La fase dell’attesa e anche delle incertezze sta per terminare. Joe Biden ha deciso di tentare la spallata per sconfiggere l’armata putiniana in Ucraina. A nome dell’Amministrazione Usa ha parlato mercoledì 15 marzo il ministro della Difesa Lloyd Austin, subito dopo la conclusione del vertice online con i colleghi degli oltre 50 Paesi che forniscono armi a Kiev. Austin è stato netto: «Non c’è più tempo da perdere. Stiamo mettendo insieme le armi e i mezzi militari che consentiranno agli ucraini di riconquistare il territorio perduto». Stando alle indiscrezioni, la controffensiva dovrebbe scattare nel mese di maggio. Tra circa due mesi, quindi. Il tempo necessario per far confluire in Ucraina centinaia di carri armati e veicoli blindati, compresi otto mezzi in grado di gettare i ponti per guadare il fiume Dnipro, la linea di trincea che si è formata nel Sud Est del Paese.
L’addestramento
Le prossime settimane saranno utilizzate anche per addestrare altre centinaia di soldati ucraini a familiarizzare con gli ordigni più sofisticati nelle basi Usa, britanniche e della Nato. I generali del Pentagono ritengono che l’Armata putiniana e le milizie mercenarie della Wagner siano allo stremo e a corto di armi. Possono essere battute, se non travolte, a patto di mettere in campo uno sforzo aggiuntivo e di fare presto. In realtà anche il blocco occidentale potrebbe presto avere problemi nell’assicurare continuità ai rifornimenti. Le industrie belliche americane ed europee faticano a tenere il passo delle esigenze sul campo di battaglia. Stanno già scarseggiando munizioni per l’artiglieria e per i sistemi di difesa aerea. Ecco perché Biden e Austin ora vogliono bruciare i tempi, prima che la mancanza di armi costringa l’esercito ucraino e i suoi sponsor a impantanarsi in un conflitto senza orizzonti.Le implicazioni politiche di questa mossa militare sono, naturalmente, della massima importanza. Per tutto l’inverno Biden ha temporeggiato, mantenendo l’approccio gradualista che ha adottato fin dall’inizio della guerra, nel tentativo di evitare lo scontro diretto con la Russia. Nello stesso tempo il governo Usa ha sempre cercato di agganciare il Cremlino.
Il rischio della reazione di Putin
Ancora due settimane fa, il 2 marzo scorso, il Segretario di Stato Antony Blinken aveva contattato il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov, a margine del G20 a Nuova Delhi in India. Senza contare le manovre diplomatiche per coinvolgere la Cina in una trattativa multipolare. Le parole di Austin e i preparativi in corso di fatto superano questa fase. Adesso gli Stati Uniti puntano esplicitamente alla sconfitta militare di Putin. Solo dopo, si potranno aprire i negoziati di pace. Ma l’iniziativa degli americani è piena di insidie e di rischi: difficile prevedere quale potrebbe essere la reazione di Vladimir Putin, un autocrate che dispone di un micidiale arsenale nucleare. Washington sta cercando di mantenere aperti «i canali di comunicazione» con la Russia. Lo stesso Austin sempre ieri pomeriggio (sera inoltrata in Italia) ha contattato il ministro della difesa russo Sergei Shoigu per smorzare le tensioni seguite alla «crisi del drone». Martedì 14 marzo, due caccia russi avevano intercettato e messo fuori uso un drone Usa in volo sulle acque del Mar Nero. Il messaggio del Pentagono è duplice: cercheremo di vincere la guerra in Ucraina, ma non vogliamo lo scontro diretto con Mosca. La reazione del governo ucraino è entusiasta. Il ministro della Difesa, Oleksii Reznikov, ha twittato: «La riunione del gruppo di Ramstein ispira ottimismo…formeremo un pugno corazzato». Vedremo, invece, come risponderà Putin, nelle trincee dell’Ucraina e nella rete diplomatica internazionale.
(Corriere della Sera del 16 marzo 2023 - Giuseppe Sarcina)
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L'avvertimento del Papa a Zelensky
C’è un dettaglio forse passato inosservato ai più. E riguarda un messaggio di Papa Francesco . Ha detto il Pontefice, rivolgendosi agli ucraini, che tutti i luoghi di fede devono essere rispettati. "Chiedo alle parti in guerra di rispettare i luoghi religiosi. Le suore consacrate, le persone consacrate alla preghiera di qualsiasi confessione, sono sostegno del popolo di Dio”. Francesco ha citato in particolare la situazione delle suore e dei monaci della Lavra di Kiev che rischiano di essere allontanati perché fedeli al Patriarcato di Mosca. Direte: embé? Beh, conta. Perché il Papa di fatto ha accolto l’appello del Patriarca Kirill, preoccupato per l’ipotesi di Kiev di mettere al bando la chiesa fedele a Mosca e per le accuse di collaborazionismo rivolte a sacerdoti e vescovi ortodossi (...)
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