mercoledì 13 agosto 2025

L'importanza della qualità dell'acqua...

 


Secondo uno studio pubblicato sulla rivista “ Nature Water” circa 5,5 miliardi di persone in alcune zone del mondo potrebbero essere colpite da un pericoloso peggioramento della qualità delle loro acque. Già questo oggi vale per circa 2 miliardi di persone.

Negli ultimi decenni, l'Asia orientale e la regione del Pacifico hanno registrato il maggior inquinamento delle acque superficiali, per due concause, boom dell'industrializzazione e della popolazione ed inadeguatezza infrastrutturale, mancano cioè impianti adatti ed efficienti per la potabilizzazione e il successivo trattamento delle acque reflue. Lo studio ha modellizzato la qualità delle acque superficiali in base a tre diversi scenari ipotizzati dall'IPPC e che comprendono l’evoluzione del riscaldamento globale, l’aumento della popolazione, e lo sviluppo socio economico futuro con 3 modelli di qualità temporalmente articolati in periodi ventennali.

Lo studio prevede che in tutti e tre gli scenari la qualità dell'acqua potrebbe peggiorare nei Paesi del Sud America e dell'Africa subsahariana con economie emergenti. Al contrario, in molti Paesi ricchi, le migliori tecnologie e gli impianti più efficienti porteranno ad una migliore qualità, una maggiore disponibilità, una responsabile attenzione verso la ricchezza acqua.

Secondo gli Obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, entro il 2030 tutti dovrebbero avere accesso all'acqua potabile, ma di fatto rispetto a questo traguardo va registrato uno scollamento con le politiche globali e la realtà su scala più piccola. In fondo riviviamo il tempo della grande puzza di Londra dell"800 e della nascita dell'ingegneria Sanitaria, con la differenza che allora gli abitanti della terra erano un quarto di quelli di oggi e di conseguenza la soluzione poteva essere più facile, ma oggi abbiamo un'alleanza fortissima, l'innovazione tecnologica avanzata, a cui dobbiamo affidarci forse con fiducia maggiore di quanto facciamo.

Prof. Luigi Campanella - Fondazione Aqua



Prima della fine del mondo...



I mondi dell'uomo sono molteplici ma tutti nel pensiero... uno solo è reale: questa Terra. Se non siamo in grado di conservare la nostra vita onorevolmente sulla Terra come potremo sperare la salvezza emigrando su altri pianeti? Come potremo sperare di essere accolti nel consesso della vita universale  se non siamo stati in grado nemmeno di mantenere la vita sul nostro piccolo pianeta? Con ciò ritengo che l'esperimento della nostra sopravvivenza deve potersi avverare qui dove siamo... Inutile sperare in colonie sulla Luna, su Marte o su Venere... inutile cercare l'acqua su quei mondi desolati se qui -dove ce ne è tanta- non siamo in grado di mantenerla pulita.

Eppure già ci furono diversi scienziati e spiritualisti illuminati che sin dagli albori della società dei consumi avvertivano l'uomo del rischio di uscir fuori dai binari dell'equilibrio scienza/vita. Oggi il treno umano sta deragliando con scintillio di schegge impazzite: OGM, avvelenamento chimico metodico della terra e dell'acqua, energia atomica sporca, deperimento sociale e morale, urbanizzazione selvaggia, distruzione delle risorse accumulate in millenni dalla natura, etc.

L'uomo nel corso della sua breve storia ha enormemente trasformato la faccia della Terra, perché egli può deliberatamente modificare quasi tutto quel che costituisce il suo ambiente naturale e controllare quel che cresce e vive in esso.

La trama della vita è però tanto delicata e tanto legati sono tra loro il clima, il terreno, le piante e gli animali, che se una componente di questo complesso viene violentemente modificato, se alcuni fili vengono tagliati all'improvviso, l'intero complesso subisce una modificazione. Questo è il significato intrinseco del Bioregionalismo e dell'Ecologia Profonda.

Per centinaia di anni -e soprattutto nell'ultimo secolo- l'uomo è stato la causa di deturpazioni, stermini ed alterazioni profonde... e questo malgrado la sua contemporanea capacità di creare abbellimento ed armonia. Il potere intellettivo che consente all'uomo di progettare e costruire è lo stesso che gli consente di distruggere. Con l'aumento smisurato della popolazione umana la capacità di procurare danni materiali come pure l'affinamento del pensiero e della riflessione sono cresciuti esponenzialmente.

