La vita nasce dall’inorganico ma se non fosse già presente nella materia in forma germinale come potrebbe sorgere e trasformarsi in intelligenza e coscienza?
Da ciò se ne deduce che la coscienza e l’intelligenza sono come una “fragranza” della materia e quindi non vi è reale separazione.
La differenza è solo nella fase… La vita è un'espressione manifestativa della materia e la coscienza è la capacità della vita di conoscere se stessa. Partendo da questa considerazione osserviamo che la spinta evolutiva di questa intelligenza/vita si evolve attraverso stati diversi di consapevolezza.
Nelle forme pensiero esistono gradi descrittivi della maturità assunta da questa intelligenza. Tralasciamo per il momento gli aspetti più vicini all’animalità, all’istinto, e prendiamo in considerazione solo gli aspetti “sottili” del pensiero umano. Osserviamo che sia in occidente che in oriente vengono descritti gli aspetti separativi e unificativi del processo mentale che conosce l'interno e l'esterno (solve et coagula).
In Grecia come in India si è parlato di pensiero duale e pensiero non-duale. Nel pensiero duale viene inserita ogni forma cristallizzata separativa, come il teismo e l’ateismo. Queste due categorie infatti sono viste come sfaccettature della stessa conformazione separativa.
Il teista è colui che crede in un dio separato da sé, lo immagina in veste di essere superiore e dotato di immensi poteri e vede se stesso come creatura alla sua mercé.
L’ateo crede di non credere, ovvero nega ogni sostanza all’ipotetico dio basando il suo credo sul relativismo materialista. Ovviamente entrambe queste "fedi" si basano sulla piccolezza e separatezza dell’io ed abbisognano di uno sforzo continuo e costante per affermare o negare, un tentativo frustrante che comunque non prende in considerazione l’agente primo, l’io, se non in forma passiva e marginale. Questo modo di pensare duale è lo stesso sia per il religioso che per l’ateo materialista che crede in causa-effetto o nella fortuità del caso. E’ un percorso puramente speculativo, basato comunque sul credere.
La fase evoluta dell’auto-conoscenza, definita non-duale, è quella in cui si inizia a tener conto del soggetto reale, ovvero la coscienza attraverso la quale ogni percezione e sentimento sono possibili, si riconosce nella consapevolezza la matrice della propria esistenza.
L’esperienza empirica viene portata alle sue estreme conseguenze con il riconoscimento della costante presenza dell’io nel processo implicato. Viene superato così il modello del credere in verità precostituite accettando la realtà intrinseca dello sperimentatore che esperimenta, in quanto entità inscindibile.
L'uomo di conoscenza, il saggio che conosce se stesso in quanto pura consapevolezza, non ha assolutamente bisogno di credere in alcunché, la sua realizzazione è totale e definitiva, la sua presenza non è limitata ad un nome forma, egli si conosce come il tutto dal quale ognuno di noi proviene e risiede.
In questo stato né sente il bisogno né ha mezzi per esprimere la sua esperienza, giacché il linguaggio umano è molto distante dall’esperienza diretta del Sé.
Il saggio non vede differenza alcuna fra sé e l'altro, egli sa che la base vitale è la stessa per ognuno (materia-spirito in continua trasformazione), egli “conosce” che la coscienza e l’esistenza sono inseparabili nell’assoluta unità (uno senza due) e resta in silenzio.
Infatti anche queste parole, descrittive del suo stato, non possono significare la sua esperienza.
Paolo D'Arpini
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