lunedì 28 maggio 2012

Oro - Il valore del metallo senza valore e la confusione fra valore e prezzo...

La leggenda di Creso


"Todo necio siempre confunde el valor con el precio" (Antonio Machado) [1]


“Prendi e mangia di quel che bramasti per tutta una vita”, disse Re
Orode II dei Parti nel versare oro fuso in bocca (alla testa mozzata)
di Marco Licinio Crasso, dopo la disfatta di Carrhae nel 53 a.C.
Fu un caso estremo di commestibilità del metallo giallo.

Prima di Crasso l’oro aveva irretito re Creso di Lidia (m. 546 a.C.), con
l’idea di monetizzare pezzi di electrum, una lega naturale di oro e
argento di cui era ricco il fiume Pactolus in Asia Minore.
“Viva Licurgo”, diceva però il suo contemporaneo Pitagora, “che bandì
l’oro, causa di tutti i crimini”.

Licurgo, vissuto tre secoli prima, aveva capito quel che ancora oggi
ci si rifiuta di capire, cioè che una moneta fatta di metallo prezioso
spacca in due una società: il gruppo necessariamente minoritario dei
suoi possessori, e quello maggioritario di chi ne ha bisogno per
lavorare. Per cui Licurgo, dopo aver confiscato oro e argento, aveva
emesso i ‘Pelanor’, moneta di Stato fatta di ferro.

“Un gran numero di vizi sparì da Sparta” commenta Plutarco, “giacché a
chi sarebbe venuta la voglia di rubare una siffatta moneta? E chi la
negherebbe ingiustamente, essendo niente affatto facile da nascondere,
o di vantaggio a possederla, o accettarne una tangente, e infine
inutilizzabile se fatta a pezzi? Certo, perché quando il ferro era
ancora al rosso vivo lo si raffreddava in acido, così da rendere quasi
impossibile il forgiarlo”.[2]

Con il signoraggio (differenza tra il valore facciale e quello
materiale) re Creso divenne immensamente ricco, tanto che il suo nome
è ancora oggi eponimo di quei superstiziosi che si credono ricchi
semplicemente perché un certo numero registrato in un computer a loro
nome in un tempio di Mammona[3] lo ‘prova’.
E la superstizione continua ad ammaliare quei gonzi che si precipitano
a comprare metalli preziosi in tempo di crisi. The Economist, supremo
oracolo di Mammona nel mondo anglosassone, soffia sul fuoco:

“Se i governi dovessero trovarsi oberati da debiti, state sicuri che
l’indipendenza [degli investitori] verrà tolta. E ancora una volta, la
carta che avrete in tasca avrà lo stesso valore della promessa di un
uomo politico.[4]

Nel 1987 venne fondato il World Gold Council, rappresentante di Re
Creso a 26 secoli dalla scomparsa. Il quale strombazza:
“In tutto il mondo si investe in oro per varie ragioni [...] L’oro
offre sicurezza contro l’insuccesso della Borsa, e ha liquidità, come
provato da rifugiati che scappano via dai loro paesi. Una clientela
sempre più numerosa capisce che investendo in oro si protegge da una
serie di rischi, come la debolezza del dollaro USA, una inflazione
inattesa, e bassi profitti da altri investimenti. C’è chi vuole
sicurezza. L’oro è reale e mantiene il valore durante tempi
lunghi”[5].

Davvero? Cominciamo con il cosiddetto ‘mercato’ dell’oro. Chi crede
che il prezzo ne venga stabilito dalle mitiche ‘domanda e offerta’
vive in un altro mondo. Il prezzo dell’oro viene stabilito
giornalmente, alle 11 del mattino, da quattro - cinque signori che
anonimamente, e unanimemente, si riuniscono in una delle tante sale
del ‘Vaticano’ di Mammona, cioè la City di Londra.
Non è dato sapere chi siano costoro, o secondo che criteri decidono il
prezzo dell’oro per quel giorno. Non è neanche dato sapere se la
decisione parta da loro o se la ricevano da altre fonti. Il ‘mercato’,
in altri termini, è truccato.[6]

E cosa succederebbe se un bel giorno codesti signori decidessero di
stracciarne il prezzo? Se lo chiedano i gonzi convinti ad investire
fortune per possedere quel mitico “valore intrinseco”; e si ricordino
di Marco Licinio Crasso.

