Ci
consideriamo i detentori della scienza. Siamo indiscutibilmente certi che
corrisponda alla verità, che sia lei la sola capace a spiegare il mondo, la
sola legittimabile ad essere impiegata per governarlo.
Sulle ali
della scienza – ma ormai sarebbe più opportuno chiamarla tecnologia – abbiamo
sorvolato sulle faccende umane. Come un google
ante litteram ne abbiamo preso le coordinate con il progetto di
regolamentarle, organizzarle, identificarne la struttura numerica, riprodurle,
clonarle.
Così, credendo
che l´esperienza si possa trasmettere, abbiamo creato l´esportazione della democrazia,
per la quale era necessaria la guerra, che quindi non poteva che essere giusta.
Abbiamo proseguito imperterriti nonostante i danni collaterali assolutamente
plausibili, ammissibili, necessari. Perché allora rinunciare al capitalismo
giusto?
Capitolo I
Il capitalismo
doveva essere cosa buona, lo è mai stata?
Secondo Adam
Smith (seconda metà ‘700) e John Stuart Mill (‘800), il capitalismo(1)
esprimeva appieno il senso di progresso la cui fragranza andava diffondendosi nel
mondo con la prima industrializzazione del lavoro. Quel profumo avrebbe
comportato la distribuzione della ricchezza e la riduzione delle ore di lavoro,
elevando così la condizione della popolazione del pianeta. Togliendo l’uomo dal
fango, dalla fame, dal freddo, dalla miseria, regalandogli invece una vita
leggera colma di accessori e di tempo libero. Dall’alambicco dell’economia
capitalista sarebbero cadute gocce di benessere.
La profezia era basata
su due aspetti entrambi accessibili a tutti. Il primo era che la
meccanizzazione del lavoro avrebbe aumentato la produzione, togliendo nel
contempo gran parte del carico di lavoro dalle braccia degli operai. Il secondo
che quella distribuzione di ricchezza, avrebbe progressivamente allargato il
potere d’acquisto, con il quale sarebbero cresciuti i consumi, i quali
avrebbero comportato un aumento della domanda e – ci siamo – che la maggior
produzione, garantita dall’industrializzazione, avrebbe saputo soddisfare. Così
semplice da sembrare vera, la profezia.
Tralasciamo la
condizione di vita e i diritti dei proletari sulle cui schiene era appoggiata
la piramide in cima la quale avrebbe dovuto gocciolare l’alambicco.
Marx (‘800) aveva
presto fatto presente alcune zone d’ombra sia umane che economiche:
l’alienazione del lavoratore; la mercificazione del lavoro e dei beni, quindi
quella dell’uomo stesso. Vere bombe a orologeria. Sono particolari, detonano
per pressione psicosociale, esplodono, nel corpo e nello spirito, silenziose
come un’epidemia. Gli esperti economici constatano la presenza e la diffusione
e si interrogano del male popolare, chi di loro si pone interrogativi sull’origine,
questa resta a lui sconosciuta. In ogni caso annaspano nel buio. Nonostante
ciò, prescrivono vincolanti ricette di austerità, al momento del tutto
inefficienti per le società colpite ma incommensurabilmente fruttuose per le
multinazionali farmaceutiche e non solo.
Più che i partiti
e le rivoluzioni, quelle bombe, ci ha pensato il tempo a farle esplodere. E la
brillatura non è che all’inizio.
Scrive Max Weber
che «… la prevalenza assoluta del capitale produttore,
spesso anonimo, sul prestatore di lavoro; la premonenza della macchina e il
possesso della macchina da parte dello stesso capitale; la quantità
intensificata della produzione e le possibilità, supposte sconfinate, di accrescerla;
la conquista dei mercati, ecc. ecc.» erano
assolutamente predominanti su «elementi spirituali, di
solito espressi con sottintesa valutazione etica: avidità di denaro, tendenza
all’accumulo di sempre maggiore capitale; assenza di scrupoli, invadenza,
spirito di sopraffazione, sfruttamento, ecc»(14)
E siamo a ieri. La
guerra era finita, la nazione si era formata, l’italiano aveva sostituito e
spesso anche reso negletti i dialetti. La scienza era ora identificata da tutto
un popolo – non solo in Italia – come un valore indiscutibile, come verità
accertata e certa. La longa manu dei positivisti aveva colpito il lato destro
del cervello.
