Paolo D'Arpini
martedì 15 aprile 2025
Ai tempi in cui non c'era nulla da buttare...
Paolo D'Arpini
lunedì 14 aprile 2025
Con gelato bioregionale...
...giorni fa ero seduto con un amico davanti al bar, quando è arrivato il rivenditore di una nota ditta di gelati ad affiggere la tabella dei gelati per la nuova stagione estiva. la mente è tornata ai mitici ghiaccioli colorati di un tempo, il cornetto, il biscotto, la cassata ispirata alla tradizione siciliana o il piper dal noto locale romano degli anni 60, fino al mitico pinguino, forse il gelato piu buono mai prodotto, con un cuore di panna ricoperto di croccante cioccolato fondente...
domenica 13 aprile 2025
La guerra atomica è definitiva...
Ante scriptum:
“Se dovesse scoppiare la terza guerra mondiale (Dio non voglia), la prima preoccupazione di molti europei e americani, sarà quella di farsi un selfie sorridente con alle spalle il fungo atomico (ovviamente con l’intenzione poi di condividere il tutto sui cosiddetti social). Purtroppo, una buona parte della popolazione europea e statunitense, vive in una realtà virtuale costituita principalmente da “panem et circenses” e, a causa di tutto ciò, le loro coscienze sono state addormentate/anestetizzate e abituate a vivere immerse nel male, nei peccati e nella menzogna. Non sono coscienti della terribile e tragica situazione che viviamo, non sono coscienti che rischiano seriamente di perdere le loro anime per tutta l’eternità!” (M.B.)
Dunque in più di 70 anni, con migliaia di testate disponibili, ne sono state usate in combattimento o 0 o 1, mai comunque contro un avversario che le ha. Il problema sta nella difesa dalla ritorsione di uno stato atomico.
È impossibile intercettare e distruggere, prima che arrivino sul proprio suolo, tutti i missili in arrivo. Se il rischio era eccessivo fin dai primi decenni, nell'era dei missili intercontinentali ultraveloci è diventato intollerabile. Ora molti vettori nucleari sono testate multiple a traiettoria random, con oscillazioni casuali, il che rende impossibile anche per un computer dirigergli contro una risposta distruttiva.
Va tenuto presente che la costa ovest degli USA è sotto minaccia di una risposta immediata da parte dei sottomarini russi nel Pacifico, ora anche in versione drone, senza equipaggio.
I vettori intercontinentali darebbero una ventina di minuti di tempo utile per tentare di fermarli, ma i missili dai sottomarini limitrofi alle acque teritoriali no. In un paio di minuti in tutto decine e decine di missili nucleari pioverebbero sulle città della zona più densamente popolata degli Stati Uniti, o dell'Europa, e per fermarli tutti ci vorrebbe il padreterno.
L'alta finanza, favorevole a qualunque guerra convenzionale perché dispone di programmi per guadagnarci sempre, non vuole una guerra atomica, perché non dispone di progetti per ottenere guadagni certi, a causa della sua alta imprevedibilità per assenza di precedenti, quindi di statistiche probabilistiche sui suoi sviluppi. L'economia degli USA, e non solo, ne rimarrebbe paralizzata.
La teoria del pazzo presuppone che un pazzo possa non solo immaginare ma anche concretamente realizzare un attacco atomico. Ma sia i materiali fissili che le bombe sono gli oggetti più controllati del mondo, anche a distanza. Se qualcuno di voi prova anche solo a preparare l'esafluoruro di uranio, dai satelliti lo si vede, osservando le radiazioni gamma emesse.
Le procedure per l'innesco e attivazione di una bomba sono complesse, con reti di controllo sia in serie che in parallelo. In un certo senso i controllori della bomba ne hanno più paura di noi.
Se ne dubitate riflettete: con circa ventimila bombe sul pianeta, in tutti questi decenni ne è mai esplosa una per errore, per sbaglio ?
