L'interrogarsi: secondo incantesimo - Immagine di Franco Farina
Viviamo dentro la necessaria bolla del tempo lineare. Eppure, in stile googleearth, possiamo cambiare la scala e riconoscerne invece la circolarità, meglio la volumetricità. Dentro la bolla è la lotta, è la separazione. Con il volume tutto cambia a partire dalle convinzioni più identitarie, è lo spazio dove l’altro è l’io in tempo diverso. Gli ideali fanno parte della natura o sono di per sé disumani in quanto innaturali? Sono espressione precipua dell’aspirazione sovrumana dell’uomo o sono ciò che più dobbiamo coltivare? Sono il segno di un progresso etico e di altro tipo o esattamente l’opposto, la sirena che separerà via via di più dalla Terra?
Il nichilismo ce lo aveva simbolicamente anticipato? La contemplazione è un momento di catarsi? La consapevolezza dei cicli è esoterica e come tale non può essere di tutti? Infine, basterà a toglierci dal ciclo della vita? La domanda è assurda? Ma è lì che ci spinge l’ipotesi che esista la cosa giusta.
Quando avremo avviate le dimensioni del reale che ora ci stanno a cuore - l’elenco è vario: la decrescita, un progresso libero dal pil, una filosofia del benessere legato al dono e non più all’accumulo - come potremo mantenerle, umanamente parlando? Se l’uomo essendo natura la rappresenta in tutto e per tutto, una di queste espressioni è la molteplicità.
La foglia del tiglio è foglia come quella del leccio, eppure, in un certo senso, completamente un’altra cosa. Così gli individui del nostro genere. Li possiamo riconoscere nelle loro identicità e ne possiamo scovare peculiarità individuali senza fine.
Tutto ciò per dire che una percentuale di noi - e forse per equilibrio naturale - si dedicherà al contrario di ciò che interessa alla parte rimanente. La spartizione vale per tutti gli aspetti dell’animo, della natura. Non è lei che è tempesta e sereno? Aurora e crepuscolo? Gelo e arsura? Alchimia e positivismo? Come ritenere che una parte è pregiata e l’altra no se sono complementari? Come possiamo noi essere solo orientati alla lealtà? Come possiamo condividere un solo vero?
Le esigenze delle nostre biografie, necessariamente diverse, generano in noi verità e ricerche idonee alla loro sopravvivenza, sviluppandosi perciò solo nella direzione che tende a garantirgliela. È questa la ricorsività di Bateson.
In temini psicofilosofi ci si può osservare come l’accomodamento sia tendenza imprescindibile dello stato di non passione, dello standard. L’esigenza di modifi care ovvero l’impossibiltà di accomodare come espressione dello stato di passione. Nell’accomodare l’io è già affermato e risiede in altro, non nella lotta. Nella passione vi è l’esigenza di affermazione dell’io, affermazione che risiede interamente nell’urlare la volontà di separazione dallo standard, almeno così come lui lo percepisce o riconosce.
Se però la soddisfazione - e il suo potere alchemico-terapeutico - derivano da momenti diversi da questo e se l’io già affermato non ha bisogno di opportunità per distinguersi e se l’io in affermazione si tuffa invece nella sfi da per il senso di esserci che essa offre, che vive, non possiamo cogliere che il ciclo dell’avanguardia non esprime altra verità che l’integralità di se stesso, lasciando a chi vive la linearità del tempo l’illusione di essere via via nel giusto? E se non diversamente da così possiamo vivere, quanto è vero che ciò che è male è da abbattere a favore di ciò che è bene? Se non possiamo fare diversamente, allora sono le infrastrutture culturali le uniche intelligenze che il ciclo ci fornisce e di cui si nutre?
Con il possesso della femmina come matrice mammifera, come possiamo realizzare - se non a mezzo di infrastrutture culturali - una società capace di esprimere valori diversi dalla presente? La proprietà privata sembra totalmente naturale (capobranco) e così l’accumulo (scoiattoli).
E dalla proprietà privata che per contiguità si giunge ad affermare il principio della forza come mezzo opportuno all’uopo (poi eletto a valore da Machiavelli, prima di altri). Onde, il processo che ci ha condotti qui, alla democrazie, la più inumana, in quanto innaturale, delle infrastrutture culturali.
