giovedì 9 maggio 2024

Viviamo una storia d’umana miseria... immersi nel virtuale

 


Le condizioni storiche che si stanno affermando sono una diretta per qualcuno della generazione, all’ultimo terzo della vita, che si sta avviando a lasciare la mondanità. Per gli altri, più giovani e recenti, che occupano i primi due terzi, saranno semplicemente la normalità. Nessuno dei vecchi dispone dei mezzi e del potere di comunicazione per annunciare ai giovani che, sopra le loro teste, il cielo che guardano ogni giorno, é di cartone, come quello di Truman Burbank. L’incantesimo è compiuto. E i burocrati dei media, più che servi consapevoli, con in pugno lo scettro abbacinante del tengo famiglia, ne sono ugualmente rapiti. Al punto che senza difficoltà alcuna hanno preso fin da subito a sventolare i vessilli dell’abisso, quel regno dove la cancellazione delle culture, l’ecologia di superficie, i figli a piacere, le madri in affitto, l’impatto zero, il politicamente corretto scorrazzano come orde mongole nello spirito delle persone, radendo al suolo la storia, l’identità, l’analogicità della realtà, il pensiero unico, il totalitarismo democratico, il progressismo, la cultura che è in loro. Come il potere che ha a suo tempo perpetrato la colonizzazione secondo un autoreferenziale diritto di vita, di morte, di sopruso, abuso e predazione, così, con aggiornate modalità, fa ancora. La cultura woke, che vorrebbe dire risvegliato, è il loro scopo e la loro bandiera.

È come se le cose stessero così. Come tartarughe marine nuotiamo imperterrite verso l’arenile sul quale eravamo nate. I genitori – latori di vita – ci avevano dato il necessario per guidare noi stessi negli oceani, e per fare ritorno dove generare altra prole e lasciare che il ciclo potesse chiudersi e contemporaneamente riaprirsi nuovamente.

Analogamente alle tartarughe anche noi abbiamo avuto valori guida, logiche di comportamento, costumi, usanze e tradizioni, ovvero territori nei quali non sentirsi mai dispersi nel vasto mare del mondo, popolato da sirene ammaliatrici. Anche noi come le tartarughe, qualunque fosse il nostro censo, avevamo la conoscenza utile per perpetuare quanto nell’insieme costituiva la comunità. La dimensione analogica, acqua del nostro oceano, era una rete di continuità, a mezzo della quale, di qualunque fatto si trattasse, il nostro interlocutore aveva una fisionomia, un’identità, con la quale ci relazionavamo, restando e perpetrando in quel momento, la dimensione umana della concezione del mondo, dell’altro, di noi stessi. Ma anche del futuro e dei progetti di cui riempirlo.

Al pari delle tartarughe, dei delfini, delle balene e delle orche che incomprensibilmente perdono la via corretta e si spiaggiano uccidendo se stesse e interrompendo il ciclo della vita, anche noi ci troviamo ora senza riferimenti. Un ovattato ma opulente terremoto, edulcorato da specchietti e lustrini – gli stessi del colonialismo – in forma di Festival, di Champions, di votazioni per la libertà e di destra contro sinistra, di intelligenza fittizia detta artificiale – propagandata come sostanziale – di digitalizzazione del quotidiano, ci ha sfasciato il plinto di stabilità su cui poggiavamo l’esistenza. Così imbambolati, non c’è stata difficoltà – c’erano le code e ce ne saranno ancora – ad iniettare nel braccio e nello spirito il virus del virtuale, assassino dell’empirico.

È una lunga storia d’umana miseria, ma ora immersi nella virtualità del digitale, le vie che noi e nostri padri sempre avevamo seguito non portano più ad approdi in cui riconoscerci. Siamo stati sbarcati su terre in cui non riconosciamo nulla, e ciò di cui veniamo a conoscenza fa paura e sgomento, come è giusto quando togli carne ed eros e metti ologrammi e pixel.

Come i delfini, le api e gli uccelli migratori perturbati dalla matassa atmosferica di campi magnetici e altre opere e conseguenze della cultura antropocentrica – quelle del cosiddetto progresso – ci domandiamo dove stiamo andando. Ci siamo fidati del capitano e del nostromo e abbiamo sbagliato. Ci hanno chiesto e ci chiedono di remare ancora, e noi l’abbiamo fatto. Ma loro, smentendo le loro stesse parole e promesse, mentivano. Non era vero che stessimo facendo rotta verso il nostro bene, puntavano al denaro e al controllo. E noi, se serviva con qualche altro lustrino in regalo, remavamo.


A parte uno spicchio di generazione dell’ultimo terzo, percentualmente parlando, quasi nessuno si preoccupa di come stia andando la diretta della storia che si sta svolgendo. Quasi nessuno sa di essere protagonista, ci si crede sempre spettatori. E, in fondo come biasimarli? Che potere avrebbero di modificare o invertire la tendenza? Tutti sanno che nessuno di noi vuole armare Kiev, ma politici e governo – Mattarella non voglio neppure nominarlo – non se ne curano. Guardano ad altro. Il loro interesse non siamo noi.

Gli ammiragli della flotta su cui siamo imbarcati sanno che la nostra vecchia forza può andare perduta. Se smettiamo di remare, sanno che qualche negro (non c’è offesa in una parola, ma nella sua interpretazione), qualche poveraccio e qualche disgraziato ci sostituirà di corsa, ben felice del tozzo di pane – chiamato reddito di cittadinanza, precariato o inclusione – che riceveranno in cambio.

Gli alti ufficiali sanno che dedicarsi ai piccoli e ai giovani, risparmierà loro energie, al fine di convogliare la transumanza postumanistica entro la mandria digitalizzata. Come una carta doppia, noi all’ultimo terzo, siamo stati gettati dal mazzo. Anche l’evocazione della democrazia e la sua invocazione che alcuni di noi sentono e a cui si richiamano ancora è, ora più che mai una pavloviana reazione, colpo di coda dell’incredulità della diretta cui stiamo assistendo, dell’incubo che ne deriva, del terrore che non sia solo un’allucinazione. Democrazia, già. Null’altro che un vuoto involucro riempito dalle voci dei benpensanti, notoriamente guizzi di basso livello con i quali credono di fornire risolutiva considerazione: “Allora vai da Putin, a scrivere quello che qui puoi scrivere”. Truppe felici di fare la coda per andare a sciare. Il resto non lo vedono e finché ci sarà neve, anche finta, continueranno a citare Putin e la sua marcia verso Lisbona. La bandiera della democrazia, pende dai balconi delle istituzioni. Ogni giorno viene issata, perché ogni giorno, sul ponte di comando sanno che c’è sempre qualcuno da imbambolare.

