martedì 15 aprile 2025

Ai tempi in cui non c'era nulla da buttare...



Sono cresciuta in un bar-latteria. Non c'era niente da buttare o riciclare. I biscotti si vendevano nei sacchetti di carta che venivano usati per far asciugare le fritture; i giornali vecchi servivano per fasciare le uova, ed era un'arte che mi insegnò mio nonno, e imparai anche ad accartocciare i pacchetti di caffè con una carta bianca un po' assorbente. 

Il latte lo portavano nei bidoni (ne ho ancora un paio in una cantina). Noi usavamo un lungo mestolo misurato, un quarto, mezzo litro e litro (anche quelli li ho ancora, in alluminio). Le persone si portavano il pentolino da casa, oppure una bottiglia di vetro da un litro, noi non offrivamo contenitori, se non in casi di emergenza, allora si proponeva una bottiglia dell'acqua minerale risciacquata e resa il giorno dopo dal cliente, o si faceva pagare la caparra che erano poche lire, ma si responsabilizzava la persona. 

Poi furono introdotte le bottiglie di vetro col tappo in alluminio, oro o argento, pastorizzato o omogeneizzato. Quelle si dovevano restituire, sennò si pagava la caparra. Ma c'era la consapevolezza che quello fosse il giusto, senza spreco, senza fregature, non ci rimetteva nessuno, bastava seguire la regola. Le persone si portavano la borsa di paglia o la retina o borse fatte in casa, sacchetti non ne esistevano. Tutto era più semplice e non si ammalava nessuno...

Franca Oberti



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Mio commentino: "Ho fatto in tempo anch'io a vivere quei momenti... sia quand'ero bambino a Roma, alla fine degli anni '40 del secolo scorso, in cui il latte arrivava in bottiglie di vetro che dovevano essere restituite. Sia appena arrivai a Calcata verso la metà degli anni '70 ed in cui c'era un vaccaro. chiamato Corinto,  che portava il latte in una casseruola ed ognuno ne prendeva un po' travasandolo in un proprio contenitore... A dire il vero quel latte di Corinto era talmente buono che ne bastava un quarto di litro, ed inoltre le mucche erano tenute bene e nutrite  al pascolo... Poi pervennero le norme igieniche che proibivano tutto questo ed il latte bisognava andarlo a comprare già confezionato in tetrapack al negozio. A quel punto smisi di comprarlo ed acquistai un paio di capre per avere almeno  un po' di latte genuino... (continuerebbe ma lasciamo perdere)" 

Paolo D'Arpini



lunedì 14 aprile 2025

Con gelato bioregionale...


...giorni fa ero seduto con un amico davanti al bar, quando è arrivato il rivenditore di una nota ditta di gelati ad affiggere la tabella dei gelati per la nuova stagione estiva. la mente è tornata ai mitici ghiaccioli colorati di un tempo, il cornetto, il biscotto, la cassata ispirata alla tradizione siciliana o il piper dal noto locale romano degli anni 60, fino al mitico pinguino, forse il gelato piu buono mai prodotto, con un cuore di panna ricoperto di croccante cioccolato fondente...

 
ora si parla del gelato con il sorriso dentro stracciatella maivista intrigo copertura con la spirulina il ghiacciolo buono che aiuta i ghiacciai, senza glutine fagiolino lipperlì senza latte con ricetta definita dall’ospedale pediatrico meyer…
 
sà di bone seduto su una panchina davanti al bar cicorìa leggendo la nuova comunicazione dei gelati in vendita: cinque stelle gelato all’italiana, il gelato con il sorriso dentro, a ogni morso una rivelazione, cocco bello, pistacchio sincero, mitico croccantino, stracciatella maivista, mirtillo inaspettato. novità sorbello intrigo copertura; frutti.amo vivace al kiwi alternativo rosso sereno di mango fragola avventurosa e green go al lime con spirulina in collaborazione con legambiente, il ghiacciolo buono che aiuta i ghiacciai. senza additivi, solo coloranti naturali. gnaum, senza glutine, sotto il ghiaccio c’è del tenero, fagiolino e lìpperlì. amando il buon gelato senza latte perchè lo facciamo con il latte di mandorle siciliane. gelato di vaniglia e pop corn al gusto di caramello salato e per finire mic mac gelato fior di latte e cacao con latte fresco italiano, ricetta definita con gli esperti dell’ospedale pediatrico meyer.

Ferdinando Renzetti



 

domenica 13 aprile 2025

La guerra atomica è definitiva...

 


Ante scriptum: 

“Se dovesse scoppiare la terza guerra mondiale (Dio non voglia), la prima preoccupazione di molti europei e americani, sarà quella di farsi un selfie sorridente con alle spalle il fungo atomico (ovviamente con l’intenzione poi di condividere il tutto sui cosiddetti social). Purtroppo, una buona parte della popolazione europea e statunitense, vive in una realtà virtuale costituita principalmente da “panem et circenses” e, a causa di tutto ciò, le loro coscienze sono state addormentate/anestetizzate e abituate a vivere immerse nel male, nei peccati e nella menzogna. Non sono coscienti della terribile e tragica situazione che viviamo, non sono coscienti che rischiano seriamente di perdere le loro anime per tutta l’eternità!” (M.B.)


La guerra atomica è definitiva...
Non è certo, ma è possibile, che dopo Hiroshima e Nagasaki (quando solo gli USA possedevano la bomba) una atomica sia stata impiegata in guerra una volta, contro uno stato non atomico, nella zona tra Bassora e il confine con l'Irak.

Dunque in più di 70 anni, con migliaia di testate disponibili, ne sono state usate in combattimento o 0 o 1, mai comunque contro un avversario che le ha. Il problema sta nella difesa dalla ritorsione di uno stato atomico.

È impossibile intercettare e distruggere, prima che arrivino sul proprio suolo, tutti i missili in arrivo. Se il rischio era eccessivo fin dai primi decenni, nell'era dei missili intercontinentali ultraveloci è diventato intollerabile. Ora molti vettori nucleari sono testate multiple a traiettoria random, con oscillazioni casuali, il che rende impossibile anche per un computer dirigergli contro una risposta distruttiva.


Va tenuto presente che la costa ovest degli USA è sotto minaccia di una risposta immediata da parte dei sottomarini russi nel Pacifico, ora anche in versione drone, senza equipaggio.

I vettori intercontinentali darebbero una ventina di minuti di tempo utile per tentare di fermarli, ma i missili dai sottomarini limitrofi alle acque teritoriali no.  In un paio di minuti in tutto decine e decine di missili nucleari pioverebbero sulle città della zona più densamente popolata degli Stati Uniti, o dell'Europa,  e per fermarli tutti ci vorrebbe il padreterno.

