martedì 14 ottobre 2014

Patti di stabilità e dissesti idrogeologici... è ora di sganciarsi......




Il  dramma dell'alluvione della Liguria di ponente è solo l'ultimo capitolo del “romanzo” tutto italiano delle catastrofi, oggi definite climatiche. Tragedie causate oggi più di ieri dal cosiddetto “global change” ormai inarrestabile su tutto il pianeta. Del problema dei cambiamenti climatici, indotti dal Global Warming, e del conseguente aumento delle catastrofe climatiche se ne parla in Italia dal 1990, ma da allora ad oggi cosa è stato fatto? Tante parole e pochi fatti. Ha spesso prevalso la negligenza di chi in regione o a Roma ci ha governato e ci governa; ha prevalso la corruzione, l’assurda e medioevale(unica al mondo) burocrazia e poi, dulcis in fundo, quei maledetti patti di stabilità che, per la gioia delle “strategie e filosofie” di quest’Europa delle banche, ha legato le mani a tutti i sindaci d’Italia impedendo loro di disporre dei propri soldi per realizzare opere di prevenzione da cataclismi naturali. A questo si è aggiunta l’incompetenza e la poca sensibilità dei nostri politici sui problemi collegati ai cambiamenti climatici e alla fragilità del territorio. In più non sono mai stati presi sul serio gli innumerevoli allarmi lanciati non solo da organizzazioni come la nostra, ma da enti autorevoli come il CNR e l’ENEA.

Tre anni fa parlammo nel nostro notiziario già del rischio idrogeologico del nostro Paese. Inviammo, fino a poche settimane fa i nostri studi e il progetto “Ganesha” che prevedeva e prevede la messa in sicurezza di comuni e località a rischio frane e allagamenti. Ovviamente i nostri servizi, i nostri studi, come tanti altri di organizzazioni coma la nostra sono finiti nei cestini dei nostri dirigenti e funzionari delle regioni e dei ministeri che ci governano.

Ma non demordiamo, dopo l’ultimo previsto disastro di Genova, riproponiamo un nostro breve servizio, nel tentativo almeno di informare il pubblico.

Nella prima cartina: in rosso le aree a maggior rischio alluvioni e frane a seguire le aree con il colore arancione. Nella seconda: le aree maggiormente interessate da alluvioni, frane e valanghe. ( fonti: CNR e ISPRA )

Nel nostro Paese più dell’80% dei comuni è ad alto rischio. Secondo l’ultimo rapporto del Corpo forestale dello Stato, sono oltre 6.600 i comuni , su un totale di 8.092 posti in aree ad elevato rischio idrogeologico, corrispondenti al 10 per cento della superficie della penisola. Il che significa che 5,8 milioni di italiani vivono in una situazione di potenziale pericolo.

Per il CFS negli ultimi anni c'è stato un aumento straordinario dei Comuni a rischio idrogeologico, dalla Liguria al Sud e specialmente tra quelli più piccoli. Tra le cause che condizionano e amplificano il "rischio meteo-idrogeologico ed idraulico" c'è anche "l'azione dell'uomo", con abbandono e degrado, cementificazione, consumo di suolo, abusivismo, disboscamento e incendi. Ma per la Forestale, "la causa principale è sicuramente la mancanza di una seria manutenzione ordinaria che è sempre più affidata ad interventi 'urgenti', spesso emergenziali, e non ad una organica politica di prevenzione".

Nella classifica delle regioni a maggior rischio idrogeologico, con il 100 per cento dei comuni esposti, in cima troviamo la Calabria, il Molise, la Basilicata, l'Umbria, la Valle d'Aosta, oltre alla provincia di Trento. Poi Marche, Liguria al 99%; Lazio, Toscana al 98%; Abruzzo (96%), Emilia-Romagna (95%), Campania e Friuli Venezia Giulia al 92%, Piemonte (87%), Sardegna (81%), Puglia (78%), Sicilia (71%), Lombardia (60%), provincia di Bolzano (59%), Veneto (56%). Nel 2013, la popolazione che viveva nelle aree di rischio era più numerosa nel nord est (1.629.473 cittadini), seguito dal sud (1.623.947), dal nord ovest (1.276.961), dal centro (1.081.596) e dalle isole (90.794).