Ai tempi della democrazia, quella con ancora po’ di polpa, sapevamo che il nostro potere era il segno sulla scheda. Lo si può affermare, facendo la tara a quel contesto culturale in cui la percentuale di politici dediti alle promesse fatte, non era meno che risibile come ora. Ma adesso è chiaro. Il pilastro democratico, alla faccia degli imbonitori progressisti – dai quali la destra fa parte alla pari nei confronti dei falsi dirimpettai – è venuto meno. Purtroppo c’è ancora chi, non avendo neppure fatto la prima elementare della scuola sociale, non sa fare due più due, e quindi non vede che un voto dato in mano ai potentati economici e alle regole dei mercati e della finanza, non solo non vale nulla, ma è anche – per chi crede che nascondersi nell’urna sia un diritto assolutamente da esercitare – una cartina di tornasole: più gente consegna il documento e afferra la scheda, più loro avranno la misura dell’efficacia della loro propaganda.

Come le megattere non sappiamo più dov’è il nord. O meglio, il nord è divenuto opinabile, virtuale o è stato sostituito. La chirurgia e il silicone possono ciò che noi neppure immaginiamo.

Il senso della terra e così quello dell’uomo è stato eroso fino allo scheletro. La carcassa del nostro mondo analogico è però stata virtualmente rivitalizzata da quello digitale. Noi moriremo in pochi anni e chi resterà non avrà più di che prendere coscienza che il mondo virtuale in cui starà vivendo non c’è sempre stato. E che la vita a punti non è la normalità. Ma chi glielo dirà che gli archetipi sono stati buttati a mare perché zavorra inutile al progresso? Che l’albero delle uova non l’ha fatto la natura?

Lorenzo Merlo



Obiezione di coscienza... Rifiuto alla guerra!



Alla vigilia del 15 maggio, Giornata internazionale per l’obiezione di coscienza al servizio militare, una nuova iniziativa internazionale è stata lanciata dai soggetti promotori della #ObjectWarCampaign (per la protezione europea degli obiettori russi, bielorussi e ucraini): si chiama #RefuseWar .


Lo scopo è sostenere tutti coloro che rifiutano la guerra in qualsiasi parte del mondo, tutti gli obiettori di coscienza ovunque si trovino facendo da sponda alle migliaia di persone che rifiutano la guerra e il sistema militarista e sostengono la pace e le alternative nonviolente.


I Disarmisti esigenti, per il tramite della LOC (componente della nostra Rete) membri WRI, aderiscono con convinzione ed entusiasmo Consapevoli che il NO alla guerra deve essere serio e coerente; ed anche per questo deve sapersi accompagnare ad alternative costruttive.


#RefuseWar invita tutti, ovunque, all'azione attraverso la pubblicazione di una dichiarazione di "rifiuto" e di "sostegno". Tutti sono infatti invitati a pubblicare in una mappa interattiva creata ad hoc sul sito www.refusewar.org una breve dichiarazione sul modello di "Io rifiuto/obietto... . Io sostengo/appoggio... .


IL NOSTRO NO – IO RIFIUTO

Ci opponiamo alle guerre e al sistema di guerra.  Siamo convinti che l'obiezione di coscienza costituisca insieme una strategia ed una pratica fondamentale, di natura politica oltre che etica, per opporsi alle politiche e alle dinamiche di guerra. In particolare, in questa congiuntura storica per l'Italia, sempre più coinvolta nello scontro tra NATO e Russia sul territorio ucraino, abbiamo lanciato una dichiarazione di impegno, sottoscrivibile al seguente link:  

 https://www.petizioni24.com/obiezione_alla_guerra_e_al_servizio_militare_impegno_per_la_difesa_nonviolenta/

TESTO DELLA DICHIARAZIONE DI IMPEGNO - DA SOTTOSCRIVERE, APPOGGIARE, DIFFONDERE PER L'OBIEZIONE ALLA GUERRA - PER L'OBIEZIONE (ANCHE PREVENTIVA) AL SERVIZIO MILITARE CHE LA PREPARA - PER ATTUARE E COSTRUIRE LA DIFESA NONVIOLENTA   -PER IMPLEMENTARE L'ALBO PUBBLICO DEGLI OBIETTORI

Dopo aver sottoscritto il testo su cui sopra compilando il form che si trova su questa pagina web di petizioni.com: scrivere a (aggiungendo eventualmente considerazioni e motivazioni personali):  protocollo.centrale@pec.quirinale.it – presidente@pec.governo.it – segreteria.ministro@difesa.it

Alfonso Navarra - Disarmisti Esigenti



mercoledì 8 maggio 2024

Venezia. Due o tre articoli sul contributo da cesso...

 

Overtourism e overcontrol dei cittadini

Overtourism e overcontrol dei cittadini
Autore: Monica Ambrosio

Il ticket d'accesso altro non è che il tentativo ad abituarci all'idea che per circolare in città si debba esibire un “titolo autorizzativo”, che sia un QRcode o un documento di riconoscimento poco conta; che per ospitare un amico o un parente, sia necessario denunciarlo al Comune per avere un Qrcode; che per lavorare o studiare, occorre informare il Comune; …

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Turismo e sostenibilità. Un ossimoro, oggi

Turismo e sostenibilità. Un ossimoro, oggi
Autore: MARIO SANTI

Turismo e sostenibilità sono, oggi, un ossimoro. E questo non vale solo per Venezia, ma per “Roma, Firenze, Napoli e i centri urbani storici minori sparsi in tutta Italia” cui si riferisce Paolo Costa in un articolo pubblicato dalla Nuova Venezia, che segna l’inizio della sua collaborazione con i giornali della Nem, il gruppo editoriale nordestino di Enrico Marchi. L’ex sindaco …

