La presunta indipendenza dell’uomo sul resto del mondo,
l’impedimento culturale che ci impedisce di riconoscere la Terra
come un organismo di cui siamo espressione, l’ideologia del
progresso che ci induce a rimanere concentrati sul nostro interesse
misurabile, ci hanno portati alla decadenza generalizzata, alla lotta
tra poveri, alla separazione da chi ci rappresenta, allo svuotamento
spirituale della democrazia e anche a credere che il cambiamento
climatico sia nostra responsabilità.
Ciò che c’è
La cultura che ci avviluppa, nei suoi popolari svolazzi, si mostra
nelle battute da bar, nei titoli dei giornali, nei testi delle
pubblicità. Sotto la superficie che tutto ricopre, in profondità se
ne trova il cuore nei vanti della scienza, nella concezione del
prossimo, della vita e di se stessi, nell’ideologia del progresso,
nella medicina, nell’educazione, nella formazione (un’eccellenza),
nella comunicazione o presunta tale.
Tale brodo di coltura in cui, più o meno tristi, tutti sguazziamo,
nuotiamo, navighiamo o naufraghiamo è convenzionalmente detto
materialista. Vale a dire, concentrato sulla dimensione cosiddetta
materiale della realtà e di tutto. Ne deriva che intelligenza e
creatività, scorrazzano nel limitato campetto di gioco governato da
regole, linguaggio e significati definitivi, ai quali tutti possono e
devono attenersi al fine della propria integrazione sociale o, al
contrario, per non venire emarginati.
È il campetto del meccanicismo, cioè quello dove tutte le relazioni
con qualsivoglia elemento della realtà, umano e non, emergono da uno
sfondo di calcolo al fine della prevedibilità e modifica. In cui, il
potere assoluto attribuito alla logica non lascia scampo al pensiero
degli uomini che ne sono schiavi, propagandisti, giudici. Come i
crociati avanzano a spada sguainata in mano e diritto di morte nel
cuore. La loro presunzione è apicale, niente e nessuno può far
cambiare loro idea. Neppure i culmini del loro discorso da paladini
della cultura: la mortificazione generale delle persone, la guerra
come pratica ordinaria, i soprusi e la violenza che, incuranti, si
lasciano alle spalle del loro passaggio.
Alla natura materialista e meccanicista della cultura in corso, fanno
seguito e corpo quella positivista, progressista, capitalista,
razionalista. E anche la conoscenza come accumulo di dati, ovvero
tutto ciò che l’unità di misura logico-razionale può
quantificare, e oggi – non plus ultra – mercificare: se non hai
un qualche valore misurabile, non sei.
Null’altro che, nel rispetto delle regolette del campetto di gioco
prima citato, non possa venire dimostrato, e quindi riprodotto a
volontà tutte le volte che lo si desidera, ha la dignità del reale.
L’esaltazione plebiscitaria della meritocrazia, ne è una
sconsolante conseguenza, così come lo è stata la democrazia.
Entrambe, piccole verità secolari, pronunciate come universali, ma
semplicemente campionesse incontrastate di materialismo applicato
agli uomini o di intelligenza ergastolana nei loculi delle ideologie
e obesa di intellettualismo.
Con tale terreno sotto i piedi diviene normale concepire e quindi
pensare e fare come se il mondo, esseri senzienti inclusi, fossero
oggetti, cioè elementi inerti, nei confronti dei quali ci poniamo
come al cospetto di una sedia: la utilizziamo alla bisogna, la
sfruttiamo per sostituire la lampadina bruciata, la modifichiamo se
non ci piace il colore, ce ne sbarazziamo anche se funziona ancora,
la colpevolizziamo se cede sotto il nostro peso.
L’altro, l’altra parte non solo è suggestione non misurabile ma
proprio non esiste, la cultura lo impone, il sistema funziona così,
come una macchina di cui siamo pezzi e accessori quando non cagnolini
con la testa dondolante.
Come altrimenti dare ragione alla politica che tutto fa meno che
lavorare per concorrere a creare individui consapevoli di sé e della
comunità a cui appartengono. Un lavoro permanente e lungimirante al
quale ha preferito quello a breve termine offertole dalle leggi,
ancora una volta, espressione materialista. In quale altro modo
concepire la questione del genere, la maternità surrogata, la
cancellazione delle culture, la prostrazione della tecnologia, il
politicamente corretto, le quote rosa, la deliberata censura, il
viatico del controllo e della sorveglianza, per tenere a bada
miliardi di persone, per farne pupazzi.
Ciò che non c’è
Nulla è esente dal maglio materialista. La terra, l’intero
pianeta, risulta così essere un oggetto, ovvero qualcosa di cui
poter disporre senza neppure porsi il problema se esso ci può
davvero appartenere, tanto da farne deliberatamene ciò che più ci
aggrada. Per le medesime circostanze è esistita ed esiste la
schiavitù, gli allevamenti che, più che chiamarli intensivi, è
opportuno chiamarli della vergogna, o dell’abiura dell’uomo, la
comunicazione creduta insita nel linguaggio logico e tanto altro.