Purtroppo questa nostra Terra non è un Paese di Bengodi od un corno dell'eterna abbondanza... le risorse del pianeta, pazientemente accumulate e risparmiate nel suo ventre, sono ora in fase di esaurimento. La biodiversità e la purezza del genoma vitale sono sempre più a rischio... molte specie animali resistono solo negli zoo o nei giardini botanici. In tutto il mondo moderno ogni nuova impresa economica e scientifica viene seguita da peste e malanni, lo sviluppo continuo equivale al consumo accelerato dei beni, nella incapacità di recupero ambientale e ripristino da parte della natura.

Occorre da subito e con la massima serietà e determinazione fermare la caduta, preservando le risorse residue e quel che rimane della vita selvatica, non solo per il mantenimento della bellezza naturalistica ma soprattutto perché l'armonia complessiva, cioè la reale sopravvivenza della comunità dei viventi (e dell'uomo stesso) dipende da quelle componenti.

Il futuro dell'umanità, infatti, non sta nella sua colonizzazione di altri pianeti del sistema solare bensì nella sua abilità di conservare la vita sul pianeta Terra.

Per questa ragione la biologia, l'ecologia profonda, la spiritualità della natura sono aspetti essenziali del nuovo paradigma coscienziale. Uno dei più grandi misteri vitali, che abbiamo il dovere di affrontare e risolvere, è quello relativo alla nostra vera natura. Ma le religioni e la scienza non saranno mai in grado di darci una risposta se non cominciamo a cercarla direttamente in noi ed attorno a noi. Altrimenti non saremo in grado di uscire dal meccanismo ripetitivo delle guerre, dello sfruttamento insensibile, dei conflitti razziali e interspecisti.

Umanità non è solo simbolizzata da questi bipedi antropomorfi e non è solo un agglomerato organico definito “corpo”. Possiamo dire che Umanità è la capacità di riconoscersi con tutto ciò che vive e pulsa energeticamente dentro e fuori di noi.

La Terra è la nostra casa, l'abbiamo avuta in eredità da un lento e laborioso processo globale della vita, ma siamo sicuri di poterla lasciare a nostra volta alle generazioni future nella stessa integrità e opulenza nella quale noi l'abbiamo ricevuta? La dignità umana si gioca anche in questo, accettiamo dunque la sfida posta alla nostra intelligenza. 

Insomma l'interrogativo era ed è "gli umani saranno in grado di ereditare la terra...?" - L'evoluzione ha una direzione univoca, la crescita della Coscienza, restiamo in essa! 

Paolo D'Arpini - Rete Bioregionale Italiana



martedì 12 agosto 2025

Il Karma è karma... nel bene e nel male!

 

Cosa non è il karma. Cosa dice il colonnello Kurtz.

La visione persistente di se stessi, titolari, indiscussi per inconsapevolezza di sé, di un certo ruolo, è una forza che tende, effettivamente, alla realizzazione di se stessi sempre immaginata e – motivazione permettendo – a mantenerla una volta raggiunta. Così, per qualunque campione umano, si potrà trovare una continuità di allenamento di tutti gli elementi necessari allo scopo.

Tutto ciò, tanto nel meglio quanto nel peggio. Un’idea sottomessa di sé sarà una forza che ci tiene giù, che non spinge in alto. Solo un eventuale aggiornamento solare delle proprie visioni di sé, potrà generare le forze per ritrovarsi in contesti non più arrendevoli.

Nel bene e nel male, motivazione permettendo, l’allenamento mantiene e migliora lo standard del fare. È una verità spirituale, che possiamo riscontrare anche attraverso l’osservazione del comportamento del corpo di un essere vivente, in particolare dei mammiferi, con facilità nell’uomo. Solo a mezzo di orientamento spirituale permanente, quanto si pensa – anche inconsapevolmente – di sé, ciò che si vorrebbe o si crede di essere, corre il massimo rischio di realizzarsi.

Il contatto con un agente esterno, che diviene nocivo in funzione del terreno su cui si posa, è per il corpo un’informazione tanto sottile quanto materiale, che mette in essere una reazione delle sue strutture biologiche e metafisiche. Queste, concepite come due separate entità solo secondo la modalità analitica della scienza, potranno o meno rendere innocuo l’ospite, in funzione del grado di consapevolezza e di intossicazione in noi disponibile. Tanto più potremo risalire alle cause che ne hanno permesso l’attacco, tanto più potremo disporre della migliore difesa. Non solo. Tanto più potremo riconoscere la nostra responsabilità, tanto più, ulteriormente, alzeremo il potere difensivo che è in noi.