Il binomio natura/cultura tanto più è analiticamente concepito ed impiegato tanto più genera il mostro della Verità. Coglierlo nella sua integrità ci induce alla concezione olistica. Finalmente! Ma, peccato che a sua volta abbia i lustrini giusti per imbambolarci. Per occultare il principio che nessun olismo può essere senza di noi e che ogni sintesi ed intenzione, di noi, ha bisogno. È il noi presente in ogni comunicazione umana che implica l’ineludibilità di essere in un punto del ciclo. Di essere la verità. Di essere medium e di poter esprimere un solo messaggio, lasciando agli incosapevoli utopisti l’opportunità di esserne più d’uno.
Sarà materia solo per gli ambiziosi politici e sociali promuovere se stessi e le loro verità, con la convinzione spietata che si usa nei duelli. Oscuri che un nuovo guanto colpirà la loro guancia invecchiata. Non è squisitamente positivistico concepire un miglioramento qualitativo della vita? Non è la storia a dimostrarci che ci resta solo la quantità a fare la differenza?
"Il lancio di un nuovo sito di social networking", [...] è "come l’apertura di un nuovo locale nei quartieri alti": attira un sacco di gente per il solo fatto di essere il più recente -nuovo di zecca, oppure rimodernato e ricomposto da poco - "e ben presto si dovrà far da parte, sicuro come il fatto che dopo una sbornia ci si sente male", e perderà la sua forza di attrazione a favore di quello che verrà subito dopo, in un’incessante rincorsa [...].
Qualsiasi forma di consumo considerata tipica di una specifi ca epoca della storia umana può essere presentata senza grande sforzo come versione leggermente modifi cata delle usanze/abitudini del passato/trascorse. In questo campo la continuità sembra essere la regola; salti, discontinuità, cambiamenti radicali o rivoluzionari, eventi spartiacque, possono essere (e molte volte sono) sconfessati in quanto trasformazioni puramente quantitative ma non qualitative.
Qualche riga e un paio di citazioni per una premessa con lo scopo di verificare se, “quando avremo avviate le dimensioni del reale che ci stanno a cuore” non avremo nel contempo realizzato anche l’humus utile per ritornare al dualismo e quindi alla rivitalizzazione degli aspetti che ora deprechiamo: corruzione, ipocrisia, soprusi, prepotenze, giusto per elencare il peggio che necessariamente implica anche il meglio: scorie tossiche, inquinamenti vari, globalizzazione, dogmi, oligarchie. Del resto, come immaginare una società delle dimensioni come quella occidentale, ma anche indiana, cinese, ecc, governata sulla lealtà, priva di controlli, totalmente autocertificata?
I primitivisti sostengono che i popoli di raccoglitori-caccitatori, si organizzavano in gruppi fi no a circa 70 persone. Avevano avvertito che le dimensioni maggiori li allontanavano dalla condizione di armonia. Vivevano liberi dalle nostre dinamiche positivistiche, potevano seguire la verità imperturbabile(?) della natura. È vero, ciò che ci preme ora è ribadire che le dinamiche destra/sinistra sono sotto terra da tempo (anche se molti non se ne sono accorti e qualcuno cavalca la tigre). Che il treno umano sta deragliando con scintillio di schegge impazzite: ogm, avvelenamento chimico metodico della terra e dell’acqua, energia atomica sporca, deperimento sociale e morale, urbanizzazione selvaggia, distruzione delle risorse accumulate in millenni dalla natura, etc. Che il progresso forse ha qualche punto da rivedere e che la scienza classica ha mostrato i suoi limiti. Che il produttivismo, il consumismo, non sono la verità da propinare a tutti quelli che non hanno forza abbastanza per dirci Allahu Akbar e nel contempo tagliarci la giugulare. Che dobbiamo procreare di meno perché la Terra non ce la fa (naturalmente senza rinunciare alla propria prole).