L'alta finanza, favorevole a qualunque guerra convenzionale perché dispone di programmi per guadagnarci sempre, non vuole una guerra atomica, perché non dispone di progetti per ottenere guadagni certi, a causa della sua alta imprevedibilità per assenza di precedenti, quindi di statistiche probabilistiche sui suoi sviluppi. L'economia degli USA, e non solo,  ne rimarrebbe paralizzata.

La teoria del pazzo presuppone che un pazzo possa non solo immaginare ma anche concretamente realizzare un attacco atomico. Ma sia i materiali fissili che le bombe sono gli oggetti più controllati del mondo, anche a distanza. Se qualcuno di voi prova anche solo a preparare l'esafluoruro di uranio, dai satelliti lo si vede, osservando le radiazioni gamma emesse.

Le procedure per l'innesco e attivazione di una bomba sono complesse, con reti di controllo sia in serie che in parallelo. In un certo senso i controllori della bomba ne hanno più paura di noi.

Se ne dubitate riflettete: con circa ventimila bombe sul pianeta, in tutti questi decenni ne è mai esplosa una per errore, per sbaglio ?

Tenete anche presente che il fall out radioattivo non è controllabile. Riuscite a deviare alcuni missili che erano diretti sulle vostre città facendoli cadere su una zona desertica. L'esplosione quindi non uccide nessuno, ma il fall out radioattivo si dirige dove vuole, sospinto dai venti, senza che lo possiate fermare. Il problema è che bisognerebbe riuscire non solo ad abbattere tutti i missili, ma anche in zona di sicurezza, fuori dal territorio nazionale. Il che se è già inverosimile per gli intercontinentali in volo oceanico (qualcuno sfugge per forza) diventa completamente impossibile per i lanci dai sottomarini nel pacifico appena fuori dalle acque territoriali statunitensi: troppo poco tempo disponibile.

Ed è importante ricordare che l'avversario dispone sempre di tecnologie sostanzialmente alla pari con le vostre.


Vincenzo Zamboni

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sabato 12 aprile 2025

Magia inconsapevole...

 


Un’emozione contiene la coscienza, il tempo e lo spazio, le tre dimensioni sulle quali la scienza ha deterministicamente ridotto il potere dell’uomo.

Diversamente da quanto la cultura illuminista-materialista-scientista ci induce a credere, la realtà non è univoca se non entro la dimensione imposta dalle regole autoreferenziali scaturite da quella stessa cultura. Corrisponde invece a un tessuto creativo, la cui trama e il cui ordito hanno carattere magico e al telaio, senza saperlo, i tessitori siamo noi.

Ma, in caso scoprissimo di essere gli inseminatori, vedremmo la realtà come nostra figlia. Allora, per quanto sottile sia l’attimo rivelatore, potremmo riconoscere anche che la memoria non corrisponde a dati residenti in qualche landa cerebrale, ma a effimeri dati cangianti e latenti, che l’emozione coagula e che noi crediamo così di constatare osservando. Vale a dire che la memoria è relativa all’emozione che la permette. O la impedisce.

La memoria e realtà non sono fatte di dati, ma di emozioni. Un’emozione è in grado di radunare dei “dati” e ci trasporta nel passato o ci proietta nel futuro.

E se a, causa di un trauma o di un mancato apporto d’ossigeno, il servizio di una certa zona dell’encefalo viene a mancare e la memoria viene meno, questo non basta per credere che, al contrario di quanto appena scritto, in essa fossero residenti i dati che la permettevano?

La risposta è: no.

Anche un’amputazione di un arto, un rientro dal coma, un trauma devastante al corpo e così via, modificano il modo di pensare, le credenze, l’identità. Così per il cervello, niente affatto sede di mente, intelligenza, coscienza, doti, tutte disponibilità che riguardano il corpo, non una parte di esso.

Quando si arresta la circolazione coronarica, il cuore ne risente e così la persona non può più disporre dell’identità psico-fisica precedente, così per un trauma al cervello perdiamo neuroni e glia e l’identità che le relative sinapsi, insieme alle altre, permettevano.

Le righe che seguono possono essere intellette nel loro intento anche attraverso la seguente prospettiva. Se riusciamo a essere presenti, cioè a osservare il momento in cui viene compiuta una scelta, ne possiamo riconoscere il bisogno biografico. È a mezzo di questa dimensione magica che riconosciamo la strada di casa, i conoscenti, il lavoro che facciamo, il ruolo che occupiamo. Non perché la memoria ce lo permette, ma perché la spinta biografico-identitaria lo richiede e consente.

Il martello del fabbro infastidisce tutti tranne chi ne vede l’azione, che significa prevederne, anticiparne l’effetto sonoro. Si può dire che la previsione, l’anticipazione ci permette di essere la realtà che sta avvenendo e non provarne l’alieno fastidio.

Lo stesso giochetto magico avviene costantemente quando ciò a cui ci sembra di assistere si confà a noi. Come in una sorta di pre-realtà, inconsapevolmente facciamo affidamento, ci aspettiamo e prevediamo ciò che un impercettibile istante successivo vediamo esistere.

Quando, invece, viviamo la sorpresa, non solo negativa, di disappunto, dispiacere e pena, ma anche positiva, come un eureka, un’imprevista soddisfazione, è perché il giochetto, semplicemente, non è implicato.

Accreditare questa prospettiva occulta è alla portata di tutti. O meglio, per essere precisi, di tutti coloro che hanno vissuto l’esperienza della dimenticanza: l’assenza in noi dell’emozione che ci sarebbe necessaria per riannodare la memoria del ruolo con cui ci eravamo sempre identificati.

Per opera della dimenticanza, ciò che riteniamo di sapere incondizionatamente sparisce dal radar, cioè dal mondo conosciuto della nostra identità.

Ugualmente al contrario. Il tipo di emozione che ci pervade in occasione di un luogo nuovo, un sentiero, un albergo, una città, dove strade, corridoi, scale e palazzi non ci danno alcuna direzione, non ci permette di ricostituire la realtà cammin facendo. Quella realtà che permetterebbe la memoria, come per la dimenticanza, non può avvenire.

E ugualmente penserei a proposito di quanto chiamiamo – nel bene e nel male – talento personale e predisposizione, che potrebbe fare capo alla somma epigenetica degli avi, e divenire nostro tratto distintivo quando ci cogliesse la medesima emozione già vissuta dai nostri predecessori, diversamente il talento rimane inespresso o tarpato.