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"Venezia a pagamento". Esposto in Procura di Michele Boato – Il “contributo d’accesso” a Venezia, deliberato dal Consiglio Comunale di Venezia, comporta, sia per i residenti nel Comune, che per tutte le altre persone che intendono entrare in Venezia, l’obbligo di dichiarare propri dati sensibili: le proprie generalità, la propria abitazione, il motivo della propria presenza a Venezia (tra cui visite sanitarie, visite al carcere, ecc.), generalità degli amici invitati, ecc. - Continua: https://paolodarpini.blogspot.com/2024/05/venezia-pagamento-esposto-in-procura-di.html


Il contributo di accesso sarà obbligatorio nella fascia oraria dalle 8.30 alle 16. È già attiva la piattaforma digitale, multicanale e multilingua http://cda.ve.it, che permette di prenotare l'ingresso e, per le categorie previste, pagare i 5 euro a persona, da versare prima dell'arrivo in città: https://www.veneziaunica.it/it/content/come-funziona-il-contributo-di-accesso-venezia#:~:text=Il%20contributo%20di%20accesso%20sar%C3%A0,prima%20dell'arrivo%20in%20citt%C3%A0.

martedì 7 maggio 2024

Osservare per conoscere...

 



la macchina del tempo che eleva lo spirito scatola magica della materia, prospettive invertite di paesaggi illusionistici ban ban ban caliban quatacomero ’ntappa ’ntappa historiola sempre diversa sempre uguale terra vento nuova vita piacere faccia casa qualità aria fritta. bim bim bom biribim biribom bim bim bom patapum patapam oggi ho preferito traslocare nell’assurdo, scintille di anime vagabonde mangia fango vento freddo che consuma la terra e tutto il nostro intento ritorna in equilibrio lavoro in corso sul teatro dei colori, consultiamo il libro delle soluzioni
 
la mia scuola è l’ignoranza!
 
oggi vento caldo le nuvole tra gli alberi, erba secca profumata, mentuccia fresca nell’aria, essenza vitale della natura. farfalle colorate e bombi indaffarati. ho portato un sacco di giocattoli a una amica che vive in campagna. tutte cose rimediate in giro: libri puzzle giochi di legno attrezzi bicicletta stoffe colorate. è stata molto contenta. invecchiando starò sempre più tempo in un paese che mi attrae. alla fine di ogni avventurosa estate penso possa essere stata l’ultima, ormai faccio fatica ad adattarmi ai luoghi e anche viaggiare mi stanca. la salita è già iniziata e ogni anno i giri di giostra diminuiscono. questa stagione è stata molto bella e intensa. le mie giornate non finiscono mai lavoro con la terra, curo il giardino, scarico la legna cucino scrivo preparo infusi, faccio massaggi e pensare che avevo assunto uno scudiero… l’impiego di scudiero era a tempo determinato, adesso è lui che ha messo un annuncio alla ricerca di cavaliere con ronzino, menestrello raccontastorie che sappia ascoltare e mostrare le sfere celesti e sappia intrattere con emozionanti storie di filosofia mitologia esoterismo spiritualità cultura rurale. ho sognato viaggiando tutta la notte su una panda rossa amo la sensualità, fiore appena raccolto, ciocca di capelli color nocciola cuore caldo. un mondo a tutto tondo come un giro tondo. sono stato a fare una passeggiata nel bosco ho raccolto qualche foglia di quercia alcuni rametti di santoreggia. per tutto il tempo ho provato grande benessere. quando la luna aperse la finestrella con un raggio di luce la prese per mano e la portò con sé. due persone vicine non vedranno mai lo stesso arcobaleno, la luce maggiore e la luce minore, che ardono il giorno e la notte. abbiamo ritrovato noi stessi, quando nessuno era più se stesso.
 
sono stato a fontecchio vicino l’aquila, saturnia sorano sovana, nettuno e roma. carpino sul gargano, torre mileto, vida gaia sulla duna di varano. cisternino in valle d’itria all’ashram di babagi. la puglia è veramente bella! monte castel pagano, poi in salento dove ho girato tanti paesi fantastici e sentati pure tanti concerti. copertino, casalincontrada in abruzzo, alla festa della terra, loreto aprutino, sulmona scanno introdaqua pacentro e milano...

Ferdinando Renzetti



domenica 5 maggio 2024

23 giugno 2024 - Incontro bioregionale... con vari anniversari. Preannuncio

 

Pedaso - Villa Parallelo 

"Il tempo passa e non aspetta!"  dice il saggio,  non sappiamo quando è come avverrà la chiamata finale. Dobbiamo perciò essere accorti e attenti a vivere il giorno per giorno, nella consapevolezza che domani è solo un’ipotesi.


Ed allora che senso ha programmare un qualcosa oltre l’oggi? Perché non lasciare che le cose avvengano senza il nostro intervento?

Immaginate una scultura alla quale state lavorando ogni giorno. Se vi fermate  la bellezza svanirà. Così non possiamo mai smettere di purificarci e di coltivare la bellezza che è in noi. Un giorno otteniamo buoni risultati ma appena interrompiamo l'attenzione ecco che subito scivoliamo all’indietro. E il tempo ci sorpassa senza avvisarci! Per questo dobbiamo compiere quel che consideriamo il nostro Dharma senza aspettative né rimpianti.  

"Ci sono così tanti doni, mio caro, ancora non aperti dal tuo giorno di nascita. Oh, ci sono così tanti regali fatti a mano, spediti per la tua vita da Dio..." (Hafiz)

Amici vecchi e nuovi  si riuniscono  per un  "incontro collettivo  ecologista",  di carattere bioregionale e di spiritualità laica, che si tiene a Pedaso (in provincia di Fermo) nella Villa Parallelo di Donatella Tondini, che si adagia  tra la campagna marchigiana  ed il Mare Adriatico, nel  tempo del solstizio estivo, il 23 giugno del 2024. 

L'evento  incidentalmente  coincide con il mio  80° compleanno, con  i 40 anni del Circolo Vegetariano VV.TT., con  i 28 anni della Rete Bioregionale Italiana e con i 7 anni dell'Associazione di Promozione Sociale Auser Treia, di cui il sottoscritto è tra i soci fondatori. 

