L’intelligenza artificiale sostituirà l’uomo in tutte le
circostanze chiuse, d’ordine meccanico, ovvero quelle in cui gli
elementi in campo sono limitati, hanno relazioni pressoché fissate
da una dialettica ciclico-ripetitiva. Tutto ciò è già evidente e
di comune condivisione. Ciò che manca al discorso, e che lo rende
rovente, sta nella prospettiva, segreta alle moltitudini, ma sempre
più affilata dai potentati che la vogliono imporre, la progettano e
la applicano, per cui l’uomo e il suo maggior numero di relazioni
possibili, prima libere e aperte, di matrice emozionale, saranno –
con espedienti d’ordine vario – indotte alla codifica, affinché
possa venire destituito con suo stesso beneplacito. Un benestare che
comporta la sua stessa morte, ma al quale non potrà sottrarsi perché
l’efficienza della macchina sarà convincente a 360°.
È su questo fondo che gli scientisti e i loro soci divanisti,
vero zoccolo duro, accondiscendente e primo tifoso dei potentati, ci
stanno trascinando, tronfi della supremazia del razionalismo.
Il campo chiuso sarà, quindi, dominio dell’intelligenza
artificiale, panorama fagocitatore dell’operatività umana. Sembra
un inno alla disoccupazione, all’assegno di cittadinanza, al
bromuro necessario a sedare qualche irriverente che, invece di
ringraziare il sistema, che si prende cura di lui e di tutti,
vorrebbe prendere le distanze e ribellarsi alla sostituzione
dell’umano. Non ha costituito lui le politiche capitalistiche,
l’opulenza, il consumismo. Lui se ne è nutrito, non poteva
sottrarsi, ma non vuole ora pagare il conto di un ristoro imposto
dall’alto.
Il campo chiuso corrisponde a quanto è regolato da norme e leggi e
consuetudini, anche biologiche. Non rispettarle non equivale ad
aprire il campo ma a esserne esclusi. Basta provare, per esempio, a
usare la seconda mano per mescolare le carte da gioco o pelare le
patate, a mandare una raccomandata senza compilare il modulo, a usare
le mani per giocare a calcio o a scrivere in cirillico la firma sul
documento di identità, per constatare che per permanere e muoversi
nel campo chiuso è richiesto il rispetto assoluto del sistema che lo
governa.
Per essere ammessi nel campo chiuso, per chi vuole entrarvi e godere
del sistema che lo riempie, è necessario anche conoscerne il
linguaggio, le sue accezioni e il gergo relativo, sempre pena
l’esclusione, la punizione, l’ammenda, il rimprovero.
Infine, il campo chiuso tende a esprimere la sua natura ferrea e
imitabile dalla macchina in modo indirettamente proporzionale alla
quantità di elementi in gioco. Meno sono
questi ultimi, più il campo è rigido, stabile, vero e capace di
esprimere verità. Al contrario, ovvero con l’aumentare
degli elementi, la chiusura è meno ermetica e tende a divenire campo
aperto. Se il chiuso ha come psicologia la ripetitività, la
replicazione, l’alienazione e l’attribuzione di responsabilità,
quello aperto allude alla creatività, unicità, irripetibilità,
alla presenza e all’assunzione di responsabilità.
Se il campo chiuso ha una natura che fa capo alla fisica classica, il
campo aperto ha come referente la fisica quantistica. Uno tende alla
prevedibilità delle fasi e del risultato finale, l’altro
all’imprevedibilità. Uno è tendenzialmente lineare, l’altro
stocastico. Uno normabile e riferibile ai numeri, l’altro no e
riferibile all’infinito.
Finché le emozioni non saranno codificate – un’eventualità
umanamente esiziale, tendenzialmente improbabile nonostante l’intento
dei potentati – tutte le relazioni a
sfondo libero e lirico non potranno essere replicate da una macchina.
La volatilità delle emozioni e quindi la loro imprevedibilità
nell’insorgenza, nel tipo, nella forza e nel significato, nonché
il loro potere creatore e la loro incomprimibilità in paradigmi
meccanicistici, tendono ad essere una garanzia della sopravvivenza
della dimensione analogica, cioè umana, atollo di salvezza in un
oceano di vita amministrata dai detentori della comunicazione, con
l’indispensabile sostegno della moltitudine di proboviri mandati in
prima linea a loro insaputa.