E l’argento? Già, l’argento, perché questo metallo è ‘salito di
prezzo’, da 270 a 820 euro per chilogrammo in due anni!
Il cosiddetto ‘valore’ di qualsiasi cosa è un fattore puramente
soggettivo. L’argento ‘vale’ 820 euro/kg solo per chi è disposto a
spendere quella somma per possederne un chilogrammo. Il gran numero di
gonzi che lo stanno comprando ne fanno aumentare il prezzo. Per gli
altri, vale zero.

Chi abitualmente confonde valore e prezzo è ovviamente all’oscuro di
come funziona la speculazione  di materie prime, tra cui l’argento (e
il petrolio).

Quando un documento che ne certifica una partita arriva al cosiddetto
‘mercato’, a volte in luoghi lontanissimi dalla produzione[7], non lo
compra un fabbricante, ma uno speculatore, che la vende ad un altro
(speculatore, s’intende) e costui ad un altro, fino a 14-15 volte[8],
ognuno aggiungendo il suo pizzo. Quando la partita arriva al
fabbricante, costui deve ricuperare la sommatoria dei pizzi, ed ecco
perché un vestito nuovo costa un accidente, mentre uno usato (cioè
nuovo, ma con difetti anche minimi) ha un prezzo ragionevole. Così
l’argento. Per capirne l’aumento di prezzo bisognerebbe sapere per
quante mani la partita è passata prima di arrivare al mercato degli
usuari. Lo faccia chi ha voglia di ‘proteggersi’ contro i mali
sbandierati dal World Gold Council.

La moneta di carta, come argomenta Gesell [9], è garantita più
efficacemente di quella di metallo prezioso, giacché una cartamoneta
può fallire solo quando fallisce lo Stato che la emette. Ma Stato o
non Stato, la vera, naturale copertura di una moneta è la produzione
di beni e servizi acquistabili con essa. Quando l’economia e
rispettiva moneta si separano, il ‘valore’, cioè il potere d’acquisto,
di quest’ultima, sia qual sia la materia di cui è fatta, si azzera
istantaneamente.

Storicamente ciò avvenne in Africa Orientale allo scoppio delle
ostilità Germano-Britanniche nel 1914. L’amministrazione coloniale
tedesca dovette sgomberare in fretta Dar Es Salaam, insieme a una
forza armata capitanata dal generale von Lettow e composta da 200
sottufficiali germanici, 4000 soldati africani e circa 800
‘vivandiere’. Il governatore Herr Schnee, come comandante in capo
delle forze armate, insistette a portarsi dietro delle casse piene di
cartamoneta coloniale, convinto, chissà come, che quella carta avesse
miracolosamente conservato il suo ‘valore intrinseco’. Il generale von
Lettow tentò inutilmente di farlo entrare in ragione, conscio, da
militare pratico, del valore zero di quei quintali di carta straccia.

Non ci fu verso. Fu la dura realtà a far cambiare idea a Herr Schnee.
Dopo due anni e duemila miglia di spossanti marce per l’immensa
savana, von Lettow ebbe la soddisfazione di appiccare il fuoco a tutta
quella carta con le sue mani, come aveva promesso.
Gli ipnotizzati dalla superstizione di Creso che confondono ‘esser
ricco’ con ‘avere molto denaro’ non riflettono che quando non c’è
niente da comprare, la ricchezza reale si sposta drammaticamente e
subitamente al bene di prima necessità: il cibo.

Storicamente ciò avvenne a Taiwan nel 1949. Al passaggio
dall’amministrazione di occupazione giapponese a quella di
Chiang-Kai-shek, una malaugurata sovraemissione di cartamoneta prima
fece salire i prezzi alle stelle e poi trasformò quella massa
monetaria in carta straccia. A quel punto solo chi aveva cibo vi
poteva comprare automobili, ferramenta, case, e perfino terra. Chi non
ne aveva poteva considerarsi in bancarotta. Una gallina ovaiola
comandava un prezzo più alto di quello di una oncia d’oro!
Il valore reale di un dato cibo non ha nulla a che vedere con il suo
prezzo. Quel valore non è che la salute (che nelle facoltà di medicina
viene definita come “assenza di malattia”, ma sorvoliamo). E non tutto
il cibo ha valore-salute, come dimostra la storia che segue.

Ai primi di aprile del 1915 l’incrociatore ausiliario tedesco
Kronprinz Wilhelm si vedeva costretto ad approdare in un porto
statunitense (gli USA erano ancora neutrali). 150 membri
dell’equipaggio avevano contratto polmonite, pleurite e reumatismi
vari. Le ferite tardavano a chiudersi. Cos’era successo?