Tenete anche presente che il fall out radioattivo non è controllabile. Riuscite a deviare alcuni missili che erano diretti sulle vostre città facendoli cadere su una zona desertica. L'esplosione quindi non uccide nessuno, ma il fall out radioattivo si dirige dove vuole, sospinto dai venti, senza che lo possiate fermare. Il problema è che bisognerebbe riuscire non solo ad abbattere tutti i missili, ma anche in zona di sicurezza, fuori dal territorio nazionale. Il che se è già inverosimile per gli intercontinentali in volo oceanico (qualcuno sfugge per forza) diventa completamente impossibile per i lanci dai sottomarini nel pacifico appena fuori dalle acque territoriali statunitensi: troppo poco tempo disponibile.
Ed è importante ricordare che l'avversario dispone sempre di tecnologie sostanzialmente alla pari con le vostre.
Vincenzo Zamboni
sabato 12 aprile 2025
Magia inconsapevole...
Un’emozione contiene la coscienza, il tempo e lo spazio, le tre dimensioni sulle quali la scienza ha deterministicamente ridotto il potere dell’uomo.
Diversamente da quanto la cultura illuminista-materialista-scientista ci induce a credere, la realtà non è univoca se non entro la dimensione imposta dalle regole autoreferenziali scaturite da quella stessa cultura. Corrisponde invece a un tessuto creativo, la cui trama e il cui ordito hanno carattere magico e al telaio, senza saperlo, i tessitori siamo noi.
Ma, in caso scoprissimo di essere gli inseminatori, vedremmo la realtà come nostra figlia. Allora, per quanto sottile sia l’attimo rivelatore, potremmo riconoscere anche che la memoria non corrisponde a dati residenti in qualche landa cerebrale, ma a effimeri dati cangianti e latenti, che l’emozione coagula e che noi crediamo così di constatare osservando. Vale a dire che la memoria è relativa all’emozione che la permette. O la impedisce.
La memoria e realtà non sono fatte di dati, ma di emozioni. Un’emozione è in grado di radunare dei “dati” e ci trasporta nel passato o ci proietta nel futuro.
E se a, causa di un trauma o di un mancato apporto d’ossigeno, il servizio di una certa zona dell’encefalo viene a mancare e la memoria viene meno, questo non basta per credere che, al contrario di quanto appena scritto, in essa fossero residenti i dati che la permettevano?
La risposta è: no.
Anche un’amputazione di un arto, un rientro dal coma, un trauma devastante al corpo e così via, modificano il modo di pensare, le credenze, l’identità. Così per il cervello, niente affatto sede di mente, intelligenza, coscienza, doti, tutte disponibilità che riguardano il corpo, non una parte di esso.
Quando si arresta la circolazione coronarica, il cuore ne risente e così la persona non può più disporre dell’identità psico-fisica precedente, così per un trauma al cervello perdiamo neuroni e glia e l’identità che le relative sinapsi, insieme alle altre, permettevano.
Le righe che seguono possono essere intellette nel loro intento anche attraverso la seguente prospettiva. Se riusciamo a essere presenti, cioè a osservare il momento in cui viene compiuta una scelta, ne possiamo riconoscere il bisogno biografico. È a mezzo di questa dimensione magica che riconosciamo la strada di casa, i conoscenti, il lavoro che facciamo, il ruolo che occupiamo. Non perché la memoria ce lo permette, ma perché la spinta biografico-identitaria lo richiede e consente.
Il martello del fabbro infastidisce tutti tranne chi ne vede l’azione, che significa prevederne, anticiparne l’effetto sonoro. Si può dire che la previsione, l’anticipazione ci permette di essere la realtà che sta avvenendo e non provarne l’alieno fastidio.
Lo stesso giochetto magico avviene costantemente quando ciò a cui ci sembra di assistere si confà a noi. Come in una sorta di pre-realtà, inconsapevolmente facciamo affidamento, ci aspettiamo e prevediamo ciò che un impercettibile istante successivo vediamo esistere.
Quando, invece, viviamo la sorpresa, non solo negativa, di disappunto, dispiacere e pena, ma anche positiva, come un eureka, un’imprevista soddisfazione, è perché il giochetto, semplicemente, non è implicato.
