A questo dossier hanno partecipato: 1 ISPRA, 2 PAN Italia, 3 Gruppi Ricerca Ecologica, 4 Università Politecnica delle Marche, 5 ISDE – Medici per l’Ambiente, 5 Università degli Studi di Parma, 6 European Consumers.
Questo importante lavoro si può richiedere direttamente all’ISPRA, non ci siamo limitati ad estrapolare un breve capitolo che vi presentiamo:
La contaminazione diffusa è una delle più gravi minacce alla salute del suolo, degli ecosistemi e degli esseri umani riconosciute in campo internazionale (European Commission, 2006; ISPRA, 2012). Essa può determinare difetti e disturbi cronici nelle piante e negli animali (oltre ad accumularsi nei funghi, che è un regno quasi mai esplorato circa quest’argomento, v. Cenci et al., 2010), determinando sui singoli nodi della rete alimentare effetti a medio e lungo termine, e può ritrovarsi, pertanto, nel cibo e nei mangimi destinati agli allevamenti (European Commission, 2001; Wiebe, 2003; European Commission, 2004; van Lexmond et al., 2015). Inoltre, può diminuire la resistenza degli habitat, delle specie e dei singoli organismi a stress di altra natura (come frammentazione degli areali, inquinamenti puntuali, pressioni fisiche, invasione di specie alloctone e cambiamenti climatici), ponendo in maniera sfuggente e pericolosa problemi sanitari all’ambiente e anche alla salute umana (Prasad, 2008; EFSA, 2015). I valori di contaminazione diffusa sono veramente difficili da raccogliere, poiché in genere si tratta di emissioni assai diluite in atmosfera, scarsamente rintracciabili da monitoraggi diretti e più facilmente rilevabili solo da un’analisi completa della “valutazione del ciclo vitale” (LCA, Cherubini et al., 2009; Zucaro et al., 2009; Margni et al., 2002; APAT 2004) delle sostanze in esame (POPs, HM, VOC, IPA...).
La causa più conosciuta di contaminazione diffusa sono le infrastrutture, che detengono il triste primato di consumare la maggior parte della superficie fertile persa ogni anno a causa della cementificazione del suolo (ISPRA, 2014), oltre a frantumare gli habitat naturali, causare morti da collisione a moltissime specie naturali, ed essere interessate, almeno nelle aree urbane, proprio per cercare di ridurre gli impatti sulla salute umana, da provvedimenti quali le restrizioni nelle emissioni gassose (circolazione consentita solo a veicoli Euro 6, auto elettriche o a gas), i blocchi temporanei del traffico, la circolazione a targhe alterne, ecc., con dubbi risultati sulla qualità dell’aria, notevoli fastidi per la popolazione e una serie di noiose restrizioni alla mobilità. Oltre alla concentrazione di CO2, assurta all’attenzione del grande pubblico a seguito della convenzione internazionale sui cambiamenti climatici, il protocollo di Kyoto e le successive decisioni internazionali, all’irrigazione utilizzando acque sotterranee compromesse e alla dispersione di idrocarburi policiclici aromatici (IPA, antidetonanti usati al posto del piombo nei carburanti di nuova generazione), un pericolo ancora più insidioso si trova nelle emissioni di sostanze di sintesi, genericamente chiamate coll’ambiguo nome di “prodotti fitosanitari”, “fito-” o “agro-farmaci”, e che corrispondono in effetti alle peggiori classi di pesticidi da cui dovremmo tutti imparare a difenderci, vista la loro pericolosità e diffusione. L’esposizione a pesticidi costituisce uno dei più importanti fattori di rischio per le patologie cronico-degenerative che oggi ci affliggono: digitando su un motore di ricerca quale pub med in data 23 maggio 2017 parole