In 215 giorni di scorrerie, quella nave da guerra aveva catturato e
affondato naviglio, per lo più passeggeri, razziandone naturalmente le
riserve alimentari. Il poco cibo fresco andava alla mensa ufficiali,
mentre la ciurma si andava abboffando di carne di manzo, pane bianco e
scatolame vario. E fu lo scorbuto, che lasciò indenni gli ufficiali ma
assestò durissimi colpi al sistema immunitario dei marinai.

Quella nave, messa fuori combattimento dalla malnutrizione da
scatolame, non prese più il mare sotto la bandiera della Kriegsmarine.

Passiamo alla terraferma. L’aumento sfrenato di megalopoli durante
tutto il secolo scorso ha creato altrettante potenziali trappole senza
scampo dal momento in cui per qualsiasi motivo si impedisca alle
derrate agricole di arrivarvi. Ogni città diverrebbe proprio un
covile, con gli scaffali dei supermercati svuotati in questione di
ore. In una siffatta crisi, oro, argento e pinzillacchere non servono.
Cosa serve invece?

Quello che serviva a una piazza militare assediata: granaglie.
Perché le granaglie sono il prodotto che più si avvicina alle
caratteristiche di oro e argento. Frutta e verdure avvizziscono e
marciscono; oro, argento e granaglie, no. Questo Mammona lo sa, ecco
perché si adopera per costringere gli agricoltori a portare le
granaglie “all’ammasso”. [10] Chi ha la memoria lunga ricorderà che il
conflitto a fuoco che nel 1943 spinse Salvatore Giuliano alla macchia
avvenne per due sacchi di grano sottratti all’ammasso.

Ma questo è un punto secondario. Quello primario è che oro e argento
non sono commestibili, il grano sì. Ma non come tale. Con esso si fa –
si faceva – il PANE.

E qui viene il bello. Perché la “squola” d’obbligo [11] insegna come si
fa l’acido solforico, non come si fa il pane. Però si può sempre
imparare un’arte e metterla da parte. Non ci si pentirà mai di aver
investito tempo apprendendo a fare il pane. E non è neanche necessario
farlo giornalmente: un’infornata dura una settimana.

Farlo è semplice, ma costoso e solo relativamente facile. Analizziamo.
È semplice perché non più di quattro sono gli ingredienti: farina,
lievito, acqua e sale. Meglio se quest’ultimo è grezzo.
È costoso in termini di tempo e lavoro, perché il grano non lo si
trova nei supermercati. Bisogna andare ad acquistarlo in campagna,
macinarlo, farne pasta, lievitarla e infornarla.

E fare il pane è solo relativamente facile perché le operazioni
summenzionate richiedono abilità disuguali.

Si ricordi che in regime di emergenza è molto probabile che manchi
l’energia elettrica, per cui per macinare e impastare sono d’obbligo
utensili a mano e olio di gomito.

Per i tempi di lievitazione, cottura, ecc. rimando a un ricettario
qualsiasi. Qui mi limito solo a predire, senza tema di smentita, che
chi odorerà e assaggerà il PANE come qui proposto, non confonderà più
valore con prezzo, e non comprerà mai più quella pappa che ne usurpa
il nome, e la cui storia vale la pena raccontare.

Panem nostrum

Se ho fatto uso del passato “si faceva” invece del presente “si fa”, è
perché è venuto il momento di svelare la storia di due scoperte
esecrande ad opera di due uomini onesti, che manco a dirlo la solita
“squola” d’obbligo si guarda bene dal menzionare, figuriamoci poi di
entrare nei particolari.

Il primo fu Freiherr Justus von Liebig (1803-73) circa un secolo e
mezzo fa. Il buon barone ‘scoprì’, da illustre ‘scienziato’, che le
piante non si nutrono di humus, come si era sempre creduto, ma di sali
minerali. Il che è vero, ma se avesse studiato logica avrebbe evitato
di concludere che l’humus non svolge ruolo alcuno nella nutrizione
delle piante.