In questo contesto, tra questi argomenti e queste prospettive che coinvolgono il soggetto in merito alle responsabilità della malattia, malessere e inconveniente, che non considerano una vittima casuale inerte e pure sfortunata, fanno testo le emozioni violente che possono averci travolti soffocando l’io di cui disponevamo, lasciandoci al centro di una terra bruciata dove nessun soccorso organizzato può venire in aiuto e dove le difese si riducono fino ad azzerarsi.

Dicevamo, un’informazione tanto sottile quanto materiale... Sottile, in quanto energetico, vibrazionale, emozionale. Materiale, in quanto il corpo somatizza il significato di quelle vibrazioni. Quindi anche simbolico, per chi lo sa intellegere, in quanto dall’aspetto materiale e dalla sua localizzazione nella persona, si possono cogliere la natura della persona stessa, i suoi punti oscuri, le consapevolezze di cui non dispone e quindi il relativo gradiente di difesa, che, a questo punto, è opportuno chiamare relazione con sé e il mondo, intesi come un’unità.

È il potere della cosiddetta epigenetica, a mio parere meglio configurabile con la persistenza cronica di un’emozione che lentamente genera la sua dimensione materiale, che va a raccogliersi e depositarsi nell’archivio generale detto Dna. Così gli uccelli e le prede si alzano in volo e fuggono allo scoppio, gli uomini usano la forza, senza la quale si sentono impotenti, le donne l’astuzia e hanno una resilienza superiore.

Il contatto con l’agente avvenuto con l’assunzione di un vaccino non è assimilabile alla processione di esperienze utili al mantenimento della specie, anzi. Il valore epigenetico relativo all’assunzione di vaccinazioni rema contro la crescita e il mantenimento del sistema immunitario.

Il potere delle vaccinazioni è, invece, della medesima natura dell’informare, dell’insegnare, del formare o condizionare qualcuno in funzione delle proprie esperienze e convinzioni. Una dinamica nella quale il soggetto destinatario – anche se stimolato al pensiero critico, necessariamente entro l’ordinamento che gli si sta impartendo – è passivo. La sua opera – fisica e metafisica – creativa è assente. Il suo potere naturale – nella natura c’è tutto il necessario a se stessa, quindi all’uomo – viene castrato. La natura viene indebolita. La vanità umana, travestita da opera di bene, viene alimentata. Il sistema di sopravvivenza della specie viene disorientato, al pari di quello di orientamento dei pesci, dei cetacei e delle tartarughe in stretta relazione con la rete di energia tellurica, che viene imbrattata dagli inquinamenti elettronici di origine antropica.

Le reazioni del sistema immunitario, relative alla modalità provocata e a quella spontanea, potrebbero avere una corrispondenza spirituale con il potere intellettuale-razionale per la prima e estetico-emozionale per la seconda. L’esperienza non è trasmissibile, indurla a suon di inoculazioni, di qualunque genere si voglia, in contesto socio-politico fa il pari con l’esportazione della democrazia, con l’imposizione-coercitiva in quello pedagogico.

Nella nostra cultura la modalità intellettuale è ordinaria e considerata superiore a quella del sentire, estetica, del corpo. In essa il capire ci appare come il maggior acuto umano possibile. Ne consegue un procedere che pone al centro la dialettica dei concetti. È un criterio uniformatore e meccanico che lascia l’uomo e i suoi universi ai margini. La maggioranza lo rispetta pedestremente e giudica il prossimo in funzione della dimostrazione di replica che questo è in grado di fornire.

Tuttavia, se il concetto in questione è ricreato, ovvero esperito come culmine di un percorso individuale, implica la disponibilità a poterlo impiegare nelle innumerevoli e improvvise occasioni secondo la condizione creativa del momento, che sarà tanto più libera tanto meno i condizionamenti delle consuetudini l’avranno costretta.

Ne deriva che, senza esperienza diretta della ricreazione, resteremo prede della rete offertaci dall’ambiente culturale e circostanziale in cui viviamo.

Quando il corpo fa conoscenza di un surrogato del virus, sul lungo periodo pregiudica la resistenza della vita stessa. A questo argomento, individualisti, materialisti e scientisti reagiscono celebrando il valore egoico della vita individuale. Azzannati dai concetti che hanno imparato e replicano senza sosta in un teatro dell’esistenza sempre tutto esaurito – come se la rappresentazione fosse altro da noi – non hanno modo di cogliere come la loro scienza stia indebolendo la specie a favore di un suo campione. Del suo vergognoso criterio separatorio-analitico-scompositivo, ma guai a criticarlo, supportato da un moralismo ad essa colluso, ne sono riflesso la chirurgia dei trapianti e quella estetica.

