale, ogni altro
linguaggio lo riferisse.
L’uomo formula il pensiero di poter esercitare
il proprio dominio sulla natura. La scienza, da magica,
imponderabile, olistica, spirituale e metafisica, diviene esclusiva
del misurabile, del materiale e, quindi, fisica, marziale. La
presunzione umana implicata in questa fase conduce alla celebrazione
dell’ego e dell’egoico. Una presunzione radicale, visto che mai
si è messo in discussione il senso di un presunto dominio sempre
maggiore sulla natura. Un ulteriore passo di separazione dal sé
spirituale.
La realtà, la verità e, dunque, l’infinito
sono compressi nel misurabile. Il mistero è posto sul vetrino del
microscopio in quanto entità disvelabile, composta da particelle.
Il periodo Illogico
è collocabile nel Novecento. È un momento, per il momento, rimasto
sotto traccia. Troppo destabilizzante. Corrisponde alla relatività
della realtà e alla sua indeterminabilità.
Riconoscendo il significato culturale e valoriale
della fisica quantistica e dell’epistemologia che ne emerge –
precisata nientemeno che dallo stesso Heisenberg (1) – tutta la
struttura che componeva la meccanica classica e il pensiero
deterministico che ne derivava viene meno, quando si tratta definire
la realtà, la verità, il mondo. La fisica tradizionale resta
funzionale per un mondo ridotto a bidimensione. Dunque, il suo potere
sul nostro pensare da assoluto diviene relativo. Se in campo
amministrativo,
ovvero quel terreno governato da regole, linguaggio e sue accezioni
condivisi, la meccanica classica ha ancora ragione d’essere e
d’essere impiegata come sfondo e riferimento, in ambito
relazionale, didattico, pedagogico, terapeutico e psicoterapeutico,
perde il suo potere, anzi diviene un elefante in cristalleria.
Nella fase illogica – popolarmente parlando,
rimasta lettera morta – l’uomo compiuto avrebbe avuto a
disposizione una prospettiva per svincolare il proprio pensiero dai
lacci dall’oggettività della materia, quale sola realtà
attendibile e, parallelamente, avrebbe fatto sue la relatività, la
reciprocità, l’identicità con quanto credeva differente da sé;
avrebbe scoperto la serietà dell’illogicità; sarebbe ritornato in
grado di recuperare la dimensione spirituale e la sua verità nel
contesto del reale. Sarebbe divenuto idoneo a osservare la realtà in
quanto flussi di energia che scorrono o si annodano. Si sarebbe
emancipato dalla dimensione analitica della realtà e del sapere,
fino ad assumersi la responsabilità di tutto, sola modalità per
alzare il livello di stabilità, serenità, benessere.
Nella verità quantica, anche l’assolutismo
dell’oggettività viene meno. La mutevolezza diviene la sola
permanenza.
Viene recuperata la concezione olistica della
realtà e del pensiero. L’intento del dominio viene meno, nella
misura in cui subentrano a pieno titolo i principi del rispetto,
della legittimazione dell’altro e della pari dignità delle
posizioni.
Con la fisica quantica si compie una sorta di
sincretismo con il pensiero orientale, caratterizzato
dall’osservazione che dietro la materia vi è lo spirito. Miracoli
ed entanglement sono due espressioni ora in relazione.
In questo tempo assistiamo alla crisi delle
certezze, al crollo dei valori identitari e religiosi, all’angoscia
esistenziale, all’alienazione diffusa ed endemica della struttura
sociale, all’avvento della psicoanalisi come popolare
rincorsa, tanto alla ricerca, quanto ad un salvifico sollievo
esistenziale. Un terreno apparentemente ottimo per scoprire cosa
fosse stato nascosto sotto al tappeto della storia. Ma la cui
interpretazione spesso meccanicistica, mutuata dallo status quo
ereditato, ne ha tarpato il potenziale creativo.