Le conseguenze di quell’errore furono, e continuano ad essere,
esiziali. Liebig non si accorse che il cosiddetto “humus” non è
“materia morta insolubile in acqua” come i suoi esperimenti sembravano
rivelare, ma un substrato vivo: la microflora del suolo. Un ettaro di
terra ne possiede ben 100 tonnellate, con miriadi di microorganismi la
cui analisi è lungi dall’esser completa. La loro funzione primaria è
di convogliare i sali minerali alle radici nei tempi e modi dettati
dalla natura. Il sistema radicale si beneficia quindi per primo,
divenendo profondo, robusto e praticamente immune da attacchi
parassitari.

Altri microorganismi fanno da efficacissimi insetticidi. Un nematode,
per esempio, è un verme lungo 5mm con un diametro di 50 micron, metà
di quello di un capello umano. Non ha quindi difficoltà alcuna a
penetrare in una qualsiasi larva di insetto attraverso le aperture
naturali, introdurvi batteri e digerirne il contenuto, così
trasformando il potenziale parassita in utile fertilizzante. Ogni
microorganismo di quella microflora, anche se sconosciuto, è amico
dell’agricoltore e fattore di salute.

Le piante germogliavano rigogliose, avendo avuto tempo e modo di
sintetizzare tutto un assortimento di sostanze adattissime a sostenere
la salute di chi se ne nutriva.

Gli agricoltori pertanto sapevano, anche se non gliel’aveva insegnato
nessuno, che l’unica pratica sensata fosse di nutrire non le piante,
ma quella microflora, con stallatico mescolato a residui vegetali e
fatto fermentare in apposite gabbie. Era un lavoro lungo e duro, ma
che sapori! Le pere, tenere e dolcissime. Le albicocche facevano
venire l’acquolina in bocca solo a odorarle. Ogni verdura aveva il suo
sapore. I polli sapevano di pollo, ed erano una leccornia da tavola
del re. E mangiando bene, si stava bene.[12] Chi stava male lo doveva
ai vizi e alle cattive abitudini più che al cibo in sé, il quale
conteneva tutto il necessario per mantenere la salute.

Justus von Liebig, da uomo onesto, si avvide del suo errore e
rettificò, ma sul letto di morte. Era troppo tardi. I fertilizzanti
inorganici avevano cominciato a far strage della microflora del suolo.
La Grande Guerra segnò la fine dell’uso del nitrato del Cile. Con la
liquefazione e distillazione dell’azoto atmosferico si fabbricarono i
potenti esplosivi che avrebbero seminato morte e distruzione durante
quei quattro anni di carneficina. E che fare di tali esplosivi a
guerra finita? Fertilizzanti, naturalmente. Così l’industria poteva
continuare a distribuire “lauti dividendi” agli azionisti in tempo di
pace come in tempo di guerra. Che poi si stesse sempre peggio,
azionisti inclusi, che importa?

L’uso di concimi chimici, che ancora oggi acceca gli agricoltori con
promesse di introiti elevati, e governi con promesse di ‘successo’
delle loro politiche agrarie, fece il suo ingresso in Italia ai primi
del secolo scorso, infettando le menti dei più con una confusione tra
valore e prezzo mai debellata.

Fu quella confusione a sconfiggere Mussolini nella ‘battaglia del
grano’ mossa contro le “demoplutocrazie” come si beava di tuonare il
Duce.

Ma una battaglia, tanto meno una guerra, non si vince tuonando slogan
ma conoscendo il nemico, evitandone le forze e approfittando delle sue
debolezze. E il nemico da vincere non erano le “demoplutocrazie” ma la
confusione tra valore e prezzo.

Il valore-salute di un grano coltivato secondo natura è incalcolabile,
come la vita. È il valore di un oro commestibile, che fa star bene
senza bisogno di ingerire farmaci inutili quando non dannosi.

Il prezzo è irrilevante. Chi ne è convinto, non esiti a pagare per un
sacco di grano d’annata anche il doppio di quello che offre un
acquirente intermediario.

A farlo, la battaglia del grano tra il 1925 e il ’29 si sarebbe vinta.
E si imposero dazi e balzelli invece di pagare agli agricoltori il
prezzo che li avrebbe invogliati a coltivarlo, quel grano, non solo in
pianura per mieterlo a macchina, ma anche dove lo si sarebbe potuto
mietere solo con falce e olio di anche.[13] E si sarebbe mietuto il
fabbisogno nazionale, in eccesso degli 80 milioni di quintali a cui si
arrivò, e dai quali si è discesi oggi a 60-70.

