giovedì 31 gennaio 2013

9 febbraio 2013 al Ribalta di Vignola (Mo) - Incontro su Bioregionalismo, Ecologia profonda e Spiritualità laica


“Domenica scorsa pioveva forte, ma volevo andare in montagna. Alle 6, con il buio sono uscito con giacca a vento e zaino e mi sono arrampicato sui boschi di Monte Morello. I boschi erano pieni di animali soprattutto caprioli e daini che mi sfrecciavano intorno. Poi l'ho visto, è comparso sul limitare di una radura, alto, imponente, un cervo maschio con un enorme palco di corna. Mi sono fermato ad ammirarlo, ci siamo guardati, è stato un attimo, poi come un sogno è scomparso nel bosco.... ed io ti ho pensato…”  (Castoro Fremente)


"Non c'è gaudenzia senza sofferenzia" diceva spesso un'amica che si chiamava Gaudenzi (di cognome), ed è vero!

Così l'opera alchemica di riunire fratelli e sorelle che perseguono lo stesso fine in un unico contesto è riuscita... La manifestazione prevista il 9 febbraio a Vignola, si farà. Con annessi e connessi. Si farà assieme agli opposti  che ora sono tutti confluiti nel progetto per dimostrare come sia fattibile una società bioregionale armonica, partendo da un piccolo gruppo.  

Ecco di seguito il programma:

Circolo Ribalta -  via Zenzano,  Vignola (Mo)  

9 febbraio 2013 -  Discorso su Bioregionalismo, Ecologia profonda e Spiritualità laica


Inizio alle h. 20.45   
Daniela Galli (bio.logica.it) presenta la serata.
Maria Miani (La Bifolca) Saluto augurale a nome dell'Ass. Agribio E.R. 
Gruppo musicale popolare Lanterna Magica con Piero Negroni - Avvio con alcuni brani per scaldare l'ambiente.

Interventi: 
Paolo D'Arpini (Rete Bioregionale Italiana): introduzione al discorso bioregionale, dell'ecologia profonda e della spiritualità laica.
Alberto Grosoli (Agricolture biologico): Permacultura per la produzione del nostro cibo quotidiano.
Stefano Barbieri (Ass. Genius Loci):  Conoscere il territorio bioregionale camminando.
Caterina Regazzi (Rete Bioregionale Italiana): Rapporto uomo animali. Allevamento industriale e allevamento rurale. 

Ogni intervento sarà intercalato dall'esecuzione di un brano musicale e di poesie bioregionali.
La serata continua con proposte in sintonia di associazioni locali e dialogo con il pubblico. 

A seguire: conclusioni, annuncio di prossimi eventi,  degustazioni  e libagioni con sfiziosità bioregionali a cura di Agribio E.R.  


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Il senso del bioregionalismo come descritto nel Manifesto della Rete Bioregionale Italiana:

La Rete Bioregionale Italiana, nata nella primavera del 1996,  è un insieme di gruppi, associazioni, comunità e singole persone che condividono l’idea bioregionale e in prima persona, nel proprio luogo, si danno da fare per praticarla.

La Rete  è un ‘terreno comune’ per condividere idee, informazioni, esperienze, progetti ma anche emozioni, al fine di sviluppare forme e pratiche - culturali, sociali, spirituali, politiche ed economiche - appropriate di vita in armonia con il proprio luogo, la propria bioregione, le altre bioregioni e l’intera terra.

La Rete è ispirata dal concetto di bioregione, aree omogenee definite dall’interconnessione dei sistemi naturali e dai viventi che le abitano. Una bioregione è un insieme di relazioni in cui gli umani sono chiamati a vivere e agire come parte della più ampia comunità naturale che ne definisce la vita.  




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Articoli sul Bioregionalismo da altre fonti:


mercoledì 30 gennaio 2013

Il pensiero sincretico di Gandhi, apostolo della nonviolenza, che vogliamo ricordare...



Il 30 gennaio del  1948 Gandhi moriva assassinato. Non aveva partecipato ai festeggiamenti per l’indipendenza indiana, dopo averla conquistata con il satyagraha (la forza della verità o nonviolenza), perché la separazione tra India e Pakistan era per lui una grande sconfitta. 


E’ stato assassinato da un fanatico indù che non gli aveva perdonato la sua azione per la riconciliazione religiosa e la sua apertura ai musulmani. 

L’indù Gandhi (che aveva una sconfinata ammirazione per Gesù Cristo e per San Francesco d’Assisi) fu considerato dai fondamentalisti di entrambe le parti come un traditore.  Sono passati sessantacinque anni e il fondamentalismo religioso è ancora un pesante ostacolo per tanti processi di pacifica convivenza.


Dunque, non si può parlare di Gandhi senza riferirsi alla sua esperienza e alla sua definizione di religione: “E’ l’elemento permanente della natura umana; non ritiene nessun sacrificio troppo grave per trovare piene espressione e lascia l’anima totalmente inquieta fino a che non ha trovato se stessa, conosciuto il suo Creatore e sperimentato la vera corrispondenza fra il creatore e se stessa”. 

E poi prosegue: “Per me Dio è verità e amore; Dio è etica e morale; Dio è coraggio. Dio è la fonte della luce e della vita e tuttavia è di sopra e di là di tutto questo. Dio è coscienza. E’ perfino l’ateismo dell’ateo. Trascende la parola e la ragione. 

E’ un Dio personale per coloro che hanno bisogno della sua presenza personale. E’ incarnato per coloro che hanno bisogno del suo contatto. E’ la più pura essenza. E’, semplicemente, per coloro che hanno fede. E’ tutte le cose per tutti gli uomini. E’ in noi e tuttavia al di sopra e aldilà di noi…”.


Siamo in presenza di una religione aperta, libera, accogliente, amorevole, umana. La religione di Gandhi coincide con la ricerca della Verità, perché Dio stesso è Verità, e la Verità è Dio. In questo senso per Gandhi, e per molti amici della nonviolenza, ogni problema che si pone, ogni questione che si deve affrontare, politica, sociale, economica, etica, collettiva o personale, è una sfida religiosa: “per me ciascuna attività, anche la più modesta, è guidata da quella che io considero la mia religione… la mia attività politica, come tutte le altre mie attività, procede dalla religione… perciò anche nella politica dobbiamo stabilire il regno dei cieli”. 

Tuttavia in Gandhi c’è posto anche per una piena laicità. Ha saputo essere, insieme, un grande religioso e una grande statista: “se fossi un dittatore, religione e Stato sarebbero separati. Credo ciecamente nella mia religione. Voglio morire per essa. Ma è una mia faccenda personale. Lo Stato non c’entra. 

Lo Stato dovrebbe preoccuparsi  del benessere temporale, dell’igiene, delle comunicazioni, delle relazioni con l’estero, della circolazione monetaria e così via, ma non della vostra o mia religione. Questa è affare personale di ciascuno”.


Oggi nel mondo intero Gandhi è considerato il profeta della nonviolenza, ma il rischio è quello di farne un santo, un eroe, un simbolo, un mito. Gandhi, invece, nel corso di tutta la sua azione sociale e politica si è sempre sforzato di far capire che ciò che lui ha fatto poteva farlo chiunque altro, che “la verità e la nonviolenza sono antiche come le montagne”. 

La novità emersa con Gandhi consiste nell’aver saputo trasformare le nonviolenza da fatto personale a fatto collettivo, da scelta di coscienza a strumento politico: con Gandhi la nonviolenza non è più solo un mezzo per salvarsi l’anima, ma diventa un modo per salvare la società. La nonviolenza è sempre esistita, presente in tutte le culture e in tutte le religioni, in oriente e in occidente, nei sacri testi della Bibbia e del Corano, della Bhagavad Gita e del Buddhismo. 

Ma è con Gandhi che la nonviolenza diventa un’arma di straordinaria potenza per liberare le masse oppresse.  Il Mahatma ci ha fatto scoprire che la nonviolenza è insieme un fine ed un mezzo, che per abbracciare e farsi abbracciare dal satyagraha ci vuole fede, pazienza, sacrificio, dedizione, addestramento. Grazie a lui oggi possiamo utilizzare la teoria e la pratica della nonviolenza per tante battaglie di giustizia e libertà, in ogni parte del mondo.