Qualcosa di corrispondente a quanto detto può essere riferito anche ai cosiddetti bambini prodigio che fin dalla tenera età dimostrano abilità e competenze fuori ordinanza. Quello che suona Mozart, il poliglotta, eccetera. E anche coloro che uscendo dallo stato comatoso riferiscono di conoscenza mai esperite nella loro vita precedente al coma stesso.

Anche la meditazione ha a che fare con l’emozione che concede la memoria. Se in essa possiamo vedere un’azione ecologica dai vincoli mondani, possiamo anche arrivare a riconoscere che a mezzo di essa si arriva a rivivere l'emozione dei traumi mai superati, percependo che erano stati tali a causa della nostra egoistica interpretazione di essi; ma anche l’emozione della nascita, e quelle vissute nelle cosiddette vite precedenti. Meditazione quindi dal potere terapeutico a causa dell’accesso che essa consente alle esperienze rivissute.

Il processo creativo rispetta ciò che vale per la memoria. Richiede infatti un’emozione proiettiva di un nostro sentimento che, come su una sorta di schermo olografico, ci mostra la realtà che ancora dobbiamo realizzare. È a quel punto che dalle mani, dai pensieri, dalla tastiera, dal corpo si configura la creazione, costi quel che costi, ovvero con il coraggio, la serenità, la forza, la determinazione, la dedizione, la concentrazione che richiede.

Se siamo d’accordo che un’emozione è un tunnel psicologico, una camicia di forza che non ammette scelte a essa estranee, e se possiamo riconoscere che le emozioni non sono solo quelle sopra le righe che ci impongono comportamenti estranei alla nostra linea prediletta, ma che questa stessa è tale, solida e vera da mano sul fuoco, sempre a causa di un’emozione che ce lo fa credere. Significa che siamo sempre dentro un’emozione, che essere vivi ed essere emozionati corrispondono. Anche l’etimologia pare conforti questa equazione esistenziale. Se l’emozione è tale perché muove, anche la vita lo è.

Significa che quando un’emozione – più forte e diversa – scaccia quella in cui ci troviamo, la realtà che ci stavamo aspettando di incontrare, puff, non c’è più. Sostituita da un’altra, voluta dalla nuova emozione.

Le amnesie ne sono una buona rappresentazione. Chi ne ha esperienza può riscontrare come, quando esse ci rapiscono, iniziamo a chiederci dove ci troviamo, come sia possibile che edifici e strade oppure, tavoli e tende, non ci dicano più niente. Domande che a loro volta svaniscono appena l’emozione utile, tassativamente corrispondente alla nostra biografia, si ripresenta in noi.

Come l’amnesia, anche la martellata costituisce un buon esempio della configurazione della realtà che stiamo cercando di delineare.

Il dolore per la martellata che ci siamo dati sul dito, puff, sparisce se un momento dopo arriva lo tsunami, il terremoto o qualunque altra cosa che scacci l’emozione del dito in frantumi.

Dunque amnesia, martellata, o qualunque altra circostanza che ci sottragga dall’identità e ruolo in cui siamo inconsapevolmente identificati, dovrebbe apparire pertinente al giochetto che seppur magico è totalmente umano praticato e conosciuto. Lo si vede a proposito del soprapensiero, esperienza presente in tutti noi. Esso ci dice che capita di essere dentro un’emozione estranea rispetto alla situazione. In soprapensiero possiamo non sentire gli squilli del telefono, passare col rosso, imboccare un senso unico, dimenticare mille volte le chiavi di casa. Significa che, a volte, capita di entrare in un’emozione che configura una realtà alla quale non possiamo che dare credito, sebbene diversa ed estranea da quelle in quell’ambito comune e condivisa da tutti gli altri.

Riferire alle emozioni in cui ci troviamo il senso della vita, che di fatto esprimiamo costantemente, permette di riconoscere in quale buco nero spesso si trovano le nostre relazioni a causa dei giudizi con i quali costantemente le investiamo. Più esattamente, quando siamo identificati nel giudizio che esprimiamo, come stessimo rispettando una legge superiore, certamente vera e universale.

Chi vuole può riconoscere che tale presunta verità universale si erge su due basamenti: sull’inconsapevolezza che l’altro – il giudicato – si trova entro un’altra emozione, differente dalla nostra, e della quale siamo ignari; e sull’arroganza che la nostra interpretazione del mondo – sempre dovuta, rispettosa emanazione della nostra emozione – debba essere anche dell’altro.

Centrale in questo gioco di prestigio che ci facciamo da soli senza conoscerne il trucco, è l’accredito, la fiducia, la fede, l’essere ciò che si fa, si pensa, si crede. Questo elenco, da un lato è composto di sinonimi (o quasi), dall’altro descrive la condizione o lo stato in gradiente crescente. Indipendentemente da quale voce dell’elenco si voglia ritenere più adatta, è utile osservare come, per mezzo loro, il rischio di realizzare il nostro intento, la realtà che vorremmo, tenda a crescere e la realtà relativa a compiersi. Quanto meno nella misura in cui il nostro gradiente di talento specifico, di motivazione e di circostanze non sfavorevoli, insieme alla visione di sé in ciò che ancora non è, lo supportino.

Con l’allenamento si può penetrare la falsa corazza della realtà come oggetto, fino a constatare che le dinamiche appena descritte sono connaturate alla nostra esistenza. Tuttavia, come l’esempio del dito martellato può essere utile per avviarsi in questa ricerca, fino a riconoscerla come banale, da inverosimile che pareva, anche in questa occasione è utile un esempio eclatante.

Quando l’esordiente azzurro viene intervistato a fine partita, cosa dice? “Ho sempre sognato questo momento”. Motivazione, circostanze favorevoli, talento, fiducia, identificazione con il ruolo di calciatore, immaginazione di essere un campione, sono dentro e rivelati da quella battuta. Limandone la misura, il colore e la forma arriviamo a tutte le volte che l’abbiamo pronunciata noi.

C’è un’altra prospettiva dalla quale si può fare luce sull’istante magico che ci sfugge e che non ci educano a vedere. Un fuggevole tempo in cui Heidegger in Contributi alla filosofia (Dall’evento) ha visto l’avvento della realtà e che ha chiamato evento. Con questo termine, il filosofo tedesco intende il momento in cui insorge in noi il pensiero con il quale descriviamo la realtà che, da quell’istante inavvertito, è realmente così come la raccontiamo.