Nonostante la portata culturale, questo periodo
illogico passa inosservato, se non strategicamente tenuto lontano dal
suo benefico significato sociale, destinato a produrre tolleranza,
emancipazione da luoghi comuni, legittimità e pari dignità tra le
persone.
Il quinto periodo, qui detto Virtuale,
corrisponde al tempo contemporaneo. Si estende da oggi ad un futuro
potenzialmente lontano. Incarna, realizza l’intento della
cosiddetta IV Rivoluzione industriale,
un progetto di gestione sociale attraverso la digitalizzazione del
maggior numero di prassie personali, private, pubbliche,
imprenditoriali e relazionali. In esso si possono evincere le basi
del tentativo Occidentale filoatlantico di mantenersi in vita e di
affermare l’egemonia sul mondo.
La natura della fase virtuale è di tipo binario,
manichea. Una modalità culturale che implica separazione. Il cui
aspetto socio-politico corrisponde all’ubbidienza vissuta dal
singolo come attestazione di se stesso dalla parte
giusta.
Una modalità che comporta spaccature e
contrapposizioni civili, come la vicenda Covid e il conflitto
Nato-Russia mettono in evidenza.
Nel tempo detto virtuale, le lacerazioni, da
problema in carico alla politica, tendono a divenire culturalmente
legittimate, giuste.
Finora, la modalità analogica aveva tenuto il
campo dell’umanità, in quanto diretta espressione della natura
dell’uomo. L’avvento del virtuale interrompe il corso naturale e
avvia quello tecnologico-digitale, che viene ad assumere il ruolo e
il centro che nei tempi precedenti erano stati di Dio. Il
transumanesimo oggi è già presente in noi. I pensieri ad esso
dedicati sono su come e quando ne vedremo il progredire o, se
contestativi, sono considerazioni disperate e inefficaci: per quanto
si possa dire e fare, ormai non c’è più niente da fare. Si tratta
di un’ennesima, ma più radicale, mortificazione dell’uomo. La
cui dimensione infinita sarà relegata all’arte come enclave
protetta e ricca, ma senza più valore sociale, solo commerciale. È
l’arte addomesticata. Il modello sovietico, che imponeva un’arte
dedicata al lavoro, alla produzione, ai lavoratori, ben lo
rappresenta.
L’accredito assoluto all’ideologia
tecnocratica, il fideismo nella sua capacità e idoneità al
miglioramento della vita, fanno dell’epoca digitalizzata un’epoca
manichea. Nella quale, il raffinato controllo del pensiero si
concretizza come endogeno negli individui inconsapevoli. Persone che,
più o meno costrette dalle loro stesse circostanze, non possono che
giocare la partita della vita, solo e soltanto entro un campo
delimitato da regole scambiate per giuste, vere ed ineludibili.
Gabbie virtuali più vincolanti di un filo spinato staliniano.
Epoca magica mai recuperata, tanto dalla logico-analitica, quanto da
quella incipiente digitale, perché nel mondo, ridotto ed esaurito ad
apparenza di fenomeni e consuetudini, è meglio estromettere e anche
criminalizzare il pensiero che ne mina la struttura.
Famelici dell’accumulo infinito di potere, lo
sfruttamento di terra e uomini ha affermato la narrazione del
progresso come abbondanza di merci e di saperi analitici. Se ciò
sussisteva anche nel periodo logico, ora il popolo, che era stato il
motore delle ricchezze dei pochi, non serve più. Nella neoconomia
esso è un costo e, in quanto tale, da eliminare o comunque ridurre
al minimo. Riduzione dei servizi, privatizzazioni, assegni di
sussistenza, soffocamento della piccola impresa, tassazioni
progressive, alti costi della vita, formazione irreggimentativa, ne
sono l’evidenza
Lorenzo Merlo
Werner Heisenberg, Fisica
e filosofia, Milano, Il Saggiatore,
1963.