Nel
momento delle lotte operaie (‘900), la pessima situazione dei diritti era
migliorata. Anzi, per merito dei salari indicizzati, autoregolamentati
dalla produttività, liberi dal rischio dell'inflazione che non consumava così
il potere di acquisto della busta paga, i lavoratori erano riusciti sostanzialmente
a farsi considerare uomini e donne come i loro simili in camicia bianca, tailleur,
pochette e Bentley, pretendevano per
sé stessi. Tuttavia del progetto redistributivo non si era vista realizzazione,
a meno che non si voglia omologare come tale la lambretta e la tv per tutti. Conquiste di un’apparente
soddisfazione, ma sostanziale sirene al comfort come valore e necessaria pasturazione
utile a dissolvere quella coscienza di classe della quale oggi non se ne trova
più neppure in dosaggi omeopatici, sostituita - sic - da individui innocentemente orgogliosi di sgomitare
per il benefit aziendale, di recitare nella pubblicità della Coca Cola, del
dado Knorr.
Inoltre,
evidentemente, il bigoncio di raccolta del gocciolamento aveva delle perdite
strutturali. Il percolamento non arrivava mai alle schiene, ai piani superiori
della piramide c’era chi aveva collegato il proprio personale rubinetto.
« Per più di un secolo, gli
economisti hanno convenzionalmente accettato come dato di fatto la teoria che
afferma che le nuove tecnologie fanno esplodere la produttività, abbassano i
costi di produzione e fanno aumentare l’offerta di beni a buon mercato; questo,
in conseguenza, migliora il potere d’acquisto, espande i mercati e genera
occupazione. Tale assunto ha fornito il supporto razionale sul quale si sono
fondate le politiche economiche di tutte le nazioni industrializzate. Questa
logica sta conducendo a livelli mai registrati finora di disoccupazione
tecnologica.»(3)
Siamo al presente
e le cose sono cambiate. Gli esperti accennano anche ad una data e a un luogo
preciso. 2 giugno 1992, a
bordo del panfilo Britannia, della famiglia reale britannica, esponenti del
mondo finanziario americano si incontrano con i poteri italiani. Scopo della
riunione è l’avvio della svendita di grandi beni istituzionali e industriali
made in Italy.
La ricetta del
capitalismo si è infarcita di finanza speculativa. Un ingrediente forte, una
specie di wasabi, che copre, sostituisce gli altri sapori. Un elemento di
talento ma dal carattere suscettibile, dalla psicologia instabile. Una novità
che dalle stanze dei bottoni, non solo non si sono lasciati scappare ma che,
hanno strategicamente gonfiato e sfruttato. Almeno fino al 2008, quando la
speculazione finanziaria fuori controllo, relativa al mercato immobiliare
americano, ha prodotto un indebitamento tale da coinvolgere il sistema economico
del pianeta. Naturalmente, i soliti di tipo A (pochi) si sono arricchiti e i
soliti di tipo B (molti) hanno pagato. E non è finita.
« La finanza,
con la sua fortissima capacità di inclusione nelle vicende nazionali, può
infatti esautorare il processo democratico quando e come vuole. Lo fa già in
molti modi, anche leciti.
Il problema è che questo modello
economico appare come uno strumento di selezione darwiniana, dove ad una classe
politica che non governa le decisioni ma le subisce, si contrappongono manager
senza controllo, capaci di provocare crac finanziari di dimensioni globali e
dalle conseguenze immani per le comunità nazionali e la vita di interi popoli,
senza che ciò provochi alcun sussulto morale.
Qui, vale la pena ribadirlo ancora
una volta, il punto non è confutare l’economia di mercato ma cercare correttivi
profondi in modo che essa sia al servizio dei popoli e non avvenga il
contrario.
Bisogna abbandonare l’idea
salvifica della mano invisibile che tutto regola e guardare la
situazione attuale di disastro economico come fatto strutturale e non
contingente, traendone motivi per un cambio di passo oltre che di
strategia.
Mi rendo conto che il quadro è
disarmante e contrastare l’idea dell'homo oeconomicus rasenta la pura
follia, perché è l’essenza stessa del nostro tempo: l’agire, il pensare, le
nostre relazioni personali e professionali, si muovono tutte all’interno di
questo modello filosofico-antropologico che è diventato carne e sangue della
società occidentale e che si appresta a diventarlo per il resto del mondo.»(4)
Gli stessi
esperti di prima si danno da fare per farci presente che in fondo si trattava
di un evento imprevedibile e che quindi la sua pesante ricaduta, era giusto
cadesse su tutti.
