Anche la mia esperienza di lavoro come ricercatore suggerisce una diversa interpretazione del mito idealistico della caverna. Platone racconta che degli schiavi sono incatenati nel fondo di una caverna. Possono vedere solo delle vaghe ombre prodotte da alcune persone che passano all’esterno, reggendo degli oggetti, proiettate su una parete da una fonte luminosa esterna. Solo quando si libereranno e usciranno fuori potranno vedere cosa sono esattamente gli oggetti corrispondenti alle ombre; cioè, secondo Platone, potranno contemplare le Idee, l’unica vera realtà.
In realtà noi umani non riusciremo ad uscire dalla caverna per godere di fantastiche ed improbabili illuminazioni. Al contrario, il nostro compito è quello di sfruttare quella meravigliosa macchina, capace di logica ed immaginazione, fornitaci dall’evoluzione, il nostro cervello, per sforzarci di interpretare le ombre che passano. Studiare la Natura è difficile, ma servendoci di indagini e strumenti sempre più perfezionati (microscopi e telescopi sempre più potenti, analisi chimiche sempre più sofisticate, nuovi mezzi di indagine come la diffrazione a raggi X che è riuscita ad individuare anche il DNA, la risonanza magnetica che riesce a mappare tutti gli organi interni del corpo, ecc.), possiamo avvicinarci progressivamente alla realtà più profonda, adottando teorie sempre più precise.
Bisogna quindi rifiutare le filosofie idealiste, come quella di Platone, che ci dicono che le idee sono indipendenti e precedono l’esperienza. Ma c’è un’altra categoria di filosofi – molto vicini all’Idealismo - che si oppone alla ricerca e ai metodi sperimentali e all’evidenza empirica. Sono quelle scuole di pensiero che considerano fondamentale la logica pura avulsa dall’esperienza e ritengono che basti applicare criteri logico-deduttivi per giungere alla verità.
Secondo la definizione di Einstein lo scienziato realista è quello che ritiene che esista una realtà esterna indipendente da noi; il positivista giustifica le teorie basandosi sui dati empirici; l’idealista ed il “platonico” inventano teorie indipendenti dall’esperienza e si servono della logica pura.
L’esempio più antico di filosofi che si affidano alla pura logica deduttiva, quella che procede da postulati e regole di carattere generale (spesso indipendenti dall’esperienza e solo di origine metafisica) per dedurre man mano conseguenze particolari, sono i filosofi della scuola di Elea. Già abbiamo ricordato (in capitoli precedenti) che Parmenide (filosofo - non a caso – molto amato dall’idealista Hegel) negava l’evidenza del mondo esterno, che è vario, complesso, in continuo movimento e trasformazione. Egli diceva che la realtà sarebbe ferma, unica, immutabile, come una sfera perfetta fatta di materiale incorruttibile, e che i sensi ci ingannano.
Il materialista Democrito rispondeva facendo notare che la realtà fisica non si può dividere all’infinito (alla base ci sono particelle indivisibili, gli “atomi”). La divisione all’infinito è solo un’astrazione matematica. Anche Archimede, Newton e Leibniz, e altri matematici moderni hanno inventato nuove logiche matematiche infinitesimali ed il concetto di “limite” con cui si può affrontare razionalmente il problema di grandezze che si dividono all’infinito. Ma non dobbiamo sottovalutare quella che forse è la risposta più efficace: quella che può dare la mitica “massaia di Voghera” che non ha studiato filosofia. Se esco per la strada e vedo passare macchine e pedoni, ed io stesso mi muovo sollevando la borsa della spesa, vedo subito che il mondo è vario, complesso e tutto in movimento. Torneremo sull’argomento...
Vincenzo Brandi - (Stralcio dal libro: “Conoscenza, Scienza e filosofia”)
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