Accreditare questa prospettiva occulta è alla portata di tutti. O meglio, per essere precisi, di tutti coloro che hanno vissuto l’esperienza della dimenticanza: l’assenza in noi dell’emozione che ci sarebbe necessaria per riannodare la memoria del ruolo con cui ci eravamo sempre identificati.
Per opera della dimenticanza, ciò che riteniamo di sapere incondizionatamente sparisce dal radar, cioè dal mondo conosciuto della nostra identità.
Ugualmente al contrario. Il tipo di emozione che ci pervade in occasione di un luogo nuovo, un sentiero, un albergo, una città, dove strade, corridoi, scale e palazzi non ci danno alcuna direzione, non ci permette di ricostituire la realtà cammin facendo. Quella realtà che permetterebbe la memoria, come per la dimenticanza, non può avvenire.
E ugualmente penserei a proposito di quanto chiamiamo – nel bene e nel male – talento personale e predisposizione, che potrebbe fare capo alla somma epigenetica degli avi, e divenire nostro tratto distintivo quando ci cogliesse la medesima emozione già vissuta dai nostri predecessori, diversamente il talento rimane inespresso o tarpato.
Qualcosa di corrispondente a quanto detto può essere riferito anche ai cosiddetti bambini prodigio che fin dalla tenera età dimostrano abilità e competenze fuori ordinanza. Quello che suona Mozart, il poliglotta, eccetera. E anche coloro che uscendo dallo stato comatoso riferiscono di conoscenza mai esperite nella loro vita precedente al coma stesso.
Anche la meditazione ha a che fare con l’emozione che concede la memoria. Se in essa possiamo vedere un’azione ecologica dai vincoli mondani, possiamo anche arrivare a riconoscere che a mezzo di essa si arriva a rivivere l'emozione dei traumi mai superati, percependo che erano stati tali a causa della nostra egoistica interpretazione di essi; ma anche l’emozione della nascita, e quelle vissute nelle cosiddette vite precedenti. Meditazione quindi dal potere terapeutico a causa dell’accesso che essa consente alle esperienze rivissute.
Il processo creativo rispetta ciò che vale per la memoria. Richiede infatti un’emozione proiettiva di un nostro sentimento che, come su una sorta di schermo olografico, ci mostra la realtà che ancora dobbiamo realizzare. È a quel punto che dalle mani, dai pensieri, dalla tastiera, dal corpo si configura la creazione, costi quel che costi, ovvero con il coraggio, la serenità, la forza, la determinazione, la dedizione, la concentrazione che richiede.
Se siamo d’accordo che un’emozione è un tunnel psicologico, una camicia di forza che non ammette scelte a essa estranee, e se possiamo riconoscere che le emozioni non sono solo quelle sopra le righe che ci impongono comportamenti estranei alla nostra linea prediletta, ma che questa stessa è tale, solida e vera da mano sul fuoco, sempre a causa di un’emozione che ce lo fa credere. Significa che siamo sempre dentro un’emozione, che essere vivi ed essere emozionati corrispondono. Anche l’etimologia pare conforti questa equazione esistenziale. Se l’emozione è tale perché muove, anche la vita lo è.
Significa che quando un’emozione – più forte e diversa – scaccia quella in cui ci troviamo, la realtà che ci stavamo aspettando di incontrare, puff, non c’è più. Sostituita da un’altra, voluta dalla nuova emozione.
Le amnesie ne sono una buona rappresentazione. Chi ne ha esperienza può riscontrare come, quando esse ci rapiscono, iniziamo a chiederci dove ci troviamo, come sia possibile che edifici e strade oppure, tavoli e tende, non ci dicano più niente. Domande che a loro volta svaniscono appena l’emozione utile, tassativamente corrispondente alla nostra biografia, si ripresenta in noi.
Come l’amnesia, anche la martellata costituisce un buon esempio della configurazione della realtà che stiamo cercando di delineare.
Il dolore per la martellata che ci siamo dati sul dito, puff, sparisce se un momento dopo arriva lo tsunami, il terremoto o qualunque altra cosa che scacci l’emozione del dito in frantumi.