Gandhi è stato un grande innovatore, è stato l’uomo che ha riscattato il ventesimo secolo che altrimenti sarebbe stato consegnato alla storia come un secolo buio, per gli orrori delle guerre mondiali e per l’olocausto nei campi di sterminio. Gandhi, e non Hitler e non Stalin, è l’uomo nuovo del ‘900, la preziosa eredità per questo secolo.

La lezione di Gandhi ha suscitato molti proselitismi, in ogni parte del mondo. Dal Sudafrica al Chiapas, dalla Birmania al Tibet, così come in Europa e in America Latina, ovunque vi sono gruppi o popoli che lottano per i loro diritti ispirandosi alla forza attiva del satyagraha.


“Se posso dirlo senza arroganza e con la dovuta umiltà, il mio messaggio e i miei metodi sono validi, nella loro essenza, per il mondo intero; ed è motivo di viva soddisfazione per me sapere che hanno già suscitato mirabile rispondenza nel cuore di un grande e sempre crescente numero di uomini e donne dell’Occidente”.


Oggi infatti, in Europa e negli Stati Uniti, non si può parlare di pacifismo senza fare i conti con la nonviolenza gandhiana.  La mobilitazione mondiale contro la guerra (intendo contro tutte le guerre, fatte da chiunque per qualsiasi motivo e con qualunque arma) è coerente e vincente solo se fatta con i mezzi della nonviolenza.


“La guerra è il più grande crimine contro l’umanità”. Gandhi condanna il ricorso alla guerra senza appello.


Il movimento contro la guerra, se vuole avere un futuro e non essere solo un fuoco di paglia che si spegne alla prima pioggia di bombe, deve saper adottare tutti i metodi rigorosi della nonviolenza. E’ ancora Gandhi a parlar chiaro: “Si dice: i mezzi in fin dei conti sono mezzi. Io dico: i mezzi in fin dei conti sono tutto”


Il mondo è solo all’inizio dell’esplorazione delle potenzialità della nonviolenza e noi crediamo che essa sia una prospettiva indispensabile per il futuro dell’umanità.

Mao Valpiana
Presidente del Movimento Nonviolento
Via Spagna 8, Verona

martedì 29 gennaio 2013

Ecologia profonda o consumismo?... Il rifiuto necessario



La situazione di continua emergenza nello smaltimento rifiuti in varie parti d'Italia mi stimola  a riaprire la discussione sul come risolvere questo problema ormai incancrenito e congenito con la società dei consumi.
Ma la soluzione politica è sempre la stessa. Si discute sul dove ubicare  nuovi impianti inquinanti  ma il discorso della diminuzione dei rifiuti, già da parecchio tempo portato ai vari tavoli di concertazione, sia da noi che da altre associazioni, viene ignorato e le soluzioni amministrative sono rimaste ferme all’utilizzo delle discariche od inceneritori, mentre di fatto sono accantonati la raccolta differenziata ed il riciclaggio spinto.

Però, secondo me, prima di pensare a queste due opzioni più ecologiche,  occorre attuare l'abbassamento del livello consumista,  cioè impedire la produzione di rifiuti,  attraverso la consapevole e personale azione di ognuno di noi, faccio esempi pratici: rinunciare alle bustine di plastica e girare con una borsa, rifiutare imballi superflui, reperire il proprio cibo direttamente dai produttori locali, interrompere l’uso smodato di elettrodomestici, lavorare con le mani, stare meno davanti al computer e televisioni e di più nei boschi e nei campi….
La battaglia contro  la produzione rifiuti e gli sprechi energetici deve partire dalla casa di ognuno, dalla consapevole e personale azione di ognuno di noi.  Non posso far a meno di affermare che se non iniziamo da noi stessi il processo non parte.   Se qualcosa dell'organico è avanzata va bene per compost, o per gli animali selvatici, smetterla poi con l'acquisto di giornali e riviste cartacee è un altro passo,   chi ha un caminetto od una stufa  a legna può raccogliere le cassette della frutta buttate nei secchioni o la legna secca delle potature, in casa si può usare una sola lampadina a basso consumo dove serve, senza lasciare lumi accesi ovunque,  per bere si può usare l’acqua del rubinetto magari depurata con germi di kefir o komboucha, per spostarsi si possono usare  i piedi o per distanze maggiori recuperare la vecchia bicicletta riposta in cantina. Tutto ciò dovremmo farlo non soltanto perché siamo poveri e non ci possiamo permettere lussi (vista la crisi economica), dobbiamo considerare invece che i cosiddetti lussi non sono altro che pesi e compulsioni indirette.  
Infine chissà se la stessa semplicità di vita non sia la  giusta soluzione per finalmente far pace con se stessi e con la Terra, smettendola di appesantirla con le nostre  deiezioni “consumiste”?
Non c’è bisogno di nuove “sceneggiate” politiche giacché non possiamo salvare il cadavere di questa società -secondo me- ma dobbiamo già sin d’ora gettare le basi per un’autoconsapevolezza ecologica ed autosufficienza a partire dalla persona e dai piccoli gruppi. Se non salviamo l’intelligenza mettendo in pratica ciò che è strettamente nel nostro ambito di azione, come potremo riuscire ad innescare il cambiamento epocale che tutti presagiamo?

Andiamo sul concreto e dimostriamo con dignità umana che è possibile per ognuno di noi abbassare il livello del consumismo e della produzione rifiuti, cambiamo abitudini alimentari, interroghiamoci sul “necessario” per una vera qualità di vita. Se ritorniamo ad essere modesti come i monaci francescani, od i bikku buddisti, che vivevano ecologicamente, salveremo noi stessi dallo sfacelo e veramente potremo salvare il mondo, non “questo” ovviamente ma quello della Civiltà Umana.
Paolo D’Arpini
Rete Bioregionale Italiana

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Di questo e simili temi se ne parlerà durante l'Incontro Collettivo Ecologista 2013 - Vedi programma:  http://www.circolovegetarianocalcata.it/2013/01/07/premesse-per-l%E2%80%99incontro-collettivo-ecologista-del-22-e-23-giugno-2013/


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Commento pagella di Vittorio Marinelli:


rinunciare alle bustine di plastica e girare con una borsa: LO FACCIAMO

 rifiutare imballi superflui: PURTROPPO NON DIPENDE PROPRIO DA NOI
 reperire il proprio cibo direttamente dai produttori locali: LO FACCIAMO, CI FACCIAMO ARRIVARE IL CASSETTONE BIOLOGICO UN VENERDI’ SI’ E UNO NO INSIEME IL GIORNALE;

 interrompere l’uso smodato di elettrodomestici: AF. FA LAVATRICI A TUTTO SPIANO PERO’ LE COMPRO IL DETERSIVO BIOLOGICO..
 lavorare con le mani: COE MANO CE LAVORO AL COMPUTER
 stare meno davanti al computer e televisioni e di più nei boschi e nei campi: MAGARI
Se qualcosa dell'organico è avanzata va bene per compost o per gli animali selvatici: SIAMO IN DIFETTO PERO’ AL LIMITE AVANZA UN PO’ DI FRUTTA CHE I GATTI NON SI MANGIANO;
 smetterla poi con l'acquisto di giornali e riviste cartacee è un altro passo: MANNAGGIA, SONO IL MIGLIOR CLIENTE DELL’EDICOLA SOTTO CASA
   chi ha un caminetto od una stufa  a legna può raccogliere le cassette della frutta buttate nei secchioni o la legna secca delle potature: SALTIAMO IL GIRO

 in casa si può usare una sola lampadina a basso consumo dove serve: PIU’ O MENO, SI’
 senza lasciare lumi accesi ovunque: ASSOLUTAMENTE SI’
  per bere si può usare l’acqua del rubinetto: SI’
 magari depurata con germi di kefir o komboucha: DOVREI INFORMARMI ANCHE SE MI VORREI FARE LO IONIZZATORE PER FARE L’ACQUA ALCALINA
per spostarsi si possono usare  i piedi o per distanze maggiori recuperare la vecchia bicicletta riposta in cantina: RIPOSTA IN CANTINA? VADO IN BICI A PALL IN TRIBUNALE ORMAI DA 8 ANI
i cosiddetti lussi non sono altro che pesi e compulsioni indirette: QUALCHE VOLTA CEDO ALLE COMPULSIONI, CONFESSO  
ognuno di noi abbassare il livello del consumismo e della produzione rifiuti: ABBASTANZA SI’, TUTTO SOMMATO
 cambiamo abitudini alimentariA CASA VEGANO E DIGIUNI
 interroghiamoci sul “necessario” per una vera qualità di vita: A LIVELLO DI BENESSERE MA NON DI SCIUPIO
 Se ritorniamo ad essere modesti come i monaci francescani, od i bikku buddisti, che vivevano ecologicamente, salveremo noi stessi dallo sfacelo e veramente potremo salvare il mondo, non “questo” ovviamente ma quello della Civiltà Umana: OK