Assieme  rivivremo gli stadi  ed i modi di sopravvivenza  e di crescita  senza danneggiare la Terra  e mantenendo un rapporto amorevole con la comunità dei viventi. Il tutto attraverso una narrazione ed una esemplificazione che si manifesta con  piccoli  avvenimenti nell'arco della giornata:  una raccolta mattutina di fiori ed erbe per l'acqua di San Giovanni, un canto di ringraziamento al Sé  interiore, una condivisione di cibo sattvico, una immersione nelle acque del nostro mare, un cerchio di condivisione di esperienze e memorie vissute seguito da un simposio conviviale, la giornata termina davanti ad un fuoco acceso nella notte per osservare le stelle.    

Questo vuole essere un invito a partecipare!

Paolo D'Arpini  



Info sui temi trattati: 0733/216293 -  333.6023090

Per informazioni  logistiche e sulle modalità di partecipazione e  funzionamento dell'evento, chiamare  393.2362091  

P.S. “La parola “Bioregionalismo” è un neologismo che contraddistingue un modo di pensare ed agire che muove dall’esigenza profonda di riallacciare un rapporto sacrale con la terra, un rapporto che implica rispetto, ammirazione, timore e che inibisce ogni forma di rapina e di spreco...”












sabato 4 maggio 2024

Bioregionalismo, evoluzione e conservazione delle risorse...

 


I mondi dell'uomo sono molteplici ma tutti nel pensiero,  uno solo è reale: questa Terra. Se non siamo in grado di conservare la nostra vita onorevolmente sulla Terra come potremo sperare la salvezza emigrando su altri pianeti?

Come potremo sperare di essere accolti nel consesso della vita universale extraterrestre se non siamo stati in grado nemmeno di mantenere la vita sul nostro piccolo pianeta? Con ciò ritengo che l'esperimento della nostra sopravvivenza deve potersi avverare qui dove siamo... Inutile sperare in colonie sulla Luna, su Marte o su Venere.. inutile cercare l'acqua su quei mondi desolati se qui -dove ce ne è tanta- non siamo in grado di mantenerla pulita.

Eppure già ci furono diversi scienziati e spiritualisti illuminati che sin dagli albori della società dei consumi avvertivano l'uomo del rischio di uscir fuori dai binari dell'equilibrio scienza/vita. Oggi il treno umano sta deragliando con scintillio di schegge impazzite: OGM, avvelenamento chimico metodico della terra e dell'acqua, energia atomica sporca, deperimento sociale e morale, urbanizzazione selvaggia, distruzione delle risorse accumulate in millenni dalla natura, guerra,  etc.

L'uomo nel corso della sua breve storia ha enormemente trasformato la faccia della Terra, perché egli può deliberatamente modificare quasi tutto quel che costituisce il suo ambiente naturale e controllare quel che cresce e vive in esso.

La trama della vita è però tanto delicata e tanto legati sono tra loro il clima, il terreno, le piante e gli animali, che se una componente di questo complesso viene violentemente modificato, se alcuni fili vengono tagliati all'improvviso, l'intero complesso subisce una modificazione. Questo è il significato intrinseco del Bioregionalismo e dell'Ecologia Profonda.

Per centinaia di anni -e soprattutto nell'ultimo secolo- l'uomo è stato la causa di deturpazioni, stermini ed alterazioni profonde... e questo malgrado la sua contemporanea capacità di creare abbellimento ed armonia. Il potere intellettivo che consente all'uomo di progettare e costruire è lo stesso che gli consente di distruggere. Con l'aumento smisurato della popolazione umana la capacità di procurare danni materiali come pure l'affinamento del pensiero e della riflessione sono cresciuti esponenzialmente.

Purtroppo questa nostra Terra non è un Paese di Bengodi od un corno dell'eterna abbondanza... le risorse del pianeta, pazientemente accumulate e risparmiate nel suo ventre, sono ora in fase di esaurimento. La biodiversità e la purezza del genoma vitale sono sempre più a rischio... molte specie animali resistono solo negli zoo o nei giardini botanici. In tutto il mondo moderno ogni nuova impresa economica e scientifica viene seguita da peste e malanni, lo sviluppo continuo equivale al consumo accelerato dei beni, nella incapacità di recupero ambientale e ripristino da parte della natura.

Occorre da subito e con la massima serietà e determinazione fermare la caduta, preservando le risorse residue e quel che rimane della vita selvatica, non solo per il mantenimento della bellezza naturalistica ma soprattutto perché l'armonia complessiva, cioè la reale sopravvivenza della comunità dei viventi (e dell'uomo stesso) dipende da quelle componenti.

Il futuro dell'umanità, infatti, non resta nella sua colonizzazioni di altri pianeti del sistema solare bensì nella sua abilità di conservare la vita sul pianeta Terra.

Per questa ragione la biologia, l'ecologia profonda, la spiritualità della natura sono aspetti essenziali del nuovo paradigma coscienziale. Uno dei più grandi misteri vitali, che abbiamo il dovere di affrontare e risolvere, è quello relativo alla nostra vera natura. Ma le religioni e la scienza non saranno mai in grado di darci una risposta se non cominciamo a cercarla direttamente in noi ed attorno a noi. Altrimenti non saremo in grado di uscire dal meccanismo ripetitivo delle guerre, dello sfruttamento insensibile, dei conflitti razziali e interspecisti....

Umanità non è solo simbolizzata da questi bipedi antropomorfi e non è solo un agglomerato organico definito “corpo”. Possiamo dire che Umanità è la capacità di riconoscersi con tutto ciò che vive e pulsa energeticamente dentro e fuori di noi.

La Terra è la nostra casa, l'abbiamo avuta in eredità da un lento e laborioso processo globale della vita, ma siamo sicuri di poterla lasciare a nostra volta alle generazioni future nella stessa integrità e opulenza nella quale noi l'abbiamo ricevuta? La dignità umana si gioca anche in questo.... accettiamo dunque la sfida posta alla nostra intelligenza. L'evoluzione ha una direzione univoca, la crescita della Coscienza, restiamo in essa!

