martedì 30 aprile 2024

Un mondo perfettamente logico...?

 


Non ci sarà altro destino da quello infernale, che quotidianamente ci accompagna, finché la bellezza resterà fuori dal centro delle azioni. E finché resterà fuori, il brutto e il male seguiteranno a contagiare i pensieri e lo spirito degli uomini. Considerare un dovere sociale tenere al centro il razionale, il tecnologico, l’economico e l’interesse personale, è il compimento del brutto in quanto affermazione babelica, separazione dall’origine, esaltazione di sé.

Qualche considerazione sulla bellezza e i limiti della conoscenza cognitiva.

“Ogni lingua lineare è però una lingua logica; in altri termini, agisce, per così dire, in una dimensione e si blocca dinanzi al confine di più dimensioni” Armïn Mohler, La rivoluzione conservatrice in Germania, 1918-1932: Una guida, Napoli-Firenze, Akropolis/La Roccia di Erec, 1990, pp. 96-97.

Il modo estetico

La bellezza quando è solo una parola, riferisce di una categoria nella quale abbiamo posto qualcosa o qualcuno. Quando è invece una vibrazione, reifica un universo in cui le relazioni sono regolate prioritariamente dall’energia estetica, dal modo estetico di concepire, intendere il mondo, il prossimo, la realtà. La modalità estetica risiede nel pre-pensiero. Il pensiero organizzato, interessato e politico la deturpano.

Diversamente dalla modalità etica – suo opposto energetico – intenta ad affermare un ordine nelle relazioni, nella realtà e nel mondo, quindi rappresentabile dalla geometria piana, dalla fisica classica e dall’informatica, quella estetica ha un carattere fluttuante, risente di tutto e ha il pregio di condurci a noi stessi e a farci riconoscere la nostra vera natura, sempre imbrattata e nascosta da strati di nozioni etiche e dei suoi saperi analitici.

La cultura materialista in cui siamo immersi, tende ad allontanarci dal senso della vita riducendolo al senso del successo. Un territorio in cui la bellezza è ridotta alla parola che allude al bello, ma non contiene il bene, e a uomini senza bellezza, ma pieni di individualistica vanità, tanto che si è separata la bellezza dal bene, credendo di fare scissione innocua. Una separazione tanto profonda che li porta a deridere certe conclusioni. Del resto, come ci racconta Lao Tsu, quando lo stolto sente parlare per la prima volta del Tao scoppia a ridere.

Nel caso etico siamo spinti a eleggere gli uomini a proprietari del mondo e di se stessi. In quello estetico diviene possibile conoscere attraverso il sentire, la liberazione dal conosciuto e la corrispondenza con il cosmo.

L’etico produce norme. L’estetico poesie.

L’etico amministra l’esistente. L’estetico ricrea.

L’etico segue canali ereditati. L’estetico ascolta il mondo.

Il primo usa la matematica, la statistica, gli algoritmi. Il secondo utilizza il terzo occhio.

Uno ritiene che la conoscenza sia da acquisire, l’altro che è già in noi.

L’etico è entro una capsula impermeabile se non dalla norma. L’epidermide dell’estetico è sottile e vibrante come una vibrissa.

Ideologie e relativi dogmi, differenze e separazioni sono il basamento dell’incastellatura etica. L’identicità degli uomini, la maschera delle forme, e ritenere tutto espressione della vita, lo sono per la prospettiva estetica.

Per l’etico esiste l’eretico. Per l’estetico non esiste eresia, neppure quella etica.

I computatori della vita sono meno inclini a sfruttare le informazioni su se stessi fornite dalle emozioni. Sono più stabili ed equilibrati, ma impediti a cambiare sembianze, a divenire altro da sé, a sfruttare la contemplazione per conoscere e la meditazione come medicina. A vedere e muoversi secondo bellezza, non è per loro previsto.

Agli esseri estetici è come se piacesse il rischio. Puntare tutto sulla bellezza richiede fanciullezza, sconsideratezza, inconsapevolezza delle conseguenze e fede. Visti con ottica etica, sembrano coraggiosi e avventati. Al contrario, quelli etici, visti con ottica estetica, che si muovono con accortezza, non sono che pusillanimi.