Va bene, mi do un 7, va,  ciao, Vittorio Marinelli

lunedì 28 gennaio 2013

10 febbraio 2013 - Inizia l'anno del Serpente d'Acqua che dura sino al 30 gennaio 2014

Elemento Acqua - Collage di Vincenzo Toccaceli


Il Drago (maschile) se ne va ed appare il Serpente (femminile)... siamo ancora nell'elemento Acqua. Infatti nello zodiaco cinese a rotazione ogni elemento viene abbinato ad un segno Yang ed uno Yin, in modo che l'energia possa manifestarsi nei suoi aspetti del passivo e dell'attivo. A dire il vero non è che il femminile sia passivo ed il maschile attivo, solo che ci si riferisce alla peculiare attività del femminile in quanto ricettivo ed al maschile in quanto espansivo. L'azione avviene comunque, cambia solo il modo. 


Nell'I Ching il simbolo del Serpente viene abbinato all'esagramma Kuai (Lo Straripamento)  e figurativamente indica un tempo in cui gli ignobili stanno gradatamente scomparendo, il loro influsso diminuisce e con un’azione risoluta si fa strada un cambiamento radicale della situazione.

La Sentenza:
Lo Straripamento. Con risolutezza bisogna rendere nota la cosa alla corte del re.
Secondo verità si deve proclamarla. Pericolo!
Bisogna avvisare la propria città.
Non è propizio impugnare le armi.
Propizio è imprendere qualche cosa.

Significato. Quando in una città anche un solo ignobile rimane in posizione dominante egli è in grado di opprimere i nobili. Quando nel cuore si annida anche una sola passione, essa è capace di ottenebrare la ragione dell’uomo. Passione e ragione non possono coesistere perciò un’azione risoluta è necessaria se si vuole portare il bene a compimento. Ma attenzione il modo di superare il male non è contrastandolo punto per punto, in tal modo restando ad esso invischiati, bensì procedendo risoluti verso il bene.

Questo ci da la sensazione di cosa rappresenti il Serpente... Questo archetipo magico  che in ogni antichità è sempre stato emblema di profondità e  saggezza. Il simbolo del Caduceo, il  veleno trasformato in medicina,  la conoscenza del bene e del male, la capacità di concentrarsi su un singolo scopo... E da ciò anche la fissità nel pensiero e l'attaccamento ai risultati. Insomma c'è del bene e c'è del male da aspettarsi in quest'anno... Ma lo sforzo deve essere diretto, come indicato dall'I Ching, a disfarsi degli aspetti negativi. Il Serpente lo chiede con convinzione ed è per questa ragione che la sua energia ci sarà in questa opera purificatoria di grande aiuto. Il Serpente ci guiderà verso la meditazione e verso la riflessione discriminante per liberarci delle nostre oscurità interiori. Questo processo avverrà soprattutto nell'ambito della cultura e della informazione, ovvero della trasmissione di idee. Infatti l'Acqua è preposta a questa funzione. Come il gusto consente di riconoscere, facendolo nostro, il cibo ingerito che poi si trasforma nel nostro organismo e contribuisce a renderci ciò che siamo, così l'energia dell'Acqua contribuisce a fa circolare nel giusto modo ogni conoscenza, trasmettendola a chi vibra in sintonia con essa. Ma attenzione l'Acqua porta i messaggi buoni e cattivi, essa puzza se passa nella fogna o profuma se attraversa un campo fiorito. 

Perciò l'attenzione costante alla via del nobile è richiesta nelle nostre azioni.... Ricordiamoci che il Serpente per crescere ha bisogno di cambiare pelle il che significa che durante quest'anno saremmo chiamati ad una operazione di svecchiamento che potrebbe costarci il dover rinunciare a parecchi attaccamenti regressi (non dimentichiamo che il Serpente corrisponde in occidente all'archetipo del Toro).... Fortunatamente il Serpente ama la calma e la tranquillità, non ama il movimento frenetico  e non sopporta di essere incitato a fare qualcosa in fretta, questo suo atteggiamento lo vediamo anche -allorché disturbato- egli si rivolta e morde  chi turba la sua quiete. 

Fortunatamente il Serpente è dotato di grande determinazione, come anche illustrato nell'esagramma a lui preposto, egli è instancabile nel perseguire e raggiungere la sua meta. Per contro sfuggirà a collaborazioni posticce e non in sintonia con il suo movimento e tendenza operativa. Il Serpente rappresenta l'intelligenza minervina per antonomasia per cui la sua collaborazione andrà a sintonizzarsi con archetipi che manifestano lo stesso tipo di intelligenza e questi sono: il Gallo ed il Bufalo. Altro aspetto accompagnato all'anno del Serpente è il bisogno di riposarsi dopo aver compiuto ogni azione. Noterete infatti che il Serpente dopo il pasto tende a immobilizzarsi ed inoltre essendo un animale a sangue freddo necessita di lunghe ricariche sotto l'energia solare... Ma attenzione questo riposo non è inerzia è una sorta di meditazione ed assorbimento. Il Serpente rappresenta la santa energia Kundalini che lentamente si muove da un Chakra all'altro per compiere la sua opera purificatrice,  Essa non si affretta,  il suo lavoro è lento ma sicuro.  Per questo il Serpente ha bisogno di calma e riflessione ed è per questo che necessita di una guida sicura, ovvero il Sé superiore, che impercettibilmente e segretamente lo guida alla meta ultima. Da qui però si intuisce anche il pericolo del cader preda di falsi insegnanti (ovvero arrogandosi lui stesso tale ruolo)  che potrebbero allontanare il neofita dal suo vero scopo e farlo precipitare verso nuovi abissi di ignoranza egoica.
 
Tornando all'elemento Acqua noto che quest'anno saremo un po' tutti propensi ad ampliare i nostri interessi, soprattutto approfondendo argomenti di carattere speculativo (non in senso monetario bensì in senso filosofico/spirituale), l'elemento di quest'anno ci consentirà di sviluppare la memoria e l'intelligenza (ricordo che queste sono come muscoli, più agiscono e più si rinforzano).

Beh, non voglio con questa introduzione alle qualità dell'anno veniente rovinarvi la sorpresa del viverlo pienamente, da buon Serpente...

Paolo D'Arpini

domenica 27 gennaio 2013

Se un cane è meglio di un dottore.... Malattie scoperte a fiuto



Il fiuto del cane capta tumori precoci o non visibili dalle analisi con attendibilità del 90%


Immaginate un cane e mettetegli un camice bianco. Poi lasciatevi "visitare", cioè annusare, e saprete se dentro di voi c'è un tumore nascosto o un diabete di tipo 1 in agguato che nemmeno le analisi riescono a vedere.

Non è fantascienza ma realtà e, dopo 15 anni di studi in Gran Bretagna, il "cane dottore" arriva in Italia e apre insospettabili prospettive alla diagnosi precoce dei tumori, del diabete di tipo 1 nonché della narcolessia o del raro morbo di Addison. Ma quale razza di cani? Il cane dottore che fiuta il male, o tranquillizza sullo stato di salute è un Labrador, uscito da un addestramento specifico ma di grande soddisfazione.