I fertilizzanti artificiali, impiegati purtroppo durante quella
battaglia perduta, vennero imposti massicciamente agli agricoltori
americani dalla politica dei Rockefeller a partire dagli anni 1950.
L’azione contro natura ha spezzato il ciclo dello zolfo, così
eliminando ingredienti essenziali per la salute.[14] Solo la Finlandia
riconosce il pericolo, e proibisce l’uso di codesti concimi.

Molti agricoltori farebbero volentieri uso del letame, ma la direzione
presa dall’industria zootecnica lo rende spesso introvabile. Non è che
un suggerimento, ma il concime organico naturale potrebbe benissimo
prodursi come servizio pubblico municipale e offerto a prezzo di
costo, o anche gratis.

L’allarme di malnutrizione avrebbe dovuto darlo la fredda cifra
statistica del 1942: i riformati alla leva militare USA superavano
quelli del 1914 del 14%; ma si sa, queste informazioni non fanno
rimbombare la grancassa mediatica.

Poco dopo la morte di Liebig una seconda, disgraziata scoperta si
abbatté sul pane, e con esso sulla salute del genere umano. Un
ingegnere ungherese, certo Hoffenberger, inventava e commercializzava
il mulino a dischi piani di acciaio. L’invenzione fu dovuta alla
particolare durezza di una varietà di frumento coltivato in Ungheria,
ma ebbe due risultati inaspettati. Il primo fu di separare amido,
crusca ed embrione, che venduti separatamente rendono proventi
straordinari e inattesi. Una pacchia per i produttori di cereali di
lusso e leccornie varie, ma chi mangiava il pane così prodotto si
accorgeva di non estrarne più la resistenza di prima. Il carcere duro
a pane e acqua, adesso, avrebbe fatto morire un detenuto di
inanizione. Neanche i coleotteri si avvicinano a una farina di amido
puro. Per cui da allora il pane bisogna “migliorarlo” per conferirgli
un sapore che l’amido puro non ha. Lo si fa con ingredienti
completamente estranei al chicco di frumento, i quali migliorano sì il
gusto, ma non la qualità [15].

Il secondo risultato fu di consentire la produzione di quantità enormi
di macinato, così bolscevizzando l’industria dalle mani di molti
mugnai piccoli e “inefficienti” a pochi, grandi ed “efficienti”[16].
E la confusione tra valore e prezzo continua. Il pane ottenuto da
frumento cresciuto su suolo morto o moribondo e macinato
industrialmente “costa meno” di quello cresciuto su un suolo con la
microflora intatta. Sempre che si aggiunga hic et nunc. Il prezzo lo
si pagherà a suo tempo, in termini di un sistema immunitario
indebolito e semidistrutto e di una degenza ospedaliera chissà quanto
lunga.

Il Bandolo della Matassa

Durante un viaggio in auto la frase di un amico, a proposito di
tutt’altro discorso, mi colpì. Disse che faceva il commercialista per
conto di una società agricola specializzata nella sterilizzazione del
suolo. Solo la cintura di sicurezza mi impedì di balzare dal sedile
dell’auto.

Sterilizzare il suolo! L’enormità della frase chiudeva il circolo
pernicioso che da von Liebig passava per l’indebolimento dei raccolti,
alla loro mancanza di resistenza a parassiti più o meno letali, alla
manifattura di pesticidi potenti e velenosissimi, al loro
lisciviamento nel suolo ulteriormente avvelenandolo, all’indebolimento
dei raccolti attaccati da parassiti sempre più resistenti, e
all’eliminazione di questi ultimi sterilizzando il suolo. Questo,
ridotto a substrato puramente minerale, non alberga più i parassiti, è
vero, però, come le colture idroponiche, produce raccolti che sono
apparenze senza sostanza.[17] Quella società specializzata aveva
sterilizzato un suolo con bromuro di metile, fino a quando qualcuno
scoprì che codesto composto organico è velenoso (sfido io, capace
com’è di far fuori 100 tonnellate di microorganismi per ettaro) così
che ora stavano provando un’altra sostanza chimica il cui nome l’amico
non ricordava (e va a sapere se non altrettanto tossica). Accennai
allo stallatico e al trattamento organico del suolo, ma mi rispose che
ormai quello non lo si faceva più, dato che era più facile
(evidentemente) comprare il sacco di concime chimico dal distributore.