Ogni questione è ambitale, autopoietica, si crea mentre la si pronuncia e la si pronuncia in modo da poterla creare e alimentare, e in modo che sia confacente a noi stessi.

“Evento: la luce sicura dell’essenziale permanenza dell’Essere nell’estremo orizzonte dell’intima necessità dell’uomo storico”.  Martin Heidegger, Contributi alla filosofia (Dall’Evento), Milano, Adelphi, 2007, p. 58.

È una prospettiva che si avvale di quanto già detto poco sopra e riguarda ancora il potere dell’emozione. Essa ci impone il suo copione, la sua regia. Quando ciò avviene, quando un’emozione ci imbriglia, si verifica un’altra magia: la ricostituzione di quanto già esperito e quindi la memoria che ne abbiamo. Dunque non una memoria di dati immagazzinati come vorrebbe l’impalcatura scientifica, ma una latenza dal carattere magico, pronta a riconfigurare il passato. In questo processo insiste anche una critica all’ordinario concetto di tempo lineare, e perciò del passato e del futuro, dando vita a un presente eterno, dal quale scaturiscono tutte le suggestioni vissute come realtà. E disegnando, perciò, una realtà comprensibile su uno sfondo quantico: che si coagula al momento e si mostra in funzione di chi la sta esperendo. Così come il montaggio sapiente di un film ci fa credere di assistere a una storia, mentre siamo a noi, se attenti (Foucault, la verità è nel discorso) a concepirla.

Anche la dimensione fenomenologica e l’analisi razionale sottendono a un’emozione, senza la quale entrambe quantisticamente decadono per tornare all’infinito, disponibili per l’eternità al giusto richiamo di qualcuno.

Ugualmente, per abbracciare un’ideologia ci vuole l’emozione che induca a eleggerla e a non vederne le criticità, ben chiare, invece, a chi vive entro un’altra emozione.

L’emozione opportuna ci costringe a qualunque condizione, scelta e stato. E non c’è bisogno di credere a niente per vederne l’effetto, basta osservare.

Una lettera d’amore – anche se corrisposto – andata dimenticata resta tale se l’emozione della ricomposizione della memoria non avviene. Cosa che può accadere anche rileggendola. Cosa che indicherebbe che al momento della prima esperienza non eravamo stati attraversati da alcuna emozione. Che eravamo rimasti entro quelle di base o in altre più forti.

Una macchinina dei giochi d’infanzia, che torna fuori dalla scatola in solaio dopo tanta vita può riportarci esattamente in quei momenti di vita spensierata. Così un colore di moda anni prima che ricompare nel presente. O, ugualmente, una melodia.

Forse fanno parte del discorso anche il colpo di fulmine e il déjà vu. Avvento nel presente di esperienze che sono nella carne – non nel cervello – che ci costituisce, discendente di vite passate. Che passate non sono, la vita è una soltanto, per noi e per tutto ciò che è.

Un infinito, il cui mutamento non è limitato ad una caotica rivoluzione delle entità che lo compongono, nonché ai loro stocastici scontri, ma che riduciamo ad un cangiante allineamento e selezione personalizzata di alcune di queste, che avviene e si cristallizza nel momento in cui ne siamo al cospetto, e avvengono nel pensiero.

L’emozione può essere rappresentata da un ologramma e anche dal magnete. Come ologramma in quanto essa ci permette/impone di riconoscere una certa realtà solo in funzione dell’inconsapevole angolazione (emozionale) con la quale la stiamo osservando/concependo.

Come magnete in quanto impone agli elementi della realtà concepita, un orientamento univoco, rispettoso della nostra esigenza, come nei confronti della segatura di ferro.

L’esempio dell’aguzzino e della vittima potrebbe essere utile. Nonostante i fatti siano gli stessi le due figure li raccontano diversamente.

A questo punto, si può dire che la realtà si realizza secondo la nostra presenza e disponibilità, anticipandola, sia che la si voglia collocare nel passato, nel presente o nel futuro.

Diversamente, ogni martellata del fabbro punge le orecchie, ogni pianto di bebé in aereo diventa insopportabile, ogni ballo, senza esserne il ritmo, diviene e resta imballabile.

Lorenzo Merlo



venerdì 11 aprile 2025

Per dire NO al rigassificatore di Ravenna...

 


Abbiamo a suo tempo presentato osservazioni al “commissario” delegato alla gestione dell’insediamento del rigassificatore di Ravenna: come tutti i soggetti che hanno manifestato la loro opposizione, non abbiamo ricevuto nessuna risposta sui rischi ambientali e sanitari e sulla insostenibilità generale della scelta’. D’altra parte nonostante la ampia adesione parolaia al «principio di precauzione» a Ravenna (e in tutto il mondo) dei danni causati dallo “sviluppo industriale” è comparsa ancora solo la punta dell’iceberg (la nostra ricerca sui tumori ambientali e professionali è sempre in corso e chiediamo a tutti i lavoratori e i cittadini di Ravenna di collaborare). Esattamente 
punta dell’iceberg e solo quella è quanto emerso in tribunale a Ravenna dal processo amianto/Enichem.

Lo spazio per la partecipazione dei cittadini, ancora una volta per il rigassificatore, si è rivelato mera propaganda condotta con i soliti metodi da una lobby economica che decide sulla pelle di tutti con un ceto politico obbediente e subalterno.

Rimane l’esigenza improcrastinabile di cambiare registro; per farlo occorre mettere in campo le sinergie necessarie senza illudersi di poter risalire la china con le sole “buone ragioni”; vero è che, storicamente, spesso e volentieri, le minoranze sono diventate maggioranze ma la strada è molto in salita.

• Occorre puntare ad un coinvolgimento pieno del “movimento operaio” oggi certamente disgregato, diviso e sulla difensiva ma insostituibile; senza la forza dei lavoratori come la storia dimostra, gli equilibri tra inquinatori e inquinati non saranno mai spostati a favore degli ultimi. La storia dell’amianto è emblematica: la cancerogenicità, anche alle cosiddette “basse dosi” è stata evidenziata da scienziati indipendenti quantomeno nel 1935 e successivamente ribadita da altri; ciononostante le lobby economiche hanno resistito 60 anni nei Paesi occidentali nella condotta criminale dell’uso dell’amianto e ancora resistono in vasta parte del pianeta.