Dunque amnesia, martellata, o qualunque altra circostanza che ci sottragga dall’identità e ruolo in cui siamo inconsapevolmente identificati, dovrebbe apparire pertinente al giochetto che seppur magico è totalmente umano praticato e conosciuto. Lo si vede a proposito del soprapensiero, esperienza presente in tutti noi. Esso ci dice che capita di essere dentro un’emozione estranea rispetto alla situazione. In soprapensiero possiamo non sentire gli squilli del telefono, passare col rosso, imboccare un senso unico, dimenticare mille volte le chiavi di casa. Significa che, a volte, capita di entrare in un’emozione che configura una realtà alla quale non possiamo che dare credito, sebbene diversa ed estranea da quelle in quell’ambito comune e condivisa da tutti gli altri.
Riferire alle emozioni in cui ci troviamo il senso della vita, che di fatto esprimiamo costantemente, permette di riconoscere in quale buco nero spesso si trovano le nostre relazioni a causa dei giudizi con i quali costantemente le investiamo. Più esattamente, quando siamo identificati nel giudizio che esprimiamo, come stessimo rispettando una legge superiore, certamente vera e universale.
Chi vuole può riconoscere che tale presunta verità universale si erge su due basamenti: sull’inconsapevolezza che l’altro – il giudicato – si trova entro un’altra emozione, differente dalla nostra, e della quale siamo ignari; e sull’arroganza che la nostra interpretazione del mondo – sempre dovuta, rispettosa emanazione della nostra emozione – debba essere anche dell’altro.
Centrale in questo gioco di prestigio che ci facciamo da soli senza conoscerne il trucco, è l’accredito, la fiducia, la fede, l’essere ciò che si fa, si pensa, si crede. Questo elenco, da un lato è composto di sinonimi (o quasi), dall’altro descrive la condizione o lo stato in gradiente crescente. Indipendentemente da quale voce dell’elenco si voglia ritenere più adatta, è utile osservare come, per mezzo loro, il rischio di realizzare il nostro intento, la realtà che vorremmo, tenda a crescere e la realtà relativa a compiersi. Quanto meno nella misura in cui il nostro gradiente di talento specifico, di motivazione e di circostanze non sfavorevoli, insieme alla visione di sé in ciò che ancora non è, lo supportino.
Con l’allenamento si può penetrare la falsa corazza della realtà come oggetto, fino a constatare che le dinamiche appena descritte sono connaturate alla nostra esistenza. Tuttavia, come l’esempio del dito martellato può essere utile per avviarsi in questa ricerca, fino a riconoscerla come banale, da inverosimile che pareva, anche in questa occasione è utile un esempio eclatante.
Quando l’esordiente azzurro viene intervistato a fine partita, cosa dice? “Ho sempre sognato questo momento”. Motivazione, circostanze favorevoli, talento, fiducia, identificazione con il ruolo di calciatore, immaginazione di essere un campione, sono dentro e rivelati da quella battuta. Limandone la misura, il colore e la forma arriviamo a tutte le volte che l’abbiamo pronunciata noi.
C’è un’altra prospettiva dalla quale si può fare luce sull’istante magico che ci sfugge e che non ci educano a vedere. Un fuggevole tempo in cui Heidegger in Contributi alla filosofia (Dall’evento) ha visto l’avvento della realtà e che ha chiamato evento. Con questo termine, il filosofo tedesco intende il momento in cui insorge in noi il pensiero con il quale descriviamo la realtà che, da quell’istante inavvertito, è realmente così come la raccontiamo.
Ogni questione è ambitale, autopoietica, si crea mentre la si pronuncia e la si pronuncia in modo da poterla creare e alimentare, e in modo che sia confacente a noi stessi.
“Evento: la luce sicura dell’essenziale permanenza dell’Essere nell’estremo orizzonte dell’intima necessità dell’uomo storico”. Martin Heidegger, Contributi alla filosofia (Dall’Evento), Milano, Adelphi, 2007, p. 58.
