giovedì 30 maggio 2013

Varie componenti del bioregionalismo ed il rapporto uomo-animali





Caterina Regazzi


Tra le varie componenti che entrano a far parte del vivere in sintonia con l’ambiente naturale e sociale secondo il bioregionalismo il rapporto uomo-animali è l’argomento a me più “congeniale”.

Sono veterinaria e mi occupo principalmente di allevamenti proprio in questa zona, allevamenti di animali tenuti per la produzione di alimenti di origine animale.

L’alimentazione, nell’ambito della RBI è sempre stato un argomento molto dibattuto e con opinioni diverse, come è giusto che sia: su questa Terra è impensabile che tutti abbiamo lo stesso sentire nei riguardi delle diverse componenti.

L’Emilia Romagna è una terra di tradizioni contadine e di ricchezza di prodotti sia di origine vegetale ma soprattutto animale: le eccellenze agricole sono fonte di guadagni, ancora, e di ricerca di sempre nuovi mercati, dato che, a causa della crisi economica e della concorrenza c’è la necessità di nuovi sbocchi commerciali. Siamo infatti, in questo settore in una situazione quasi di sovrapproduzione, almeno per quel che riguarda i prodotti tipici, dovuta alla necessità di ammortizzare i costi con un' incentivazione della spinta produttiva, tramite la meccanizzazione, la selezione di razze sempre più produttive, a scapito però di altri valori, come la robustezza, la resistenza alle malattie e la longevità degli animali.

Nel bioregionalismo si ricerca invece un legame del cibo con il territorio, si suppone che il cibo prodotto localmente e che non ha subito conservazione e trasporto sia più in sintonia con l’organismo che lo deve ricevere. Ovviamente c’è anche un aspetto “ecologico” in questo: i trasporti e la conservazione degli alimenti sono attività di per sé antiecologiche, comportano consumo o spreco di risorse combustibili fossili sia per il funzionamento degli autoveicoli che delle apparecchiature di refrigerazione.

Alla base del disequilibrio che secondo me si è creato nel settore dell’allevamento, soprattutto nelle zone a diffusione dell’allevamento intensivo come qui da noi, ci sono fattori economici: una volta, fino a 60 anni fa circa, un’azienda agricola era costituita da un appezzamento di terra su cui venivano coltivati diversi prodotti (e la rotazione delle colture era sempre applicata) e che allevava animali più che altro come integrazione dell’attività, come risorsa di concime e come integrazione all’alimentazione della famiglia o delle famiglie che vivevano nell’azienda.

Mangiare un po’ di carne solo una volta alla settimana o anche meno era una cosa normale, qualche uovo o frittata entrava anche questo nella dieta con parsimonia e solo nel periodo di deposizione naturale delle uova da parte delle galline. Spesso era presente nella azienda anche un porcile con uno o pochi maiali che venivano macellati in pieno inverno per farne salumi da consumare nel resto dell’anno.

Poi la carne diventò uno status symbol: mangiare carne era segno di ricchezza o perlomeno di essere benestanti, e quindi, con la ripresa economica del dopo-guerra aumentò la richiesta di cibi di origine animale, in primis della carne. I piccoli allevamenti annessi alle aziende agricole non furono più sufficienti a soddisfare le richieste e questo fece intravedere la possibilità di guadagni insperati e allora dai con gli allevamenti costituiti da un numero sempre maggiore di capi, sempre più meccanizzati, sempre più disumani, con animali selezionati a produrre sempre di più fino ad arrivare ad esempio a polli sempre più pesanti tanto che gli arti non riescono a sostenere il corpo o vacche sempre più produttive in latte tanto che dopo due parti sono già distrutte o per un verso o per l’altro (mastiti, ipofecondità, lesioni podali), tanto che sono da scartare, quando non muoiono o devono essere macellate in stalla.

Il sistema poi implode su se stesso in quanto la speranza di maggiori guadagni, ha fatto moltiplicare queste realtà con un aumento della produzione che per un po’ è stata in equilibrio con i consumi, e, seguendo le leggi del mercato, queste attività hanno consentito lauti guadagni, ma la concorrenza poi ha avuto il sopravvento e i ricavi dalla produzione hanno continuato a mantenersi sugli stessi livelli, mentre i costi tutti i fattori di produzione aumentavano (mangimi, manodopera), lasciando ai produttori margini sempre più risicati.

Caso tipico in cui al peggioramento della qualità della vita degli animali, sempre più sfruttati, ha corrisposto un peggioramento della qualità della vita dell’allevatore, costretto a lavorare sempre di più e sempre con minori soddisfazioni.

