Caterina Regazzi
Tra le varie componenti che
entrano a far parte del vivere in sintonia con l’ambiente naturale e sociale
secondo il bioregionalismo il rapporto uomo-animali è l’argomento a me più
“congeniale”.
Sono veterinaria e mi occupo
principalmente di allevamenti proprio in questa zona, allevamenti di animali
tenuti per la produzione di alimenti di origine animale.
L’alimentazione, nell’ambito
della RBI è sempre stato un argomento molto dibattuto e con opinioni diverse,
come è giusto che sia: su questa Terra è impensabile che tutti abbiamo lo
stesso sentire nei riguardi delle diverse componenti.
L’Emilia Romagna è una terra
di tradizioni contadine e di ricchezza di prodotti sia di origine vegetale ma
soprattutto animale: le eccellenze agricole sono fonte di guadagni, ancora, e
di ricerca di sempre nuovi mercati, dato che, a causa della crisi economica e
della concorrenza c’è la necessità di nuovi sbocchi commerciali. Siamo infatti,
in questo settore in una situazione quasi di sovrapproduzione, almeno per quel
che riguarda i prodotti tipici, dovuta alla necessità di ammortizzare i costi
con un' incentivazione della spinta produttiva, tramite la meccanizzazione, la
selezione di razze sempre più produttive, a scapito però di altri valori, come
la robustezza, la resistenza alle malattie e la longevità degli animali.
Nel bioregionalismo si
ricerca invece un legame del cibo con il territorio, si suppone che il cibo
prodotto localmente e che non ha subito conservazione e trasporto sia più in
sintonia con l’organismo che lo deve ricevere. Ovviamente c’è anche un aspetto
“ecologico” in questo: i trasporti e la conservazione degli alimenti sono
attività di per sé antiecologiche, comportano consumo o spreco di risorse
combustibili fossili sia per il funzionamento degli autoveicoli che delle
apparecchiature di refrigerazione.
Alla base del disequilibrio
che secondo me si è creato nel settore dell’allevamento, soprattutto nelle zone
a diffusione dell’allevamento intensivo come qui da noi, ci sono fattori
economici: una volta, fino a 60 anni fa circa, un’azienda agricola era
costituita da un appezzamento di terra su cui venivano coltivati diversi
prodotti (e la rotazione delle colture era sempre applicata) e che allevava
animali più che altro come integrazione dell’attività, come risorsa di concime
e come integrazione all’alimentazione della famiglia o delle famiglie che
vivevano nell’azienda.
Mangiare un po’ di carne solo
una volta alla settimana o anche meno era una cosa normale, qualche uovo o
frittata entrava anche questo nella dieta con parsimonia e solo nel periodo di
deposizione naturale delle uova da parte delle galline. Spesso era presente
nella azienda anche un porcile con uno o pochi maiali che venivano macellati in
pieno inverno per farne salumi da consumare nel resto dell’anno.
Poi la carne diventò uno
status symbol: mangiare carne era segno di ricchezza o perlomeno di essere
benestanti, e quindi, con la ripresa economica del dopo-guerra aumentò la
richiesta di cibi di origine animale, in primis della carne. I piccoli allevamenti
annessi alle aziende agricole non furono più sufficienti a soddisfare le
richieste e questo fece intravedere la possibilità di guadagni insperati e
allora dai con gli allevamenti costituiti da un numero sempre maggiore di capi,
sempre più meccanizzati, sempre più disumani, con animali selezionati a
produrre sempre di più fino ad arrivare ad esempio a polli sempre più pesanti
tanto che gli arti non riescono a sostenere il corpo o vacche sempre più
produttive in latte tanto che dopo due parti sono già distrutte o per un verso
o per l’altro (mastiti, ipofecondità, lesioni podali), tanto che sono da
scartare, quando non muoiono o devono essere macellate in stalla.
Il sistema poi implode su se stesso in quanto la speranza di maggiori guadagni, ha fatto moltiplicare queste
realtà con un aumento della produzione che per un po’ è stata in equilibrio con
i consumi, e, seguendo le leggi del mercato, queste attività hanno consentito
lauti guadagni, ma la concorrenza poi ha avuto il sopravvento e i ricavi dalla
produzione hanno continuato a mantenersi sugli stessi livelli, mentre i costi
tutti i fattori di produzione aumentavano (mangimi, manodopera), lasciando ai
produttori margini sempre più risicati.
Caso tipico in cui al
peggioramento della qualità della vita degli animali, sempre più sfruttati, ha
corrisposto un peggioramento della qualità della vita dell’allevatore,
costretto a lavorare sempre di più e sempre con minori soddisfazioni.