Scuole e ospedali minacciati. Secondo un rapporto Ance-Cresme, una scuola su dieci è a potenziale rischio: 6.400 edifici scolastici, sui 64.800 totali presenti in Italia, sorge infatti in un'area a rischio frana o alluvione. Lo stesso discorso vale per gli ospedali: 550 strutture si trovano in una zona a rischio. Ma non siamo sicuri neanche nei luoghi di lavoro: sono 46mila le industrie che si trovano in territori a rischio idrogeologico e se contiamo anche gli uffici, i negozi e le altre attività saliamo a 460mila.

Le vittime in Italia a causa delle frane e delle alluvioni, secondo la Coldiretti, sono state oltre 4mila dal 1960 ad oggi. Fra il 1960 e il 2012, tutte le venti regioni italiane hanno subito eventi fatali. Si tratta di 541 inondazioni in 451 località di 388 comuni, che hanno causato 1.760 vittime (762 morti, 67 dispersi, 931 feriti), e 812 frane in 747 località di 536 Comuni con 5.368 vittime (3.413 morti compresi i 1.917 dell'evento del Vajont del 1963, 14 dispersi, 1.941 feriti).

Oltre alle vite umane perse per disastri idrogeologici, il costo complessivo per intervenire sui danni provocati da allagamenti, frane e crolli di abitazioni e ponti, dal 1990 ad oggi ha abbondantemente superato i 290 miliardi di euro.

Negli ultimi dieci anni l’incidenza di fenomeni meteo estremi è passata da una media di un paio di eventi all’anno a più di 8 l’anno. I giornalisti si sono divertiti a trasformare la parola nubifragio in “bomba d’acqua” una definizione poetica ma non scientifica, resta tuttavia che l’energia che caratterizza le manifestazioni estreme meteo ( nubifragi) negli ultimi anni è enormemente aumentata, al punto che sarebbe più corretto chiamare questi eventi più come nubifragi di tipo monsonico e non “bombe d’acqua”. Resta tuttavia il fatto che l’aumento del riscaldamento globale dell’atmosfera terrestre ha attivato una pericolosa macchina del tempo meteorologico che si autoalimenta sempre di più e che sfugge anche alle più attente previsioni scientifiche. Ciò vuol dire che eventi catastrofici come l’ultimo di Genova saranno sempre più presenti sul nostro fragile territorio. Un territorio geologicamente incapace di sostenere questi fenomeni meteo estremi.

Per Accademia Kronos ora non c’è più spazio per le solite aride contestazioni, condanne e riflessioni dei soliti saccenti, né di nuovi talk show televisivi che fanno spettacolo sui drammi delle persone. C’è bisogno di agire. Esistono ormai direttive comunitarie che chiedono ai comuni di adottare progetti di prevenzione disastri climatici conosciuti come SNA ( Strategia Nazionale Adattamento) e successivamente i PNA, ossia i Piani Nazionali di Adattamento. Al momento Ancona risulta il primo comune che ha attuato questo piano. Ne restano al momento altri 8.094. Quindi non c’è nulla da inventarsi, esistono già progetti, procedure e finanziamenti comunitari per evitare altri disastri. Cosa aspettiamo? Accademia Kronos tramite il progetto “Ganesha” e i suoi 56 esperti sul territorio nazionale da tempo ha chiesto sia al Ministro dell’Ambiente che alla Regione Lazio di essere ascoltato. Purtroppo in un Paese Partitocratico come l’Italia si viene ascoltati solo se si fa parte di una certa casta o mafia politica. Accademia Kronos ne è al di fuori di questa “cultura” e, quindi, anche se ha idee e progetti utili viene metodicamente ignorata. Viva l’Italia!!

Filippo Mariani





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