Paolo D'Arpini – Rete Bioregionale Italiana




giovedì 2 maggio 2024

Salviamo il Paesaggio - Assemblea nazionale 2024 – 11/12 maggio a Verbania Intra

 



La prossima Assemblea nazionale del Forum Salviamo il Paesaggio – Difendiamo i Territori si terrà a:

VERBANIA Intra sul Lago Maggiore nei giorni 11 e 12 maggio 2024.

Per chi arriverà Sabato 11 maggio è previsto un programma di escursioni o visita guidata e cena conviviale (maggiori info sul volantino e sul modulo d'iscrizione).

Domenica 12 maggio si svolgerà l’Assemblea nazionale.

I delegati dei vari comitati presenti sul suolo nazionale, i rappresentanti delle associazioni ambientaliste nazionali e locali che aderiscono al Forum, i singoli cittadini sottoscrittori e simpatizzanti di Salviamo il Paesaggio sono attesi domenica 12 maggio a Intra di Verbania (VB). Alle ore 9,00 sarà effettuata la registrazione dei partecipanti presso la Casa Ceretti in via Roma n°42, in pieno centro del capoluogo provinciale piemontese.

Ore 9,00 registrazione partecipanti e avvio Assemblea Forum

Ore 13,00 pranzo: catering sul posto Casa Ceretti, quota a pagamento

Ore 17,00 chiusura lavori e saluti

Ordine del Giorno:

  1. Valutazione sulle iniziative sviluppate negli ultimi mesi per rilanciare l’attenzione sulla sempre più urgente legge nazionale a contrasto del consumo di suolo
  • Nuova campagna nazionale “Tutti i costi del suolo perduto”
  • Approfondimenti sulla corretta interpretazione dell’articolo 42 della Costituzione sulla funzione sociale della proprietà privata (dopo il webinar del 25 marzo scorso tenuto da Paolo Maddalena).
  • L’esperienza del Comune di Terre Roveresche e del suo sindaco Antonio Sebastianelli, con l’analisi del vigente regolamento comunale attuato (per beni immobili privati abbandonati e acquisiti dal Comune senza indennizzo).
  • Confronto pubblico tra Forum e tutte le Forze politiche rappresentate in parlamento per il riavvio dell’iter normativo legato al contrasto del consumo di suolo (Roma, Camera dei Deputati, 12 aprile 2024).

2. Situazione e prospettive della proposta di Direttiva Europea sul Suolo.

3. Criticità attuali da dibattere:

  • Lo sviluppo non pianificato degli impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili.
  • Il suolo libero e l’avanzata dei poli logistici.
  • Il ruolo delle Aree Protette per la tutela di suolo, territorio e paesaggio.

4. Varie ed eventuali.

5. Proposte, discussione e decisioni assembleari.

MODULO di ISCRIZIONE necessario

Per partecipare all’Assemblea nazionale del 12 maggio occorre iscriversi compilando l’apposito modulo, disponibile in formato Word. Dopo la compilazione, il file dovrà essere salvato con un nuovo nome che identifica il partecipante e rispedito via email all’indirizzo del comitato locale che organizza: salviamoilpaesaggio.valdossola@gmail.com

È altrimenti possibile iscriversi compilando lo stesso modulo ma in formato digitale sulla piattaforma Forms di Google, aprendo, compilando e inviando telematicamente questo link.

Il comitato locale che organizza è Salviamo il Paesaggio Valdossola, i cui referenti sono disponibili fin da subito per ogni chiarimento, risoluzione problemi e/o informazioni necessarie, ai seguenti numeri telefonici:

Sonia 348 882 8001 – Filippo 338 613 2825



martedì 30 aprile 2024

Un mondo perfettamente logico...?

 


Non ci sarà altro destino da quello infernale, che quotidianamente ci accompagna, finché la bellezza resterà fuori dal centro delle azioni. E finché resterà fuori, il brutto e il male seguiteranno a contagiare i pensieri e lo spirito degli uomini. Considerare un dovere sociale tenere al centro il razionale, il tecnologico, l’economico e l’interesse personale, è il compimento del brutto in quanto affermazione babelica, separazione dall’origine, esaltazione di sé.

Qualche considerazione sulla bellezza e i limiti della conoscenza cognitiva.

“Ogni lingua lineare è però una lingua logica; in altri termini, agisce, per così dire, in una dimensione e si blocca dinanzi al confine di più dimensioni” Armïn Mohler, La rivoluzione conservatrice in Germania, 1918-1932: Una guida, Napoli-Firenze, Akropolis/La Roccia di Erec, 1990, pp. 96-97.

Il modo estetico

La bellezza quando è solo una parola, riferisce di una categoria nella quale abbiamo posto qualcosa o qualcuno. Quando è invece una vibrazione, reifica un universo in cui le relazioni sono regolate prioritariamente dall’energia estetica, dal modo estetico di concepire, intendere il mondo, il prossimo, la realtà. La modalità estetica risiede nel pre-pensiero. Il pensiero organizzato, interessato e politico la deturpano.

Diversamente dalla modalità etica – suo opposto energetico – intenta ad affermare un ordine nelle relazioni, nella realtà e nel mondo, quindi rappresentabile dalla geometria piana, dalla fisica classica e dall’informatica, quella estetica ha un carattere fluttuante, risente di tutto e ha il pregio di condurci a noi stessi e a farci riconoscere la nostra vera natura, sempre imbrattata e nascosta da strati di nozioni etiche e dei suoi saperi analitici.

La cultura materialista in cui siamo immersi, tende ad allontanarci dal senso della vita riducendolo al senso del successo. Un territorio in cui la bellezza è ridotta alla parola che allude al bello, ma non contiene il bene, e a uomini senza bellezza, ma pieni di individualistica vanità, tanto che si è separata la bellezza dal bene, credendo di fare scissione innocua. Una separazione tanto profonda che li porta a deridere certe conclusioni. Del resto, come ci racconta Lao Tsu, quando lo stolto sente parlare per la prima volta del Tao scoppia a ridere.

Nel caso etico siamo spinti a eleggere gli uomini a proprietari del mondo e di se stessi. In quello estetico diviene possibile conoscere attraverso il sentire, la liberazione dal conosciuto e la corrispondenza con il cosmo.

L’etico produce norme. L’estetico poesie.