La
finanza ha cambiato la ricetta e il livello. Il capitale aveva a che fare con i
mercati, le persone, il denaro. La finanza con i governi, i capitalisti, il
potere. Le ha cambiate fino a potersi e doversi dotare di eserciti, così come anche
le mafie hanno fatto. L’agonia degli Stati è in corso da tempo, a spartirsi il
mondo saranno mafie e poteri finanziari. Con i loro eserciti, i loro servizi,
sostituiranno quanto facevano le Patrie. Noi avremo modo di scegliere da che
parte stare, di chi essere ricchi sudditi
o miserabili schiavi. Ammesso che in alto, di fianco all’alambicco non
sia seduta una persona sola.
«Su battaglie fondamentali
come i diritti dei lavoratori, la sovranità (politica, monetaria, legislativa,
eccetera) oppure sui progressi dell’ingegneria genetica e, in generale sui
limiti della ricerca scientifica, si percepisce quanto questi schieramenti esistano.»(5)
Nel
frattempo, sempre il capitale o chi ce l’ha, aveva escogitato una nuova idea
per riproporre il vecchio ritornello con rinnovata determinazione: la globalizzazione distribuirà ricchezza.
Visto che la ricetta si era arricchita di un nuovo ingrediente, serviva una
pentola più grande, sovrannazionale. Pietanza gustosa che ha subito soddisfatto
il palato lineale degli economisti, altrimenti detti, quelli che senza saperlo
sono riusciti a ridurre gli uomini e la vita entro gli assi cartesiani. A mezzo
di grafici hanno capito che potevano sostenere la bontà dell’ammaliante jingle,
certamente destinato ad essere una hit, sicuramente destinato al top della
classifica dei desideri, quindi dei bisogni, delle spese. (L’inglese e gli
inglesismi fanno parte del progetto, amalgamano e omologano manager e sudditi.)
L’aspetto disumano della globalizzazione non era presente negli occhi dei nuovi
scienziati, ma chi lo vedeva li chiamava boia. Quanto era giusta
quell’espressione. I piccoli centri non contavano più. Il nuovo sistema li
emarginava, oppure li comprava, senza fatica, li eliminava, perché business is business. A loro, non
importa che la globalizzazione riguardi il mondo già impigliato nel web, quello
che non ha alcuna relazione - se non fagocitante - con quello tribale, rurale,
dei piccoli centri bioregionali, quelli che riempiono di autenticità il resto
del pianeta.
Contemporaneamente
al nuovo entusiasmo, i competenti hanno giustificato il mancato successo del
capitalismo puro, non virtuale, quello fatto di denaro tintinnante, per una
questione di regole mancanti. Hanno aggiunto che per sistemare le falle del
sistema economico è dunque sufficiente stilare opportune regole, e la cosa non si ripeterà. Poi se
andavano soddisfatti certi di aver convinto tutti che il capitalismo è buono e
giusto.
Più
che scricchiolare, la profezia era crollata, eppure, c’era ancora chi votava a
favore del sistema. Sì, perché il
capitalismo garantisce all’uomo la miglior storia possibile.
«… una opinione pubblica sempre più addomesticata
da forti gruppi di pressione. Ma, ovviamente, non sono esenti questioni legate
alla potenza di fuoco della economia globale e della tecnica che impongono
opportunità, scelte strategiche ed interessi che generano effetti immediati
sulla realtà più di qualunque altro modello culturale.»(6)
Il passato è finito. Sul futuro si può dire tutto. Ci si può
chiedere se è auspicabile un capitalismo organizzato da regole mirate alla
distribuzione della ricchezza. Garanzie di equità e libertà sono compatibili con
il sistema capitalistico finanziario? In caso positivo, si potrebbe condividere
che, è vero che la miglior società e cultura è quella a sua immagine e somiglianza.
In caso negativo? Non tutti condividono la prospettiva
descritta sul piano cartesiano. L’uomo non sta entro le regole se non parzialmente
e temporaneamente, ne va della salute, della bellezza, di tutto. Mercati e
faccende umane hanno come regolatore anche la pancia, il cuore, lo spirito.
«…un integralismo economico che non è
congiunturale, perché capace di operare una reductio ad unum.»(7)
Da certi osservatori, pare siano in aumento coloro che
sostengono che il capitalismo giusto non possa sussistere… che sia un
ossimoro. Semmai sostengono che è fisiologico che l’organismo tenda a produrre
lobby, corporativismo, leggi illiberali, oligarchie, guerre. Già, neppure
queste sono sfuggite alla mercificazione. Il capitalismo non può essere giusto neppure affardellato di regole, perché
acefalo, decapitato dal potere finanziario, la cui capacità e potenza
corrisponde a una nuova Gleichschaltung(2),
ad un indottrinamento non coercitivo dispiegato con tutti i mezzi del caso:
scuola, formazione, comunicazione, informazione.