Moralismo che non elegge la vita ma la vanità umana, che annacqua la rete di relazioni che fanno della natura un organismo. Quest’ultima, così indebolita, non potrà che ridurre la sua forza e la sua conoscenza, necessarie alla sua stessa sussistenza.

Si può raggirare impunemente la natura? Lo pensi davvero? Come fa a mantenere costanti le percentuali di maschi e femmine senza neanche un sussidiario della scienza che le dica come?

Se, ordinariamente, come fanno tutti gli organismi, da una sua espressione/esperienza endogena eccezionale, che sia animale, minerale o vegetale, essa trae informazioni utili, quando queste divengono anomalie esogene la sua bussola viene disturbata, alzando così il rischio di collassi e cortocircuiti imprevedibili, altrimenti tendenzialmente improbabili.

È quanto avviene a una persona coinvolta in circostanze fuori dal suo ordine abituale, per la quale il rischio di instabilità e malattia tende a elevarsi.

Così, nella convinzione che il principio di causa ed effetto corrisponda a una legge universale e non semplicemente a un mondo e a una realtà esaurita e schiacciata nella dimensione logica-meccanica-materiale – buona per replicare e amministrare il finito, ma invalida per creare e liberare l’infinito – il karma viene egoicamente concepito come un filo rosso che collega le nostre misere vicende. Tutte regolarmente travisate, storpiate, violentate dalla nostra interessata – sebbene inconsapevole – interpretazione. Tutte erano state giuste o ingiuste, tutte sono passate al pedante e ottuso vaglio del senno di poi al fine di restituirci il senso coerente a noi stessi, di mantenere e rinforzare la struttura dell’io, ciò che crediamo di essere. Una dinamica karmica siffatta è molto simile al Pater noster imposto dal confessore per la remissione dei peccati. Tuttavia, non è meccanica la questione del karma.

Ed è proprio meccanicisticamente pensando che la semantica sottile, e il relativo suo potere evolutivo, viene obnubilata, come qualunque altra azione umana impigliata e imbrattata da interesse personale, e perciò slegata dalla natura, dal cosmo.

Un karma in forma di causa effetto corrisponde alla vulgata del concetto. Restare legati a questa prospettiva è seguitare a correre nel vicolo cieco della conoscenza. Concepirla invece come flusso energetico, che, come un rio, sfocia nel mare del tutto, ci offre il movente per riconoscere la nostra responsabilità su come va il mondo, e quello per agire secondo amore, non più per bieco suprematismo individualista.

Consumando un’esistenza vincolati al giogo dell’importanza personale, tronfi o succubi della propria – ma quale propria? – personalità, il corrispondente spirito egoico che incarniamo, dopo la morte fisica del corpo, tornerà ad animare altre esistenze finché una di queste realizzerà – incarnerà – le consapevolezze utili alla liberazione dal samsara o ciclo delle rinascite, ovvero della sofferenza. Allora quello spirito non avrà più bisogno di un corpo in cui stare.

È una bufala? Può darsi. La questione è un’altra: non cambia nulla se tale descrizione dell’emancipazione dalle strutture dell’ego è solo una descrizione fantastica. Il suo valore sta nell’essere simbolicamente un espediente motivatore per il bene. Fa ridere? Sì, molti, moltissimi ridono, forse perché, obnubilati da quel giogo, non hanno visto nelle loro personali relazioni come il male si perpetua o, viceversa, come si risolve nel bene proprio nel momento in cui l’esaltazione egoica viene messa a tacere e il perdono, o il semplice lasciare perdere, entra in campo, e la sofferenza, di qualunque gradiente sia, non ha più terreno in cui riprodursi.

Dunque, la cosiddetta legge del karma mostra il modo in cui la sua dinamica aleggia su noi solo quando sentiamo il potere dell’amore incondizionato – quello che, per chi ancora ride, è sperimentato da tutti, in particolare dai genitori verso i figli – dell’appartenenza al cosmo, della condivisione del prossimo, del giogo delle consuetudini, delle abitudini e della realtà certa, quella da noi descritta.