L’etico amministra l’esistente. L’estetico ricrea.

L’etico segue canali ereditati. L’estetico ascolta il mondo.

Il primo usa la matematica, la statistica, gli algoritmi. Il secondo utilizza il terzo occhio.

Uno ritiene che la conoscenza sia da acquisire, l’altro che è già in noi.

L’etico è entro una capsula impermeabile se non dalla norma. L’epidermide dell’estetico è sottile e vibrante come una vibrissa.

Ideologie e relativi dogmi, differenze e separazioni sono il basamento dell’incastellatura etica. L’identicità degli uomini, la maschera delle forme, e ritenere tutto espressione della vita, lo sono per la prospettiva estetica.

Per l’etico esiste l’eretico. Per l’estetico non esiste eresia, neppure quella etica.

I computatori della vita sono meno inclini a sfruttare le informazioni su se stessi fornite dalle emozioni. Sono più stabili ed equilibrati, ma impediti a cambiare sembianze, a divenire altro da sé, a sfruttare la contemplazione per conoscere e la meditazione come medicina. A vedere e muoversi secondo bellezza, non è per loro previsto.

Agli esseri estetici è come se piacesse il rischio. Puntare tutto sulla bellezza richiede fanciullezza, sconsideratezza, inconsapevolezza delle conseguenze e fede. Visti con ottica etica, sembrano coraggiosi e avventati. Al contrario, quelli etici, visti con ottica estetica, che si muovono con accortezza, non sono che pusillanimi.

Un po’ come per i materialisti che non sospettano neppure che i loro attrezzi non servono per lavorare al banco alchemico, l’uomo etico, logico, razionalista, concreto, non ha modo di concepire il mondo se non nella sua espressione storica. A lui piace fermarsi al dito. Della luna non sa che farsene. Concentrato sui particolari da mettere e tenere in ordine non la vede.

La bellezza è anche una modalità di ricerca e una discriminante. Essa si rivela ascoltando, seppur nascosta da sembianze che non la evidenziano. Quando la bellezza accade, quando è centrale nelle relazioni, si realizza quella realtà estatica sempre cercata. La sola che conta, in quanto la sola in grado di dare senso alla vita, in quanto benessere intimo e relazionale, in quanto premessa necessaria alla benevolenza e alla gratitudine incondizionata.

Il senso della vita concepito, soddisfatto ed esaurito in ambito etico-amministrativo, allude a titoli, denari, dialettica, saperi cognitivi, vita regolata dal diritto e dimenticata dalla natura, cultura intellettual-tecnicistica.

Differenze formali di senso, ciò che conta riguarda la compagnia del baratro nero, che accompagna la modalità etica. Un abisso in cui il rischio di cadere corrisponde alla presa di coscienza di avere dedicato l’attenzione a confondere le autoreferenziali infrastrutture per verità.

Essere coinvolti in una caduta della bellezza nella relazione, ossia al tradimento spirituale, arresta i processi vitali-creativi. Essere forzatamente sottratti dalla bellezza è un’esperienza grave, un crollo emozionale. È quanto accade nella prevaricazione della norma, della sua limitatezza, nel campo libero e infinito dell’amore.

Ma le cose si muovono, i ruoli si invertono. Tendiamo a passare da una affermazione al suo opposto, e a tutti i grigi intermedi, in funzione di esigenze e circostanze più forti dei nostri valori e della nostra disciplina e stabilità. Nessun uomo è un tipo puro, e chi lo è più degli altri è tanto più specialisticamente forte, quanto più olisticamente vulnerabile se opportunamente toccato. Anche se – in senso lato – il nostro segno zodiacale e ascendente ci spingeranno sempre verso la loro concezione delle cose, tutti corrispondiamo alla verità dell’yin e yang, ovvero in ognuno c’è parte dell’altro. L’opposto che fuggiamo è il primo generatore di quanto desideriamo essere.

Secondo bellezza

Il bello è tale in quanto ci muove. Esso allude all’eros, all’energia vitale, tendenzialmente fievole nel replicativo burocrate ed effervescente nel creativo sentire. Esso è simbolo sublimante e tocca il profondo dell’umano, fino all’origine, fino all’archetipo comune e condiviso. Anche per questa sua abissale e inestinguibile dimora, esso risulta sostanzialmente inspiegabile dalla modalità espressiva della dialettica logico-razionale.

Il bello avviene, ed è percepito in noi. Ciò lo rende inequivocabilmente vero, mai accompagnato dall’esigenza di una qualsivoglia egida scientifica. Esso accade quando qualcuno o qualcosa è pertinente a qualche nostra esigenza di completezza. Questa può essere occulta a noi stessi o evidente. Dipende dal gradiente di consapevolezza disponibile su noi stessi e nel momento.

L’esplosione del senso di bellezza ci avverte con un’emozione magnetica nei confronti della parte mancante e risucchiante, totalitaria, e più forte di quella di fondo che corrisponde alla cosiddetta identità di noi stessi. All’opposto, il brutto ci informa di cosa ci disturba.

Avvedersi quindi del valore dell’unità negli opposti è liberarsi di un laccio della catena di forza culturale che ci impone pensieri e azioni moralistiche ed egoistiche che nulla hanno a che fare con noi stessi, che tutto hanno a che vedere con modelli a noi esterni. E che mai divengono scuola evolutiva ma, al contrario, ci trattengono nello status quo dominato da quanto i cattolici chiamano vizi capitali, ovvero, sempre secondo questi, fuori dalla grazia di Dio.

È opportuno considerare che il bello ci rapisce in quanto emozione di beatitudine, sospensione della storia e del pensiero, e dissoluzione dell’io separatore, almeno nei confronti dell’oggetto risonante, quindi paradisiaca, estatica.

Nel tempo della sua durata avvertiamo benessere, la storia che ci circonda si obnubila silente, il pensiero cessa di rutilare, l’unione con l’oggetto risonante, sia esso un’idea creativa, una persona, una forma, eccetera, si compie, tanto da avvertire il diritto di esclusività e proprietà/appartenenza. In quel tempo, istantaneo come nell’eureka di una scoperta, nella presa di coscienza, nel momento della visione e dell’avvento della composizione della costellazione concettuale rivelatrice di un nuovo – per noi – orizzonte del mondo e, per eccellenza, nell’orgasmo; oppure perdurante come nell’innamoramento, nella serenità dell’amore incondizionato, nel sentimento materno, le pene e la loro memoria si scompongono nell’oceano estatico, che i cattolici chiamerebbero paradisiaco o, ancora, grazia di Dio.