Nella RBI si è molto parlato di regime alimentare, alcuni esponenti vegetariani o vegani per motivi etici si battono per un abbandono totale e immediato del consumo di alimenti di origine animale, altri ritengono che un consumo moderato di prodotti di animali allevati rispettando il loro benessere sia possibile e auspicabile.

Personalmente non ritengo ci sia un modus che debba andare bene per tutti, ma sicuramente ritengo che dobbiamo tutti prendere coscienza che l’allevamento intensivo non è etico ed è antiecologico: in un mondo dove miliardi di persone muoiono di fame, continuare ad allevare animali consumando risorse che potrebbero nutrire direttamente il genere umano, non è più possibile; inoltre la sofferenza ingenerata in questi esseri viventi che hanno avuta la fortuna- sfortuna (destino) di vivere la loro esistenza su questa Terra assieme a noi non può più essere ignorata: non possiamo più ignorare di esserne responsabili, anche indirettamente, così come non possiamo più ignorare di essere, come specie, responsabili, della rovina in cui stiamo mandando il nostro pianeta con tutte le nostre attività, non mi riferisco ovviamente solo all’alimentazione, ma a tutti i settori del nostro vivere.


Prendere coscienza delle conseguenze del nostro modo di vivere è il primo passo per poter dare alla Terra una speranza di sopravvivenza a lungo termine cercando di fare in modo per quelle che sono le possibilità di ognuno di noi, di lasciare ai nostri figli e nipoti un mondo meno inquinato e più in armonia di quello di oggi. Ritornare ad un sistema di vita semplice, in cui i rapporti umani e la vita nella natura, immersi nel mondo umano, animale e vegetale, ci può dare tutto quello di cui abbiamo bisogno senza necessità di consumi superflui e sprechi che comportino un ulteriore deterioramento di quel paradiso che ci era stato donato e che noi, esseri umani, abbiamo rovinato per il nostro sconfinato egoismo.

Caterina Regazzi 
Referente Rapporto Uomo Animali della Rete Bioregionale Italiana

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Di questo e simili temi se ne parlerà durante l'Incontro Collettivo Ecologista che si tiene a Vignola (Mo) il 22 e 23 giugno 2013:


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Commenti:


Trovo molto utile il mestiere del veterinario ma essendo animalista convinta, ritengo che nel 2013 continuare a cibarsi di animali sia una cosa aberrante.
Certo, gli allevamenti intensivi sono molto diversi da quelli, diciamo, biologici, ma rimane il fatto che comunque si faccia violenza su creature che hanno gli stessi diritti di campare quanto noi. Personalmente, di fronte alla violenza gratuita, smetto di rispettare le opinioni altrui.
Per non parlare dell'aspetto salutistico della questione, dato che ormai tutti i nutrizionisti sono concordi nell'affermare che la carne è un alimento nocivo alla salute. Le proteine si possono prendere altrove e sono più salutari di quelle animali. Chi mangia la carne lo fa solo perchè gli piace. Almeno si abbia l'onestà di dire le cose come stanno senza nascondersi dietro alle tradizioni e ai soliti luoghi comuni.
Cordiali saluti, Sonia Toni

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Replica di Caterina Regazzi: "Non capisco in cosa trova l'utilità nel mestiere di veterinario, questa persona, forse per curare cani e gatti? ed è evidente che chi mangia carne lo fa ANCHE perché gli piace, credo che anche ai vegetariani piaccia il formaggio ed ai vegani piacciano i fagioli. Mangiare non dovrebbe essere un sacrificio. Sul diritto di campare degli animali sorvolo... gli animali allevati per la produzione di alimenti per l'uomo non nascerebbero neanche se non avessero questo utilizzo e forse starebbero benissimo nel loro mondo di anime ma se crediamo nel Karma non è che loro siano anime che debbono incarnarsi per fare il loro percorso evolutivo? Che la carne sia un alimento nocivo alla salute.... se si esagera è ovvio, ma come mai io che da anni non mangio praticamente carne ho il colesterolo ed i trigliceridi alti (ho preso appuntamento col medico così tanto per fare due chiacchiere per lunedì pomeriggio), visto che mangio pure poco formaggio e poche uova? Mah!"


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Commento all’articolo:  Scrive M.S.: “Ho letto la replica di Caterina Regazzi e a parte il Karma mi trova perfettamente d'accordo  e ….scusami una battuta rivolta alla commentatrice animalista. Perché non insegniamo ai leoni a non mangiare la carne delle gazzelle? I leoni non sono animali come noi? Non sono mammiferi come noi? Non prolificano come noi, non mangiano come noi? Non defecano come noi? Non si ammalano come noi? Non dormono come noi? Non hanno gli stessi nostri sensi, cioè tatto, udito, olfatto, vista e gusto?  O forse ci crediamo essere una specie diversa da quella degli animali?” 

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