• La questione del clima è questione di classe e non consiste in una contrapposizione tra gli “spacciatori” di fonti fossili e il resto del mondo; esiste piuttosto un’alleanza, se non un’identità di soggetti, fra spacciatori e utilizzatori; lo spaccio di energie fossili si coniuga sinergicamente con la domanda da parte di un sistema economico/produttivo energivoro e devastante; il ceto politico emiliano-romagnolo vede al vertice i garanti dei comparti industriali più energivori (in primis il comparto ceramico ed altri). E’ significativo che il sindaco di Ravenna Michele de Pascale, nel pieno del “dibattito” sul rigassificatore, venga proiettato ai vertici della Regione Emilia-Romagna e oggi da presidente regionale inviia a non interrogarci sulle “colpe” dei recenti disastri climatici. In questo quadro è perdente un’ottica che vede la contrapposizione tra ecologisti e inquinatori con una posizione del movimento dei lavoratori agnostica o, per certe sue componenti del sindacato confederale, addirittura consenzienti rispetto a tentativi di mitigare lo sviluppo capitalistico devastante ed energivoro con “protesi” industriali come il serbatoio per la cattura della CO2.

• Il movimento operaio e dei lavoratori è consapevole dell’impatto stragista che ha subìto nel comparto produttivo delle fonti fossili: la tragica sequenza di morti è nota a tutti tranne che ai decisori politici; una strage infinita che parte (nell’ultimo secolo) da Ribolla a Marcinelle a Viareggio all’Api di Falconara all’Eni di Calenzano (e decine di altre nel pianeta) fino all’ultima della miniera di carbone nelle Asturie. Non il padrone ma il movimento operaio – alieno da condotte tese all’accumulazione di profitti a tutti i costi- è nelle condizioni materiali di esser protagonista della liberazione dal fossile, di liberare la classe lavoratrice liberando tutte le classi e di salvare il pianeta.

• Bisogna che il movimento dei lavoratori recuperi in maniera unanime o quantomeno nettamente maggioritaria la sua forza politica e la sua capacità critica nella consapevolezza che le convergenze interclassiste portano al disastro e che le vittime dei mutamenti climatici sono vittime di classe … anche se, giunta al punto estremo di non ritorno la catastrofe potrebbe colpire tutto il pianeta.

• Occorre creare e potenziare un vasto movimento di opposizione per mettere in crisi tutto il “modello di sviluppo” quantitativo, insostenibile, capitalistico sia per quanto riguarda il ricorso e l’utilizzo delle fonti fossili sia per quel che riguarda il boicottaggio di tutte le merci inquinanti, nocive e mortifere.

• Il 5 aprile 2025 a Bologna si è tenuta una importante assemblea popolare contro l’inquinamento causato dal traffico aereoportuale; occorre creare 10/100/1000 focolai di resistenza contro tutte le fonti inquinanti ed energivore il cui uso ha un netto connotato di classe: i jets privati al servizio di poche persone inquinano quanto i consumi di un intero Stato nazionale; secondo uno studio della Università di Calmar ogni ricco produce 500 volte la CO2 di un povero; la questione del clima è questione di classe.

• In continuità con la lotta contro l’estrattivismo e la imposizione dell’uso di fossili dobbiamo continuare l’azione di contrasto (oggi ancora debole) contro la produzione di merci nocive e per la bonifica dei territori: nelle prossime settimane rilanceremo la nostra iniziativa contro l’uso e la produzione di “fuochi artificiali” con i quali, complice entusiasta il ceto politico locale ravennate, siamo stati molestati e vessati negli ultimi decenni. No ai fuochi artificiali e no alle Frecce Tricolori.

Tutti gli osservatori onesti e indipendenti evidenziano che gli effetti dei mutamenti climatici si riverberano in particolare tra i soggetti più deboli e più vulnerabili: dagli anziani ai braccianti schiavizzati che muoiono per i colpi di calore. Già l’anno scorso abbiamo lanciato una campagna di autodifesa nei luoghi di lavoro e la rilanceremo con più forza quest’anno. Si incrociano le braccia; riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario se e dove l’ambiente supera i 26°C: il disastro climatico non deve abbattersi, spacciato per calamità naturale, sul diritto alla salute e alla vita dei lavoratori.

Circa le responsabilità dei disastri: la giunta regionale dell’E-R guidata dai massimi sostenitori del modello di sviluppo industriale/energivoro ha invitato a non ostinarci a cercare ed evidenziare le “colpe”. Nessuno vuole “maramaldeggiare” o ironizzare contro tanti imprenditori che, anche in Romagna, hanno subìto danni ingenti. Ma una domanda è necessaria: non dovevano gli imprenditori (magari non il singolo piccolo artigiano ma in consorzio tra loro) includere il rischio meteoclimatico nella VALUTAZIONE GENERALE DEL RISCHIO (DVR) piuttosto che piangere il “giorno dopo”? Emblematico quanto accaduto all’Inail di Vigorso (Bologna): sito esondato tre volte, con gravi danni, oggi in predicato per una possibile delocalizzazione. Con l’INAIL, spesso impegnato in una condotta negazionista nei confronti del riconoscimento della malattia professionali.

Nostre conclusioni:
• no al rigassificatore di Ravenna
• fermare il modello di sviluppo energivoro e devastante
• boicottare tutte le produzioni nocive e mortifere
• ricostruire la capacità di critica e di azione del movimento operaio e di tutti i lavoratori
• bonificare il territorio
• lottare per un vero ed equo (per quanto possibile) risarcimento del danno: togliere all’Inail le competenze sulla valutazione della eziologia delle malattie professionali.

RETE NAZIONALE LAVORO SICURO.
ASSOCIAZIONE ESPOSTI AMIANTO E RISCHI PER LA SALUTE

 

PER CONTATTI:

Vito Totire  • 333.4147329
Davide Fabbri  • 333.1296915

Daniele Barbieri - pkdick@fastmail.it




Luoghi bioregionali: Guastameroli...