Un po’ come per i materialisti che non sospettano neppure che i loro attrezzi non servono per lavorare al banco alchemico, l’uomo etico, logico, razionalista, concreto, non ha modo di concepire il mondo se non nella sua espressione storica. A lui piace fermarsi al dito. Della luna non sa che farsene. Concentrato sui particolari da mettere e tenere in ordine non la vede.

La bellezza è anche una modalità di ricerca e una discriminante. Essa si rivela ascoltando, seppur nascosta da sembianze che non la evidenziano. Quando la bellezza accade, quando è centrale nelle relazioni, si realizza quella realtà estatica sempre cercata. La sola che conta, in quanto la sola in grado di dare senso alla vita, in quanto benessere intimo e relazionale, in quanto premessa necessaria alla benevolenza e alla gratitudine incondizionata.

Il senso della vita concepito, soddisfatto ed esaurito in ambito etico-amministrativo, allude a titoli, denari, dialettica, saperi cognitivi, vita regolata dal diritto e dimenticata dalla natura, cultura intellettual-tecnicistica.

Differenze formali di senso, ciò che conta riguarda la compagnia del baratro nero, che accompagna la modalità etica. Un abisso in cui il rischio di cadere corrisponde alla presa di coscienza di avere dedicato l’attenzione a confondere le autoreferenziali infrastrutture per verità.

Essere coinvolti in una caduta della bellezza nella relazione, ossia al tradimento spirituale, arresta i processi vitali-creativi. Essere forzatamente sottratti dalla bellezza è un’esperienza grave, un crollo emozionale. È quanto accade nella prevaricazione della norma, della sua limitatezza, nel campo libero e infinito dell’amore.

Ma le cose si muovono, i ruoli si invertono. Tendiamo a passare da una affermazione al suo opposto, e a tutti i grigi intermedi, in funzione di esigenze e circostanze più forti dei nostri valori e della nostra disciplina e stabilità. Nessun uomo è un tipo puro, e chi lo è più degli altri è tanto più specialisticamente forte, quanto più olisticamente vulnerabile se opportunamente toccato. Anche se – in senso lato – il nostro segno zodiacale e ascendente ci spingeranno sempre verso la loro concezione delle cose, tutti corrispondiamo alla verità dell’yin e yang, ovvero in ognuno c’è parte dell’altro. L’opposto che fuggiamo è il primo generatore di quanto desideriamo essere.

Secondo bellezza

Il bello è tale in quanto ci muove. Esso allude all’eros, all’energia vitale, tendenzialmente fievole nel replicativo burocrate ed effervescente nel creativo sentire. Esso è simbolo sublimante e tocca il profondo dell’umano, fino all’origine, fino all’archetipo comune e condiviso. Anche per questa sua abissale e inestinguibile dimora, esso risulta sostanzialmente inspiegabile dalla modalità espressiva della dialettica logico-razionale.

Il bello avviene, ed è percepito in noi. Ciò lo rende inequivocabilmente vero, mai accompagnato dall’esigenza di una qualsivoglia egida scientifica. Esso accade quando qualcuno o qualcosa è pertinente a qualche nostra esigenza di completezza. Questa può essere occulta a noi stessi o evidente. Dipende dal gradiente di consapevolezza disponibile su noi stessi e nel momento.

L’esplosione del senso di bellezza ci avverte con un’emozione magnetica nei confronti della parte mancante e risucchiante, totalitaria, e più forte di quella di fondo che corrisponde alla cosiddetta identità di noi stessi. All’opposto, il brutto ci informa di cosa ci disturba.

Avvedersi quindi del valore dell’unità negli opposti è liberarsi di un laccio della catena di forza culturale che ci impone pensieri e azioni moralistiche ed egoistiche che nulla hanno a che fare con noi stessi, che tutto hanno a che vedere con modelli a noi esterni. E che mai divengono scuola evolutiva ma, al contrario, ci trattengono nello status quo dominato da quanto i cattolici chiamano vizi capitali, ovvero, sempre secondo questi, fuori dalla grazia di Dio.

