Le considerazioni che riguardano in senso lato questioni potenzialmente pericolose per la salute pubblica e per l’ambiente naturale e antropico, portano in conclusione a suggerire l’adozione del principio di precauzione (precautionary principle) introdotto per la prima volta dal Trattato di Maastricht nell’Unione Europea, che stabilisce il dovere di prevenire e di ridurre la possibilità che possano verificarsi emissioni o eventi inquinanti e di evitare un impatto ambientale indipendentemente dalla prova certa che esso possa verificarsi ma in presenza di indizi fondati scientificamente che possano farlo ritenere probabile. Viene assunto un atteggiamento di prudenza, in definitiva, anche in assenza di prove (tecnicamente e materialmente misurabili) idonee a dimostrare l’esistenza di un nesso causale tra le emissioni e potenziali effetti negativi significativi.
Si ritiene che lo spargimento nei campi di fanghi prelevati dagli impianti di depurazione fognaria sia proprio uno dei casi in cui tale principio debba essere applicato, trattandosi di rischi per la salute. In aggiunta si richiama il principio di prevenzione (o di correzione alla fonte), sempre adottato dall’Unione Europea ed elemento trasversale della normativa e dei programmi d’azione, che stabilisce che bisogna operare perché gli inquinamenti vengano evitati (ad es. agendo sulla qualità delle materie prime e all’interno della struttura dei cicli produttivi perché siano intrinsecamente sicuri e a ridotte emissioni) anziché andare a combatterne successivamente gli effetti sul campo.
Questi due principi-cardine della politica comunitaria sono stati resi operativi a partire dai primi due programmi d’azione in materia ambientale e sanciscono per la prima volta la centralità dell’interesse ambientale in qualsiasi programmazione o decisione adottata nella Comunità introducendo il principio della priorità della prevenzione degli inquinamenti nonché il principio “chi inquina paga” che comporta la necessità di addossare all’inquinatore il costo della prevenzione, della riduzione, nonché della riparazione del danno causato all’ambiente.
ITALIA NOSTRA, PERTANTO, esprime netta contrarietà all’impiego di fanghi di rifiuto dei depuratori biologici cittadini, sia se alimentati da fognature che includono anche scarichi di tipo industriale che di tipo “esclusivamente” civile, essendo la città un organismo estremamente complesso ove nelle fognature può finire di tutto, sia nell’ordinarietà che per ignoranza, disattenzione o per colpa. Chiariamo ancora più esplicitamente: prevenire e assumere un principio precauzionale implica che non si tratta di rivedere la normativa attuale obsoleta, arricchendola di qualche parametro o di qualche cautela: la norma necessaria è il divieto, così come hanno fatto alcune Nazioni europee. La posta in gioco è troppo elevata e riguarda la salute, la salubrità del cibo, la qualità dell’ambiente e la vivibilità in sicurezza dei paesaggi agricoli del nostro Paese.
Nel frattempo… Si può procedere da subito alla riduzione significativa del quantitativo di fanghi di rifiuto da smaltire, prodotti dai depuratori esistenti, dotando di semplici digestori anaerobici i depuratori che non ancora ne fossero provvisti, con quattro benefici: produzione di biogas impiegabile a fini energetici nello stesso depuratore; lavorabilità del fango in quanto il digestato residuo è maggiormente palabile; riduzione importante del quantitativo da smaltire come rifiuto; conseguente risparmio economico. La produzione di fanghi può essere del tutto eliminata adottando, specie per agglomerati abitativi fino a 2000-3000 abitanti 14 , ovunque sia possibile, i 14 Possono essere realizzati fitodepuratori (constructed wet-lands) anche di grandi dimensioni, avendo disponibilità di spazio e collegandoli in parallello, al servizio di decine di migliaia di abitanti.
Il D.Lgs 152/06 recante “Norme in materia ambientale” dispone che per la scelta della tipologia degli impianti di depurazione: “I trattamenti appropriati devono essere individuati con l’obiettivo di rendere semplice la manutenzione e la gestione, essere in grado di sopportare adeguatamente forti variazioni orarie del carico idraulico e organico e di minimizzare i costi gestionali.” A riguardo precisa: “Per tutti gli agglomerati con popolazione equivalente compresa tra 50 e 2000 a.e, si ritiene auspicabile il ricorso a tecnologie di 25 fitodepuratori, tecnica naturale di depurazione delle acque peraltro raccomandata dalla legge quanto poi non applicata.
Trattasi di una tipologia di impianti che consentono uno straordinario inserimento nel paesaggio, al punto da divenire indistinguibili dal contesto e non percepibili in quanto non emettono suoni o odori e non richiedono attrezzature elettromeccaniche. L’arricchimento correttivo in carbonio nei suoli, ove necessario, può essere assicurato, più correttamente e opportunamente dal compost di qualità ottenuto dalle frazioni biodegradabili dei rifiuti conferiti in maniera differenziata e da tutte le frazioni organiche di origine naturale residue delle lavorazioni (potature, industria del legno, allevamenti ecc…). Non è l’agricoltura ad aver bisogno dei rifiuti fangosi dei depuratori, bensì il più utilitaristico e spregiudicato interesse economico.
A cura di Giovanni Damiani di Italia Nostra
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