È una prospettiva che si avvale di quanto già detto poco sopra e riguarda ancora il potere dell’emozione. Essa ci impone il suo copione, la sua regia. Quando ciò avviene, quando un’emozione ci imbriglia, si verifica un’altra magia: la ricostituzione di quanto già esperito e quindi la memoria che ne abbiamo. Dunque non una memoria di dati immagazzinati come vorrebbe l’impalcatura scientifica, ma una latenza dal carattere magico, pronta a riconfigurare il passato. In questo processo insiste anche una critica all’ordinario concetto di tempo lineare, e perciò del passato e del futuro, dando vita a un presente eterno, dal quale scaturiscono tutte le suggestioni vissute come realtà. E disegnando, perciò, una realtà comprensibile su uno sfondo quantico: che si coagula al momento e si mostra in funzione di chi la sta esperendo. Così come il montaggio sapiente di un film ci fa credere di assistere a una storia, mentre siamo a noi, se attenti (Foucault, la verità è nel discorso) a concepirla.
Anche la dimensione fenomenologica e l’analisi razionale sottendono a un’emozione, senza la quale entrambe quantisticamente decadono per tornare all’infinito, disponibili per l’eternità al giusto richiamo di qualcuno.
Ugualmente, per abbracciare un’ideologia ci vuole l’emozione che induca a eleggerla e a non vederne le criticità, ben chiare, invece, a chi vive entro un’altra emozione.
L’emozione opportuna ci costringe a qualunque condizione, scelta e stato. E non c’è bisogno di credere a niente per vederne l’effetto, basta osservare.
Una lettera d’amore – anche se corrisposto – andata dimenticata resta tale se l’emozione della ricomposizione della memoria non avviene. Cosa che può accadere anche rileggendola. Cosa che indicherebbe che al momento della prima esperienza non eravamo stati attraversati da alcuna emozione. Che eravamo rimasti entro quelle di base o in altre più forti.
Una macchinina dei giochi d’infanzia, che torna fuori dalla scatola in solaio dopo tanta vita può riportarci esattamente in quei momenti di vita spensierata. Così un colore di moda anni prima che ricompare nel presente. O, ugualmente, una melodia.
Forse fanno parte del discorso anche il colpo di fulmine e il déjà vu. Avvento nel presente di esperienze che sono nella carne – non nel cervello – che ci costituisce, discendente di vite passate. Che passate non sono, la vita è una soltanto, per noi e per tutto ciò che è.
Un infinito, il cui mutamento non è limitato ad una caotica rivoluzione delle entità che lo compongono, nonché ai loro stocastici scontri, ma che riduciamo ad un cangiante allineamento e selezione personalizzata di alcune di queste, che avviene e si cristallizza nel momento in cui ne siamo al cospetto, e avvengono nel pensiero.
L’emozione può essere rappresentata da un ologramma e anche dal magnete. Come ologramma in quanto essa ci permette/impone di riconoscere una certa realtà solo in funzione dell’inconsapevole angolazione (emozionale) con la quale la stiamo osservando/concependo.
Come magnete in quanto impone agli elementi della realtà concepita, un orientamento univoco, rispettoso della nostra esigenza, come nei confronti della segatura di ferro.
L’esempio dell’aguzzino e della vittima potrebbe essere utile. Nonostante i fatti siano gli stessi le due figure li raccontano diversamente.
A questo punto, si può dire che la realtà si realizza secondo la nostra presenza e disponibilità, anticipandola, sia che la si voglia collocare nel passato, nel presente o nel futuro.
Diversamente, ogni martellata del fabbro punge le orecchie, ogni pianto di bebé in aereo diventa insopportabile, ogni ballo, senza esserne il ritmo, diviene e resta imballabile.
Lorenzo Merlo
venerdì 11 aprile 2025
Per dire NO al rigassificatore di Ravenna...