Il fatto

Due labrador addestrati in Gran Bretagna sono arrivati in Italia a Pergine in Valsugana dove la MDD (Medical Detection Dogs Onlus) sta facendo la sperimentazione, ed hanno iniziato la loro carriera medica.

Il primo, Lucy, un labrador di 6 anni, veterana, è capace di diagnosticare carcinomi alla vescica, alla prostata, ai polmoni e ai reni. Il secondo Labradrn, di nome Glenn, è un cucciolo di 18 mesi che sta completando il suo addestramento proprio a Pergine. "Sono più di 15 anni che addestriamo cani e facciamo ricerca per questo tipo di scopo", dice Claire Guest, medico inglese che cita la pubblicazione di studi al riguardo su Lancet e sul British Medical Journal, due "Bibbie" della ricerca medica.



(Fonte: Accademia Kronos)

sabato 26 gennaio 2013

La favola di Cristo - Il cristianesimo delle origini e i dubbi sull'esistenza fisica di Gesù



Collage di Vincenzo Toccaceli

Dopo aver pubblicato diversi articoli sulle origini del cristianesimo ho  sentito l’esigenza di riportare qui alcune ragioni su  un argomento scottante, che già in passato fu per me motivo di discussione, si tratta della “Favola di Cristo”, una ricerca storica sulla non esistenza fisica di Gesù di Nazareth. Esiste un libro così intitolato scritto alcuni anni fa dal compianto amico  Luigi Cascioli, e  -dopo averlo letto- compresi come fosse importante ripristinare una verità storica su  fatti alquanto nebulosi, che vengono in realtà confermati dalla sola voce ecclesiastica dei papi e del vaticano. La storia si sa è solo convenzione ma quando una religione come quella cattolica pretende di essere detentrice di una verità salvifica incontrovertibile occorre una certa cautela ed un’analisi approfondita sulle origini di questo messaggio…
Personalmente sono  cresciuto  in seno ad uno spirito agnostico, la mia origine essendo ebraica, ma "convertitosi" mio nonno  al cristianesimo (per ovvi motivi) durante il ventennio fascista, il risultato fu quello  di cancellare di fatto all’interno della mia famiglia ogni credenza religiosa. Formalmente cristiano e persino ex allievo dei Salesiani pian piano  portai avanti la mia ricerca sino a considerare la superiore validità di filosofie alquanto atee, come ad esempio il Buddhismo, l’Advaita Vedanta od il Taoismo. Infine smisi di interessarmi di qualsiasi religione abbracciando consapevolmente la via sincretica della Spiritualità Laica, di cui mi son fatto anche portatore.
Ciò avvenne in seguito alla diretta esperienza della veridicità e realtà del Sé interiore che supera, pur integrandolo, qualsiasi concetto di Dio o di separazione fra gli esseri.  Comunque per amore di “verità” speculativa e storica non ho mai tralasciato di occuparmi di “santi” (nell’accezione laica del termine) anticamente vissuti  come Gesù, Lao Tze, Buddha, o personalmente conosciuti  come Swami  Muktananda, Karmapa,  Nisargadatta Maharaj e numerosi altri…
Non ho mai voluto cancellare l’uomo, per me la capacità dell’uomo di manifestare il “divino”  e la saggezza é motivo di grande “orgoglio” per la comune appartenenza alla specie umana. Per questa ragione ho sempre cercato -o forse desiderato- l’esistenza di santi del calibro di Gesù, Maometto e Buddha… E qui ritorno al libro di Luigi Cascioli… Infatti Cascioli nega l’esistenza fisica di Gesù… o per lo meno la inquadra in un contesto ed in una manifestazione diversa da quella propugnata dal vaticano e dalle varie chiese cristiane.
Beh, non voglio negare libertà di espressione e ricerca.  Pertanto qui di seguito riporto uno  stralcio del  libro di Luigi  Cascioli seguito da uno stralcio degli Atti degli Apostoli (che ne conferma la sostanza) 

Paolo D'Arpini


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GLI ESSENI DOPO LA GUERRA DEL 70. 

In un susseguirsi di attentati, azioni sovversive e rivoluzioni esseno-zelote e relative repressioni, da parte dei Romani, si giunse alla guerra del 66-70 che con la sconfitta dell'esercito rivoluzionario e la morte di Menahem, figlio di Giuda il Galileo, ultimo discendente della stirpe degli Asmonei, pose termine all'era cristologica. 
La guerra, promossa dai giudei per controversie di culto, dopo un alternarsi di vicende favorevoli e sfavorevoli ora all'una e ora all'altra parte, sembrò risolversi definitivamente a favore dell'esercito rivoluzionario. 

I disordini che seguirono la morte di Nerone (+68) misero Roma in un tale stato di disordine e anarchia da costringere l'esercito, privo di direzione e di assistenza, a rifugiarsi in Siria lasciando la Palestina in mano ai rivoluzionari. Fu in questo periodo che i Giudei, nella certezza di essere pervenuti a quella vittoria finale del bene contro il male considerata nel “Rotolo della Guerra”, celebrarono le esequie di Roma, la Babilonia del peccato e della corruzione, in quel libro che uscì nel 69 sotto il nome di Apocalisse (Rivelazione). 

Ma le cose andarono diversamente; Adriano, succeduto a Galba, deciso a porre fine ai disordini della Palestina, inviò una potentissima armata al comando del figlio Tito. Gerusalemme, conquistata dopo un assedio di sei mesi, fu messa a ferro e fuoco, il Tempio raso al suolo. 

Come conseguenza della sconfitta, le persecuzioni contro gli ebrei ripresero con rinnovato accanimento non solo in Giudea ma anche in tutte le nazioni dell'Impero in una vera e propria caccia all'uomo nella quale ai romani si unirono anche le popolazioni per quell'odio che in esse si era accumulato verso tale razza ritenuta capace di produrre soltanto guerre, disordini e stragi. In questo ambiente di astio collettivo che permetteva anche ai più vili di accanirsi contro i perseguitati, le masse popolari, forse ancor più dei romani stessi, si scagliarono con tanto furore contro chiunque apparteneva alla religione ebraica, da determinare un vero genocidio. Come in Siria, dove secondo gli storici del tempo ne furono massacrati oltre centomila, così nelle altre città, quali Efeso, Alessandria, Antiochia e Damasco, le stragi si susseguirono in eccidi che spesso venivano eseguiti come pubblici spettacoli in anfiteatri o su patiboli eretti nelle piazze e nelle strade. 

Tutte vittime che la Chiesa, sostituendosi agli Esseni, ha fatto passare fraudolentemente come martiri di un suo cristianesimo che, come sarà ampiamente dimostrato in seguito, ancora non esisteva. 

Fu in seguito alla disfatta dell'esercito rivoluzionario che la corrente religiosa, riconfermandosi nella convinzione che le guerre e la violenza avrebbero portato soltanto lutti e dolore, lasciò definitivamente la figura del Messia guerriero davidico alla quale si era associata nella rivolta dei Maccabei, per ritornare nel suo monoteismo spirituale che prevedeva la conquista del mondo attraverso l'avvento di un Messia sacerdotale (Maestro di Giustizia). 

I rivoluzionari, da parte loro, rimasti fedeli al Messia davidico, continuarono nel loro programma rivoluzionario finché, passando per la guerra del 74, organizzata anch'essa da un appartenente, sia pure in forma indiretta alla famiglia di Giuda il Galileo (Giuseppe Flavio afferma che era un parente di Menahem), di nome Eleazaro, non furono definitivamente eliminati nel 132-135 dall'imperatore Traiano in quella guerra nella quale morì Bar Kocheba, l'ultimo sedicente Messia. La distruzione di Gerusalemme fu così totale da essere paragonata dagli stessi ebrei a quella operata da Antioco IV che era stata preannunciata dal profeta Daniele con l'espressione di “abominio della desolazione”. 