Capitolo II
La società organizzata secondo la logica del capitalismo
giusto resta la migliore possibile perché evita di finire nel
baratro delle ideologie. O in mano a ciarlatani, nonché spiritualisti. Moniti
importanti, dei quali è opportuno tenere conto. Quegli ammonimenti però, sono fantasmi
di chi li teme, rivenduti come spauracchi, streghe e mostri utili per reclutare
chi non ha le idee chiare. Dentro e dietro quelle paure c’è una concezione e una
visione del mondo e degli uomini razionalista e meccanicista.
«Nella selezione dell’elenco delle
priorità che dovrebbero costituire gli snodi su cui far ruotare l’azione
politica dovremmo porre al primo posto - e non solo sul piano simbolico - la
lotta al monoteismo del mercato e all’economia finanziarizzata.»(8)
Non è necessario chiedere una consulenza a Sigmund a Carl
Gustav o a Jacques, per sostenere che ogni paura corrisponde ad una parte di
noi ancora nel buio, in castigo in qualche sottoscala della coscienza.
Ma ciò che atterrisce i capitalisti, fortunatamente non
atterrisce tutti.
C’è una voce di segno opposto infatti. Passa tra le maglie
dell’uniformizzante omologazione. Underground
si sarebbe detto tempo fa. Al momento è di poco conto, non provoca, not yet, titoli a tutta pagina nelle
testate della grande comunicazione undercontrol,
potremmo dire oggi. Come già scritto da Bauman gli intellettuali – sempre più
lontani dai selciati della plebe, sempre più collusi a partiti, banche e poteri
- ci presentano il mondo «come il migliore o il solo
possibile. Sono loro in garitta a fianco dei cancelli dove le oligarchie
banchettano e si divertono dopo aver concluso spartizioni incalcolabili con
stati e mafie.»(9)
È una voce che parte da lontano, gli anarchici ce l’hanno
sempre fatta sentire. Da poco, le loro consistenti frange verdi, si sono unite
a quella dei movimenti di ecologia profonda(10) e del bioregionalismo(13), per
una ricetta potenzialmente alternativa a quella della globalizzazione.
Diversamente dal passato il livello di consapevolezza dei singoli coristi è
nettamente superiore. E anche la loro quantità. Inoltre, i partiti non hanno
più forza per scatenare nei cuori un’evocazione capace di sovvertire. Su questo
tema il M5S può essere citato, ma le sue prove di resistenza devono ancora venire.
La consapevolezza di come stanno le cose, della loro potenzialità
coercitiva attraverso l’ammansimento e i falsi valori del benessere materiale non
è che il primo degli elementi più diffusi rispetto al menu del passato. Il
secondo è il web, anch’esso presente da poco. La potenzialità emancipatrice della
rete è tale che le contromisure di chi se ne sente minacciato, non hanno
tardato. La censura è arma ordinaria nelle società che possono permetterselo.
Per le altre, quelle che vantano la facciata dei diritti umani, che inneggiano
alla libertà di pensiero ed espressione, altri antidoti sono già stati immessi
nelle vene informatiche. Diversivi e disinformazione si mescolano al globo
virtuale con una potenzialità d’urto che – tempo – ancora non abbiamo
esperienza e mezzi per stimarla.
Forse, il totalitarismo elettronico, prepotenza nascosta negli
stati, in un campo non organizzato, parcellizzato nei singoli individui, alza
molto il rischio di provocare, di stimolare l’adunanza degli animi. Forse, in
quel modo provocati, troveranno il movente opportuno per aggregarsi, cambiare
di stato. Da cani sciolti, ad autori ed editori del grande libro del proprio futuro,
perché il capitalismo non può essere innocente, esso avrà sempre un fianco disponibile
ad essere «ghermito dal demone del consumismo, del profitto e della finanza,
l’individualismo e l’idea della tecnica come destino.»(11) Sì, perché, siccome le
cose vivono nelle relazioni tutti noi abbiamo la nostra colpa, quella di essere
assuefatti a quel benessere velenoso che critichiamo, nonché quella di non essere
capaci di svezzarci dall’avidità che avevamo creduto rispettabile, legittima,
nobile, giusta.
Non
possiamo che rinunciare a compiere la sola rivoluzione definitiva, la nostra,
di noi stessi. Basta dare responsabilità e criticare. Assumiamoci la
responsabilità di tutto. Cambiamo noi per diffondere quelle azioni, pensieri e
sentimenti che vorremmo osservare negli altri. René Girard era un antropologo
francese. Ha detto che la base del comportamento dell’uomo si fonda
sull’imitazione.