Abbiamo a suo tempo presentato osservazioni al “commissario” delegato alla gestione dell’insediamento del rigassificatore di Ravenna: come tutti i soggetti che hanno manifestato la loro opposizione, non abbiamo ricevuto nessuna risposta sui rischi ambientali e sanitari e sulla insostenibilità generale della scelta’. D’altra parte nonostante la ampia adesione parolaia al «principio di precauzione» a Ravenna (e in tutto il mondo) dei danni causati dallo “sviluppo industriale” è comparsa ancora solo la punta dell’iceberg (la nostra ricerca sui tumori ambientali e professionali è sempre in corso e chiediamo a tutti i lavoratori e i cittadini di Ravenna di collaborare). Esattamente punta dell’iceberg e solo quella è quanto emerso in tribunale a Ravenna dal processo amianto/Enichem.
Lo spazio per la partecipazione dei cittadini, ancora una volta per il rigassificatore, si è rivelato mera propaganda condotta con i soliti metodi da una lobby economica che decide sulla pelle di tutti con un ceto politico obbediente e subalterno.
Rimane l’esigenza improcrastinabile di cambiare registro; per farlo occorre mettere in campo le sinergie necessarie senza illudersi di poter risalire la china con le sole “buone ragioni”; vero è che, storicamente, spesso e volentieri, le minoranze sono diventate maggioranze ma la strada è molto in salita.
• Occorre puntare ad un coinvolgimento pieno del “movimento operaio” oggi certamente disgregato, diviso e sulla difensiva ma insostituibile; senza la forza dei lavoratori come la storia dimostra, gli equilibri tra inquinatori e inquinati non saranno mai spostati a favore degli ultimi. La storia dell’amianto è emblematica: la cancerogenicità, anche alle cosiddette “basse dosi” è stata evidenziata da scienziati indipendenti quantomeno nel 1935 e successivamente ribadita da altri; ciononostante le lobby economiche hanno resistito 60 anni nei Paesi occidentali nella condotta criminale dell’uso dell’amianto e ancora resistono in vasta parte del pianeta.
• La questione del clima è questione di classe e non consiste in una contrapposizione tra gli “spacciatori” di fonti fossili e il resto del mondo; esiste piuttosto un’alleanza, se non un’identità di soggetti, fra spacciatori e utilizzatori; lo spaccio di energie fossili si coniuga sinergicamente con la domanda da parte di un sistema economico/produttivo energivoro e devastante; il ceto politico emiliano-romagnolo vede al vertice i garanti dei comparti industriali più energivori (in primis il comparto ceramico ed altri). E’ significativo che il sindaco di Ravenna Michele de Pascale, nel pieno del “dibattito” sul rigassificatore, venga proiettato ai vertici della Regione Emilia-Romagna e oggi da presidente regionale inviia a non interrogarci sulle “colpe” dei recenti disastri climatici. In questo quadro è perdente un’ottica che vede la contrapposizione tra ecologisti e inquinatori con una posizione del movimento dei lavoratori agnostica o, per certe sue componenti del sindacato confederale, addirittura consenzienti rispetto a tentativi di mitigare lo sviluppo capitalistico devastante ed energivoro con “protesi” industriali come il serbatoio per la cattura della CO2.
• Il movimento operaio e dei lavoratori è consapevole dell’impatto stragista che ha subìto nel comparto produttivo delle fonti fossili: la tragica sequenza di morti è nota a tutti tranne che ai decisori politici; una strage infinita che parte (nell’ultimo secolo) da Ribolla a Marcinelle a Viareggio all’Api di Falconara all’Eni di Calenzano (e decine di altre nel pianeta) fino all’ultima della miniera di carbone nelle Asturie. Non il padrone ma il movimento operaio – alieno da condotte tese all’accumulazione di profitti a tutti i costi- è nelle condizioni materiali di esser protagonista della liberazione dal fossile, di liberare la classe lavoratrice liberando tutte le classi e di salvare il pianeta.
• Bisogna che il movimento dei lavoratori recuperi in maniera unanime o quantomeno nettamente maggioritaria la sua forza politica e la sua capacità critica nella consapevolezza che le convergenze interclassiste portano al disastro e che le vittime dei mutamenti climatici sono vittime di classe … anche se, giunta al punto estremo di non ritorno la catastrofe potrebbe colpire tutto il pianeta.