Essere vincolati all’ego è di pari vischiosità all’essere legati a un’ideologia, a un’ossessione, a una passione. Finché si guarda il mondo beandosi delle differenze tra sé e ciò che osserva, non c’è scampo. Le forme sono infinite, se ne troveranno sempre, come le strade di un labirinto geniale. È, invece, riconoscendo le identiche dinamiche imposte dall’io, che si può trovare la via di uscita dalla sofferenza, o riconoscere come questa si genera.

Un karma energetico, come sostiene il buddhismo, comporta la liberazione dal ciclo del samsara, quello che i cristiani chiamano inferno.

Ce lo hanno fatto presente in tanti, dai Veda, al Buddha, al Cristo e anche successivamente, e pure i nostri contemporanei, tra cui l’orrore del colonnello Kurtz. (1)

Per chi non ha orecchie per intendere, quell’orrore appare solo quando il sipario della vanità e dell’arroganza si alza, mostrando le ombre platoniche che avevamo creduto realtà, per le quali, senza interrompere la nostra superbia, avevamo interrotto lo scorrere della nostra bella morale e ci eravamo permessi di tutto.

Lorenzo Merlo




Note

  1. https://www.facebook.com/lafinestrasulcinema/videos/i-monologhi-del-cinema/1401308153397967/


domenica 10 agosto 2025

LGBT - Siamo uomini o caporalesse? - La teoria del "genere" all'occorrenza


Risultati immagini per LGBT

In Italia la democrazia è virtualmente scomparsa. Il Wall Street Journal, che non è un giornale radicale, si è posto la domanda di come le democrazie europee siano quasi del tutto collassate e ha sottolineato che, a prescindere dal tipo di governo al potere, di destra o di sinistra, seguono sempre le medesime politiche. Questo perché le politiche vengono decise da banchieri o da burocrati che non vengono eletti, o da funzionari che stanno a Bruxelles. Ciò che sta accadendo è che c’è il tentativo sistematico di distruggere lo stato assistenzialista che è stato ed è il fondamento dell’Europa e della civiltà europea, soprattutto nel periodo del secondo dopoguerra”.

A parlare così non è un qualunque complottista dietrologo e qualunquista ma, in pubblico convegno, Noam Chomskyuno degli intellettuali americani più conosciuti al mondo, professore emerito di linguistica al Massachusetts Institute of Technology, fondatore della grammatica generativo-trasformazionale, il più rilevante contributo alla linguistica teorica del XX secolo.

Il tutto, ovviamente, scientificamente occultato dai media di regime, sempre più zelanti nelle cronache che riguardano l'emancipazione dell’umanità attraverso il superamento dell’identità sessuale nei suoi generi maschile e femminile - promossa col contributo economico e politico delle potenti lobby d’occidente – e sempre più reticenti quando si tratta di cronache, riconducibili allo stesso tema, ma di inquietante attualità satanica.


 
Molto spazio, persino nei tiggì, all’attualità neolinguistica sugli adattamenti più opportuni per le cariche al femminile di prefetti e questori – questora, questrice, prefetta o prefettrice…. qui sta il problema! – zero carbonella su quello che sta accadendo al mondo, da tutti i punti di vista: climatici ma, prima ancora e soprattutto, esistenziali.

Una classe politica asservita ai poteri mondialisti, insulsa e ipocrita, spadroneggia arrogante, senza risparmiarci falsi moralismi, sulle nostre teste. Si vergognano di parlarne pubblicamente perché sanno bene in quali rischi incorrerebbero, ma non si fanno scrupolo di legiferare con la buona scuola, vere e proprie mostruosità che vogliono imporci, dichiarandole esplicitamente su un apposito sito.

Leggere per credere: “I sostenitori della teoria gender distinguono tra sesso e genere. Il primo è il sesso con il quale nasciamo, il secondo è quello che diventiamo. Il sesso è un dato biologico e naturale, il genere un dato psicologico e socio-culturale. In tale prospettiva, la differenza tra uomini e donne, l’essere maschio e femmina non è un dato oggettivo e reale ma è un prodotto della cultura e della costruzione sociale dei ruoli” (www.osservatoriogender.it)

Il passo verso una popolazione di automi o di individui geneticamente modificati è in atto e noi siamo ormai troppo disinteressati e narcotizzati anche solo per scandalizzarci. Coloro che invece proveranno a osteggiare questo processo verranno fermati dalla psicopolizia che presto potrà vantare delle leggi per reprimere anche solo il pensiero non allineato col sistema. Questo avverrà se l’apatia delle nostre menti non verrà scalzata dal senso di urgenza che ci pone davanti a un bivio: continuare ad essere umani o abdicare alla nostra essenza. Se glielo permetteremo, il benessere che il mondialismo ci offre, ci strapperà tutto ciò che contraddistingue la nostra natura umana: la famiglia, l’amore coniugale, la cura dei figli, la filosofia, l’arte, il libero arbitrio” *.

