Smottamenti lungo il fiume Panaro
I
disastri naturali stanno diventando meno mortali, nel mondo, ma più
costosi per l’economia. Secondo l’Economist,
cinque dei dieci disastri naturali che hanno avuto il maggior costo
economico negli ultimi trent’anni sono avvenuti tra il 2008 e oggi.
Questo cambiamento, spiega
il settimanale
britannico, ci dice qualcosa sull’organizzazione dell’economia
mondiale, sempre più concentrata e interconnessa, sugli spostamenti
della popolazione, dalle campagne ai centri urbani, e sui modi con
cui è stata gestita la prevenzione dei disastri naturali.
Il 2011 è stato
l’anno peggiore dopo il 2004 a causa delle alluvioni
in Thailandia, Cina e Australia, dello tsunami
in Giappone e dei terremoti
in Nuova Zelanda.
Il collegamento tra il cambiamento climatico indotto dall’uomo e la
frequenza di alcuni disastri, in particolare le tempeste tropicali, è
ancora oggetto di discussione (l’Economist
cita uno studio dell’Intergovernmental Panel on Climate Change, che
si è detto poco convinto della connessione tra il cambiamento
climatico e la frequenza dei cicloni tropicali), ma di sicuro le
comunità umane stanno ottenendo alcuni successi nel rendere le
catastrofi naturali meno mortali. Ci sono stati miglioramenti
sensibili nei sistemi di previsione anticipata e di allarme per gli
tsunami, nell’informazione sui piani di evacuazione, nella
costruzione di edifici antisismici.
I
paesi dove i disastri naturali hanno ucciso più persone sono anche
quelli più arretrati e isolati, che non hanno fatto nulla o quasi
per la prevenzione: tra questi, il devastante terremoto di Haiti del
2010, i cui numeri non sono stati definiti con chiarezza due
anni dopo il disastro ma che ha sicuramente ucciso diverse decine
di migliaia di persone. Ma vista anche la crescita
demografica della popolazione terrestre, che ha superato da poco i
sette miliardi, il numero dei morti a causa delle calamità naturali
è sicuramente in calo.
I
costi economici, al contrario, sono in crescita. Questo è dovuto,
scrive l’Economist,
al fatto che «una parte crescente della popolazione mondiale e
dell’attività economica si va concentrando in luoghi a rischio di
calamità naturali: coste tropicali e delta dei fiumi, vicino alle
foreste e lungo faglie a rischio sismico». Un esempio esaminato
dal settimanale è quello della Thailandia.
Dopo
le ultime alluvioni molto serie, nel 1983 e nel 1995, i distretti
industriali più orientati all’esportazione si sono concentrati
intorno a Bangkok e nelle pianure alluvionali più a nord, lungo il
fiume Chao Phraya, che fino ad allora erano coltivate a risaia
proprio perché erano regolarmente esposte ad alluvioni. Nelle ultime
alluvioni, le acque hanno superato le dighe di sei metri intorno al
distretto industriale di Rojana, allagando le fabbriche di importanti
produttori di automobili e materiale tecnologico, tra cui Honda e
Western Digital, un’azienda di dischi rigidi. I prezzi dei dischi
rigidi hanno subito un aumento in tutto il mondo, mentre le alluvioni
hanno causato complessivamente una diminuzione della produzione
industriale stimata da J.P. Morgan in un 2,5 per cento, con un costo
per il paese di circa 40 miliardi di dollari, il più costoso della
storia della Thailandia.
L’evoluzione
urbanistica e la crescita economica nei paesi in via di sviluppo
rendono più probabili disastri con un grande impatto economico:
secondo uno studio dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo
Sviluppo Economico pubblicato nel 2007, nel 2070 sette dei dieci
maggiori centri urbani del mondo esposti al rischio di inondazioni si
troveranno nei paesi in via di sviluppo, mentre nel 2005 non ce n’era
nessuno. Il processo sembra inevitabile, dice l’Economist,
e i paesi del mondo dovranno prendere le contromisure adeguate:
Da
una parte, l’urbanizzazione toglie alle città le difese naturali
contro i disastri ed espone più persone alla perdita della vita o
delle proprietà in caso di terremoto o di ciclone. Dall’altra
parte, l’urbanizzazione arricchisce le persone povere. La densità
e le infrastrutture delle città rendono le persone più produttive e
più capaci di permettersi le misure per mantenersi sicure. Le misure
per mitigare l’impatto dei disastri non devono scoraggiare la gente
dall’ammassarsi nelle vulnerabili città, ma piuttosto devono
essere un incentivo per le città e i loro abitanti a proteggersi
ancora meglio.
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