chiave quali “pesticides human health” o “pesticides children” compaiono rispettivamente 16.393 e 6289 lavori scientifici, una mole quindi davvero enorme! Se già negli anni 50’ era stata la biologa americana Rachel Carson ad intuire i devastanti effetti di queste molecole sugli habitat naturali e sugli ecosistemi, oggi è sempre più evidente che, anche a dosi minimali, esse possono risultare estremamente nocive per la salute umana e rappresentare quindi un vero e proprio problema di salute pubblica. E’ ormai assodato in modo inequivocabile che l’esposizione a pesticidi comporta non solo gravi ed irreversibili alterazioni a carico dell’ambiente, dei suoli, degli ecosistemi e di svariate forme di vita, ma si correla anche a gravi conseguenze sulla salute umana. Questi effetti, dapprima evidenziatisi per esposizioni professionali, riguardano oggi tutta la popolazione umana, stante l’utilizzo sempre più massiccio e diffuso di questi prodotti in ogni parte del pianeta ed la loro presenza costante in 6 aria, acqua, suolo, cibo e nello stesso latte materno. Queste conseguenze sono particolarmente gravi per esposizioni - anche a dosi minimali - che si verificano durante la vita embrio-fetale e la prima infanzia, comportando in special modo danni sullo sviluppo cerebrale e rischio di malattie non solo nell’infanzia, ma anche nelle fasi più tardive della vita. I pesticidi hanno dimostrato di alterare l’omeostasi dell’organismo umano in quanto in grado di indurre molteplici e complesse disfunzioni a carico praticamente di tutti gli apparati, organi e sistemi, comportando quindi patologie di tipo endocrino, nervoso, immunitario, respiratorio, cardiovascolare, riproduttivo, renale. Vi è ormai evidenza di forte correlazione fra esposizione a pesticidi e patologie in costante aumento quali: cancro, malattie respiratorie, Parkinson, Alzheimer, sclerosi laterale amiotrofica (SLA), autismo, deficit di attenzione ed iperattività, diabete, infertilità, disordini riproduttivi, malformazioni fetali, disfunzioni metaboliche e tiroidee.
La possibilità che tali disfunzioni si trasmettano anche alle generazioni future, attraverso alterazioni epigenetiche della linea germinale, non può che accrescere le nostre preoccupazioni, stimolandoci a ricercare e realizzare pratiche agronomiche in grado di soddisfare i bisogni alimentari delle popolazioni senza comprometterne in modo, forse irrimediabile, la salute. Dal momento che sono soprattutto le esposizioni precoci, in particolare in utero, quelle più pericolose e alla luce di quanto emerso da alcuni studi che hanno dimostrato l’effetto protettivo della alimentazione biologica, riteniamo che la popolazione debba essere adeguatamente informata per scelte più consapevoli. E’ auspicabile inoltre che il biologico non rimanga un privilegio per pochi, ma un diritto per tutti, specie nelle fasi della vita più delicate quali gravidanza, allattamento ed infanzia. Una recente metanalisi dell'Università di Berkeley (Ponisio et al., 2014) ha esaminato 115 ricerche scientifiche per confrontare agricoltura biologica e convenzionale, concludendo che, almeno per alcune colture, non vi sono prove per affermare che l'agricoltura convenzionale sia più efficiente e dia rese maggiori rispetto a quella biologica. Ha soprattutto affermato che: “aumentare la percentuale di agricoltura che utilizza metodi biologici e sostenibili non è una scelta, è una necessità. Non possiamo semplicemente continuare a produrre cibo senza prenderci cura del nostro suolo, dell’acqua e della biodiversità”.