È opportuno considerare che il bello ci rapisce in quanto emozione di beatitudine, sospensione della storia e del pensiero, e dissoluzione dell’io separatore, almeno nei confronti dell’oggetto risonante, quindi paradisiaca, estatica.

Nel tempo della sua durata avvertiamo benessere, la storia che ci circonda si obnubila silente, il pensiero cessa di rutilare, l’unione con l’oggetto risonante, sia esso un’idea creativa, una persona, una forma, eccetera, si compie, tanto da avvertire il diritto di esclusività e proprietà/appartenenza. In quel tempo, istantaneo come nell’eureka di una scoperta, nella presa di coscienza, nel momento della visione e dell’avvento della composizione della costellazione concettuale rivelatrice di un nuovo – per noi – orizzonte del mondo e, per eccellenza, nell’orgasmo; oppure perdurante come nell’innamoramento, nella serenità dell’amore incondizionato, nel sentimento materno, le pene e la loro memoria si scompongono nell’oceano estatico, che i cattolici chiamerebbero paradisiaco o, ancora, grazia di Dio.

È necessario osservare che nel bello è implicito il bene. I concetti di estasi e di paradiso non sarebbero altro che grossolane rappresentazioni di richiami alla migliore condizione di vita. Che va dalla salute, ai buoni sentimenti e alla miglior disponibilità di forza per la gestione degli inconvenienti della vita, nonché alla miglior disponibilità nei confronti dell’autoeducazione alla migliore invulnerabilità. Un corso evolutivo che tende a realizzarsi in modo proporzionale alla decrescita di importanza personale e ai comportamenti dettati da questa e dal suo implicito motto orgoglioso. E, viceversa, proporzionalmente alla disponibilità fenomenologica, ovvero alla spersonalizzazione egoica degli eventi.

(Un culmine culturale questo, che permetterebbe di gettare nel fuoco le fandonie politiche del momento, dalla cancellazione della cultura, alla libertaria scelta del genere sessuale, al politicamente corretto, al pensiero unico, alla famiglia di piacere, alla madre da mercato e alla prole da menu, alle quote rosa, al sostenibile, all’impatto zero, all’economia circolare, all’esportazione di democrazia, all’ossessione dell’inclusività, al culto tecnologico e, più ampiamente, a perpetuare la storia come storia di conflitti, dagli infrapersonali, passando da quelli interpersonali e ideologici, fino a quelli economico-geoegemonici).

La percezione di bellezza allude altresì al senso del sacro. Si può infatti osservare che il sacro che siamo disponibili a riconoscere come tale è solo e soltanto quello che ci fa avvertire l’emozione della corrispondenza e dell’appartenenza. In questo modo, perfino la squadra del cuore è sacra.

Nel senso del sacro è presente un’estensione di noi stessi, come è sostanzialmente concepita infatti qualunque nostra funzionale parte del corpo o dell’immagine della nostra identità. Quale pianista è disposto a sacrificare un mignolo? Chi è disposto a svelare frivolarmente i propri scheletri nell’armadio? Ma sarebbe sufficiente chiedersi quale uomo lo sarebbe se non per qualcosa di ulteriormente sacro, per esempio un figlio – a sua volta nostra estensione – una fede o un giuramento.

Secondo bruttezza

Specularmente al bello che implica il bene, il brutto è simbolo del male. Da non intendere in senso moralistico ma energetico-evolutivo. Secondo questa concezione si può riconoscere l’origine e il destino dell’idea che l’uomo sia sulla terra per riunirsi all’origine. Non solo, ma anche che il suo operare etico ha valore solo e soltanto se compiuto attraverso la consapevolezza che ognuno di noi è identico ovvero, con la consapevolezza che le differenze storico-biografiche sono spiritualmente solo formali e circostanziali, che operare per sé non ha alcun potere sottile nei confronti dell’evoluzione dell’umanità, nei confronti del superamento della gogna materialista.

