Forse,
dal punto di vista professionale, non sono titolata a parlare di
"lavoro alternativo" essendo io inserita nel mondo del
lavoro come dipendente pubblico. Lavoro come veterinaria presso una
AUSL del Nord Italia. Però mi interesso di lavoro "alternativo"
in quanto penso che il sistema del pubblico impiego non possa andare
avanti ancora molto in questo modo, troppo dispendioso per le misere
casse dello Stato e i tentativi di emarginare l'emorragia si stanno
già sentendo.
In passato è stata elargita una pletora di posti di
lavoro pubblici, ma il sistema non mi pare più in grado di
sostenerne l'onere. L'impiego pubblico è stato per decenni il sogno
di molti italiani e per molti ha costituito una sicurezza; oggi che
le risorse sono minori gli enti pubblici contraggono gli organici,
non sostituendo più in molti casi, i pensionamenti. Quindi le
prospettive in questo settore molto ampio sono in netta diminuzione
per chi, con una laurea come la mia in tasca, o tanti altri titoli di
studio, si affaccia oggi al mercato del lavoro.
Anche nel settore
privato comunque le prospettive non sono rosee. Le fabbriche e le
altre attività imprenditoriali chiudono o cercano di contrarre gli
organici e se fanno nuove assunzioni, molto spesso usano contratti a
tempo determinato o questi nuovi contratti (co.co.co. co.co.pro.,
pagamento in voucher) che non danno sicurezza.
La
sicurezza del posto fisso ce la dobbiamo scordare? Questo potrebbe
essere anche un bene a patto che ci sia facilità nel passaggio da un
lavoro all'altro, pubblico o privato che sia. Penso alle difficoltà
nelle ricongiunzioni ai fini pensionistici e quello che ci sta
intorno.
Ho usato prima il termine
"mercato del lavoro", triste definizione, secondo me, che è
indicativa della situazione: il lavoratore, di qualsiasi categoria
faccia parte, è ormai un oggetto di compravendita; se c'è domanda
può sperare di essere "acquistato", altrimenti deve
barcamenarsi ed adattarsi ad altri settori.
Da
tempo penso che viviamo in un sistema paradossale: la tecnologia
(trattori, macchine agricole varie, gru, betoniere, ecc.) ha
sollevato l'uomo ormai da oltre un secolo dai lavori più pesanti, e
anche il lavoro di servizio si è semplificato grazie
all'introduzione dell'informatica. Ci sarebbe dovuto essere
parallelamente ed in conseguenza di queste facilitazioni la riduzione
dalla necessità dell'impegno di lavoro ed in effetti così è stato
da un certo punto di vista: dove prima in un'azienda agricola
lavoravano 50 persone, oggi ne bastano 3 o 4, in un ufficio dove
c'era bisogno di 10 scrivani oggi 1 o 2 sono sufficienti. Quindi le
persone che trovano facilmente impiego sono sempre di meno, gli altri
devono inventarsi qualcosa. Se due più due fa sempre quattro, la
soluzione dovrebbe essere la riduzione degli orari di lavoro.
C'è
si una tendenza ad un ritorno al lavoro manuale ed in maniera non più
estensiva, in agricoltura biologica, ad esempio, ma il reddito in
questi casi viene ad essere poco gratificante, se si considera la
spesa per il maggior tempo impiegato, la minore resa per il mancato
uso dei pesticidi e dei concimi chimici. Anche qui, solo la richiesta
del mercato, di un mercato sensibile alla salubrità degli alimenti
può fare la differenza.
Vorrei
però fare un passo indietro, e fare un discorso che a qualcuno potrà
apparire un po' retrogrado, pensando che negli ultimi decenni mentre
il lavoro produttivo si è ridotto sempre più, e quindi necessita di
meno occupati, le persone in cerca di occupazione (fuori di casa)
sono enormemente aumentate (in percentuale sulla popolazione attiva).
Le persone ,fino a qualche decennio fa, vivevano in famiglie
numerose, e non avevano tutti la necessità di portare a casa un
reddito. Oggi, vivendo tutti in famiglie nucleari, di coppie con o
senza figli o single, ne hanno bisogno per potersi permettere una
casa (e le relative utenze), senza considerare beni voluttuari o in
certi casi anche necessari come un'automobile, vacanze, abbigliamento
nuovo e alla moda, ogni genere di aggeggi e attrezzi (telefonini,
computer e quant'altro), ed altro etc.
