Con la mano giusta si può vincere la partita ovvero, le quattro
consapevolezze per far saltare il banco.
Picche o realtà data
Partiamo tutti alla pari. Nel senso che impariamo e ubbidiamo
all’idea che la realtà è una soltanto, che è oggettiva e certa,
sulla quale si può arrivare a dire there is no alternative,
senza sentirsi beoti. Con questo principio di tutto, ci scivolano giù
come uno sciroppo, tutte le idee ad esso connesse. Lottare per un
posto al sole o anche al cesso, se necessario fino alla sopraffazione
altrui, sempre senza sentirsi beoti, fa semplicemente parte della
realtà. Che altro vuoi aggiungere? Chiede, libero da
incertezze, sempre il beota. Un tipo, al quale, fa meraviglia, anzi,
assurdità, quando gli dici che la responsabilità di tutto è sua.
Nella realtà data, mentire diventa perfino una dote, stavolta, senza
scomodare Orwell e il suo ribaltamento di significati. Darsi da fare
per apparire come non si è, ma si vorrebbe, è una specialità con
la quale mendicare autostima altrimenti labile e latente e, per i
talenti puri, anche a gonfiare il conto in banca.
Ci si può dedicare ad allungare questo elenco proprietà picche,
fino allo sfinimento, stando semplicemente al davanzale ad osservare
chi viene e chi va. Un’azione semplice, ma impedita a quelli del
divano, i protagonisti della realtà data. Attori ligi al copione,
disinteressati alla regia e, per questa, proni a tutto. Il tipo tengo
famiglia ha sempre una Oscar in mano ed è sempre da loro
giubilato.
Nella realtà di tipo picche è ordinario prendere posto in
treno e sorbirsi le telefonate altrui, nelle quali sentire per un’ora
il giro tondo di parole, intorno a una questione già chiara fin
dalla prima tornata. Lo sperpero di dedizione a futilità non è
contenibile e non è scomponibile in categorie sociali, culturali,
politiche, professionali, di censo, di classe, di erudizione. Ad
ascoltarli così concentrati e seri, sembra davvero abbiano a che
fare con il tutto.
La realtà picche ha una moltitudine di sostenitori, tra cui
la scienza per la quale, solo la misurazione, la scomposizione,
l’analisi, la dimostrazione, la ripetibilità sono i requisiti
della conoscenza e quindi della verità. Il peso, o l’incanto,
della realtà data, è tale che quando il detentore del sapere ti
dice che sei depresso, vai di buon grado a farti curare. L’accesso
al sospetto che chiunque ha in sé il potere di modificare la propria
vita, cioè la piena responsabilità, non è nel seme picche.
Fiori o realtà molteplice
Prendere coscienza della realtà picche, della trama di narrazioni
che ce la fanno sembrare autentica, inequivocabile e certa, è il
percorso lungo e irto per qualcuno o, immediato, per altri,
necessario per riconoscere in che termini è vero che la realtà non
è lì, di fronte a noi, come lo è un posacenere. Essa, che è
piuttosto come attraversare un sūq affollato, dove scegliere quale
carugio imboccare o bottega per comprare. Avere fretta
o tempo da perdere sono condizioni che parlano del bazaar in modo
differente. Sarà quindi solo la nostra descrizione, indotta da modi
e ragioni molteplici, a reificare la realtà del mercato.
Prendiamo le reazioni, i pensieri, i sentimenti e le emozioni che
tutti muovono e chiunque può vivere ed esprimere davanti al medesimo
fenomeno. Si tratta di matrici con le quali, inconsapevolmente, a
piacere, stampiamo la realtà. Un’inconsapevolezza duplice, visto
che poi il mondo ci appare effettivamente mostrare le proprietà che
gli abbiamo attribuito. E anche triplice quando pretendiamo che il
prossimo la condivida con noi.
Il bello della realtà fiori, è osservare che non disponiamo
di una cultura che ci educhi a vedere il fenomeno prima e
l’investitura di realtà con cui lo strapazziamo a nostro gusto. È
come non ci fosse alcun fenomeno, ma solo le proprietà che questo
riteniamo presenti e il significato che riteniamo esprima. Da qui,
deriva tutto il gorgogliare della psicoanalisi, a mio parere
fuorviante linea di ricerca per l’autonomia e l’evoluzione
personale. Perciò se dici checca qualcuno ritiene di avere il
diritto di offendersi, perché a suo giudizio, quel termine è
offensivo di per sé, anche senza chi lo dice e chi lo sente.