“La filosofia critica di Nietzsche porta dunque a compimento l’impresa «semi-abortita» di Kant: anche la ragion pratica, così come la ragion pura, non è in grado, per propria essenza, di offrire una risposta alle «domande ultime»; tutti i giudizi di valore, tutte le «morali», tutte le «verità» sono relative, non hanno alcun diritto «razionale» all’assolutezza, a una validità universale. Ciò che qui viene però «storicamente» annientato è appunto la «Ragione», in quanto logos assolutizzato, della tradizione occidentale giudeo-cristiana”. Giorgio Locchi, Sul senso della storia, Padova, Ar, 2016, p. 29.

Non è quindi improprio riconoscere in che termini il brutto rappresenti ed esprima il lato oscuro che insorge in noi, come uno stupro del mondo ideale anelato, come ci spettasse di diritto individuale. Una fantomatica meta se superstiziosa pretesa egoica, ma utopia concretizzabile quando esso è già nella nostra visione. Progetto fallimentare se acquisito per legge numerata o moralistica, ma di successo se ricreato da noi stessi. Nessun tavolo esce dalle nostre mani se di esso non abbiamo un’idea. E nessun tavolo è il nostro tavolo, se l’idea da cui proviene è stata prima di altri. La forza di volontà necessaria ad ogni creazione, non riferisce un dovere ma un sentire, senza il quale non è che un braccio di ferro perdente, contro forze profonde e superiori a quelle egoiche e superficiali.

È così che il brutto implica l’inferno. Ovvero quella condizione senza fuga dai tiranni, da ciò che non abbiamo risolto, dalle evoluzioni che non abbiamo percorso. Il brutto è ciò che non vogliamo, ciò che fuggiamo di noi, ciò che sosteniamo non ci rappresenta. È il pus delle nostre infezioni, di quanto non siamo stati capaci di accettare di noi, dell’ottusa volontà di affermare di essere altro, di ferite tenute aperte dal rancore e dal desiderio di vendetta. L’assedio del brutto è, infine, l’assenza del processo di individuazione, ma la latente presenza del thanatos e della prosa della vita, in sostituzione del formicolare dell’eros, che ne è invece, la lirica.

L’esperienza non è trasmissibile

La bellezza, come tutte le esperienze, non è logico-razionalmente trasmissibile. Essa corre su ponti emozionali, gli stessi dei nostri passi evolutivi, in occasione dei quali avvertiamo la conoscenza del Sé.

La gabbia logico-razionale che ci contiene a causa della nostra inconsapevolezza di essa, è a sua volta un’emozione, ovvero una capsula biografico-autoreferenziale con la quale concepiamo il mondo. Con essa, ci dicono gli esperti, possiamo spegnere d’un colpo dilemmi e incertezze. Vivendo al suo interno, siamo inconsapevolmente ma scientisticamente certi, che a mezzo della dialettica, dell’erudizione e dell’eloquenza, possiamo trasmettere l’esperienza. Se così fosse, saremmo saggi da millenni, o potremmo imparare a sciare dopo l’opportuna spiegazione. Per niente! Ricreare è necessario.

L’impressione della trasmissibilità dell’esperienza appare dura da dissolvere soprattutto perché estranei alle dinamiche della comunicazione. Essa pare realizzarsi quando gli interlocutori dispongono di pari esperienza, utilizzano il medesimo linguaggio, conoscono e impiegano le stesse accezione e lo stesso gergo, riconoscono in modo condiviso il significato delle allusioni, delle allegorie e delle metafore, e hanno il medesimo scopo. Allora avviene la comunicazione ma non la trasmissione di esperienza. Al contrario quando quei requisiti mancano, anche uno soltanto, anche la comunicazione non avviene e il suo posto è preso dall’equivoco. Da certa letteratura esoterica prendiamo la formula che siamo universi diversi. Questa allude che i vissuti delle persone possono facilmente impedire la comunicazione.