È necessario osservare che nel bello è implicito il bene. I concetti di estasi e di paradiso non sarebbero altro che grossolane rappresentazioni di richiami alla migliore condizione di vita. Che va dalla salute, ai buoni sentimenti e alla miglior disponibilità di forza per la gestione degli inconvenienti della vita, nonché alla miglior disponibilità nei confronti dell’autoeducazione alla migliore invulnerabilità. Un corso evolutivo che tende a realizzarsi in modo proporzionale alla decrescita di importanza personale e ai comportamenti dettati da questa e dal suo implicito motto orgoglioso. E, viceversa, proporzionalmente alla disponibilità fenomenologica, ovvero alla spersonalizzazione egoica degli eventi.

(Un culmine culturale questo, che permetterebbe di gettare nel fuoco le fandonie politiche del momento, dalla cancellazione della cultura, alla libertaria scelta del genere sessuale, al politicamente corretto, al pensiero unico, alla famiglia di piacere, alla madre da mercato e alla prole da menu, alle quote rosa, al sostenibile, all’impatto zero, all’economia circolare, all’esportazione di democrazia, all’ossessione dell’inclusività, al culto tecnologico e, più ampiamente, a perpetuare la storia come storia di conflitti, dagli infrapersonali, passando da quelli interpersonali e ideologici, fino a quelli economico-geoegemonici).

La percezione di bellezza allude altresì al senso del sacro. Si può infatti osservare che il sacro che siamo disponibili a riconoscere come tale è solo e soltanto quello che ci fa avvertire l’emozione della corrispondenza e dell’appartenenza. In questo modo, perfino la squadra del cuore è sacra.

Nel senso del sacro è presente un’estensione di noi stessi, come è sostanzialmente concepita infatti qualunque nostra funzionale parte del corpo o dell’immagine della nostra identità. Quale pianista è disposto a sacrificare un mignolo? Chi è disposto a svelare frivolarmente i propri scheletri nell’armadio? Ma sarebbe sufficiente chiedersi quale uomo lo sarebbe se non per qualcosa di ulteriormente sacro, per esempio un figlio – a sua volta nostra estensione – una fede o un giuramento.

Secondo bruttezza

Specularmente al bello che implica il bene, il brutto è simbolo del male. Da non intendere in senso moralistico ma energetico-evolutivo. Secondo questa concezione si può riconoscere l’origine e il destino dell’idea che l’uomo sia sulla terra per riunirsi all’origine. Non solo, ma anche che il suo operare etico ha valore solo e soltanto se compiuto attraverso la consapevolezza che ognuno di noi è identico ovvero, con la consapevolezza che le differenze storico-biografiche sono spiritualmente solo formali e circostanziali, che operare per sé non ha alcun potere sottile nei confronti dell’evoluzione dell’umanità, nei confronti del superamento della gogna materialista.

“La filosofia critica di Nietzsche porta dunque a compimento l’impresa «semi-abortita» di Kant: anche la ragion pratica, così come la ragion pura, non è in grado, per propria essenza, di offrire una risposta alle «domande ultime»; tutti i giudizi di valore, tutte le «morali», tutte le «verità» sono relative, non hanno alcun diritto «razionale» all’assolutezza, a una validità universale. Ciò che qui viene però «storicamente» annientato è appunto la «Ragione», in quanto logos assolutizzato, della tradizione occidentale giudeo-cristiana”. Giorgio Locchi, Sul senso della storia, Padova, Ar, 2016, p. 29.

Non è quindi improprio riconoscere in che termini il brutto rappresenti ed esprima il lato oscuro che insorge in noi, come uno stupro del mondo ideale anelato, come ci spettasse di diritto individuale. Una fantomatica meta se superstiziosa pretesa egoica, ma utopia concretizzabile quando esso è già nella nostra visione. Progetto fallimentare se acquisito per legge numerata o moralistica, ma di successo se ricreato da noi stessi. Nessun tavolo esce dalle nostre mani se di esso non abbiamo un’idea. E nessun tavolo è il nostro tavolo, se l’idea da cui proviene è stata prima di altri. La forza di volontà necessaria ad ogni creazione, non riferisce un dovere ma un sentire, senza il quale non è che un braccio di ferro perdente, contro forze profonde e superiori a quelle egoiche e superficiali.

È così che il brutto implica l’inferno. Ovvero quella condizione senza fuga dai tiranni, da ciò che non abbiamo risolto, dalle evoluzioni che non abbiamo percorso. Il brutto è ciò che non vogliamo, ciò che fuggiamo di noi, ciò che sosteniamo non ci rappresenta. È il pus delle nostre infezioni, di quanto non siamo stati capaci di accettare di noi, dell’ottusa volontà di affermare di essere altro, di ferite tenute aperte dal rancore e dal desiderio di vendetta. L’assedio del brutto è, infine, l’assenza del processo di individuazione, ma la latente presenza del thanatos e della prosa della vita, in sostituzione del formicolare dell’eros, che ne è invece, la lirica.

L’esperienza non è trasmissibile

La bellezza, come tutte le esperienze, non è logico-razionalmente trasmissibile. Essa corre su ponti emozionali, gli stessi dei nostri passi evolutivi, in occasione dei quali avvertiamo la conoscenza del Sé.

La gabbia logico-razionale che ci contiene a causa della nostra inconsapevolezza di essa, è a sua volta un’emozione, ovvero una capsula biografico-autoreferenziale con la quale concepiamo il mondo. Con essa, ci dicono gli esperti, possiamo spegnere d’un colpo dilemmi e incertezze. Vivendo al suo interno, siamo inconsapevolmente ma scientisticamente certi, che a mezzo della dialettica, dell’erudizione e dell’eloquenza, possiamo trasmettere l’esperienza. Se così fosse, saremmo saggi da millenni, o potremmo imparare a sciare dopo l’opportuna spiegazione. Per niente! Ricreare è necessario.