Che l’ecologia è roba vecchia e che l’ecologia profonda è la nuova verità, sempre che chi la diffonde non utilizzi un linguaggio opportuno a dimostrare che ha le intenzioni ma non è ancora espressione di quelle nuove verità. Cioè non viva ancora il sentimento di unità con l’Uno ma di questo, ne viva solo il mito. Eppure già ci furono diversi scienziati e spiritualisti illuminati che sin dagli albori della società dei consumi avvertivano l’uomo del rischio di uscir fuori dai binari dell’equilibrio scienza/vita. Ci preme tutto questo ed è doveroso promuoverlo in quanto al momento è il passo utile all’equilibrio, è il passo che manca. E se avremo scampo, che imprevedibile epilogo invece della catastrofe ecologica? Torneremo alla religione di qualunque forma riterremo opportuno vestirla?
Inizieremo a comprendere che le denigrate sette forse sono solo espressioni chi ha già varcato certi cancelli?
Ma finché siamo coscienti sulle idee e chiudiamo all’ascolto della natura umana - cosa già realizzata dal comunismo e dal capitalismo - forse corriamo il rischio di ricadere nella logica delle ideologie e naturalmente nel suo eventuale sangue. Cioè, ricalcheremmo proprio ciò che volevamo fuggire, così come hanno sostanzialmente compiuto tutte le rivoluzioni in modo più o meno appariscente, più o meno riconoscibile. Resteremo nella (ineludibile?) antropocentrica condizione, convinti che un ecocentrismo resti possibile. Convinti perciò che l’osservatore possa sedersi in poltrona a modellare una realtà ecocentrica. La fittizia verità che ora siamo interessati a condividere d’avere smascherata, non verrà però sostituita con altra, come forse alcuni credono. La verità ci ha formati, accompagnati e condotti. Ci dà la direzione. In sostanza permette all’io di essere e divenire. Senza questa l’io entra nel campo minato del relativismo (culturalmente meraviglioso, psicofilosofi camente meno), perde un orizzonte che per quanto lontano era chiaro e dava sicurezza e via.
La nostra verità diviene pari a verità credute da altri, quindi perde portanza. L’Oriana lo urlava. Ratzinger lo urla.
Se non fosse per la mentalità antisociale e per le azioni ostili della sottoclasse [il popolo dei socialmente reietti n.d.r.] non ci sarebbe alcun processo pubblico, ne ci sarebbero ragioni da ponderare, reati da punite o negligenze cui porre riparo. Alla retorica seguiva la prassi, che forniva ai posteri la 'prova empirica' e gli argomenti non forniti dalla retorica. Quanto più tali prassi si moltiplicavano e si diffondevano, tanto più le diagnosi da cui essi derivavano apparivano evidenti di per sé, e tanto più si riduceva la probabilità che l’espediente retorico venisse individuato e conseguentemente smascherato e confutato.
Come il medico e il genitore forniscono risposte alle ansiose domande, giusto per dare calma, giusto per ridurre lo stress di una complessità che li trova inadeguati. Giusto per comprendere che una verità fittizia vale una vera. Siamo a Mafalda: “Fermate il mondo! Voglio scendere!” Eh sì, perché lottare per le nostre idee ci permetterà di arrivare al dominio, ma non di avere il consenso di tutti.
Ultimamente ci stava quasi riuscendo Hitler, poi, qualcuno ha messo insieme idee diverse dalle sue, ha raccolto le forze. Ha ridotto, nella sua forma democratica, l’anomalia.
Come farà quindi l’io a sussistere e a lottare per sopravvivere se diviene capace di condividere le ragioni del nemico? È questo il momento con il quale fare i conti con il nichilismo, che per quanto possa essere lui stesso un tema di verità, nella sostanza è così spossante che contiene il rischio di prenderci per sfi nimento. Sono considerazioni che diventano a loro volta premesse per iniziare a sospettare che tornerà di gran moda ciò che ora fuggiamo. In sostanza i valori più ardimentosi, quelli più wagneriani, quelli che eleggono la lotta e il sacrifi cio a bene supremo, irrinunciabile ed essenziale per una vita autentica e degna di essere vissuta. Dunque stesse verità e consapevolezze differenti creano scenografi e di realtà anche opposte.