 


...mi sono divertito a raccogliere quanto ho scritto in questi primi due anni nel paese di guastameroli di frisa in provincia di chieti regione abruzzo una sorta di reportage socio storico antropologico anche nella forma del dialogo con alcune riflessioni finali

storia di guastameroli 
 
siamo ripartiti da un racconto per giocare e trovare la parola chiave per sconfinare e come nella fiaba di aladino, alle parole sono affidati i prodigi: apriti sesamo!
 
ieri sera ho benedetto la luna che piena e luminosa, si stagliava in cielo come una regina. l’ho ringraziata e con i suoi influssi ancestrali ha sprigionato l’alta marea dell’estro artistico, le passioni, la poesia che cerchiamo in ogni dove, la sensibilità, la coscienza e l’amorevole slancio verso l’altro, la natura e la conoscenza. sarebbe bello pensare a questa nuova vita artistica e creativa, figlia di una madre propositiva e dell’insaziabile ulisse figlio del vento che indomabile spira sulle terre arse dal sole del meridione e della salsedine del mare d’oriente. anime lacerate nel profondo conflitto tra cuore e ragione luci e ombre. ho pensato fosse un sogno e così è stato. ho goduto della compagnia di una cara amica, personaggio straordinario di grande sensibilità cultura e profonda gratitudine per la vita. le ho cucinato le orecchiette con pomodorini e pecorino, poi la cicoria catalogna, saltata in padella con aglio olio e peperoncino e ci ho fatto fondere del provolone piccante. è stata una serata intensa dal punto di vista emotivo. mi ha consigliato di leggere la “pura gioia” di seneca per trovare in me stesso quello che ho sempre cercato al di fuori. sicuramente la cucina tradizionale popolare ha portato la pura gioia alle papille gustative. 
 
immagino osterie e taverne nel regno di napoli con trecce di agli cipolle e serti di peroni peperoncini e pomodorini che fanno bella vista appesi ai muri e ai soffitti assieme ai cacio cavalli, nei porti e nei borghi rurali dove una umanità umile povera trovava ristoro e cercava i piaceri della vita nel gioco nel vino e nel suono di antichi strumenti e attorno ai fuochi della transumanza nella pianura foggiana pecore mucche cavalli montoni capre asini muli, muggiti belati nitriti ragli, polvere odore di letame, meretrici saltimbanchi suonatori pastori truffatori cantastorie mercanti, una umanità sempre più in fuga da se stessa seguendo il percorso delle stelle delle greggi e delle civiltà. oggi sulle stesse vie si incontrano coloratissime prostitute africane e dei paesi dell’est tra la spazzatura i fuochi il traffico i gas di scarico di camion e automobili, sotto al sole cocente che sembra tutto voglia bruciare o al freddo e al vento di tramontana, attendono al loro destino inquieto e in perenne trasformazione. 
 
hai appena dipinto a parole un quadro che potrebbe essere stato realizzato dai vedutisti settecenteschi che trovavano nel calore del popolo italico meridionale grande ispirazione.
 
sole luminoso e splendente vento caldo tra le fronde giro per la campagna ho raccolto qualche fico tardivo e saccheggiato un albero di cachi, raccolgo verdure spontanee 17:43 mercoledì ventisette settembre. 
 
è l’ora in cui suonavano le campane (al vespero) che annunciavano la messa e tutte le donne vestite di nero uscivano simultaneamente coprendosi il capo durante il tragitto con velette di pizzo nero. 
 
qui fanno la vendemmia e passano solo i trattori che vanno a portare l’uva raccolta alla cantina sociale mentre un tempo era tutto il borgo che si animava al ribollire dei tini; balli canti gesti voci socialità condivisa corale e festosa. 
 
nella grande stanza a piano terra della casa dove vivo c’era la cantina osteria del paese poi purtroppo ci hanno costruito di fianco e ora non ha più finestre. 
 
scriveva rocco poeta della libertà: è una gabbia sospesa nel libero cielo la mia casa, i ferri dei muli sulle selci.
 
per te rinuncerei anche alla nutella
 
storia e archeologia. i caracini che vivevano nella zona facevamo parte del grande sannio assieme ai caudicini pentri e irpini che formavano la touto sannita che ha contrastato roma per cinquecento anni per il dominio sull’italia centrale. san leonardo sant’apolllinare san tommaso e altre contrade sparse erano luoghi di posta sulla via romana rappresentata sulla tavola peutigeriana, prima carta geografica della costa adriatica nell’antichità. la via procedeva, a causa delle paludi dei fiumi e i boschi, lungo i crinali delle colline e per andare da un paese all’altro bisognava fare un un lungo giro. la strada prendeva direzione san vito e dall’altra guastameroli, forse casale di campagna poi frisa e infine badia dove incontrava il tratturo che collegava l’Abruzzo con la puglia, l’aquila a foggia. la badia risulta costruita attorno all’anno mille all’interno c’è pure un affresco ed è dedicata alla madonna dell’assunta che esotericamente nell’antichità era rappresentata da iside e il bambino legata al sorgere di sirio e all’araba fenice la stella più luminosa del mattino molto importante per le civiltà antiche e sopratutto quella egizia. oltre ad essere luogo importante di culto sulla via tratturale particolare punto di osservazione in rapporto probabilmente a una particolare posizione del cielo notturno, con la levata eliaca di sirio in agosto e all’antico calendario sotiaco, conosciuto fino al mille ducento e poi perduto o dimenticato. 
 
a guastameroli mi trovo bene anche se non c’è elettricità in casa il focolare illumina e riscalda, vediamo questo inverno come sarà, nel frattempo tante interviste foto e ricerche con gli anziani e non solo, in generale storie anche di diverse generazioni da ricostruire pazientemente senza uno scopo ben preciso, importante parlare con la comunità locale. mi sto affezionando ai luoghi che frequento e allo stesso tempo i luoghi si affezionano a me! 
 
poi la mattinata guastamerolese con le campane che hanno suonato in continuazione e gli uomini al bar a bere birra nel chiacchiericcio affollato e frettoloso all’idea del pranzo domenicale poi all’una il silenzio assoluto nell'ora del desinar...  
 
Ci starebbe un bel viaggio insieme… so che per te non sarebbe una novità, sarei contenta che mi portassi in giro per l’Abruzzo, la tua terra natia, fra tratturi, trabocchi, la natura incontaminata del parco della Majella, i borghi dell’entroterra, i luoghi che frequenti per i laboratori, Guastameroli, la dimora a cui stai restituendo vita con passione e dedizione, osterie e paesi dove il tempo sembra essersi cristallizzato, incurante delle pressioni del progresso… a bere buon vino paesano, degustare il cibo della tradizione, conoscere genti e imbatterci in qualche situazione musicale spontanea, quei doni che giungono inaspettati e benedetti… 
 
e la trasmissione orale e diretta del sapere; auspico un ritorno alla pura oralita e tutti noi come alberi del canto e della parola che ci incontriamo per raccontarci conoscerci vivere assieme senza un motivo ben preciso senza intenzioni magari con la stessa visione estetica creativa e sociale.
 