L’impressione della trasmissibilità dell’esperienza appare dura da dissolvere soprattutto perché estranei alle dinamiche della comunicazione. Essa pare realizzarsi quando gli interlocutori dispongono di pari esperienza, utilizzano il medesimo linguaggio, conoscono e impiegano le stesse accezione e lo stesso gergo, riconoscono in modo condiviso il significato delle allusioni, delle allegorie e delle metafore, e hanno il medesimo scopo. Allora avviene la comunicazione ma non la trasmissione di esperienza. Al contrario quando quei requisiti mancano, anche uno soltanto, anche la comunicazione non avviene e il suo posto è preso dall’equivoco. Da certa letteratura esoterica prendiamo la formula che siamo universi diversi. Questa allude che i vissuti delle persone possono facilmente impedire la comunicazione.

Secondo logica

Così come l’indagine analitico-logico-razionale-meccanicista-positivista non può che ricamare dialettiche intorno al concetto di bellezza, senza mai coglierne il cuore, è invece la lettura esoterico-filosofica, evincibile dalla fisica quantistica – e da tutte le tradizioni sapienziali del mondo – a evidenziare e permettere la consapevolezza dei limiti degli strumenti a disposizione sul banco dell’officina materialista. Cioè la loro inettitudine, a maneggiare le cose del discorso estetico-vibrazionale, quali sono la conoscenza emozionale, la natura della cosiddetta magia, il flusso energetico informazionale dell’oracolo e quello del miracolo. Ovvero il potere delle parole e il suo grimaldello dell’accredito o, la verità nel discorso e il pensiero creatore. Nel complesso, tutti elementi di una prospettiva utile per riconosce che la realtà è nella relazione. Ovvero, secondo Gregory Bateson, nella mente che avviene al cospetto di qualcuno o qualcosa.

Pinze e trapani, non solo sono inadeguati a operare tra gli argomenti della conoscenza estetica, ma l’incaponimento dei suoi operatori, nel persistere ad utilizzarli e a restare nel flusso del processo logico-analitico al fine di raggiungere la conoscenza, li allontana invece di avvicinarli alla natura del mistero che, impettiti, vorrebbero svelare.

E la sindrome scientista, ovvero quella che impone di credere che la sola e vera conoscenza avvenga a mezzo della scienza, che oltre ad essa nulla è valido, e ciò che essa non riconosce, non esiste.

La realtà concepita come ente oggettivo, composto da parti che rispondono a leggi e scomponibile fin dove la tecnologia lo permette, identica per tutti, impone e deriva dall’idea di matrice cartesiana e newtoniana, illuminista e scientifico-materialista, implica un uomo ridotto a macchina, comporta una lettura e un’indagine esclusivamente appoggiata al piano logico-razionale, in quanto così ritiene di restare entro un’interpretazione impeccabile, autentica e definitiva, oggettiva appunto, con il potere di scalzare quanto a essa non è confacente. È una realtà ridotta a materia, allo stato misurabile e quantificabile. Una realtà umanisticamente mortificante, quando non alienante.


La logica non è il mondo

Ma la narrazione logico-razionale è incompleta. Lo si può osservare anche attraverso questo articolo: tutto ciò che ho espresso sarà inteso come lo intendo io? Ciò che è scritto significherà sempre qualcosa per chiunque?

Dentro la camicia di forza meccanicista, il suo linguaggio non è idoneo per raccontare la realtà che non sia quella amministrativa. Se la logica esaurisse il mondo, il bello non esisterebbe e così ogni altra emozione. Senza emozione – cioè come dalla sua etimologia – non c’è vita.

“L’immagine tridimensionale della storia, invece, è nuova, e non ha ancora plasmato un linguaggio «comune»”. Giorgio Locchi, Sul senso della storia, Padova, Ar, 2016, p. 34.

Chiusi nell’incantesimo dell’arroganza babelico-razionalista, non ci si avvede che è la stessa domanda/ricerca primaria, a generare il mistero. La pretesa scientista di risoluzione di tutto, sospinta dal suo conosciuto cognitivo, dalle sue strutture ordinate, non è in grado di dare risposta alle questioni ontologico-esistenziali. Tuttavia ogni uomo qualunque è in grado di conoscere esteticamente ciò che anche la scienza materialista, in questi ultimi decenni, sta arrivando ad ammettere. Ovvero, l’esistenza e la verità di quanto il suo sistema di microscopi e vetrini – la cui autoreferenzialità è spesso taciuta, negata o maldestramente inconsapevole – non è in grado di spiegare.

Totalitaristicamente rapiti dall’emozione della dialettica logico-meccanicista, quale unica rivelatrice del mondo, il mistero non si svela a noi. Ed è proprio emancipandosene che possiamo esserlo il mistero, che possiamo dismettere l’insistente modalità di conoscenza cognitiva e riconoscere il potere di quella estetica. Basterebbe per riconoscere l’autoreferenzialità dell’assolutismo della logica, come del resto anche qualunque paradosso, senza neppure dover ricorrere a Kurt Gödel, per riconoscere i limiti della conoscenza attraverso la logica, dalla quale scaturisce il pericoloso – per la conoscenza e le relazioni – concetto di realtà oggettiva.

La conoscenza estetica ci relaziona al mondo con i cinque sensi materiali e con il sesto vibrazionale. Come i primi possono essere materialmente zittiti, togliendoci per esempio il sapore di un cibo, così il terzo occhio è sempre dormiente per coloro che non si sono ancora ripuliti dall’inquinamento della messe di dati della conoscenza cognitiva o superficiale. Terzo occhio, le cui informazioni divengono disponibili alla coscienza, solo dopo un’altra emancipazione, quella nei confronti dell’esperienza pregressa, delle emozioni e dei sentimenti, quali informatori/creatori della realtà.

Divenire, meglio, ritornare la vibrissa ricettiva e di conoscenza che già siamo è recuperare l’ancestrale che vive in noi e fare della vita la straordinaria esperienza di bellezza che è, normalmente, affogata in questioni che la impediscono, fino a mutarla in sofferenza e malattia. È in questo il senso di chi sostiene che siamo nati per il paradiso e viviamo nell’inferno.


Lorenzo Merlo