In mezzo c’è l’arroganza di noi tutti che pensiamo a criticare e a cercare verità più autentiche di quelle che vogliamo scartare. Un gran bel contesto per ritornare sull’argomento, mai morto, che la memoria e l’esperienza ci possono esorcizzare dal ripetere i cosiddetti errori che non vogliamo più commettere. Ma nessuna esigenza si fonda sull’esperienza altrui. Nessuna esperienza è trasmissibile, a parte quelle che già sono nella nostra carne. Così come il decalogo è buono solo per chi lo saprebbe ricreare ed è elenco solo astratto per chi lo apprezza. Così possiamo comprendere perché anche il fanatico pacifi sta a volte usa la forza. Perché chi si dedica a promuovere l’ecologia profonda non rinuncia al telefonino o al laptop. Il contemplare non è un valore in sé, lo diviene se sorge un’esigenza che lo chiede.
Quando sono in circolazione nella moltitudine delle grandi società, anche le energie più polarizzanti - le mode, in una parola - dopo aver lasciato il segno tendono a meticciare, quindi a disperdersi e soprattutto a esorcizzare se stesse. Parevano irrinunciabili prima, appaiono modeste dopo. Così come la satira del comico che vuole colpire a suon di battute qualcuna delle mode disponibili, in fondo concorre, appunto, a esorcizzarle. Vorrebbe andarci contro ma forse semplicemente le rende via via più edibili proprio a coloro che le consideravano velenose. Come lo spirito ribelle di molti giovani, poi rientra, via via più smussato entro la cosiddetta normalità.
Così le Brigate rosse hanno partecipato a costituire un mattoncino utile alla babele dell’edonismo. Allo stesso modo i capelloni crearono il perbenismo e se ne vollero allontanare per diventare anarchici e della sinistra. Alcuni sono evoluti nella mistica, altri nelle Br, altri, i coerenti, sono ancora lì a non poter vantare nulla, oltre all’inumana coerenza. Come un jazz, colmo di espressioni architettate su un paradigma estraneo alla melodia. Provocato dall’esigenza di andare oltre il presente dell’epoca. Colpevole di restare solo una bolla di alternativa. Inopportuno a sostituire la verità ma solo buono ad aggiornarla. Per renderla ulteriormente capacità di accogliere/rifi utare nuovi popoli, restando, in fondo, immutata.
Quando saremo in molti a condividere ciò che ci fa sentire un’avanguardia, dovremo organizzarci. Saremo scevri da lotte di potere? Svaniranno dall’umanità le antipatie personali? Potremo vivere senza serrature e senza eserciti? Vogliamo criticare la modernità che ci ha dato la tecnologia. Vogliamo recuperare il rapporto con la natura. Ma saremo in grado di rinunciare al trapianto del nostro fegato per onorare una scelta culturale e politica? O dovremo riconoscere che i tanto denigrati Testimoni di Geova, e chissà chi altri - i quali appunto rinunciano anche al trapianto del sangue – forse tanto da denigrare non sono. Nonché, non è che ci troveremmo al punto dove forti saranno le spinte affi nché la nostra buona novella non fi nisca nell’ordine della religione? Delle scomuniche? O del fondamentalismo?
Forse è individualmente che si può verifi care l’aggiornamento di se stessi. È il senso di soddisfazione l’unico metronomo della bellezza, della felicità. Se non fortuitamente, non è aderendo al movimento, non è aderendo alla dialettica del retorico che ci si avvicina al sé. Il criterio soggettivo della soddisfazione personale - apparentemente, paurosamente soggettivo e perfi no fondamenta dell’edonismo - come riferimento necessario a noi, diviene anche necessario alle grandi società, sempreché la questione morale sia ancora accreditata come il faro nella notte. L’aggiornamento di se stessi non passa attraverso le idee, passa nei muscoli, è la nostra storia, è una biografia. È attraverso i sentimenti che si mostra, non attraverso i dogmi che ogni dottrina implica, che ogni fede impone. Così la pianta volge le foglie alla luce. Ma lasciale il tempo. Diversamente avrai bisogno di un tirfor, o di un lanciarazzi stinger. Ma non siamo tutti giunchi.
[...] non v’è peggior spossamento,
peggior privazione, forse, di quella
dei vinti nella lotta simbolica
per il riconoscimento, per
l’accesso a un essere sociale socialmente
riconosciuto, cioè, in
una parola, all’umanità.
(Pierre Bourdieu - Meditazioni pascaliane)
Lorenzo Merlo - Victory Project
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