Il gufo ha acchiappato il sorcetto
Vi ho già parlato degli incontri con vari yogi e maestri da me fatti nei primi anni ’70 in quel di Roma. Qui vorrei abbozzare alcune impressioni su alcuni di essi. Di altri, quelli che ritengo più significativi, vi ho già parlato in altre lettere ma dicendo ciò non voglio sminuire l’importanza della presente lista…
In quegli anni gloriosi ero tornato a vivere a Roma in pianta stabile, la madre patria mi aveva richiamato al dovere della presenza, ed io zitto zitto me ne stavo in trincea, nella vecchia casa di uno zio da poco defunto, in Via Emanuele Filiberto 29. Da lì imparai a conoscere bene Roma, percorrendo le sue strade giornalmente a piedi e visitando ogni possibile angolo in cui si manifestasse qualche forma di “spiritualità”, dalla vicinissima Porta Alchemica di Piazza Vittorio, alla basilica di Santa Maria Maggiore, al Museo per il Medio ed Estremo Oriente, alle grotte del Colle Oppio, ai vicoli e vicoletti, chiese e chiesuole del Borgo.
Nella mia ricerca sincretica non trascuravo i vari centri di yoga che, come funghi autunnali, erano sorti un po’ ovunque. Il più caratteristico, indianeggiante al 100%, era sicuramente il Tempio degli Hare Krishna. Ricordo i canti continuati, l’atmosfera festosa, le vesti sgargianti delle ragazze, i musi lunghi dei ragazzi sempre attenti a non cadere in tentazione. Visitavo spesso quel gruppo seguendolo nei vari spostamenti che subì in varie zone di Roma.
Purtroppo non potevo fermarmi molto a lungo nelle mie permanenze poiché venivo preso d’assalto dai “missionari” sempre pronti a convertire nuovi adepti ed io –come sapete- non sono convertibile a nessuna religione. Però gli Hare Krishna mi stavano simpatici e li trovavo persino divertenti, così quando venni a sapere che il loro maestro Swami Braphupada sarebbe venuto in città non rifiutai l’invito di incontrarlo. La riunione coloratissima avvenne –mi pare- all’Hotel de La Ville (vicino al Giardino Zoologico) e praticamente c’era tutto il popolo esotico di Roma.
Nella grande hall l’aspettativa era immensa, le persone eccitatissime come alla venuta di una grande star, finalmente sul palco apparve il maestro…. In quel momento sentii l’impatto fisico di migliaia di cuori concentrati su di lui, un grande “upsurge” devozionale, tant’è che sentii anch’io l’impulso di unire le mani in gesto di saluto inchinando il capo.
Ero consapevole però che tutta quella concentrazione amorosa dipendeva dalla devozione provata da tutti i suoi seguaci innamorati. Swami Baktivedanta Brabhupada in se stesso pareva alquanto legnoso e distaccato, un po’ come tutti gli altri maschi Hare Krishna, timorosi di Dio. Beh, il prasad cucinato dalle donne era comunque celestiale e ne mangiai a piene mani… Stranamente però da quella volta non sentii più l’impulso di visitare il Tempio…
Un alto incontro abbastanza significativo avvenne allorché visitai Raffaele Lacquaniti, Raphael, credo abitante a San Lorenzo oppure sulla Prenestina, sapete come sono smemorato per le cose concrete….
Accadde che durante i miei lunghi ritiri spirituali nella casa romana di Via Emanuele Filiberto, mi capitò di leggere il Viveka Cuda Mani edito da Ashram Vidya, l’avevo acquistato nella libreria Rotondi di Via Merulana, consigliatomi da Rotondi stesso. Quel testo di Shankaracharia lo trovai sublime e perfettamente in sintonia con il mio sentire. Infatti Shankara è un grande Maestro Advaita (non-duale). Per quanto ne sapevo la traduzione mi sembrò ottima e –come spesso avviene per queste cose- presi il relatore per il messaggio e quindi mi misi a cercare chi fosse questo traduttore Raphael che sembrava egli stesso illuminato.