Una differente cultura e quindi realtà e pensieri scaturirebbe da
una concezione del mondo che non ci veda osservatori ma autori di
quanto osserviamo. Realtà e conoscenza da oggettiva diverrebbero
relazionale, ovvero terza cosa rispetto alle parti della relazione
stessa. La consapevolezza dell’autonomia della relazione, comporta
la presa di coscienza del modo condizionato, autoreferenziale,
arrogante, nel quale si era prigionieri. Una premessa per avviare il
modo dell’ascolto di quanto accade, una modalità di porsi che
implica la piena dignità dell’interlocutore, alla pari con quella
che vorremmo ci fosse accreditata.
La realtà nella relazione è quella in cui si muove l’esploratore.
Questo, valuta e considera tutto e, se commette una sconvenienza, ha
piena consapevolezza di esserne il solo responsabile.
Se nel modo della relazione, al pari della mente di Gregory
Bateson, che ha vita propria, cioè comportamenti che non possiamo
prevedere, dominare e determinare, significa che non siamo al
cospetto di un oggetto ma di un organismo. Significa che applicare il
meccanicismo ad oltranza, senza la consapevolezza del suo essere
elefante in cristalleria quando la relazione va oltre i campetti
normati, è l’espressione di una patologia culturale terminale.
Campioni di consapevolezza che la realtà è nella relazione sono la
madre e il maestro. Il figlio e l’adepto non subiranno pressioni né
forzature, ma godranno di pazienza e rispetto. I loro cosiddetti
fallimenti, lo saranno anche di chi se ha cura e i loro successi, li
vedranno gioire insieme.
Il contrario della madre e del maestro sono la pretesa,
l’indifferenza, il sopruso come prassi inconsapevole, autorizzata
dal titolo o dal potere che l’ambito ci conferisce e autorizza ad
esercitare. In questi casi, le conseguenze sono tendenzialmente di
tipo spiacevole. Il meglio che da questa sterile modalità può
nascere sono il kapò, il delatore e il sottomesso, il delfino,
l’uomo stampino.
Matricidio
Ma se il modo della relazione, che comporta ascolto e tiene a bada
l’autoaffermazione, induce a riconoscere l’organismo di cui
facciamo parte, una natura dalla quale non possiamo mai essere altra
cosa, significa che anche gli eventi meteorologici non ordinari che
da qualche anno si stanno realizzando hanno a che vedere con la
pratica dell’umiliazione, malefica deriva implicita nella
concezione materialista del mondo. Null’altro che un’alterazione
della stabilità che comporta sofferenza, che può divenire
incontenibile. È un male di tipo sistemico: ogni intervento
correttivo è parziale per definizione, quindi sostanzialmente
inadatto e perciò peggiorativo in quanto più che correggere,
alimenta la vita del paziente terminale.
Il controllo della meteorologia, l’ingegneria climatica, per
ragioni economiche – come in Marocco e in altri paesi – o
belliche – da chi ritiene di avere in sé il mandato di esportare
il proprio modello e il diritto all’egemonia mondiale – non è
ancora considerato la causa dei violenti, o fuori statistica, episodi
di alluvioni. Si preferisce colpevolizzare tutti noi sudditi del loro
capitalismo.
Come non lo è l’incremento di campi elettromagnetici per la guerra
dello spionaggio e della guida di armi a controllo remoto nei
confronti del comportamento anomalo di tanti animali e insetti.
Tartarughe marine e delfini che deragliano incaponiti a puntare a
terra anche se invitati a prendere il largo, api che spariscono dai
territori di residenza, così come avevano già fatto cervi volanti e
lucciole ai tempi del primo inquinamento socio-industriale del secolo
scorso, la popolazione più che dimezzata delle farfalle monarca,
causata dalle connaturate violenze chimiche e ambientali in seno al
cosiddetto progresso.
Il mantenimento dell'equilibrio, istinto inestinguibile di ogni
organismo senziente, non ha potuto assorbire la pesante invasività
di certe azioni compiute sotto l’egida dell’egocentrico delirio
di onnipotenza di certa umanità e, ancor più, sotto il patrocinio
della narcisistica presunzione di essere altro dalla natura, di non
avere con essa alcun legame e quindi, di non elaborare più un
pensiero di rispetto e pari dignità, con le relative conseguenze di
soddisfazione e bellezza. Urbanizzare i conoidi dei valloni, i bordi
degli alvei dei corsi d’acqua, fare politica secondo la priorità
assoluta dell’interesse economico, replicata indipendentemente
dalle caratteristiche locali e ancor più da quelle bio-regionali, ne
rappresenta il contrario.
Non significa che divenire immobili, non è in questi termini che si
incarna il rispetto. Significa invece ringraziare, come facciamo con
chiunque, per quanto essa ci offre. Come nei confronti di ogni essere
senziente, l’organismo natura non può essere bistrattato. L’Emilia
e la Valencia sono solo gli ultimi episodi di una collana di
reazioni, indicatori di una tendenza, che forse mai la terra avrebbe
mostrato se la relazione con essa non fosse stata tanto miserabile
dal crederla conquistabile, se fosse stata vissuta come un organismo,
di cui siamo peluria. Se gli uomini non si credessero altro da lei,
se non avessero creduto di poter reciderne il legame, pensando perciò
di poter vivere facendo a meno del sentimento per rispettarla quanto
una madre. Quanto sacra origine.
Lorenzo Merlo