Gli esseni religiosi, ormai liberi dopo il 70 da ogni impegno precedentemente contratto con i rivoluzionari, ostentando un programma spirituale ancor più rigoroso di quello che avevano praticato nel passato, si fecero divulgatori di una ideologia che, libera da ogni coinvolgimento rivoluzionario, li facesse apparire come sostenitori di una religione che avrebbe posto fine all'odio, alle guerre, per dare inizio ad un'era di pace e di benessere, come risulta dai quattro capitoli dell'Apocalisse che furono da essi aggiunti nel 95 alla prima edizione del 68, quella edizione che, uscita durante la guerra del 70, esprimeva invece un programma basato essenzialmente sulle stragi e sulla vendetta: "Vidi poi un nuovo cielo (è l'autore della corrente spiritualista che scrive) e una nuova terra, perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi e il mare non c'era più (si riferisce al mare Mediterraneo nel quale i rivoluzionari vedevano affogarsi i romani e i loro alleati una volta buttati fuori dalla Palestina, dalla Siria e dall'Egitto). Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo... In mezzo alla piazza della città (Gerusalemme) e da una parte e dall'altra del fiume (Giordano) si trova un albero di vita che dà dodici raccolti e produce frutti ogni mese; le foglie dell'albero servono a guarire le nazioni" (Dai capp. 21 e 22 che furono aggiunti nel 95 all'Apocalisse del 68 dagli esseni spiritualisti). 

(Dall'espressione sopra riportata (...) saranno poi ripresi (...) una parte di quei detti e sentenze che gli gnostici, quali Papia vescovo di Geropoli, attribuiranno ad un Gesù dichiarato esistito ma in forma del tutto spirituale). 

Fu così che gli Esseni del dopo 70, atteggiandosi a pacifisti e a santi, proseguendo nel loro programma monoteista essenzialmente religioso, incrementarono il proselitismo aprendo le porte a quanti volevano convertirsi alla loro religione. Garantendo ai proseliti oltre il vitto, l'alloggio e la vita eterna anche la possibilità di sottrarsi ad ogni rivalsa che avrebbero potuto subire per reati comuni e politici attraverso l'acquisizione di un nuovo nome che gli veniva dato in seguito al battesimo, le comunità essene, come una legione straniera, divennero veri e propri centri di reclutamento per frustrati, falliti, visionari, avventurieri e criminali. L'afflusso di queste masse di diseredati provenienti per lo più dal mondo ellenista fu così imponente da portare le comunità essene ad adottare la lingua greca lasciando l'uso dell'ebraico soltanto per la celebrazione dei riti. 

"Fu in questo periodo, appunto perché nelle comunità essene del Medio Oriente e soprattutto in Alessandria d'Egitto gli ebrei erano arrivati a parlare solo in greco, che la Bibbia, detta dei 70, fu completata e tradotta in questa lingua contrariamente a quanto viene raccontato dalla Chiesa che la fa dipendere da un certo Tolomeo Filadelfo, re d'Egitto nel II secolo". (Josif Kryevelev Calendario del Popolo. Ed. Teti). 
Come conseguenza dell'adozione della lingua greca, l'appellativo di Messia, venne cambiato con la corrispondente traduzione greca di Cristos (Cristo): <<Il Messia lungamente atteso, nell'atmosfera spirituale dell'ellenismo che si diffuse tra le comunità giudaiche della diaspora, assunse notevole popolarità con il nome di Cristo. La parola Cristos significa in greco antico ciò che significa in ebraico la parola Mashiah: l'unto (dal greco crio, ungere)>>. (Josif Kryvelev. Op. cit. -8). 

Per cui, come conseguenza, i seguaci del Messia-Cristos, furono chiamati cristiani, ma con un significato piuttosto dispregiativo: "Il termine cristiano è nato in un ambiente non palestinese: è probabile che venisse usato in termine di ironico disprezzo (gli “unti”, gli “impomatati”) per distinguere dagli ebrei della Sinagoga i nuovi convertiti, gente strana, dalla lunga capigliatura, un po' come i nostri capelloni”. (A. Donini. Storia del Cristianesimo. Ed.Teti. pag. 29). 

La conferma del disprezzo che suscitavano gli appartenenti a queste comunità esseno-cristiane, e non soltanto per una questione di trascurato abbigliamento ma anche per quella loro ideologia che, pur ostentandosi pacifica, si rifiutava di accettare l'autorità degli imperatori romani dichiarando che il vero loro padrone era soltanto Dio, ci viene dagli autori del tempo, quali Tacito e Plinio il Giovane, che li qualificano come seguaci di una religione perniciosa basata sulla superstizione. 

In quel periodo di disordini, di povertà, di persecuzioni e di banditismo, coloro che si rifugiarono nelle comunità essene furono così numerosi da superare gli esseni originali: "Le comunità della nuova religione si organizzarono in diverse località del vicino Oriente e in esse ebbero un ruolo sempre meno importante gli ebrei mentre assumevano maggiore rilievo, sia per numero che per influenza, i proseliti del variegato impero romano". (Josif. Kryvelev. Analisi Storico Critica della Bibbia -9 ). 

Ed è su queste conversioni di pagani alle comunità essene che la Chiesa costruirà la propria storia attribuendole all'apostolato di Pietro, Giacomo, Giovanni, Paolo e di tutti gli altri discepoli che vengono dichiarati testimoni della vita di Cristo. 

Ma per quanto la fede dei convertiti si cercasse di renderla salda ed omogenea attraverso l'obbedienza più assoluta alle regole delle comunità, non tardarono a sorgere nella massa eterogenea dei loro componenti, fatta di Giudei e di ex pagani, le divergenze concettuali su quel Messia (Cristos) la cui figura, rappresentata dall'astrattismo di una visione (Daniele), dava adito alle più svariate interpretazioni. La sua morale, era strettamente Mosaica, come sostenevano i giudei, o considerava l'esonero di alcune leggi imposte dal Pentateuco, come pretendevano i convertiti pagani? E sulle discussioni che ne derivarono per stabilire se doveva considerarsi obbligatorio o no circoncidersi, mangiare carni di animali immondi, concedere il battesimo agli eunuchi, escludere dalle cariche i deformi, ogni comunità si costruì un proprio Messia che cercò di imporre alle altre comunità attraverso i suoi predicatori come risulta dagli stessi testi sacri attraverso quei pochi passi che, per gli argomenti che trattano, si possono ritenere autentici anche se riferiti a personaggi del tutto immaginari. 

Ci fu il Cristo di Paolo, di Apollo, di Pietro (I Cr.1,12), ci furono i Cristi di Balaam, della Sinagoga di Satana, della sacerdotessa Jezabele e del filosofo Nicola (Ap.II), e tanti altri Cristi: ogni predicatore dichiarava falsi quelli altrui per sostenere che soltanto il suo era quello vero (I Cor-1,12; II Cor. 11,14), come l'autore dell'Apocalisse che, in questa lizza generale, così ci presenta il suo: "Simile a figlio di uomo, con un abito lungo fino ai piedi e cinto d'oro, con gli occhi fiammeggianti come fuoco, i piedi di bronzo e la voce simile al fragore di grandi acque" (Ap. 1,12). 

Come si vede, considerando che questo passo è tratto dall'Apocalisse del 95, per tutto il primo secolo si è ancora nel pieno di immaginazioni e di visioni che escludono il Messia da ogni forma di incarnazione. 

Il comportamento di questi esseni spirituali che si erano ritirati in preghiera nelle loro comunità, non poteva essere in realtà, quali seguaci di un monoteismo, che un'ipocrita ostentazione di pacifismo avente come unico scopo quello di accattivarsi la simpatia delle autorità e la fiducia delle masse. Come sepolcri imbiancati fuori ma con dentro nidi di serpenti, essi continuavano ad alimentare l'odio e la vendetta contro i loro nemici trasferendo in una dannazione eterna, basata su laghi di stagno fuso e di zolfo, come viene continuamente ripetuto nella loro Apocalisse del 95, quelle stragi che non potevano più realizzare con le armi. Il leone di Giuda, travestito d'agnello, conservava intatto tutto l'odio contro coloro che si opponevano al suo imperialismo, quell'imperialismo monoteista che nel suo concetto di dominio universale prevede di mettere tutti i suoi nemici a sgabello dei propri piedi. 