Dell’attribuzione di qualità neppure se ne accorge, ora più che
mai. Un po’ come dire che la Gioconda di Leonardo è bella per
tutti e adesso, coi tempi che corrono, anche per legge.
Che la realtà non sia un oggetto e non sia di fronte a noi uguale
per tutti, lo si può osservare in altre innumerevoli occasioni. È
esperienza comune aver preso posizioni secondo circostanza, come se
cogliessimo l’occasione per riempire un vuoto ed esprimere da
quella prospettiva la nostra opinione, anche contraria con quanto
affermato in altra situazione. Basta andare a scavare nel proprio
passato per scovare quando abbiamo detto sì a ciò che in
altri momenti abbiamo detto no; quanto abbiamo affermato e
quanto ora prendiamo le distanze da quelle nostre considerazioni.
Dunque, in funzione di una posizione se ne prende l’altra, senza
vedere ciò che abbiamo sostenuto in altro momento. Il punto non è
moralistico – la pretesa di coerenza è disumana – non è cioè
il cambio di posizione, né rinnegare se stessi, ma è farlo senza
avvedersene. La cui ragione non è che un ottimo e occulto espediente
affinché la nostra morale possa essere sempre forte del suo
giudizio, proprio come non avessimo mai sostenuto o fatto ciò che,
in altro tempo e modo, stiamo colpevolizzando. Ovvero rimanere preda
inerme della realtà picche.
Quadri o realtà illuminata
Perché per noi la realtà si reifica in un certo modo e non in
altro? Una risposta disponibile fa riferimento ad un minimo comun
denominatore culturale che domina il nostro immaginario. Si tratta
dell’egoismo e dell’importanza personale che ne segue e che, ora
con l’individualismo, troviamo alla sua massima potenza. Se
l’egoismo saggiamente sfruttato non ci nuoce, quello inconsapevole,
ovvero quello eletto a diritto inalienabile, non è che un
impedimento a comprendere il mondo. Non quello deliberato dalla
scienza ma quello relazionale.
Se un deliberato egoismo, costantemente al lavoro ci agisce secondo
le sue necessità e bisogni, nel dualismo – regno degli opposti e
delle parti – in cui ci troviamo, possiamo riconoscere che la sua
antitesi è detta amore. L’azione egoica è destinata al bene
individuale, quella d’amore, a quello collettivo. L’egoismo,
indipendentemente dal bisogno concreto, comporta l’accumulo o lo
sperpero, il necessario per difenderlo o dilapidarlo, diffidenza e
avarizia generalizzata. Al contrario l’amore implica riconoscenza
per quanto sì ha, dono e condivisione.
Ciò che ci interessa qui al simbolico tavolo del poker, è che, se
riconosciamo nell’egoismo e nel suo implicato egocentrismo la
matrice della storia grondante di sofferenza, saremo disponibili a
riconoscere che emancipandoci dalla gogna egoistica-egocentrica,
possiamo lasciare spazio all’amore di permeare le relazioni, le
comunità, la cultura.
La lotta egoistica, di gran lunga più subdola di quella animale, può
essere mitigata dalla morale solo parzialmente e temporaneamente, ma
non permanentemente. Tantomeno da quella legislativa.
È necessaria quindi un’emancipazione strutturale, carnale,
cristica, non intellettual-ideologico-moralistica. Non impegnarsi in
questo processo ricreativo comporta mantenere il male dal quale siamo
circondati. E nel quale saremo coinvolti ancor più alla prima buona
occasione, così come ora vediamo essere coinvolti altri.
La realtà quadri o illuminata è quindi riconoscere che, se
la responsabilità del cambio di paradigma da egoico/antropocentrico
a quella olistico-organica è nostra, così come lo era per il male,
ora lo diviene per il bene. Se ci lasciavamo guidare dal male, ora
lasciandoci condurre dall’amore realizzeremmo un’altra realtà.
Cuori o realtà quantica
Le tre precedenti consapevolezze di realtà non sono sufficienti per
vincere la partita della conoscenza, cioè per riconoscerne la
natura. Ne è richiesta un’ulteriore, che riguarda la verità delle
infinite realtà emergenti dalle descrizioni che ne fanno gli uomini.
