Nel
prossimo futuro, le aree urbane potrebbero ricoprire un ruolo
inaspettato nell’attenuazione del cambiamento climatico e nella
conservazione della biodiversità.
Secondo il report “Urbanization, Biodiversity and
Ecosystem services: Challenges and Opportunities”,
un’attenta progettazione delle aree verdi urbane potrebbe
infatti trasformare le città del futuro in veri e propri serbatoi di
vegetazione, in grado di mitigare le emissioni
di gas serra e contrastare la frammentazione degli habitat
che porta alla scomparsa delle specie. Il report è
stato pubblicato lo scorso ottobre ed è frutto del lavoro di oltre
200 scienziati coinvolti nel progetto Cities
and Biodiversity Outlook (CBO).
Il
CBO è il primo studio globale sui legami tra urbanizzazione e
biodiversità,
ed è stato promosso dopo il summit di Nagoya del 2010, grazie ad una
partnership fra ICLEI
e lo Stockholm
Resilience Center, nell’ambito della
Convenzione sulla Diversità Biologica. Strutturato in 10 punti
focali, il sito del progetto offre un’accurata sintesi del legame
tra biodiversità
e aree urbane e consente di scaricare la
pubblicazione di quest’anno, prodotta come
supporto scientifico di dettaglio alla relazione Action
and Policy del 2012.
Città
che cambiano
Gran
parte delle attività di produzione e consumo di beni e servizi si
concentra nelle città, contribuendo per circa l’80% alle emissioni
globali di gas serra. Se il trend attuale di urbanizzazione si
manterrà invariato,
circa il 70% della popolazione mondiale vivrà in
aree urbane entro
il 2050, e ciò si tradurrà in una quantità di
emissioni
sempre più elevata e in una
richiesta di acqua e cibo sempre più
pressante. Tuttavia, secondo il CBO, le città devono essere
considerate non soltanto come ingombranti fonti d’impronta
ecologica, ma anche come opportunità di generare soluzioni
innovative per migliorare la qualità della vita e contrastare il
cambiamento climatico, la perdita di biodiversità
e la scarsità di cibo. Come? Prima di tutto con una gestione
attenta del verde cittadino, che favorisca la
connettività fra le zone di vegetazione extraurbane tramite corridoi
e coperture verdi per i soffitti e le pareti esterne degli edifici
(figura 1). Oltre a favorire la
biodiversità,
l’esistenza di percorsi verdi aumenta
infatti il consumo di anidride carbonica, mitigando le
emissioni
antropiche in atmosfera.
Figura 1. Progettazione
di pareti e soffitti verdi per gli edifici cittadini.
Per
un risultato più economico e sostenibile è molto importante
ripensare gli spazi già esistenti,
piuttosto che costruirne di nuovi. Particolarmente
utile, ad esempio, è il recupero dei cosiddetti brownfields,
ovvero aree industriali o commerciali dismesse che, tramite
un’attenta riqualificazione in chiave verde, possono tornare a
occupare un proprio ruolo urbanistico. In senso ideologico,
gestire al meglio il verde urbano può significare anche garantire ai
cittadini un maggior livello di autosufficienza nella
produzione di acqua e cibo. Spazi verdi ben progettati,
infatti, possono essere utilizzati come orti urbani per coltivare
frutta e verdura, oltre che per arricchire le falde
idriche. E la creazione di fonti di cibo alternative
non solo è importante per contrastare la distruzione di terreno
agricolo legata all’urbanizzazione, ma anche per garantire una
maggiore sicurezza alimentare e un minor dispendio energetico in
termini di trasporto delle merci. Sono sempre di più gli esempi di
centri urbani che hanno assimilato questi principi, avventurandosi
verso una prima trasformazione. Si tratta di cittadine europee come
Todmorden (Gran Bretagna) Almere (Paesi Bassi) o Monaco di Baviera
(Germania), ma anche di metropoli mondiali, come Londra, New York,
Montreal, Kampala, Cuba (figura 2).
Figura 2. Agricoltura
urbana nella città di Cuba. Foto aerea delle coltivazioni.
Il
distretto di Yokohama (Giappone) ha addirittura introdotto un nuovo
sistema di tassazione che tutela degli spazi verdi, grazie al quale
prevede di ridurre le proprie emissioni
del 60% entro il 2050. Il report del CBO analizza molte realtà
di questo tipo, disseminate in giro per il mondo. Contrariamente a
quanto si creda, sono
molte le grandi metropoli con un alto livello di biodiversità:
Berlino, Chicago, Città del Messico, Nagoya, San Paolo, per
citarne solo qualcuna. Alcune città sono state in grado di
valorizzare e preservare al meglio questa loro caratteristica,
realizzando aree urbane di tutela floro-faunistica diventate dei veri
e propri hotspot di diversità biologica, come il Table Mountain
National Park di Città del Capo, il Sanjay Gandhi National Park di
Mumbai e il National Urban Park di Stoccolma.
Anche la Toscana guarda al futuro
Un'amministrazione
efficace dello spazio urbano deve considerare le connessioni di
risorse che collegano le città agli ecosistemi
al di fuori dei confini urbani e favorire la continuità fra zone
verdi antropiche e naturali. Perché ciò possa realizzarsi sono
necessari strumenti finanziari mirati, ma soprattutto una
legislazione adeguata. Sotto questo punto di vista, dopo
l’approvazione della legge regionale sugli spazi verdi e l’attività
vivaistica (LR
41/2012), la Toscana rappresenta un
modello d’innovazione. La nuova norma coniuga la
potenzialità economica del vivaismo toscano con la volontà di
valorizzare il verde pubblico per mitigare il clima e abbattere
l'inquinamento, ed è la prima legge specifica su questo
settore in Italia, promossa ancor prima di analoghi
provvedimenti nazionali. Il futuro sviluppo urbanistico cittadino
dovrà prevedere interventi di copertura a verde
come tetti o pareti vegetate, sia su edifici civili che in aree
industriali o commerciali, e dovrà sviluppare nuovi paesaggi e
boschi urbani che tengano conto delle specie caratteristiche della
nostra zona. Come tassello
peri-urbano fondamentale per la rete verde, il settore
vivaistico sarà favorito tramite politiche di sostegno
per il rimodernamento degli impianti e attraverso lo sviluppo di
azioni di mercato e piani di sperimentazione.
La
Toscana si rivela all’avanguardia anche per quanto riguarda
l’agricoltura urbana. Secondo Coldiretti, in base al rapporto Istat
sul verde urbano, Firenze è uno dei capoluoghi italiani
con la più alta percentuale di orti cittadini: lo 0,7%
del verde disponibile, contro una media nazionale dello 0,2%, per un
totale di circa 6,3 ettari sul territorio comunale. Fra le città
toscane, seguono Livorno (0,5%) e Prato (0,1%). Non si tratta
soltanto di orti privati. Recentemente, infatti, con l’iniziativa
“Orti Dipinti”, è nata anche la prima sperimentazione di
“community garden”, promossa dalla comunità fiorentina in
collaborazione con l’Amministrazione comunale di Firenze e il
Centro Sociale Barbieri.
Il
progetto appartiene alla rete degli Orti
di Campagna Amica e prevede la realizzazione di
un orto comunitario nello spazio limitrofo all’Istituto Barberi e
all’ex pista di atletica. Gli ortaggi prodotti saranno condivisi
tra i coltivatori e gli sponsor, o verranno utilizzati per
l’organizzazione di cene sociali.
ARPAT - Testo a cura di Claudia Becchi
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