Svegliatevi e passaparola, altrimenti saranno loro a passare... sulle nostre teste!

Adriano Colafrancesco - adrianocolafrancesco@gmail.com


* da Unisex – Enrica Perucchietti e Gianluca Marletta – Arianna editrice


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sabato 9 agosto 2025

La proposta dell'identità genomica... ?!



Dal sogno all’era genomica!

Gilberto Di Benedetto, alias Hypnos, lancia la proposta della Carta d’Identità Genomica ispirata a “Michael’s Gate” – un’opera che conteneva il suo stesso codice genetico – molti la giudicano visionaria ma  questa proposta propone di  riscrivere la storia del riconoscimento identitario, trasformando ogni essere umano in detentore inimitabile della propria identità fisiologica.

La proposta  del registro inviolabile del Genoma Civile Globale.

Processo in 3 secondi:

1. Contatto – un dito sfiora il sensore bio-ottico o si soffia delicatamente in un condotto sterilizzato.

2. Analisi lampo – un fascio laser quantico decodifica in tempo reale la sequenza genomica.

3. Firma universale – la sequenza criptata si lega al documento, alla transazione o al contratto digitale.


Applicazioni possibili

Pagamenti: addio a carte di credito e PIN. In un mercato di Tokyo, un cliente compra un’anguria: basta appoggiare la mano sulla bilancia e il pagamento avviene.

Viaggi: negli aeroporti orbitali, il check-in è istantaneo. Il portale si apre solo al riconoscimento genomico.

Giustizia: nelle aule dei tribunali, le testimonianze vengono validate in diretta con una firma genetica che impedisce ogni falsa identità.

Arte e proprietà: quadri, sculture, brevetti e persino canzoni contengono il DNA criptato del loro autore.


Le macchine futuriste dell’identità

BioPen – una penna che, mentre scrivi, rilascia una micro-goccia invisibile del tuo codice genetico sul documento cartaceo, certificandolo.

GenScanner – occhiali che leggono la firma biologica di chi hai davanti, sovrapponendo all’immagine reale una “corona” di dati di autenticità.

AeroID – droni di frontiera che riconoscono chi attraversa un confine semplicemente analizzando le molecole lasciate nell’aria.

NeuroDNA Link – interfacce cerebrali che integrano il DNA come chiave di accesso alla propria identità digitale, impedendo qualsiasi furto di profilo.


Dal sogno all’era genomica?



Fonte: Michael's Gate Museum  - michaelsgatemuseum@gmail.com



venerdì 8 agosto 2025

Catasto dei soprassuoli percorsi dal fuoco...

 

Il Catasto dei soprassuoli percorsi dal fuoco è un registro, tenuto dai Comuni, che elenca le particelle di terreno boschivo danneggiate da incendi. Questo registro ha lo scopo di applicare specifici divieti e prescrizioni sulle aree colpite, al fine di tutelare il territorio e favorirne il recupero

In Italia, la normativa sul catasto dei soprassuoli percorsi dal fuoco (spesso chiamato semplicemente “catasto incendi” o “catasto delle aree percorse dal fuoco”) è un pilastro fondamentale nella strategia di prevenzione e lotta agli incendi boschivi, nonché un potente strumento di tutela del territorio e di contrasto agli abusi edilizi.

Cos’è il Catasto dei Soprassuoli Percorsi dal Fuoco

Il catasto dei soprassuoli percorsi dal fuoco è un elenco aggiornato delle aree boschive e dei pascoli percorsi da incendio, istituito e gestito dalle Regioni e dalle Province Autonome, in collaborazione con i Comuni. La sua funzione principale è quella di mappare e registrare ogni area che ha subito un incendio boschivo, al fine di applicare le specifiche prescrizioni e vincoli imposti dalla legge.

Normativa di Riferimento

La normativa principale che disciplina il catasto incendi è la Legge 21 novembre 2000, n. 353 “Legge quadro in materia di incendi boschivi”. Questa legge ha introdotto disposizioni rigorose per la prevenzione e la repressione degli incendi boschivi, stabilendo principi e procedure operative.