dolce amaro salato amaro piccante. Un po' di Oriente nei mercati del sud: le grida de venditori, l'esposizione della merce, gli odori dei cibi, le lunghe contrattazioni, il chiacchiericcio, gli incontri, il frastuono sono coinvolgimento ipersensoriale di grande emozione. Sanno d'oriente, di mercanti e carovanieri, sanno di antico e di profondamente popolare. insomma stavo dicendo che guardare il sole abbaglia la vista, guardare la luna ispira i poeti, per comprendere il mondo la poesia è necessaria 
 
allora ho acceso un grande fuoco di purificazione con alcuni pezzi di mobili marci e altri pezzi di legno e tutti gli spiritelli si sono volatilizzati. nel frattempo è arrivata la fruttivendola preoccupata dal grande fumo che fuoriusciva dai tetti pensando a un incendio, cosi è iniziata la mia avventura il primo giorno nella mia nuova vecchia casa a guastameroli. la prima volta che sono entrato nella casa di guastameroli una spessa coltre di polvere e la patina del tempo e dell’abbandono che ho fatto molta fatica a rimuovere. il camino era tappato da una lastra di ferro e quando l’ho tolta tutta la cenere contenuta si è riversata nella stanza e dal camino tanti spiritelli che si sono dispersi in giro per la casa. infatti secondo me la casa non sa ancora che pensare, dopo essere stata chiusa e abbandonata per più di dieci anni all’improvviso tutta questa luce aria pulizia esseri umani che si muovono cantano parlano ascoltano musica e lavorano. 
 
terrazza senti senti senti sento senti senso
 
che bella luce penetra nella stanza che stai imbiancando.
 
si questa stanza è magica e ne stiamo cambiando il karma da venti giorni perchè anche le case hanno un anima e hanno bisogno di cura e manutenzione e anche le muffe e i batteri dei muri si stanno adattando alle nuove vibrazioni. 
 
mettiamo radici dove cè musica, nel silenzio di viaggiatori solitari inconsueti su rotte percorse e non percorse, anime a volte stanche spesso perplesse, vivide e creative. questo è il nostro silenzio, molti dubbi nessuna certezza se non la bellezza effimera e fugace.
 
ho inseguito il salento per venti anni e ho scoperto che ce l’avevo sotto casa. certo mancano il negro amaro e il primitivo, in compenso abbiamo il montepulciano il cerasuolo e il trebbiano. manca pure la pizzica anche se forse la saldarella è ancora più bella, non ci sono le carte salentine ben rimpiazzate dalle carte napoletane con il bel gatto mammone del tre di bastoni, il sette di bello, la matta e l’asso di coppe cornucopia e simbolo di tutti i piaceri, fino alla saggezza del re di coppe: liscio a denari carico a coppe. 
 
 
A fine luglio, dopo l'inutile assedio di Pescara, il comandante Pialì Pascià ordinò l'invasione del litorale più a sud: i turchi non riuscirono a espugnare il castello di Tollo e i cristiani respinsero l'assalto. Mamma li Turchi la "battaglia" al ritmo incalzante del rumore delle scimitarre, le grida dei turchi che attaccano il paese, il rullo dei tamburi, i cristiani che difendono la roccaforte con lanci di olio bollente e pietre incandescenti, l'angelo che appare dall'alto della torre. siamo nell'estate del 1566, quando la flotta ottomana colpiva la costa adriatica con continui saccheggi e assalti distruttivi. 
 
nù sem nù: nu sem quill chi la gend quand pass dice: ess quiss! sci, na frech…! auà a frà, mo ti li dice, si ci vù vinì ci vì, si nin ci vù vinì nin ci vì, nin ti vuje sta a prigà! tu cià ming! voccapè! freechete! mi vuless pijà nu cafè! vallàcchìlubar! calemm aecc! sci, mo ci li frich, ardetici li cannilicch...! (dialogo dialetale semiserio con inflessioni arabe)
 
oggi tortella il titolare del bar centrale di guastameroli mentre stavano sorseggiando il suo ottimo caffè ci ha detto che era estratto da una miscela di caffe macinato composta da circa ottanta parti di arabica e venti parti di robusta, 80 chicchi di caffè arabica e venti chicchi di caffè robusta, un blend profumato e armonico al palato.
 
mi piace questo approccio multisensoriale le descrizioni e le istantanee sulla realtà che ti circonda mi sembra di esserci! 
 
la piazza è molto sonora, una sonorità silenziosa, si sente il chiacchiericcio del bar dove la mattina mangiamo un dolce frentano che si chiama bocconotto. è come il pasticciotto salentino? si è fatto di pasta frolla anche se rotondo e coperto di zucchero a velo, con un ripieno di cacao mandorle e mostocotto. La leggenda popolare fa risalire la prima elaborazione di questo dolce alla fine del Settecento, nel territorio abruzzese. In quel periodo infatti iniziò l'importazione di cioccolato e caffè. Si narra che in un paese d'Abruzzo (Castel Frentano) una domestica, per omaggiare il marchese Crognale di Castelnuovo, inventò un dolce realizzando l'esterno con la pasta frolla e riempiendo l'interno con caffè e cioccolato mandorle e tuorli d'uova. Quando il marchese assaggiò il dolce ne rimase estasiato e chiese alla domestica come si chiamava; la donna, che non gli aveva dato nome, improvvisò chiamandolo "Bocconotto" visto che si mangia in un boccone. Le dimensioni del bocconotto sono rimaste piccole fino agli anni '50 del XX secolo, quando iniziarono a aumentare. Fino a quell'epoca si aggiungeva al ripieno anche un chicco di caffè, a ricordo del caffè messo inizialmente e per aromatizzare il ripieno. 
 
Il 26 maggio festa di san filippo neri, patrono di guastameroli, il santo della gioia:chi cerca altro non sa quel che cerca. chi vuole altro non sa quel che vuole. Nella frazione o località di Guastameroli risiedono 647 abitanti, dista 1,82 chilometri dal medesimo comune di Frisa di cui essa fa parte e sorge a 227 metri sul livello del mare. La più antica frazione di Frisa è Guastameroli di cui si hanno notizie sin dall’XI secolo in un atto di compravendita risalente all'anno 1087 tra l’abbazia di San Giovanni in Venere, che la riceve, e la diocesi di Chieti, che la cede, ove la frazione viene citata come  
Lo Vasto Meruli
 
nella casa ho trovato anche due grandi piatti di ceramica, una vecchia radio in legno e una bilancia con i piatti in rame. gli oggetti di artigianato artistico, lavorazione del ferro probabile scuola di guardiagrele, ragno, suonatori di zampogne e donne con le conche, anni 70.
 