Un esempio esplicativo di come essi conservassero la ferocia atavica che gli veniva dagli insegnamenti della Bibbia, il libro della vendetta e dell'odio, lo troviamo in quel passo degli Atti degli Apostoli nel quale Pietro detto Cefa, capo della comunità essena di Gerusalemme, uccide i due coniugi Anania e Saffira perché non avevano rispettato la regola che imponeva ai seguaci di versare alla comunità tutti gli averi di cui disponevano. (At. 5). 

Un'altra testimonianza della ferocia che si nascondeva sotto il pacifismo ostentato dalle comunità spiritualiste essene ci viene da Ippolito Romano, scrittore cristiano del III seolo: "Gli Esseni sono i divisi e non seguono le pratiche nella stessa maniera essendo ripartiti in quattro categorie. Alcuni spingono le regole fino all'estremo: si rifiutano di prendere in mano una moneta asserendo che non è lecito portare, guardare e fabbricare alcuna effigie; nessuno di costoro osa perciò entrare in città temendo di attraversare una porta sormontata da statue, essendo sacrilego passare sotto le statue. Altri, udendo discorrere qualcuno di Dio e delle sue leggi, si accertano se è incirconciso, attendono che sia solo e poi lo minacciano di morte se non si fa circoncidere; qualora non lo consenta essi non lo risparmiano, lo assassinano: è appunto per questo che hanno preso il nome di zeloti, e da altri quello di sicari. Altri si rifiutano di dare il nome di padrone a qualsiasi persona, eccetto che a Dio solo, anche se fossero minacciati di maltrattamenti e di morte".
Ma per quanto si adoprassero ad alimentare il fervore attraverso canti e preghiere tendenti a sollecitare la discesa dal cielo del loro Salvatore, un po' per quella fede che cominciò a vacillare verso un avvento che veniva sempre rinviato (cosa per altro già accaduta nel III terzo secolo a.C., secondo quanto viene esposto dal libro di Giobbe che fu scritto appunto per esortare alla pazienza gli ebrei stanchi di attendere un Messia che non arrivava mai), e un po' perché si erano resi conto che non avrebbero mai potuto imporre la loro religione, con un Messia il cui avvento era basato sull'astrattismo di una promessa, alle religioni pagane che proponevano Soteres che avevano già compiuto la loro missione salvatrice, decisero di costruirsene anch'essi uno già realizzato. 

Ma dove trovare gli argomenti giustificativi per rendere credibile un evento che, oltre a non essere da nessuno conosciuto, era stato da loro stessi smentito attraverso quell'attesa che fino ad allora avevano sostenuto? Ancora una volta, ricorrendo alla cabala e alle predizioni dei profeti, imposero la loro verità invocando quella profezia nella quale Isaia, sette secoli prima, aveva previsto che il Messia sarebbe passato tra gli uomini senza essere riconosciuto: "Egli (il Messia), dopo essere passato tra gli uomini in maniera così umile e modesta nelle parvenze da non essere rimarcato da alcuno, seguirà i suoi carnefici silenzioso e docile come un agnello che viene condotto al mattatoio" (... ). Anche se potrà sembrare incredibile, purtroppo è proprio così: sarà su questa profezia, sull'imposizione che ci viene da essa di accettare come compiuto un fatto che in realtà non è mai accaduto, che sarà costruita (...) tutta la storia di un Salvatore gnostico che fornirà le basi per costruire la figura di un Gesù incarnato. 


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"ATTI DEGLI APOSTOLI - 5, 1-11 – La frode di Anania e Saffira
51Un uomo di nome Anania con la moglie Saffira vendette un suo podere 2e, tenuta per sé una parte dell’importo d’accordo con la moglie, consegnò l’altra parte deponendola ai piedi degli apostoli. 3Ma Pietro gli disse: 'Anania, perché mai satana si è così impossessato del tuo cuore che tu hai mentito allo Spirito Santo e ti sei trattenuto parte del prezzo del terreno? 4Prima di venderlo, non era forse tua proprietà e, anche venduto, il ricavato non era sempre a tua disposizione? Perché hai pensato in cuor tuo a quest’azione? Tu non hai mentito agli uomini, ma a Dio'. 5All’udire queste parole, Anania cadde a terra e spirò. E un timore grande prese tutti quelli che ascoltavano. 6Si alzarono allora i più giovani e, avvoltolo in un lenzuolo, lo portarono fuori e lo seppellirono. 7Avvenne poi che, circa tre ore più tardi, entrò anche sua moglie, ignara dell’accaduto. 8Pietro le chiese: 'Dimmi: avete venduto il campo a tal prezzo?'. Ed essa: 'Sì, a tanto'. 9Allora Pietro le disse: 'Perché vi siete accordati per tentare lo Spirito del Signore? Ecco qui alla porta i passi di coloro che hanno seppellito tuo marito e porteranno via anche te'.10D’improvviso cadde ai piedi di Pietro e spirò. Quando i giovani entrarono, la trovarono morta e, portatala fuori, la seppellirono accanto a suo marito. 11E un grande timore si diffuse in tutta la Chiesa e in quanti venivano a sapere queste cose." (http://sunfinder.serveftp.org/parrocchia/index.php?option=com_content&view=article&id=35:15-atti-degli-apostoli-5-1-11-la-frode-di-anania-e-saffira&catid=17&Itemid=122&lang=it)

Aggiunge la seguente "Riflessione", spudoratamente e infinitamente cattoipocrita, l'anonimo "pastore" della "Parrocchia di San Giovanni Battista" di "San Giovanni di Casarsa": "Il racconto di Anania e Saffira è molto duro. L’autore narra che essi vendettero un terreno e portarono alla comunità solo una parte dell’importo, trattenendone il resto. Ma il problema non era in questa azione, bensì nell’aver mentito a Pietro, affermando che avevano consegnato l’intera somma. Sia Anania che Saffira morirono all’istante, prima l’uno poi l’altra. In verità, Anania e Saffira, con la loro menzogna, si separavano dal comune sentire della comunità, facendo cosi morire in loro la vita spirituale che avevano ricevuto in dono. Non si trattava perciò di una semplice inadempienza, bensì della separazione dallo spirito della comunità, che porta sempre a distruggere se stessi.La morte di Anania e Saffira non va intesa come una punizione inviata da Dio, ma come la conseguenza della loro insincerità e dell’aver fatto prevalere i propri interessi su quelli degli altri. Scrivono gli Atti che la gente, vedendo questi fatti, fu presa da timore. Non si vuol suggerire che iniziò da allora un clima di paura nella comunità. È noto infatti che il frutto della comunione è la pace, la gioia, l’amore, come più volte Luca ribadisce.Quel che gli Atti sottolineano è che tutti debbono essere ben attenti a custodire la comunione che il Signore ha donato. La fraternità va infatti custodita con grande cura perché è facile ferirla con i propri comportamenti egocentrici." (ibid.)


venerdì 25 gennaio 2013

Crepuscolo del panteismo laico ed incubazione del monocratismo cristiano




Premesse: 

