lunedì 20 giugno 2011

Philippe Lemoussu.. ed il messaggio di un albero



Questa primavera mentre arrancavo ancora nella morsa dell’inverno un albero mi disse: guardami meglio e capirai !

Ecco ciò che ho visto e quanto ho capito.

Quando guardiamo un albero viene spontaneo percepire il suo slancio verso l’alto. Questo movimento che avviene molto lentamente, anno dopo anno, i nostri occhi lo leggono nelle tante ramificazioni che si allargano progressivamente nell’aria. 

Questa lettura tuttavia ci porta ad un inganno perché a questo slancio associamo anche un flusso di materia (acqua, minerali,…) che l’albero porta su dalle radici sino alle foglie tramite la linfa. In un certo modo il nostro occhio ci porta a pensare che tutta la sua costruzione legnosa sia il frutto di un attività estrattiva che trasferisce lentamente materiali piccolissimi provenienti dalla terra per trasformarli tramite la famigerata fotosintesi clorofilliana in mattoncini di legno. L’albero quindi viene visto come un “frutto” della terra.

In effetti le cose non sono cosi perché oltre il 95% della massa dell’albero proviene dall’atmosfera e meno del 5 % proviene dalla terra.

Se aggiungiamo che tutta l’energia usata per assicurare la crescita di questa massa vegetale proviene soltanto dal nostro caro sole allora possiamo tranquillamente affermare che quando guardiamo un albero stiamo vedendo il frutto del cielo e del sole. Possiamo cosi riprendere l’espressione biblica dicendo che contrariamente alle apparenze l’albero nasce dall’alto.  Se prolunghiamo questo rovesciamento dello sguardo con le conoscenze relative al BRF, allora scopriamo che, a dirittura, è la terra fertile stessa ad essere il frutto dell’albero.

Il processo naturale di produzione di humus nasce proprio dalla grande disponibilità di rametti e di foglie sul suolo. Senza il loro rilascio da parte dell’albero, non potrebbero innescarsi nel suolo quelle bombe vitali che riescono ad aggradare un mondo minerale morto in un ambiente in grado di generare infinite forme di vita. Quindi a questo punto, non solo l’albero ma anche la terra fertile nasce dall’alto.

Se avete voglia di seguirmi ancora, ecco altre cose che ho visto e spero capito. I lettori esperti di botanica mi scuseranno per l’uso di termini forse troppo generici per il loro gusto.

Abbiamo tutti notato la grande differenza di comportamento tra 2 grandi gruppi di alberi, le conifere e le latifoglie. Nella storia del nostro pianeta i primi sono i più antichi ed erano i padroni della terra ora sono stati ampiamente superati dai secondi.

Con poche eccezioni i primi tengono le loro foglie (gli aghi) tutto l’anno. Ciò li rende sempre uguali a loro stessi con poche variazioni nell’arco dell’anno. Quasi tutti i secondi invece (almeno alle nostre latitudini) si spogliano al punto di sembrare morti nel periodo invernale. Tra i primi troveremo gli alberi più alti, più grossi e più vecchi del pianeta potremo quasi dire i più forti.

Eppure è tra i secondi che la vita si diverte di più in una gamma infinita di variazioni. Questo loro ciclo vitale cosi sensibile alla disponibilità della luce integra perfettamente il momento in cui la luce viene a mancare cosi come il momento in cui ritorna.

Hanno imparato ad adattarsi al ridursi della fonte energetica. Potremmo forse dire che si adattano per limitare il dolore e salvare la propria vita. Proprio questa capacità che pianifica l’abbandono del proprio fogliame diventa una fonte di vita per tanti altri esseri viventi.

Tutto questo materiale che cade in autunno avvia una vasta catena alimentare che consente l’aggradamento del suolo e la produzione di terra fertile. Quando la luce ritorna, le latifoglie rendono subito disponibili le riserve accumulate nelle ramaglie cioè nei pressi delle gemme, dei fiori,…

In milioni di anni hanno imparato proprio bene a nutrire la loro vita e quella di chi le circonda,… Occorre riconoscere che intorno alle potenti conifere e al loro andamento imperturbabile la biodiversità invece non aumenta nella stessa misura, li il terreno rimane acido, la fertilità cresce poco.

A volte a noi umani, che siamo una specie cosi giovane rispetto agli alberi, viene voglia di essere come le conifere ma poi facciamo fatica ad integrare nella nostra vita quei momenti in cui l’energia per qualche motivo si riduce. Le latifoglie ci invitano ad amare questa nostra apparente fragilità che i nostri occhi associano alla morte quando invece è il motore della vita.

Philippe Lemoussu
Genova / Equa

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