oggi sono stato tutto il giorno sul grande terrazzo che si affaccia sulla piazza a sentire suoni voci e rumori provenienti dalla via qualche macchina la banda il chiacchiericcio gli uccelli le rondini gli insetti il vento l’aria il sole le campane il cielo azzurro e qualche nuvola striata pensavo a te e a queste feste che ti piacciono tanto i suoni della banda che si intrecciano con le preghiere del rosario amplificati dalle vie strette del borgo i lupini erano molto salati e le noccioline non buonissime comunque una bella giornata. cè la festa patronale con banda processione fuochi d’artificio e concerto di liscio. ora sono sul terrazzo a prendere il sole cielo rondini venticello e qualche macchina che passa stamane i suoni sfrenati e composti della banda. al giardino voglio fare un orto a forma di fiore, il fiore della permacultura, coltiviamo acqua biodiversità relazioni sociali: terra pia officina colturale
 
Agroecologia, unica via! “Dopo tanti anni di diritti violati la sana indign"azione", con la riconversione bioregionale e restauro del paesaggio sulla base della memoria dei nostri padri...”
 
per ora sono abbastanza solo anche se non mi crea disagi sto bene con me stesso nel senso che mi piacerebbe fare tante cose solo che poi mi sento abbastanza pigro a coinvolgere persone e situazioni e la cosa che mi sta veramente a cuore e coltivare l’orto giardino spero di muovermi anche se mi sono innamorato di questa casa e fino a quando non è finito il lavoro non sono tranquillo, poi ci sarebbe il giardino da coltivare anche se poi se ne parla in autunno. a proposito pensavo a un nome, locanda dei saperi oppure locanda dei semi officina culturale o colturale oppure come suggerito da un amico la casa di ferdinando, in verità non so se ce bisogno di un nome. mi piace officina colturale. fra un po sarà pronta la casa a frisa che vorrei farti vedere se va bene per farci qualche laboratorio, a me piacerebbe impegnarmi nel sociale e coinvolgere la comunità locale anche se so che non è per niente facile. 
 
Che bellissima idea. Che intendi per nuova casa? 
 
è un luogo che voglio aprire ad amici artisti viaggiattori raccontadini, adatto anche per eventi mostre, seminari vicino c’è un piccolo terreno per un giardino officinale. 
 
Ferdinando conosco bene la casa la amo da sempre x i suoi spazi di forme diverse x la sua magica terrazza, in quella casa ho recepita tanta energia positiva... e la sua magica terrazza dove ci si può lasciarsi andare contando le stelle, magica scelta bravo... ti aspetto nel mio amato paesello Guastameroli... vicinissimo anche ad Ortona! 
 
Chi sta fermo pianta radici, anche se le radici vanno piantate in più posti possibili, come appartenenza alla cultura, alle persone e al territorio. allora conosciamo gente luoghi idee girando per il nostro paese e incontriamo i volti di chi fa parte della nostra quotidianità. 
 
i miei nonni materni vivevano negli anni 60 nell’area vestina tra penne montebello farindola e in ultimo loreto aprutino e ricordo nella mia infanzia che non c’era acqua corrente nelle case e le donne andavano a prendere l’acqua alla fonte poi tornavano e poggiavano la conca sul lavandino che si chiamava concaro e l’acqua stava a disposizione di quanti avevano sete col mestolo lu manire, la conca era di forma diversa da quella dell’area frentana. La conca faceva parte del corredo della sposa, da bambina si imparava a portarla in testa, la schiena sempre dritta, non sempre le bambine riuscivano a portarla piena a casa... ho anche un bel ricordo del sapore dell'acqua bevuta dal mestolo che rimaneva dentro la conca... ricordo la bella foto con le donne che ballano con le conche sulla testa. ho trovato nella casa di guastameroli due conche di rame, mi piacerebbe sapere a che periodo storico risalgono, cioè quando le donne hanno iniziato ad usarle e poi queste frentane sono diverse da quelle aquilane tipo scanno. comunque sono opera di pregevole artigianato con alcuni fregi decorativi e una spiga di grano e a livello orale non sono riuscito ad apprendere nessuna notizia a proposito del laboratorio di provenienza e stile artigianale continuità storica. 
 
in questo piccolo mondo l’unica rivolta veste i panni di una gentrificazione che sogna un orizzonte coerente ed omogeneo, dove povertà è sinonimo di devianza e diversità di pericolo e a volte è allora e solo allora che questo pezzo di campagna stretto tra baracche strade e fiumi inquinati assume un aspetto minaccioso con i trattori che percorrono i filari tra il verde disperdendo componenti tossici nell’aria sulle piante e nel terreno con i conducenti che consapevoli di questa follia indossano improbabili maschere antigas di protezione e tute bianche usa e getta. 
 
spesso non esiste un modo per distinguere la sottrazione dall’incompiutezza. ne facciamo esperienza lungo le traiettorie della nostra esplorazione rurale immaginaria (rurex) che ci porta ad attraversare i terreni vaghi delle periferie urbane e delle campagne alla ricerca di edifici dismessi, vecchie case in rovina o abbandonati da tempo a se stessi. è qui in questi angoli lasciati in sospeso che la campagna sembra rivelare qualcosa di intimo e selvaggio, considerando che non si puo fare a meno della biodiversità, ovvero i sistemi naturali che sostengono la sopravvivenza di noi tutti. osserviamo che anche in abruzzo avanza la desertificazione (siccità e perdita dell’humus in seguito al dilavamento dei terreni di superficie), la deforestazione, l’utilizzo improprio dei terreni per produzione elettrica, l’impoverimento dei suoli dovuto a monocolture, la modifica dell’ambiente e in generale la dispersione del patrimonio biologico delle specie animali e vegetali, tutti aspetti che determinano una perdita considerevole della qualità ambientale… 
 
Cos’è la libertà? Preservazione dell’ambiente? Preservazione del più profondo significato dell’arte ? Turismo per tutti? O forse perdita d’identità, anonimato, perdita del gusto, sfruttamento, consumismo feroce e di basso livello, livellamento dei valori? La gente non da fastidio di per se, da fastidio il nulla della moltitudine Solitudine. Questi cambiamenti non si verificano tanto nelle periferie urbane, quanto e soprattutto nei centri storici e nei quartieri centrali, nelle zone con un certo degrado da un punto di vista edilizio e con costi abitativi bassi. Nel momento in cui queste zone vengono sottoposte a restauro e miglioramento urbano, tendono a far affluire nuovi abitanti ad alto reddito e ad espellere i vecchi abitanti a basso reddito, i quali non possono più permettersi di risiedervi.
 
 Ferdinando Renzetti