Per farlo è necessario tornare alle cosiddette emozioni. Non
limitando il discorso a quelle eclatanti, ma estendendolo a quelle
ben più segrete che tengono sempre le redini del nostro morso. Per
esempio, condividere un’ideologia è condividere un’emozione.
Diversamente dal creduto, vederle come qualcosa che insorge e si
esaurisce in noi, pare non basti. Sembra più opportuno vederle e
concepirle come una forza dominante, ci pilota, ci sfrutta secondo la
sua stessa esigenza. Esse latitano nello spazio in attesa del nostro
impatto con un evento, pensiero e fatto. In quell’istante decantano
in noi, conformando una realtà che viviamo come certa, in quanto
corrisponde alla nostra descrizione. Rapiti da un’emozione,
obbediamo al suo volere. Il resto diviene inutile e sparisce. Nessun
argomento razionale è in grado di sottrarci al giogo di un’emozione,
come invece è nel potere magico dell’ascolto e dell’empatia.
Modalità idonee al cambio di emozione.
Accade anche con la memoria di un evento, che due persone hanno
vissuto insieme e descrivono in modo differente. Non significa
soltanto che la realtà non ha a che vedere con leggi
razional-meccaniche che la vorrebbero oggettiva e una, ma con quelle
magico-quantiche, che invece, permettono di osservarne la dipendenza
da noi, da che la osserva-concepisce. Magico-quantiche significa che
la realtà, con i suoi infiniti aspetti è latentemente pronta a
divenire una soltanto con una sola e precisa forma, nonché qualunque
altra purché al cospetto di qualcuno, delle sue esigenze, sentimenti
ed emozioni.
Così diventa comprensibile come coloro che detengono la
comunicazione vogliano farci credere che il sistema è buono, che
dobbiamo seguitare ad obbedire, che stanno lavorando per il nostro
bene. Ovvero, che lo strapotere di ricchezza di un’esigua minoranza
non solo non è realmente combattuto ma è considerato più che
legittimo, come non ci fosse alternativa.
Poker d’assi
I quattro assi contemporaneamente in mano, rappresentano l’arco di
consapevolezze utile per una deriva verso una vita personale e
sociale profondamente differente da quella che abbiamo ereditato e
che, diversamente, perpetueremmo.
Scala reale o realtà socratica
Il poker, quantomeno quello che conosco, mi è sempre sembrato
interessante per la sua efficacia nel rappresentare la vita. Ha poche
regole, ma la dote di contenere simbolicamente molto di quanto accade
agli uomini anche lontano dal tavolo di gioco. Il bluff e
l’inesistenza di una giocata definitivamente superiore a tutte le
altre, ne sono una sintesi potente. Sorprese, aspettative, speranze,
tradimenti, inganni, raggiri, intuizione, ascolto, strategia, vanità,
voluttà, sono alcune dimensioni umane che stocasticamente, ruotano
tra le carte del mazzo.
Nel nostro caso, significa che anche con i quattro
assi/consapevolezze in mano, sempre di faccenda umana si tratta,
quindi ontologicamente parziale, mai assoluta. Attribuire loro
qualche potere definitivo e qualche certezza garantita è
inopportuno. Distrarsi, e concedere ad esso pieno potere è il solo
punto di vulnerabilità di tutti noi, in tutti i giochi, in tutti i
mazzi. Dunque, per esempio, la realtà picche o oggettiva c’è
eccome in un campo chiuso, dove l’equivoco è soffocato dalla
condivisione di regole, linguaggio e significati. È il mutuarla ai
campi aperti delle relazioni che genera soprusi e scompigli. È non
avvedersene che mantiene alto il vessillo del male. Così è vera la
realtà quantica o magica, disponibile e/o obbligata a decantare in
quel, e solo in quel, modo nel rispetto delle esigenze di chi la
descrive.
Non tenere conto che la sola permanenza dell’esistenza è
l’oscillazione, significa sempre credere che un poker d’assi ci
permetta di vincere la partita della conoscenza o, più ancora, con
la scala reale, ma anch’essa oscilla in una trinità: la massima
batte la media, la media batte la minima, la
minima batte la massima.
Credere nella conoscenza è una suggestione da divanista, è
allontanarsi dal centro e dall’origine di tutto, è aver gettato ai
porci la perla di Socrate.
Lorenzo Merlo