Il Mediterraneo si è innalzato di circa 30 cm negli
ultimi mille anni rispetto ad un aumento più che triplo previsto nei
prossimi 100 anni dal gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite (IPCC). È
quanto emerge da una ricerca sulle variazioni del livello del
Mediterraneo coordinata dall’ENEA, che dimostra come le previsioni al
2100 dell’IPCC rappresentino un’evidente accelerazione dell’innalzamento
del livello dei mari, dovuta principalmente al cambiamento climatico.
Lo studio, pubblicato dalla rivista scientifica Quaternary International dell’editore Elsevier, è stato realizzato insieme a ricercatori dell’INGV e delle Università di Roma “La Sapienza”, Bari “Aldo Moro”, Lecce, Catania, Haifa (Israele), Parigi e Marsiglia (Francia).
“La ricerca ha preso in esame l’innalzamento del nostro mare in un arco temporale mai studiato prima”, spiega Fabrizio Antonioli del Laboratorio Modellistica Climatica e Impatti dell’ENEA, che ha coordinato lo studio. “In mille anni – aggiunge Antonioli – il Mediterraneo è aumentato da un minimo di 6 a un massimo di 33 cm, un livello inferiore del 65 per cento rispetto alle più recenti proiezioni dell’IPCC, secondo le quali l’innalzamento del mare a livello mondiale è stimato tra i 60 e i 95 cm entro il 2100. Si tratta di un’evidente accelerazione, dovuta principalmente al cambiamento climatico causato dall’aumento della concentrazione di CO2 in atmosfera, che negli ultimi quattro anni ha superato in modo stabile il valore di 400 ppm, un livello mai toccato sulla Terra negli ultimi 23 milioni di anni”.
Per studiare le variazioni del livello del Mediterraneo, il team di ricerca ha preso in esame 13 siti archeologici sulle coste di Italia, Spagna, Francia, Grecia e Israele, in luoghi dove venivano estratte le mole olearie, cioè le grosse pietre utilizzate per la macinazione delle olive. L’aumento più elevato è stato riscontrato in Grecia a Nea Peramos sul golfo Saronico vicino ad Atene, mentre il valore più basso è stato misurato nell’isola spagnola di Maiorca. “Questo studio – sottolinea Antonioli – è stato realizzato in aree stabili da un punto di vista tettonico, alcune anche parzialmente sommerse, coniugando scienza e archeologia”. In Italia l’indagine si è concentrata in tre aree del sud - Scario (Salerno), Torre Santa Sabina, vicino Otranto (Lecce) e Punta Penne (Brindisi) - dove il livello del mare si è innalzato di circa 15 cm negli ultimi mille anni.
“In Italia – conclude Antonioli – sono 33 le aree a rischio a causa dell’aumento del livello del mare. Le aree più estese si trovano sulla costa settentrionale del mare Adriatico tra Trieste e Ravenna, altre aree particolarmente vulnerabili sono le pianure costiere della Versilia, di Fiumicino, le Piane Pontina e di Fondi, del Sele e del Volturno, l'area costiera di Catania e quelle di Cagliari e Oristano. Il massimo aumento del livello delle acque è atteso nel Nord Adriatico dove la somma del mare che sale e della costa che scende raggiungerà valori compresi tra 90 e 140 centimetri”.
(Fonte: Arpat)
Lo studio, pubblicato dalla rivista scientifica Quaternary International dell’editore Elsevier, è stato realizzato insieme a ricercatori dell’INGV e delle Università di Roma “La Sapienza”, Bari “Aldo Moro”, Lecce, Catania, Haifa (Israele), Parigi e Marsiglia (Francia).
“La ricerca ha preso in esame l’innalzamento del nostro mare in un arco temporale mai studiato prima”, spiega Fabrizio Antonioli del Laboratorio Modellistica Climatica e Impatti dell’ENEA, che ha coordinato lo studio. “In mille anni – aggiunge Antonioli – il Mediterraneo è aumentato da un minimo di 6 a un massimo di 33 cm, un livello inferiore del 65 per cento rispetto alle più recenti proiezioni dell’IPCC, secondo le quali l’innalzamento del mare a livello mondiale è stimato tra i 60 e i 95 cm entro il 2100. Si tratta di un’evidente accelerazione, dovuta principalmente al cambiamento climatico causato dall’aumento della concentrazione di CO2 in atmosfera, che negli ultimi quattro anni ha superato in modo stabile il valore di 400 ppm, un livello mai toccato sulla Terra negli ultimi 23 milioni di anni”.
Per studiare le variazioni del livello del Mediterraneo, il team di ricerca ha preso in esame 13 siti archeologici sulle coste di Italia, Spagna, Francia, Grecia e Israele, in luoghi dove venivano estratte le mole olearie, cioè le grosse pietre utilizzate per la macinazione delle olive. L’aumento più elevato è stato riscontrato in Grecia a Nea Peramos sul golfo Saronico vicino ad Atene, mentre il valore più basso è stato misurato nell’isola spagnola di Maiorca. “Questo studio – sottolinea Antonioli – è stato realizzato in aree stabili da un punto di vista tettonico, alcune anche parzialmente sommerse, coniugando scienza e archeologia”. In Italia l’indagine si è concentrata in tre aree del sud - Scario (Salerno), Torre Santa Sabina, vicino Otranto (Lecce) e Punta Penne (Brindisi) - dove il livello del mare si è innalzato di circa 15 cm negli ultimi mille anni.
“In Italia – conclude Antonioli – sono 33 le aree a rischio a causa dell’aumento del livello del mare. Le aree più estese si trovano sulla costa settentrionale del mare Adriatico tra Trieste e Ravenna, altre aree particolarmente vulnerabili sono le pianure costiere della Versilia, di Fiumicino, le Piane Pontina e di Fondi, del Sele e del Volturno, l'area costiera di Catania e quelle di Cagliari e Oristano. Il massimo aumento del livello delle acque è atteso nel Nord Adriatico dove la somma del mare che sale e della costa che scende raggiungerà valori compresi tra 90 e 140 centimetri”.
(Fonte: Arpat)
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