Anche
la cosiddetta libertà di separarsi e vivere una vita da single
necessita una indipendenza economica che si può ottenere solo, con i
tempi che corrono, con un lavoro ben pagato.
Certo
una volta le nostre mamme e nonne ne avevano abbastanza da fare a
badare ai bambini o agli anziani, fare da mangiare e tenere un
dietro alla casa. Anche le famose zie zitelle o zii scapoli
spesso continuavano a far parte della famiglia di origine alla quale
contribuivano in qualche modo. Non c'era forse una grande intimità,
ma si aveva l'appoggio di tutto il "clan" nelle
scelte familiari,
nelle spese generali, nei momenti difficili e la solitudine magari
non si conosceva. I nonni erano una figura importante, la loro
esperienza era un valore e la loro saggezza era fondamentale per la
crescita di giovani sani e sereni. I lavori erano massimamente
agricoli o artigianali.
Non
riesco a capire come ha fatto l'uomo ad essere così incosciente da
farsi trascinare nell'industrializzazione: è stata una svolta tutta
a favore di poche persone che si sono arricchite (ma a volte si sono
anche rovinate), che hanno potuto sfruttare il miraggio del posto
fisso e della "minore fatica" per trovare tanti schiavetti
a buon mercato per accumulare denaro e beni materiali e farsi amici
così del potere che ha pensato sempre meno al bene del popolo. Ed
adesso ci dobbiamo arrabattare a cercare il lavoro alternativo...
Ci
vorrebbe un governo illuminato, che potesse fare una ricognizione di
tutti i lavori necessari (ma quelli veramente necessari), eliminasse
tutti i lavori inutili (ci sono settori in cui ci si scervella per
giustificare la propria esistenza, ma di cui si potrebbe fare
benissimo a meno o almeno in misura minore).
I
posti pubblici, quelli necessari, come dice il bioregionalista Danilo
D'Antonio, non dovrebbero essere prerogativa di pochi, ma dovrebbero
essere svolti a rotazione, tutti dovrebbero poter ambire e rientrare
nelle schiere dei capaci di mandare avanti un ufficio o un servizio
pubblico. Bisognerebbe fare un inventario dei lavori necessari e fare
una programmazione nelle scuole affinché si venga preparati
ad assumere quegli incarichi, ognuno secondo la propria capacità e
desiderio: lavoro di produzione di beni, commercio, servizi alla
persona, scuola, sanità, (finanza?), ecc. ecc.
Sarebbe
così difficile programmare di quanti medici ad esempio e di quali
specialità si avrà bisogno da qui a vent'anni, in modo da
organizzare per tempo le iscrizioni alle università? E invece
no, prima
si sente dire che di medici ce ne sono pochi, poi che sono troppi,
poi di nuovo pochi e così si crea solo confusione ed ansia nei
giovani che aspirano a questa professione. Non parliamo poi di altre.
Per
quanto riguarda la riduzione dell'orario di lavoro, negli anni '70 si
diceva "Lavorare meno lavorare tutti" che fine ha fatto
questo slogan? Che in poche parole racchiude la soluzione a tanti
problemi.
Certo,
qualcuno potrebbe obiettare che lavorando meno si guadagna di meno ma
se si ritornasse a quello stile di vita semplice di un secolo fa si
potrebbero ridurre molti consumi e tanti servizi e molte "necessità"
superflue. Oggi tante coppie devono lavorare entrambi per poter
pagare un asilo nido o il ricovero o la badante per l'anziano, per
pagarsi due macchine e la vacanza d'estate... ecc. ecc. Un'altra
soluzione potrebbe essere ridurre la sperequazione tra gli stipendi.
Non è possibile che ci siano giovani che pur di guadagnare qualcosa
si accontentano di poche centinaia di euro al mese e manager
incapaci, tra l'altro, che portano a casa decine di migliaia di euro,
senza contare le buone uscite.
Insomma,
va bene il lavoro alternativo, che sia agricolo di piccola scala,
artigianale, di informazione ed educazione, politico (perché no?
Abbiamo bisogno tantissimo di bravi politici), di servizio, etc. ma è
necessario secondo me una riorganizzazione nel vivere di comunità,
civile, che sia permeato di collaborazione e condivisione ed anche
meno oppresso da balzelli burocratici e fiscali, assieme ad una
redistribuzione del lavoro e dei redditi.
Caterina
Regazzi - Rete Bioregionale Italiana
caterinareg@gmail.com