L'IMPORTANTE ARTICOLO CHE QUI SOTTO VIENE PROPOSTO RICHIEDE UNA TRATTAZIONE  CHE RIGUARDA LA POLITICA. LA POLITICA è ATTO PRIMIGENIO DELL'UOMO. E NON A CASO L'ESEMPIO DI SOCRATE. NON DIMENTICHIAMO CHE LA FIGURA DI SOCRATE, ELEMENTO IMPORTANTE ANZI FONDAMENTALE DEL MITO NEOPLATONICO, HA IMPRONTATO DI Sé TUTTO LO "SPAZIO IMPERIALE" ed è servito come spunto ai filosofi alessandrini per la creazione del mito di Gesù Cristo, il GIUSTO condannato e "sacrificato" a cagione della sua intrinseca "giustizia". (Ovviamente, gli elementi costitutivi di questo mito sono molti e molteplici Gesù Cristo = Zeus =  Krishna) ed a noi al momento non ci interessano. E' interessante invece CONSIDERARE che TUTTA LA FILOSOFIA PLATONICA (filosofia, ripetiamolo, che ha improntato di sé tutta la cultura del nostro mondo per duemila anni, essendo anche alla base della dottrina cristiana),è stata costruita su una weltanschaung fondamentale: LA POLITICA. Essendo "LA REPUBBLICA" (certamente NON quella di De Benedetti, anzi l'esatto contrario!) l'opera fondamentale di PLATONE, il suo punto d'arrivo e del NON ritorno (leggere Sant'Agostino). Dunque: per Platone l'atto politico è il fondamento dell'ESSERE UMANO. (Come dimostra tutta la Storia, la Grande Storia della ROMANITA'). (Tra parentesi: che "l'atto politico" sia essenziale lo dimostra anche l'azione della Chiesa, la quale ha dimostrato in 2000 anni di storia di PRIVILEGIARE IN MODO ASSOLUTO L'INTERVENTO POLITICO ALL'AFFERMAZIONE di un "Verbo" del quale ipocritamente si dice portatrice. Anche tutta l'azione di "evangelizzazione", nel mondo ricordiamolo bene, è stata SOLO atto politico di COLONIZZAZIONE intellettuale, fisica, morale. (come hanno ben capito i popoli finora sottomessi). 
INFINE, l'ultimo "atto politico della Chiesa", l'accordo con Monti, (che viene addirittura NOBILITATO) sulla base della scambio di vil moneta, sterco del demonio, invano contrastato da "cristiani ideologici",  dimostra in maniera inequivocabile che la scelta della politica come AZIONE METAFISICA VALIDA IN Sé è l'essenza stessa dell'essere cristiano-cattolico-romano.  

Giorgio Vitali   

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(...) Che nella LUNGA opera di costruzione sincretistica e assestamento del cristianesimo, partorita dall'auto-metamorfosi del messianismo ebraico, si sia cercato di inglobare, deformandolo, Platone (e Aristotele) non v'è dubbio. Ma solo (...) con Ambrogio e Agostino (seguìti poi da Pseudo-Dionigi l'Aeropagita, Scoto Eriugena, San Bonaventura, Duns Scoto, Meister Eckhart...), si può effettivamente parlare di commistione della patristica medievale col neoplatonismo (rapporto tra fede e religione, reminescenza/illuminazione, male come non-essere, emanazione/Amore - agape - e dono di Dio, consustanzialità delle tre ipostasi plotiniane ecc.). Riporto qui di seguito ancora una volta, (...) la pagina conclusiva del libro di Tranfo, che descrive vividamente il crepuscolo-crogiolo donde si originò il mito del "Nazareno".

Joe Fallisi 


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L'AGONIA DEL GIUDAISMO MESSIANICO E L’EMBRIONE DEL CRISTIANESIMO

Il variegato universo giudaico del I secolo, nel quale vennero a confluire le diverse correnti dell’ebraismo, visse anni di grande fermento nel periodo compreso tra la fine del messianismo di tipo davidico, conclusosi con la morte di tutti i figli di Giuda il Galileo, e la distruzione di Gerusalemme e del tempio appena seguite dalla rivolta di Masada, nella quale morì il “resuscitato” Lazzaro (ultimo discendente di Giuda il Galileo), e dalla lapidazione del messia Yeshua nei primi anni dell’ottavo decennio d.c.
Sono gli anni nei quali si consumò il “canto del cigno” di un’attesa spasmodica e disperata che, dopo il fallimento della croce, partorì nuovi messia e nuovi inutili sogni di riscatto (fedelmente registrati negli scritti di  Giuseppe Flavio).

La distruzione di Gerusalemme e del tempio fu un colpo terribile per l’intero mondo ebraico.
Il tempio era per il popolo il cuore della nazione più di quanto non fosse la stessa terra.

Si poteva essere ebreo a pieno titolo risiedendo ovunque ma riconoscendosi sempre nella realtà sinagogale (in generale) e nel tempio di Gerusalemme (in particolare), nella sua autentica testimonianza della legge mosaica, nella sua storia, nelle sue tradizioni e nel modello giudaico sacrificale.  
Questo insolito senso dell’identità nazionale rendeva la nazione ebraica estremamente vulnerabile, tanto è vero che la disastrosa distruzione del 70 d.c., in un sol colpo sembrò annullare le speranze, il patrimonio spirituale e perfino la stessa memoria storica del popolo “prediletto da Dio”.

Eppure nemmeno questo fu sufficiente a debellare quell’ostinazione messianica che addirittura settant’anni dopo, nel 135 d.c., spinse il “figlio della stella” (Simon bar Kochba) ad impugnare le armi nell’ultimo disperato tentativo di riscatto, di fronte all’ennesima provocatoria profanazione della “città santa” ad opera dello storico ed odiato nemico romano.

Il popolo ebraico, in gran parte già cittadino del mondo, fu allontanato e si disperse del tutto.

Fu l’ultimo atto di un messianismo morente, una sconfitta bruciante e inappellabile, inaccettabile smentita di una promessa divina.
Soltanto allora, lontano dai condizionamenti di quel mondo, fece la sua comparsa l’embrione del “Figlio di Dio”.

A concepirlo fu lo stesso essenismo che, provenendo dalla visione mistico-ascetica del I secolo a.c., era divenuto nel secolo successivo il supporto ideologico di quel profetismo messianico di stampo insurrezionale che, a dire di Giuseppe Flavio, fu la causa della rovina nazionale.

Di fronte all’irreparabile sconfitta, con la complicità dell’ebraismo ellenistico, prese corpo la riscossa ideologica: quel mondo perdente, incredulo di fronte al fallimento di una profezia ineluttabile, guardandosi indietro volle credere (e fece credere) che le promessa vetero testamentaria era passata senza essere vista, che il Re di Israele era in realtà il Re del Mondo, che il Regno di Dio non era per la terra ma per il cielo e che il messia morto era risorto.
In realtà, grazie al felice riciclo, a risorgere sotto nuove spoglie non fu il messia ma il messianismo che, ora soltanto finalmente poteva chiamarsi cristianesimo!

Dall’unione di Gesù (Yeshua) e del Cristo (Giovanni) nacque Gesù Cristo, in tutto simile alle antiche divinità dei culti misterici e pagani, anche se a tradirne le origini erano il pensiero e la parola, entrambi espressione di pura spiritualità essena.

Il sincretismo tuttavia impose un caro prezzo e l’ideologia insurrezionale giudaica si trasformò in pacifismo universale di stampo antigiudaico, l’odio verso gli oppressori in perdono, la spada in ramoscello di ulivo.