Di colpo tutto diveniva chiaro. Il bandolo della matassa mi permetteva
di allineare tutta una serie di osservazioni che fino allora
apparivano indipendenti. Eccole, a cominciare dalle macroeconomiche.
·        La politica agricola dell’UE. Si pagano i piccoli agricoltori
(i poveretti sono “inefficienti”, no?) per non produrre, e si
incoraggiano i grandi a produrre quantità smisurate (e costosissime da
immagazzinare) di cibo che di tale non ha che il nome.
·        La crescita spettacolare dell’industria del cancro, alla
caccia di microorganismi fantasma supposti ‘cause’ di quello che non
sembra essere altro che un collasso del sistema immunitario aggravato
da anni di malnutrizione. Decenni di ricerche e sperimentazioni non
riescono ad impedire che individui apparentemente sani e perfino
atletici vengano improvvisamente afflitti da un dolorino qui, che
diventa un tumorino là, e che porta alla tomba in un paio di anni.
·        La sala d’aspetto di una clinica stipata di gente un giorno feriale.
·        La politica antifumo, assurta a vera crociata. Non è che un
dubbio, ma perché siamo diventati tanto sensibili al fumo oggi, e non
lo eravamo fino a 20 o 30 anni fa? Non potrebbe codesta sensibilità
esser stata acuita dalla malnutrizione e inasprita da un eccesso di
farmaci sintomatici (da chi si ritiene danneggiato del fumo altrui)?
·        Una mandria di bovini osservata durante un’escursione a piedi
vicino a Capo Rama, Sicilia nord-occidentale. Impressionavano le corna
storte, l’andare dinoccolato, le ossa sporgenti, e uno dei sintomi più
chiari della salute impoverita: gli escrementi, neri e liquidi.
·        La frutta insipida e il pane dolciastro (da edulcoranti
artificiali) da Londra a Palermo (si salvavano le arance a onor del
vero). La crusca invece “si compra oggi in farmacia”, come
disinvoltamente assicurava l’amico.
·        Il fiume Belice che ingialliva il mare per un paio di miglia,
mandandogli tonnellate su tonnellate di un suolo senza più struttura.
·        E le masserie, una volta fiorenti e che oggi si dedicano al
mal chiamato “agroturismo” (sarebbe più corretto chiamarlo “turismo
agro”), fornendo vitto e alloggio a turisti di passaggio con cibo
comprato al supermercato.

A queste osservazioni si aggiungevano ricordi d’infanzia come la
‘disinfezione’ delle ferite e il fantomatico cianuro nei semi di
albicocca.

Uno di questi ricordi fu di quel grosso maiale di razza Large Black
con la groppa scalfita da canne maldestramente portate a spalla da una
ragazza, e che mia madre volle ‘disinfettare’ con alcol etilico. La
bestia, trasformata istantaneamente da mansueto porcello in cinghiale
selvatico, si mise a caricare tutti i presenti tra i grugniti più
inferociti e le urla di chi ne veniva travolto.

Fu la vita a insegnarmi che una ferita pulita ed esposta all’atmosfera
ne fa ristagnare il sangue istantaneamente (se un po’ profonda la si
chiude in cinque minuti congiungendone le labbra con le dita) mentre
il cerotto ne allunga la guarigione di giorni; e fu internet a
informarmi che il cianuro dei semi di albicocca è una bufala messa in
giro per non far sapere che, come per tutte le Rosacee, codesti semi
contengono potenti sostanze anticancro, così come le contengono i semi
di lino e la manioca).

Perché continuare? Esiste una via di uscita?

Agibilia et Agenda

Esistendo un legame naturale tra agricoltura e sanità, sarebbe
desiderabile che lo stesso legame esistesse a tutti i livelli, quello
politico compreso. Idealmente, i due ministeri omonimi dovrebbero
amalgamarsi. Meno idealmente, un esperto di agricoltura potrebbe far
da sottosegretario al ministro della Sanità, e un medico stagionato a
quello dell’Agricoltura. Ma ciò compor-terebbe l’esistenza
dell’ossimoro “burocrate pensante”. Burocrazia a parte, cosa può fare
la gente ordinaria oltre a fare il pane come precedentemente
descritto?