Dopo accurata indagine presso la casa editrice e dietro mia insistenza finalmente ottenni il suo indirizzo, egli abitava a Roma e ritenni che sarebbe stata una fortuna per me poterlo vedere, così gli scrissi o telefonai e avendo ottenuta da lui una riposta ed un appuntamento mi recai senza indugio a casa sua. Come dicevo il quartiere popolare in cui viveva non aveva particolare fascino ma questo che importava? L’abitazione stessa in un palazzo qualsiasi (a più piani) era delle più comuni, unica particolarità un soffuso profumo d’incenso che si respirava nell’aria.
Raffaele si presentò a me con semplicità, non c’erano altre persone in casa, a dire il vero questo mi mise un po’ in imbarazzo ma accettai di sedermi in un salottino modesto davanti a lui. Il discorso ovviamente andò sulla sua traduzione, sulla sua esperienza della verità e su cosa si potesse fare per ottenere l’illuminazione. Io gli dissi francamente che ero ancora alla ricerca dell’illuminazione finale e chiesi altrettanto sinceramente se lui l’avesse raggiunta. Raffaele fece un gesto come a confermare che sì, aveva raggiunto la conoscenza, ed allora non mi restò che chiedere la sua benedizione per godere anch’io della sua “esperienza”.
A quel punto egli pose le mani sulla mia testa e cominciò a tremare come in trance, emettendo suoni gutturali e forse anche sputacchiando e strabuzzando gli occhi.
Quello fu per me veramente troppo… la mia laicità naturale prese il sopravvento e quasi mi misi a ridere mentre non sapevo come fare a svincolarmi da quella strana situazione. Per fortuna, non avendo aderito alla “sceneggiata mistica” e dando segni di volermene andare, lui si riprese un po’ ed io ne approfittai per salutarlo e sveltamente guadagnare l’uscita… ed anche questa era fatta!
La conoscenza del Furlan, l’insegnate di yoga Giorgio Furlan, si inquadra invece in un contesto molto più normale e socialmente accettato. Frequentavo il suo centro perché lo rifornivo di prodotti integrali che a qual tempo avevo preso a distribuire in vari centri di Roma (Centro Macrobiotico, Le Sette Spighe, lo Zen, etc.), insomma l’Accademia Yoga era mia cliente. Non c’erano stati particolari risvolti spirituali nella nostra conoscenza, io sapevo che lui aveva fatto un corso a Rishikesh nell’ashram di Sivananda (che intendeva propagare l’hata yoga nel mondo) e lui sapeva di me che ero un discepolo di Swami Muktananda.
Poi un giorno mi chiese se volevo partecipare al primo Festival dello Yoga che si sarebbe tenuto a Milano, organizzato da Carlo Patrian (un altro hata yogi), in rappresentanza del movimento del Siddha Yoga in Italia.
Accettai e con altri amici partii per il Festival dove, fra pulizie intestinali con le garze, esercizi a testa in giù, canti devozionali, etc. fu da noi proiettato un bellissimo documentario che Luciano Cattanie del Film Luce aveva girato su Baba Muktananda in India.
Il documentario era veramente ben fatto e solo un altro documentario era altrettanto ben fatto, quello di Piero Angela che riproduceva un maestro sconosciuto dell’Himalaya. A quel tempo Piero Angela era totalmente sconosciuto, costui con un piccolo imbroglio riuscì ad infilarsi nella stanza che era stata a noi affidata per parlare con il pubblico, che numeroso era giunto dopo la proiezione del Film Luce per conoscere qualcosa di più sullo Swami Muktananda.
Non so se l’infiltrazione di Piero Angela fu voluta da Giorgio Furlan, da Carlo Patrian, dallo stesso Angela o … dal destino. Fatto sta che io non ebbi il coraggio di mettermi a litigare sull’uso della stanza e così tutte le persone che erano lì furono fagocitate dal discorso di Piero… da allora iniziò la sua ascesa nel filone del para-normale.
Che volete farci, io non ho messaggi da vendere e così andò che non decollai…. Ma chiaramente questa fu per me una vera fortuna, altrimenti adesso invece di essere uno spiritualista laico chissà chi e cosa sarei!
Paolo D’Arpini
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