Lorenzo Merlo - xex@victoryproject.net
Foto di Gustavo Piccinini
o
Note
o
1 - La
paternità del termine è marxiana.
o
2 - Il termine,
traducibile con allineamento, allude alla precisa politica nazista di
indottrinare la popolazione con tutti i mezzi istituzionali disponibili,
scuola, lavoro, tempo libero, politica, editoria, comunicazione.
o
3 - Rifkin Jeremy - La fine del lavoro. Il declino della forza
lavoro globale e l’avvento dell’era post-mercato - Baldini e Castoldi
o
4, 5, 6, 7, 8, 11 Luigi Iannone - Sull’inutilità della destra – Solfanelli
o
9 Zygmund Bauman - La decadenza degli intellettuali –
Bollati Boringhieri
o
10 Ecologia profonda allude
ad un sistema culturale non più antropocentrico ma ecocentrico. Le nostre scelte
non sono da compiere in funzione di quanto interessanti per l’uomo ma per la
natura. Ogni essere senziente ha pari dignità.
o
12 Napoleoni
Loretta - Economia
canaglia. Il lato oscuro del nuovo ordine mondiale - Il Saggiatore,
cita Paul A. Cantor – Hyperinflation and Hiperreality: Thomas Mann In Light of
Austrian Eonomics – Review of Austrian Economics, Wien 1993
o
13 Regioni con
affinità culturali, ambientali, economiche, spirituali. Prepolitiche in quanto
non divisibili da limiti territoriali di carattere amministrativo.
o
14 Max Weber – L’etica protestante e lo spirito del
capitalismo – Sansoni
AA.VV. - Il concetto di
progresso nella scienza - Feltrinelli
Azzarà Stefano - Democrazia cercasi – Imprimatur
Bauman Zygmunt - Modernità liquida – Laterza
Iannone Luigi - Sull’inutilità
della destra - Solfanelli
Illich Ivan - Descolarizzare la
società - Mimesis
Jean Carlo, Dottori Germano - Guerre umanitarie - Baldini
Castoldi Dalai
Fini Massimo - La Ragione aveva Torto?
– Marsilio
Fini Massimo - Sudditi - Marsilio
Fini Massimo - Democrazia: una truffa da abbattere al più presto - La
voce del ribelle nr 35
Fischer Josef Ludvik - La crisi della democrazia –
Einaudi
Manicardi Enrico - Liberi dalla civiltà - Mimesis
Manicardi Enrico - L'ultima era. Comparsa, decorso, effetti di quella patologia
sociale ed ecologica chiamata civiltà - Mimesis
Mathieu Vittorio - Filosofia del
denaro - Armando
Maturana Humberto, Dàvila Ximena - Emozioni e linguaggio in educazione politica
– Eleuthera
Morin Edgar - I
sette saperi necessari all'educazione del futuro - Cortina
Morin Edgar - Cultura
e barbarie europee - Cortina
Napoleoni Loretta - Economia canaglia. Il lato oscuro del nuovo ordine mondiale -
Il Saggiatore
Rifkin Jeremy - La fine del lavoro. Il declino della forza lavoro globale e l’avvento
dell’era post-mercato - Baldini e Castoldi
Weber Max – L’etica protestante e lo spirito del capitalismo - Sansoni
Wolin Sheldon S. - Democrazia, S.p.a. - Fazi
Wolin Sheldon S. - Politica e visione - Il Mulino
Yanus Muhammad - Il banchiere
dei poveri - Feltrinelli
Zerzan John - Primitivo attuale - Nuovi Equilibri
Zerzan John - Pensare
primitivo, elementi di una catastrofe – Bepress
Limes - Le maschere di Osama - n. 1/2011 - Gruppo editoriale
l’Espresso
Dida
-
PIRAMIDE: La piramide che non tutti vedono.
-
POESIA: LA dissoluzione di sentimenti comuni
apre le porte alla solutudine, ciglio dell’abisso.
-
PUPI: Convinti di professare l’inalienabile
diritto del libero arbitrio, corriamo felici al centro commerciale.
-
EGOECO: Chi non coltiverebbe con tutte le cure
l’orto che, solo, gli dà da mangiare?
-
WOW: Saldi. L’attesa è finita.
-
ROVESCIO: Sospinto dall’unico comandamento che
business is business, il capitalismo finanziario ha ribaltato i valori
fondamentali. Però è riuscito in nell’impresa di unire le linee che credevamo
divergenti. Potere e criminalità ora marciano parallele. Se non sovrapposte.
-
BIMBO: In attesa della goccia.