·        Educarsi. Saper definire la salute e percepirne i sette
sintomi: l’appetito, il sonno, l’urina, le feci, la resistenza alle
infezioni, la chiusura delle ferite e la forma fisica.
·        Nutrirsi, che è ben più che “mangiare”. Informarsi dove
esistono ancora agricoltori che non si sono lasciati abbindolare dalle
sirene del debito, dai concimi chimici e dai raccolti GM, che
praticano la rotazione dei raccolti e degli animali, e che sgobbano
per preparare lo stallatico come natura vuole. I sintomi di salute di
un’azienda agricola sono la multicoltura, la gabbia di fermentazione
dello stallatico, la struttura del suolo (che fa i cosiddetti “grumi”)
e l’odore che se ne sprigiona dopo una pioggerella anche leggera.
·        Trovata l’azienda che produce organicamente, pagarne i frutti
secondo giustizia: è iniquo che ortaggi pagati a € 0,06 il chilo
all’origine vengano venduti a €1,20 al mercato, e per giunta
mischiando quelli organici con quelli prodotti da pratiche
antinaturali da Monsanto & Co.
·        Non farsi impaurire. Diceva H.L.Mencken[18] che “l’arte di
governare consiste nel mantenere il volgo in permanente stato
d’allarme e pertanto ansioso di venir tratto in salvo, minacciandolo
con una serie interminabile di spauracchi completamente immaginari”.

E smetterla una buona volta di confondere valore con prezzo.

Silvano Borruso
silbor@strathmore.ac.ke


________________________________
[1]1875-1939. ‘Necio’ vuol dire ‘stolto’ Il resto non ha bisogno di traduzione.
[2] Plutarco, Vite Parallele: Licurgo
[3] Una banca.
[4] Heading for a fall, by fiat? 28 febbraio 2004 p. 82.
[5] http://www.world.org/.
[6] Ciò non vuol dire che un mercato libero di oro non esista. L’oro è
acquistabile in bancarella ad Hargeisa, ex-Somalia Britannica,
indipendente de facto ma non riconosciuta de iure dalla cosiddetta
‘comunità internazionale’.
[7] Quello della lana, per esempio, è ad Hong Kong, dove non vive una
sola pecora.
[8] Per il petrolio fino a 27 volte. Non sono solo le tasse a farne
aumentare il prezzodal benzinaro.
[9] 1862-1930, autore di Ordine Economico Naturale.
[10] Di Stato o privato non ha importanza. Il grano delle praterie
americane va all’ammasso dei grandi ricettatori del medesimo, che
formano un cartello mondiale preoccupante. Nel 2010 gli speculatori
hanno cominciato a giocare al rialzo con le derrate alimentari,
facendone salire i prezzi del 30% annuale.
[11] E “gratuita” se non si tiene in conto l’altissimo costo del
ritardo mentale da essa causato.
[12] Ecco perché diceva il grande Ippocrate: “Che il tuo cibo ti sia
di medicina, e che la tua medicina sia il tuo cibo”.
[13] È la falce portata a spalla da Monna Morte, non il falcetto che
decora i simboli comunisti.
[14] Per esempio gli aminoacidi cistina, cisteina e triptofano, le cui
molecole hanno atomi di zolfo.
[15] Non pubblicizzati, naturalmente. Quanti di essi sono di valore
nutritivo nullo, quando non tossici?
[16] Abituati a misurare “efficienza” in denaro, ci si è dimenticati
come farlo in termini qualitativi.
[17] Chi si fa irretire dalle dimensioni di ortaggi da record, provi a
gustarli: sono per lo più acqua.
[18] 1880-1956. Giornalista, umorista e commentatore sociale americano.


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Cari Amici, un nuovo quesito mi giunge dall'amica Lidia, che vorrebbe saperne di più in merito alle valutazioni, insomma chi stabilisce i prezzi,  dei vari beni e preziosi. Confido nel vostro aiuto per la risposta. Ciao, Paolo

Caro fratello, ancora non mi è molto chiaro chi stabilisce il prezzo dell'oro nel mondo.
Ho pensato che se ad esempio nel nostro Paese costa 10 mentre in un altro Paese costa 50, chi possiede un po' di oro, va in quel Paese e lo rivende con un incasso di 5 volte superiore al prezzo nel nostro Paese. Ovviamente se un tizio che possiede molto oro è anche lo stesso che ne stabilisce il prezzo nei Paesi del mondo, capisci da solo che si arricchisce in maniera smisurata, se non si tratta di una persona onesta! Che cosa dicono in merito a questo tema gli esperti di economia e finanza?
Inoltre, chi stabilisce il prezzo delle pietre preziose, del petrolio, del metano..ecc..ecc...?
Un abbraccio Lidia

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