Le formulazioni commerciali presenti in Italia per uso agricolo sono oltre un migliaio, ma molti principi attivi sono presenti anche in prodotti per uso domestico, per il controllo del verde pubblico e privato, per uso veterinario etc. per un totale di più di 350 molecole attive. Va ricordato che 15 pesticidi, unitamente a diossine e PCB, sono stati inclusi nella Convenzione di Stoccolma stilata per difendere la salute umana dai composti organici persistenti POP’s (Persistent Organic Pollutants), Convenzione sottoscritta anche dall’Italia, unico paese in Europa, tuttavia a non averla ancora ratificata. La legislazione che regola il settore appare complessa e spesso contraddittoria. Il recente recepimento da parte del nostro paese della Direttiva Comunitaria 2009/128/CE (pdf, 810 KB) per un “utilizzo sostenibile dei pesticidi” con il Decreto del 22 gennaio 2014 “Adozione Piano d’Azione Nazionale sull’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari ai sensi dell’articolo 6 del decreto legislativo 14 agosto 2012, n. 150” non appare rassicurante e la tutela della salute umana non può essere in alcun modo ritenuta soddisfacente. Infatti ad. es. sostanze vietate o messe fuori commercio per la loro elevata tossicità possono godere ancora di deroghe, le valutazioni tossicologiche sono molto spesso frammentarie e lacunose, per non dire infine che il concetto stesso di “uso sostenibile” di prodotti noti per essere veleni appare un ossimoro!
1 Stockholm Convention. Status of ratification.
http://chm.pops.int/Countries/StatusofRatifications/tabid/252/Default.aspx.
Il problema delle conseguenze per la salute umana da esposizione “ cronica” a pesticidi , ovvero
dell’esposizione a dosi piccole e prolungate nel tempo non riguarda solo la popolazione esposta per motivi lavorativi, ma tutta la popolazione generale, essendo queste molecole o i loro metaboliti, spesso ancor più tossici e persistenti, ormai stabilmente presenti sia nelle matrici ambientali ( aria, acqua, suolo) che nella catena alimentare e nei nostri stessi corpi, ritrovandosi nel latte materno, nel cordone ombelicale e nelle urine di donne gravide. Una mole crescente di evidenze scientifiche conferma come l’esposizione cronica a pesticidi possa comportare alterazioni di svariati organi e sistemi dell’organismo umano quali quello nervoso, endocrino, immunitario, riproduttivo, renale, cardiovascolare e respiratorio.
Vi è necessità di una “nuova agricoltura” (Polyxeni et al., 2016) in grado di preservare la qualità dei suoli, la salubrità del cibo e quindi della salute umana perché ormai, “aumentare la percentuale di agricoltura che utilizza metodi biologici e sostenibili non è una scelta, è una necessità. Non possiamo semplicemente continuare a produrre cibo senza prenderci cura del nostro suolo, dell’acqua e della biodiversità” . I costi umani, sociali ed economici correlati all’esposizione a pesticidi non sono più tollerabili ed affinché non debba ulteriormente crescere l’elenco delle “Lezioni imparate in ritardo da pericoli conosciuti in anticipo” (EEA, 2013) si devono promuovere senza esitazioni attività produttive ed agricole che non prevedano l’uso della chimica di sintesi, quali i metodi di tipo biologico/biodinamico, in grado di rispettare e preservare non solo l’ambiente in cui viviamo, ma soprattutto la salute umana ed in special modo quella delle generazioni a venire.
Su questo tipo d’inquinamento, temibile quanto silenzioso, sarebbe auspicabile avere un’interrogazione parlamentare, per verificare se, quanto e fino a che punto intere strutture amministrative (dello Stato, delle Regioni e Province Autonome, delle Province e dei Comuni, fino ai condomini e ai consorzi privati) abbiano messo da parte le preoccupazioni per la salute pubblica per seguire e favorire specifici interessi economici. A tal fine, riteniamo opportuno raccogliere in una sede sintetica una serie di informazioni sui principali prodotti diffusi nell’ambiente italiano dalle attività agricole. Queste sostanze sono per la maggior parte come minimo dannose per l’ambiente, e agiscono in sinergia tra di loro e con altri contaminanti ambientali, incidendo fortemente sugli ambienti naturali e sulla stessa salute umana.
Alcune di esse si ritrovano costantemente nelle acque superficiali e sotterranee, altre si rintracciano con frequenze inquietanti anche nei nostri cibi e nel vino. Una gran parte di esse, infine, è stata riconosciuta responsabile della crisi delle api e di altri impollinatori in tutto il mondo.
Fonte: A.K. Informa n. 30
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