La crescente potenza di calcolo e i suoi efficienti risultati, che
già oggi godono di un credito a suffragio universale, costituirà il
paesaggio e l’ambiente delle prossime generazioni. C’è da temere
che, anche se non potrà mai arrivare a prevedere, e quindi a
chiudere, tutti i cangianti campi ora aperti, la sua competenza non
potrà che allargarsi fino a divenire esaustivamente convincente e
incontestata, fino a essere con noi, e con nostra soddisfazione, nei
momenti più personali. Una specie di morale studiata, pianificata,
subliminalmente diffusa da artisti, youtuber e nuovi menestrelli del
potere. E, ciò che più conta, fino a spegnere l’idea del campo
aperto. Un terreno d’avventura che diventerà leggenda, e i
genitori, seduti sul bordo del lettino, ne racconteranno le gesta,
iniziando i racconti della sera con “C’era una volta...”
Salvo avarie del sistema, un’eventualità che – con la potenza di
calcolo, gli zero errori, la massima efficienza, la massima riduzione
dei tempi, il massimo smaltimento pratiche, la massima uniformità,
la massima uniformità nell’esclusione delle pratiche oltre
tolleranza stabilita – tende all’improbabilità, anche le poesie
non necessiteranno più di poeti. Sarà a qual punto che gli uomini
abiureranno a se stessi, consegnandosi a un comandante di cui non
vedranno mai la faccia, come già da tempo accade in molte
interlocuzioni commerciali, istituzionali e non solo.
La digitalizzazione imposta, impone l’impiego degli strumenti
digitali. Le multinazionali ne godranno i guadagni per vendita,
manutenzione e aggiornamenti. Ne gestiranno l’obsolescenza secondo
esigenza commerciale e di controllo. La relativa dipendenza dei
fruitori – cioè di tutti – quindi i ricatti legalizzati in forma
di punteggi acquisiti o persi per godere o meno dell’ora d’aria,
della promozione, del premio del mese, previsti dal regolamento,
avranno terreno sempre più fertile per le nuove artefatte
descrizioni di realtà, di fronte alle quali le nuove generazioni,
senza più paragoni, si esalteranno, come a suo
tempo tutti fecero con il nuovo verbo illuminista.
Se, originariamente, il terziario e l’industria erano i più
esposti agli esuberi, la macchia d’olio del disastro ambientale
umanistico, non lascerà libero di volare neppure l’ultimo
cormorano.
E qui viene il bello.
Le persone, prese da se stesse, dimentiche della loro origine e
dimensione cosmico-energetica, concependosi come entità indipendenti
della vita, quindi legittimate e dedite a soddisfare le esigenze del
loro egocentrismo, non hanno mancato di prostrarsi davanti agli
altari dell’illuminismo e poi del materialismo e seguiteranno a non
mancare di devozione nei confronti del digitale e della tecnologia,
nonché del propagandato progresso offerto dall’intelligenza
artificiale.
Un concerto di chimere la cui natura arimanica è vischio per le
vanità, per l’avidità, unghie indolori conficcate nella carne di
troppi.
Come accaduto per l’illuminismo e il suo seguito blasfemo, quella
riverenza permanente tende a escludere dalla pienezza degli uomini la
dimensione sottile ed energetica, di noi stessi, del mondo, delle
relazioni.
C’è quindi motivo per ipotizzare rinnovate cacce alle streghe –
il covid ne costituirà l’utile prodromo – rivolte contro i
critici del nuovo andazzo, le voci di denuncia dell’uccisione
dell’uomo, cioè della sua chiusura entro norme, schemi e paradigmi
che, più che mai, lo rendono controllabile. Come vere carpe koi che
non possono che esplorare una vasca ristretta, che non possono che
sopravvivere di quanto viene loro fornito dall’esterno.
Il campo aperto sarà lasciato a poche occasioni e a poche persone.
Privilegiati senza saperlo, in quanto campioni tollerati per
alimentare il controllo sulla maggioranza. Maggioranza che crederà
di operare per il bene comune, e così, secondo le norme concettuali
disseminate a grappolo in tutta la comunicazione, sarà
effettivamente, ma anche in questo modo chi si muoverà in campo
aperto, ricavandone il guadagno per sopravvivere, sarà il
corrispondente del no vax. Uno maledetto e, forse, in parte invidiato
dalla massa obbediente, anzi, ammaestrata, alla quale non si mancherà
di offrire, dietro impegno, il potere di agire sulla minoranza. Cioè,
proboviri in difesa del potere e da questo premiati, kapò d’ultima
generazione, destinatari dei nuovi status symbol, nonché
dell’acritica imitazione di chi ancora arranca tra le fila senza
grado sulla spallina.
Lorenzo Merlo