In particolare, gli articoli cruciali della Legge 353/2000 in relazione al catasto sono:

  • Art. 10 – Censimento dei soprassuoli percorsi dal fuoco: Questo articolo impone ai Comuni di censire e delimitare annualmente le aree percorse dal fuoco e di trasmettere i dati alle Regioni e al Ministero dell’Ambiente. Le Regioni, a loro volta, devono predisporre ed aggiornare il catasto delle aree percorse dal fuoco.
  • Art. 10, comma 1: Stabilisce che i Comuni devono aggiornare e delimitare le aree percorse dal fuoco entro 90 giorni dall’estinzione dell’incendio e inviare la documentazione alla Regione.
  • Art. 10, comma 2: Introduce i vincoli e divieti sulle aree percorse dal fuoco:
    • Vincolo di inedificabilità: È vietata per 15 anni la realizzazione di edifici o di manufatti edilizi sulle aree boscate e pascoli percorsi dal fuoco.
    • Divieto di cambio di destinazione d’uso: Per 10 anni è vietata la destinazione a pascolo delle superfici già boscate percorse dal fuoco, qualora non siano trascorsi i termini previsti dalla legge regionale per il pascolo e comunque per un periodo non inferiore a 5 anni.
    • Divieto di rimboschimento con specie non autoctone: Sono previste limitazioni sulla gestione forestale, favorendo la ricostituzione del bosco con specie autoctone.
    • Vincolo di ricostituzione: I Comuni devono provvedere al rimboschimento e alla bonifica delle aree entro 10 anni.

A queste disposizioni nazionali si affiancano poi le leggi regionali che definiscono in dettaglio le procedure per l’istituzione, l’aggiornamento e la gestione dei catasti a livello locale, le modalità di rilevamento, le sanzioni e gli eventuali ulteriori vincoli.

Importanza del Catasto per la Prevenzione degli Incendi (e non solo)

L’importanza del catasto dei soprassuoli percorsi dal fuoco è multisfaccettata e cruciale per la tutela del territorio:

  1. Prevenzione dell’Incendio Doloso a Scopo Edilizio: Questa è la ragione principale della sua introduzione. In passato, gli incendi dolosi erano spesso appiccati per liberare aree boschive o pascoli e renderli edificabili. Il catasto, con il vincolo di inedificabilità di 15 anni, scoraggia drasticamente questa pratica, rendendo l’incendio a fini speculativi un’operazione economicamente svantaggiosa e illegalmente rischiosa. Questo è un deterrente molto forte contro gli incendi di origine dolosa.
  2. Tutela del Patrimonio Boschivo e Ambientale: Imponendo il divieto di cambio di destinazione d’uso e la priorità al rimboschimento con specie autoctone, il catasto garantisce che le aree incendiate siano recuperate e che la biodiversità originaria sia preservata, impedendo la cementificazione o l’alterazione irreversibile del paesaggio.
  3. Supporto alla Gestione Forestale e Ambientale: Fornisce alle autorità (Regioni, Comuni, Corpo Forestale) una base di dati essenziale per pianificare gli interventi di ripristino ambientale, monitorare lo stato di recupero delle aree, e implementare strategie di prevenzione mirate nelle zone a rischio.
  4. Trasparenza e Controllo: Il catasto rende pubbliche le informazioni sulle aree incendiate, consentendo un maggiore controllo da parte della cittadinanza, delle associazioni ambientaliste e delle autorità di vigilanza (es. Procura della Repubblica, Guardia di Finanza, Carabinieri Forestali) sull’applicazione dei vincoli e sulla legalità degli interventi.
  5. Deterrente Generale: La conoscenza dell’esistenza di questo catasto e dei severi vincoli che ne derivano agisce da deterrente anche per chi volesse appiccare incendi per altre finalità, consapevole che il proprio gesto avrà conseguenze a lungo termine sull’utilizzo e il valore del terreno.

In conclusione, il catasto dei soprassuoli percorsi dal fuoco non è solo un registro burocratico, ma uno strumento normativo potentissimo che lega la storia degli incendi a un regime di vincoli di lungo periodo, rendendo anti-economica e illegale la speculazione post-incendio e promuovendo attivamente la tutela e il recupero del patrimonio boschivo italiano.

 Ing. Francesco Cancellieri – Presidente AssoCEA Messina APS e  Responsabile Nazionale Area Tematica SIGEA-APS “Paesaggi, Aree Naturali Protette e Rete Natura 2000”

 Fonte: Salviamo il Paesaggio




giovedì 7 agosto 2025

Formare comunità al raduno RIVE 2025...