• Occorre creare e potenziare un vasto movimento di opposizione per mettere in crisi tutto il “modello di sviluppo” quantitativo, insostenibile, capitalistico sia per quanto riguarda il ricorso e l’utilizzo delle fonti fossili sia per quel che riguarda il boicottaggio di tutte le merci inquinanti, nocive e mortifere.
• Il 5 aprile 2025 a Bologna si è tenuta una importante assemblea popolare contro l’inquinamento causato dal traffico aereoportuale; occorre creare 10/100/1000 focolai di resistenza contro tutte le fonti inquinanti ed energivore il cui uso ha un netto connotato di classe: i jets privati al servizio di poche persone inquinano quanto i consumi di un intero Stato nazionale; secondo uno studio della Università di Calmar ogni ricco produce 500 volte la CO2 di un povero; la questione del clima è questione di classe.
• In continuità con la lotta contro l’estrattivismo e la imposizione dell’uso di fossili dobbiamo continuare l’azione di contrasto (oggi ancora debole) contro la produzione di merci nocive e per la bonifica dei territori: nelle prossime settimane rilanceremo la nostra iniziativa contro l’uso e la produzione di “fuochi artificiali” con i quali, complice entusiasta il ceto politico locale ravennate, siamo stati molestati e vessati negli ultimi decenni. No ai fuochi artificiali e no alle Frecce Tricolori.
Tutti gli osservatori onesti e indipendenti evidenziano che gli effetti dei mutamenti climatici si riverberano in particolare tra i soggetti più deboli e più vulnerabili: dagli anziani ai braccianti schiavizzati che muoiono per i colpi di calore. Già l’anno scorso abbiamo lanciato una campagna di autodifesa nei luoghi di lavoro e la rilanceremo con più forza quest’anno. Si incrociano le braccia; riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario se e dove l’ambiente supera i 26°C: il disastro climatico non deve abbattersi, spacciato per calamità naturale, sul diritto alla salute e alla vita dei lavoratori.
Circa le responsabilità dei disastri: la giunta regionale dell’E-R guidata dai massimi sostenitori del modello di sviluppo industriale/energivoro ha invitato a non ostinarci a cercare ed evidenziare le “colpe”. Nessuno vuole “maramaldeggiare” o ironizzare contro tanti imprenditori che, anche in Romagna, hanno subìto danni ingenti. Ma una domanda è necessaria: non dovevano gli imprenditori (magari non il singolo piccolo artigiano ma in consorzio tra loro) includere il rischio meteoclimatico nella VALUTAZIONE GENERALE DEL RISCHIO (DVR) piuttosto che piangere il “giorno dopo”? Emblematico quanto accaduto all’Inail di Vigorso (Bologna): sito esondato tre volte, con gravi danni, oggi in predicato per una possibile delocalizzazione. Con l’INAIL, spesso impegnato in una condotta negazionista nei confronti del riconoscimento della malattia professionali.
Nostre conclusioni:
• no al rigassificatore di Ravenna
• fermare il modello di sviluppo energivoro e devastante
• boicottare tutte le produzioni nocive e mortifere
• ricostruire la capacità di critica e di azione del movimento operaio e di tutti i lavoratori
• bonificare il territorio
• lottare per un vero ed equo (per quanto possibile) risarcimento del danno: togliere all’Inail le competenze sulla valutazione della eziologia delle malattie professionali.
RETE NAZIONALE LAVORO SICURO.
ASSOCIAZIONE ESPOSTI AMIANTO E RISCHI PER LA SALUTE
PER CONTATTI:
Vito Totire • 333.4147329
Davide Fabbri • 333.1296915
Daniele Barbieri - pkdick@fastmail.it
Luoghi bioregionali: Guastameroli...
...mi sono divertito a raccogliere quanto ho scritto in questi primi due anni nel paese di guastameroli di frisa in provincia di chieti regione abruzzo una sorta di reportage socio storico antropologico anche nella forma del dialogo con alcune riflessioni finali