Ad ogni soffio del vento le canne si battono le foglie l’una con l’altra per avvertirsi del mormorio del fiume e nel silenzio della notte sussurrano preghiere per la terra che si addormenta alla voce chiara della luna.
Ti ha morsicato la tarantola che diventi matta? Si e perciò voglio ballare! Lentamente uomini e donne si disposero in fila con le mani intrecciate e sollevarono i piedi accennando i primi passi. Un filo magico pareva abbracciarli dando una eccitazione composta e ardente, i piedi si sollevarono sempre più svelti battendo il ritmo, percuotendo la terra per svegliarla dalla sua immobilità. Passando sotto il poderello si era fermato un momento a guardare con tenerezza la collina e il ciglio dove le canne tremavano rosee al tramonto, la capanna appiattita tra il verde, ad aspettarlo. Nugoli di farfalle bianche e giallognole volavano di qua e di la posandosi e confondendosi coi fiori dei piselli: le cavallette si staccavano e ricadevano come foglie sbattute dal vento, le api ronzavano lungo il muricciuolo come dorate dal polline dei fiori su cui si posavano.
Una fila di papaveri si accendeva tra il verde monotono del campo di fave. Tra una canna e l’altra sopra la collina, le nuvole passavano bianche e tenere come veli di donne. Mi trovo di nuovo sul muricciuolo, le canne mormoravano e stava seduto silenzioso a guardare davanti alla capanna verso il mare. Intrecciava una stuoia all’ombra delle canne con le mani che lavoravano sui fasci di canne che aveva adoperato per accomodare il tetto. L’erba cresceva lungo i muri delle case deserte, un silenzio profondo avvolgeva tutte le cose. Nuvole gialle si affacciavano stupite e dall’alto si vedeva la pianura coperta di giunchi dorati e il fiume verde tra le isole di sabbia bianca. Le ortiche crescevano sui gradini, aprile rallegrava anche il cortile. Una striscia di luce pioveva dal tetto della stanzetta illuminando il letto dove la donna giaceva vestita con la collana di corallo e i grandi orecchini d’oro. Dal buco del tetto pioveva come da un imbuto capovolto un raggio dorato che illuminava il suo corpo e le sue collane lasciando scuro il resto della stanza. La vita passa e noi la lasciamo passare, come l’acqua del fiume e solo quando manca, ci accorgiamo che manca. la primavera sorrise e grandi ranuncoli gialli umidi come di rugiada brillarono nei prati argentei e le prime stelle apparse al cadere della sera: il cielo la terra parevano due specchi che si riflettevano.
Su attraverso la valle verde, per i sentieri sopra i quali nella sera nuvolosa, i monti incombevano con forme fantastiche, di muraglie, di castelli, di tombe ciclopiche, di città argentee, di boschi azzurri. Coperti di nebbia. Il sole batteva sui tetti di schegge delle casette basse e umili come capanne. Il vento del pomeriggio portava un odore di erbe aromatiche e qualche suono lontano. La gente ballava e suonava, il tramonto tingeva di rosa il campanile, i tetti, gli alti alberi, dalla chiesa usciva un salmodiare di laudi che accompagnava il motivo della danza e un profumo di incenso che si mescolava all’odore degli orti. Gli pareva di essere seduto ancora davanti alla sua capanna sentiva il frusciare delle canne ed era la voce del suo cuore che gli diceva: si siamo proprio come le canne al vento, ecco perché!
Siamo canne e la sorte è il vento! Passo la notte nella capanna e siccome era venuto su un gran vento, le canne del ciglio gemevano come anime in pena. All’alba uscendo dalla capanna infatti ne vide centinaia pendere spezzate con le lunghe foglie sparse per terra come spade rotte. E le superstiti, un poco sfrondate anch’esse, pareva si curvassero a guardare le compagne perite, accarezzandole con le loro foglie ferite.
Tutto era tranquillo lassù, i monti si affacciavano sopra la casa nel cielo verdolino del crepuscolo, la luna nuova cadeva sopra il monte, la stella della sera tremolavasopra la luna. Verso sera il cielo si schiariva, tutto l’argento delle miniere del mondo s’ammucchiava a blocchi, a cataste sull’orizzonte: operai invisibili lo lavoravano, costruivano case, edifici, intere città e subito dopo le distruggevano, e rovine e rovine biancheggiavano allora nel crepuscolo, coperte di erbe dorate, di cespugli rosei. Un punto giallo brillava dietro un castello smantellato e pareva il fuoco di un eremita o di un bandito rifugiatosi lassù: era la luna che spuntava. Piano piano la sua luce illuminava tutto il paesaggio misterioso e come al tocco di un dito magico tutto spariva; un lago azzurro inondava l’orizzonte, la notte d’autunno limpida e fredda, con grandi stelle nel cielo e fuochi lontani sulla terra, dai monti al mare.