Damanhur - Raduno estivo RIVE  del 23/27 luglio 2025

Duecento persone sono in piedi le une accanto alle altre, affidano le loro mani in quelle del proprio vicino, palmo sopra palmo, destra e sinistra. Insieme realizzano un grande cerchio in uno dei terreni che incontri camminando qua e là nei dintorni di Vidracco, un minuscolo comune torinese incastonato ai piedi delle prime montagne piemontesi. Fuori da quel cerchio suona una chitarra e i tamburi suggeriscono il ritmo insieme a una voce che canta, una voce che arriva fin dentro al cuore del cerchio stesso e così tutti cantano una stessa melodia.

Lungo quel cerchio gli sguardi s’incontrano, si soffermano, sorridono complici e celebrano. E in corso una cerimonia, il rito di chiusura del raduno della Rete Italiana dei villaggi ecologici, la RIVE. E’ il 27 di giugno e quel raduno è iniziato quattro giorni prima. Fuori c’è il sole, l’aria è umida e il caldo ti appiccica ai vestiti. Siamo a Vidracco, il luogo in cui il primo nucleo di quella che oggi è Damanhur s’è radicato cinquant’anni fa. Una comunità insolita nel panorama delle comunità italiane, di grandi dimensioni e radicate convinzioni, compresa una scuola esoterica nota in tutto il mondo. Damanhur celebra i suoi cinquant’anni e, per l’occasione, accoglie il raduno Rive.

Ma torniamo al grande cerchio, tutti i duecento partecipanti presenti custodivano, tra un intreccio e l’altro delle mani, una pietra raccolta poco prima. Ognuno, trovata la propria, gli ha donato un significato. Ha immaginato di offrirle i propri doni e talenti, quel non so che di speciale che ti divampa dentro. Poi quella pietra imbevuta di significato è stata posta al centro del cerchio come a realizzare un grande mandala. Infine, ogni singolo elemento del grande cerchio, attraversando quattro grandi corridoi umani, è tornato in quel centro per raccogliere la pietra di qualcun altro, con altri intenti, altri doni, altri talenti.

Per un osservatore più o meno estraneo al mondo e alle ritualità di questa Rete, perché è proprio così che mi sento mentre scrivo ed è così che mi sono sentito durante il raduno – un osservatore più o meno esterno -, questo rito può avere un significato ben preciso.

Il raduno della Rete degli ecovillaggi italiani, quindi una rete di comunità e persone che scelgono di vivere assieme, ha affrontato il grande tema dell’individuo all’interno delle comunità. Che ne è dell’individuo in questo tanto ambito passaggio “dall’Io al Noi”? Soprattutto, può esserci un Noi senza la linfa di individualità radicate in se stesse? Individualità, non individualismo: sono due cose diverse.

E così, dopo piu’ di due decenni di esperienze comunitarie che nascono, muoiono e rinascono, al raduno RIVE 2025 il grande tema è stato proprio quello di realizzare individualità consapevoli al di là della scelta di vivere oppure no all’interno di una comunità intenzionale. Perché l’esperienza dello stare insieme e della cooperazione si esprime in tante forme: l’ecovillaggio è una di queste, una tra tante altre. Scoprire un passo alla volta i propri doni, probabilmente è una buona via per prenderti cura della tua individualità e costruire comunità sane, consapevoli, interconnesse e dinamiche, anziché bolle statiche per cuori in fuga.

E così durante quei quattro giorni di raduno, il cui nucleo era costituito da cinque percorsi formativi ‘dall'io al noi, alla comunita’, al mondo’ per fare comunità prendendosi cura dell’individuo. Perché l’esperienza ecovillagista italiana mostra anche questo, che nella comunità è facile perdersi se non hai ben chiaro in quale direzione tira il tuo vento. E questo è tutto sommato vero dentro e fuori una comunità.

In tutto questo, un piccolo gruppo di ragazze e ragazzi - la più grande è al mondo da sedici anni -, hanno bazzicato qua e là per il raduno col fine di intervistare qualcuno di quegli adulti, tutti con gli occhi che brillano all’idea di una comunità. Una delle loro domande è curiosa: “Cosa pensi di trovare in una comunità che non sia già dentro di te”? E’ una domanda puntuale, non si scappa. E’ curioso che a un raduno di comunità l’attenzione sia andata sull’individuo e che quel gruppo di ragazzi abbia percepito che, tutto sommato, quegli adulti più che la comunità stessero cercando una buona ragione per sentirsi in pace con sé.

 Daniele Pascale -  RIVE