Nella RBI si è molto parlato
di regime alimentare, alcuni esponenti vegetariani o vegani per motivi etici si
battono per un abbandono totale e immediato del consumo di alimenti di origine
animale, altri ritengono che un consumo moderato di prodotti di animali
allevati rispettando il loro benessere sia possibile e auspicabile.
Personalmente non ritengo ci
sia un modus che debba andare bene per tutti, ma sicuramente ritengo che
dobbiamo tutti prendere coscienza che l’allevamento intensivo non è etico ed è
antiecologico: in un mondo dove miliardi di persone muoiono di fame, continuare
ad allevare animali consumando risorse che potrebbero nutrire direttamente il
genere umano, non è più possibile; inoltre la sofferenza ingenerata in questi
esseri viventi che hanno avuta la fortuna- sfortuna (destino) di vivere la loro
esistenza su questa Terra assieme a noi non può più essere ignorata: non
possiamo più ignorare di esserne responsabili, anche indirettamente, così come
non possiamo più ignorare di essere, come specie, responsabili, della rovina in
cui stiamo mandando il nostro pianeta con tutte le nostre attività, non mi
riferisco ovviamente solo all’alimentazione, ma a tutti i settori del nostro
vivere.
Prendere coscienza delle
conseguenze del nostro modo di vivere è il primo passo per poter dare alla
Terra una speranza di sopravvivenza a lungo termine cercando di fare in modo
per quelle che sono le possibilità di ognuno di noi, di lasciare ai nostri
figli e nipoti un mondo meno inquinato e più in armonia di quello di oggi.
Ritornare ad un sistema di vita semplice, in cui i rapporti umani e la vita
nella natura, immersi nel mondo umano, animale e vegetale, ci può dare tutto
quello di cui abbiamo bisogno senza necessità di consumi superflui e sprechi
che comportino un ulteriore deterioramento di quel paradiso che ci era stato
donato e che noi, esseri umani, abbiamo rovinato per il nostro sconfinato
egoismo.
Caterina Regazzi
Referente Rapporto Uomo Animali della Rete Bioregionale Italiana
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Di questo e simili temi se ne parlerà durante l'Incontro Collettivo Ecologista che si tiene a Vignola (Mo) il 22 e 23 giugno 2013:
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Commenti:
Trovo molto utile il mestiere del veterinario ma essendo animalista convinta, ritengo che nel 2013 continuare a cibarsi di animali sia una cosa aberrante.
Certo, gli allevamenti intensivi sono molto diversi da quelli, diciamo, biologici, ma rimane il fatto che comunque si faccia violenza su creature che hanno gli stessi diritti di campare quanto noi. Personalmente, di fronte alla violenza gratuita, smetto di rispettare le opinioni altrui.
Per non parlare dell'aspetto salutistico della questione, dato che ormai tutti i nutrizionisti sono concordi nell'affermare che la carne è un alimento nocivo alla salute. Le proteine si possono prendere altrove e sono più salutari di quelle animali. Chi mangia la carne lo fa solo perchè gli piace. Almeno si abbia l'onestà di dire le cose come stanno senza nascondersi dietro alle tradizioni e ai soliti luoghi comuni.
Cordiali saluti, Sonia Toni
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Replica di Caterina Regazzi: "Non capisco in cosa trova l'utilità nel mestiere di veterinario, questa persona, forse per curare cani e gatti? ed è evidente che chi mangia carne lo fa ANCHE perché gli piace, credo che anche ai vegetariani piaccia il formaggio ed ai vegani piacciano i fagioli. Mangiare non dovrebbe essere un sacrificio. Sul diritto di campare degli animali sorvolo... gli animali allevati per la produzione di alimenti per l'uomo non nascerebbero neanche se non avessero questo utilizzo e forse starebbero benissimo nel loro mondo di anime ma se crediamo nel Karma non è che loro siano anime che debbono incarnarsi per fare il loro percorso evolutivo? Che la carne sia un alimento nocivo alla salute.... se si esagera è ovvio, ma come mai io che da anni non mangio praticamente carne ho il colesterolo ed i trigliceridi alti (ho preso appuntamento col medico così tanto per fare due chiacchiere per lunedì pomeriggio), visto che mangio pure poco formaggio e poche uova? Mah!"
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Commento all’articolo: Scrive M.S.: “Ho letto la
replica di Caterina Regazzi e a parte il Karma mi trova perfettamente d'accordo
e ….scusami una battuta
rivolta alla commentatrice animalista. Perché non insegniamo ai leoni a non mangiare
la carne delle gazzelle? I leoni non sono animali come noi? Non sono mammiferi
come noi? Non prolificano come noi, non mangiano come noi? Non defecano come
noi? Non si ammalano come noi? Non dormono come noi? Non hanno gli stessi
nostri sensi, cioè tatto, udito, olfatto, vista e gusto? O forse ci crediamo essere una specie diversa
da quella degli animali?”
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