Nacquero e si diffusero i canoni scritti, si svilupparono le comunità e tra i tanti “cristianesimi” emerse quello vincente, che noi tutti conosciamo come verità unica e immutabile, che uccise ogni diversa espressione di quel variegato universo mistico, presso il quale ancora sopravvivevano sparute scorie di una memoria storica disorientata e frammentaria ma pericolosa e nemica, perché sufficientemente critica e indisponibile allo stravolgimento o al rinnegamento.
Ma per un intero secolo, dagli anni della croce all’esplosione del nuovo fenomeno, cosa era successo?
Nell’ovvio vuoto di testimonianze del tempo, reperti, tracce o prove di qualsiasi specie sull’esistenza del cristianesimo nel I secolo, alla nascente Chiesa, per dimostrare l’indimostrabile, non restò che costruire la propria “letteratura di conferma” attraverso gli Atti degli Apostoli e le lettere paoline. Ma per fare questo dovette spalmare all’inverosimile, nel tempo e nello spazio, l’evangelizzazione di Paolo della quale dilatò gli effetti oltre ogni limite di ragionevole credibilità.
Lo scopo di una tale operazione fu quello di accreditare alla storia e a se stessa quella “soluzione di continuità”, finalizzata a coprire l’imbarazzante vuoto di eventi e dare fondamento alla pretestuosa successione apostolica sulla quale fondare il proprio primato.
In realtà il I secolo non conobbe il cristianesimo: non esiste una sola prova che possa essere considerata attendibile, alla quale ci si possa riferire per dimostrare il contrario.
La mancanza di testimonianze storiche estranee al mondo cristiano spinge spesso gli studiosi, talvolta anche laici, ad affidarsi alla cronologia espressa dalla fonti “sacre” (Atti degli Apostoli, epistole) per ricostruire le tappe di sviluppo del primo cristianesimo, con la conseguenza di accreditare la nascita del fenomeno cristiano alla storia di un secolo che non lo conobbe.
Tale impostazione, assolutamente estranea a qualsiasi metodologia scientificamente accettabile, porta infatti alla fuorviante lettura di una serie di eventi nell’ottica dello sviluppo della nuova fede, mentre essi sono ascrivibili, semmai, all’ostinato perdurare di quel “messianismo giudaico dell’attesa” non ancora rassegnato al fallimento o, in altri casi, al massimo rappresentano la prima embrionale espressione eterea e impalpabile di quel “messianismo dell’avvento” che, sulla spinta del pensiero ellenistico e superando il vincolo nazionalistico, riconosceva nell’idea incorporea di “logos” il vero segno dell’attesa manifestazione messianica.
Tali ultime forme primordiali, ben lontane dall’essere già cristianesimo, ne costituirono casomai il remoto antefatto ideologico e culturale e ne prefigurarono le caratteristiche distintive in termini di universalità e superamento del rigidismo vetero testamentario.
Ad esempio, il pensiero di Paolo di Tarso (per quanto di storico ci possa essere in tale personaggio e nelle sue missioni), se epurato dalle “scorie” apocrife dei fumosi, tardi e contraddittori riferimenti alla realtà corporea di Gesù Cristo alla sua morte e alla sua resurrezione, lascia intatta una testimonianza esattamente inquadrabile nelle suddette forme embrionali capaci di convogliare, grazie alla straordinaria suggestione mistica che le contraddistingueva, ampi e plebiscitari consensi che, dagli ambienti della diaspora, si sparsero in breve all’intero e variegato mondo pagano, in crisi di valori e di identità.
In tale ottica, dietro agli attriti tra la cosiddetta Chiesa di Gerusalemme e Paolo, che gli Atti degli Apostoli riducono a divergenze di vedute sulla circoncisione, l’osservanza dei precetti e l’apertura ai gentili, si nasconde un conflitto tra due mondi: da una parte l’eredità messianica in senso storicamente autentico e dall’altra la nuova visione volta al superamento del particolarismo nazionalistico, alla promozione ed alla condivisione con il mondo di una rivelazione messianica incorporea alla quale soltanto molti decenni dopo verranno dati volto, nome e vita.
Definire il residuo storico del giudaismo messianico del tardo I secolo come “giudeo cristianesimo” è un errore come lo è definire cristianesimo il tradimento delle aperture paoline: esso non fu altro che l’orgoglio della memoria storica ostinatamente opposta all’oblio dell’universalismo favorito, peraltro, dalla distruzione del tempio e di Gerusalemme.
Solo dopo la disfatta del 135 d.c., svanita definitivamente la chimera dell’attesa messianica, quel giudaismo intransigente si dovette rassegnare ad accettare lo scontro sul nuovo terreno del nascente cristianesimo, che ormai acquistava spessore e scolpiva il proprio idolo sulle pergamene dei Vangeli.
Divenuto solo allora “giudeo cristianesimo”, il messianismo nostalgico affidò la propria disperata difesa a piccole frange superstiti tra le quali la più dura a morire fu forse quella degli ebioniti … ma la favola aveva già rubato il posto alla storia e ogni resistenza fu inutile.
In due secoli il cristianesimo vincente ebbe la meglio sui “cristianesimi perdenti” (per quanto essi possano essere definiti “cristianesimi”) e lo stesso microcosmo della gnosi, espressione di spiritualità pura e autentica, originariamente patrimonio della cultura giudeo messianica, frantumandosi in un’infinità di visioni storicamente disorientate e talvolta distorte dalle esasperazioni escatologiche, decentrò progressivamente il proprio baricentro verso popoli e paesi d’oriente, generando nuovi germogli sempre più lontani dalla radice, per perdersi nelle avventure sincretistiche dell’elchasaismo, con i suoi riti purificatori, ed evolversi nell’anticosmismo dualistico del manicheismo (che ebbe una consistente diffusione sia ad oriente che ad occidente). 
Quest’ultimo, che deve il suo nome al fondatore Mani, scivolò verso le suggestioni mistiche dei culti orientali (indiano, mazdiano, iraniano e addirittura buddista) con i quali coniugò ciò che restava dell’antica componente dualistica propria del pensiero gnostico.
Naturalmente, evoluzioni così lontane dall’originale testimonianza giudeo cristiana, non espressero più alcun potenziale di rivendicazione storica della vera vicenda messianica e, se nei territori dell’impero ebbero a che fare con l’ira degli eresiologi, fu soltanto perché costituirono comunque delle pericolose “devianze” dal canone prefissato dall’ortodossia romana, l’unica che vinse bollando ogni diversità come “eresia” e sterminandone ogni traccia.

Nel corso di questo studio, in più di un’occasione, abbiamo interpretato il silenzio degli storici sulla figura di Gesù di Nazareth come prova della sua inesistenza.
Identiche considerazioni, in queste pagine conclusive, possono essere appena accennate con riguardo alla presunta affermazione del cristianesimo nel corso del I secolo.
Escludendo, infatti, le fonti di parte e cioè le attestazioni delle epistole paoline, degli Atti e di tutto quanto possa essere ascritto al canone neotestamentario o alle presunte prime testimonianze extracanoniche di dubbia genuinità (la Didachè, la prima lettera di Clemente o quelle di Ignazio di Antiochia), cosa emerge dagli scritti del tempo a conferma dell’esistenza di un movimento cristiano nel I secolo o agli inizi del II?
Perché non esiste traccia di quella oceanica diffusione a macchia d’olio, avviata da Paolo di Tarso e così profusamente attestata nelle fonti di parte cristiana?
Possono essere forse ritenute conferme sufficienti il passo di Tacito sulle persecuzioni neroniane con tutte le sue evidenti interpolazioni, la riga dedicata da Svetonio all’espulsione dei giudei da Roma (che nemmeno gli Atti degli Apostoli ascrivono al movimento cristiano) o l’oscura e dubbia persecuzione di Domiziano che non ebbe a che fare con i cristiani ma fu mossa dall’ossessione dell’imperatore per le congiure (tanto è vero che colpì verosimilmente i soli appartenenti alla famiglia imperiale)?
Sono mai stati forse rinvenuti i resti di una vera chiesa cristiana o un solo reperto archeologico (un’epigrafe, una semplice incisione, un oggetto di culto) che possano confermare l’esistenza dei cristiani e la celebrazione nel I secolo di liturgie ispirate a Gesù Cristo?
Alla luce di quali obiettive risultanze si può asserire che i Vangeli canonici furono compilati nella seconda metà del I secolo?
Se escludiamo i nove caratteri del minuscolo e indecifrabile frammento di Qumran (7Q5), è mai stata trovata una sola traccia che possa autorizzare una datazione così remota e precisa da consentire addirittura una differenziazione cronologica tra i quattro canoni dal 50 al 100 d.c.?
Non è strano che tutte le testimonianze (non di parte) riguardanti l’esistenza del cristianesimo, nonché i più remoti frammenti dei Vangeli siano apparsi copiosamente a partire dalla metà del II secolo d.c.?
Perché, infine, ancora oggi non esiste uno studioso di parte cristiana che si ponga queste semplici domande prima di pubblicare libri, scrivere articoli o apparire nelle trasmissioni televisive per sostenere la storicità di Cristo e l’assenza di una soluzione di continuità con la nascita e la diffusione della cristianità?

L’augurio conclusivo è che questo nostro lavoro, sicuramente avversato dalla casta di coloro che consapevolmente mentono al mondo da secoli, possa, almeno nel suo piccolo, contribuire ad infondere coraggio a chi, pur intellettualmente onesto e preparato, non ha mai osato andare oltre il dubbio, nel timore di giungere a vedere con fin troppa chiarezza i contorni di una favola che oggi ancora in molti continuano a chiamare storia.

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(Fonte Articolo: http://www.yeshua.it/)