All’alba mise tutto in ordine dentro la capanna: gli arnesi agricoli in fondo, la stuoia arrotolata accanto, la pentola capovolta sull’asse, il fascio di giunchi nell’angolo, il focolare scopato, tutto in ordine. Porto via la bisaccia, colse un gelsomino dalla siepe e tutta la valle gli parve bianca e dolce come il gelsomino; tutto era silenzio e anche l’acqua mormorava più lieve dietro il velo dell’alba per lasciar meglio risonare il suo passo giù per il sentiero; solo le foglie delle canne si muovevano sopra il ciglione, dritte rigide come spade che s’arrotavano sul metallo del cielo.
Le canne frusciavano piegandosi fino a lui per toccarlo per lambirlo con le foglie che avevano qualche cosa di divino e gli parlavano: era un mormorio misterioso che ripeteva il sussurro della valle, la voce del fiume, il salmodiare dei pellegrini e ricomincio a ricordare le nuvole sopra al monte il fruscio delle canne. Gli parve essere giunto al muricciolo del poderello in alto sul ciglio delle canne e di sdraiarsi sulle pietre. Il cielo rosso, in alto sopra la collina bianca; passa il vento e le canne tremano e bisbigliano. Chi si piega e chi si spezza, chi resiste oggi e si piegherà domani posdomani si spezzerà. Ed ecco dunque di nuovo seduto al solito posto davanti alla capanna sotto il ciglione glauco di canne, e mentre pregava, di tanto in tanto si piegava su se stesso, tremante come una canna al vento. Finchè pote resistere rimase lassù, attaccato alla tera che aveva succhiato tutta la sua forza e tutte le energie di una vita. L’autunno si inoltrava coi dolci giorni d’ottobre, coi primi freddi di novembre. Le montagne davanti e in fondo alla valle parevano vulcani: nuvole di fumo solcate da pallide fiamme e poi getti di lava azzurrognola e colonne di fumo salivano lassù; un branco di pecore pascolava tra le giuncaie intorno al paesello.
Brano remix composto sulle frasi tratte del libro e montate in sequenza; raccogliendo lungo l’emozionante sentiero della lettura, tutte le frasi dove compare la parola “canne”.
Uno stile personalissimo, unito ad una certa passionalità, ad un grandissimo vocabolario melodico, che viene filtrato dalla capacità di interpretare i sentimenti e le idee attraverso una complessità espressiva che alle volte può diventare estrema. Stile e creatività di una straordinaria innovatrice,ancheil modo di usare accordi, ritmi, toni e parole. L’uso di determinate scale e strutture, il fraseggio melodico, mette insieme tutta la storia, tutti gli elementi dello stile, il virtuosismo, la creatività, il suono e soprattutto una inarrivabile passione.
Fragili come canne
Nome scientifico Arundo Donax, una delle fibre vegetali più perfette che esistono in natura per resistenza, leggerezza, flessibilità ed anche ecologica. La semplice umile e schietta canna, usata in mille modi e con tecniche sempre diverse nella tradizione rurale millenaria per costruire stuoie, tetti, recinti, contenitori, cesti, graticci, strumenti musicali, ance, attrezzi di lavoro, giochi per bambini. Bonifica terreni e suoli inquinati, la pianta cresce e si rinnova velocemente e continuamente quindi sempre a disposizione e facilmente reperibile su scarpate ciglioni e fossi. Cresce in zone umide ed è molto invasiva.
Al di la della bellezza della metafora delle parole del libro di Grazia Deledda e del suo lirismo pittorico, la canna è una fibra veramente forte e resistente soprattutto se strutturata a sistema e in fasci legati da giunchi, salici e corde. Ci si costruiscono casupole e capanne di ogni genere in ogni parte del mondo, dai tempi antichi fino ai giorni nostri. I fasci littori erano compositi di canne e anche le torce degli incerti viaggiatori notturni erano fasci di canne che bruciano senza spegnersi al vento. Un detto popolare ci ricorda che la canna mantiene la vite e la vite mantiene la canna, appunto come messa a sistema diventa ancora più resistente. In calabria si dice: giunco piegati che arriva la piena; cosi le canne resistono al vento, si piegano e poi si rialzano. Nel rural design le canne sono usate per numerose costruzioni, soprattutto hanno dato il via alla ricerca di Jonathan Cory-Wright e all’esperienza di Canja Viva per la costruzione di strutture di ogni genere, anche artistiche e spettacolariche si stanno diffondendo un po dappertutto. Le canne, con la terra cruda e la paglia possono dare forma a interessanti sperimentazioni che investono tutto il rural design contemporaneo.
Ferdinando Renzetti
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