Secondo logica

Così come l’indagine analitico-logico-razionale-meccanicista-positivista non può che ricamare dialettiche intorno al concetto di bellezza, senza mai coglierne il cuore, è invece la lettura esoterico-filosofica, evincibile dalla fisica quantistica – e da tutte le tradizioni sapienziali del mondo – a evidenziare e permettere la consapevolezza dei limiti degli strumenti a disposizione sul banco dell’officina materialista. Cioè la loro inettitudine, a maneggiare le cose del discorso estetico-vibrazionale, quali sono la conoscenza emozionale, la natura della cosiddetta magia, il flusso energetico informazionale dell’oracolo e quello del miracolo. Ovvero il potere delle parole e il suo grimaldello dell’accredito o, la verità nel discorso e il pensiero creatore. Nel complesso, tutti elementi di una prospettiva utile per riconosce che la realtà è nella relazione. Ovvero, secondo Gregory Bateson, nella mente che avviene al cospetto di qualcuno o qualcosa.

Pinze e trapani, non solo sono inadeguati a operare tra gli argomenti della conoscenza estetica, ma l’incaponimento dei suoi operatori, nel persistere ad utilizzarli e a restare nel flusso del processo logico-analitico al fine di raggiungere la conoscenza, li allontana invece di avvicinarli alla natura del mistero che, impettiti, vorrebbero svelare.

E la sindrome scientista, ovvero quella che impone di credere che la sola e vera conoscenza avvenga a mezzo della scienza, che oltre ad essa nulla è valido, e ciò che essa non riconosce, non esiste.

La realtà concepita come ente oggettivo, composto da parti che rispondono a leggi e scomponibile fin dove la tecnologia lo permette, identica per tutti, impone e deriva dall’idea di matrice cartesiana e newtoniana, illuminista e scientifico-materialista, implica un uomo ridotto a macchina, comporta una lettura e un’indagine esclusivamente appoggiata al piano logico-razionale, in quanto così ritiene di restare entro un’interpretazione impeccabile, autentica e definitiva, oggettiva appunto, con il potere di scalzare quanto a essa non è confacente. È una realtà ridotta a materia, allo stato misurabile e quantificabile. Una realtà umanisticamente mortificante, quando non alienante.


La logica non è il mondo

Ma la narrazione logico-razionale è incompleta. Lo si può osservare anche attraverso questo articolo: tutto ciò che ho espresso sarà inteso come lo intendo io? Ciò che è scritto significherà sempre qualcosa per chiunque?

Dentro la camicia di forza meccanicista, il suo linguaggio non è idoneo per raccontare la realtà che non sia quella amministrativa. Se la logica esaurisse il mondo, il bello non esisterebbe e così ogni altra emozione. Senza emozione – cioè come dalla sua etimologia – non c’è vita.

“L’immagine tridimensionale della storia, invece, è nuova, e non ha ancora plasmato un linguaggio «comune»”. Giorgio Locchi, Sul senso della storia, Padova, Ar, 2016, p. 34.

Chiusi nell’incantesimo dell’arroganza babelico-razionalista, non ci si avvede che è la stessa domanda/ricerca primaria, a generare il mistero. La pretesa scientista di risoluzione di tutto, sospinta dal suo conosciuto cognitivo, dalle sue strutture ordinate, non è in grado di dare risposta alle questioni ontologico-esistenziali. Tuttavia ogni uomo qualunque è in grado di conoscere esteticamente ciò che anche la scienza materialista, in questi ultimi decenni, sta arrivando ad ammettere. Ovvero, l’esistenza e la verità di quanto il suo sistema di microscopi e vetrini – la cui autoreferenzialità è spesso taciuta, negata o maldestramente inconsapevole – non è in grado di spiegare.

Totalitaristicamente rapiti dall’emozione della dialettica logico-meccanicista, quale unica rivelatrice del mondo, il mistero non si svela a noi. Ed è proprio emancipandosene che possiamo esserlo il mistero, che possiamo dismettere l’insistente modalità di conoscenza cognitiva e riconoscere il potere di quella estetica. Basterebbe per riconoscere l’autoreferenzialità dell’assolutismo della logica, come del resto anche qualunque paradosso, senza neppure dover ricorrere a Kurt Gödel, per riconoscere i limiti della conoscenza attraverso la logica, dalla quale scaturisce il pericoloso – per la conoscenza e le relazioni – concetto di realtà oggettiva.

La conoscenza estetica ci relaziona al mondo con i cinque sensi materiali e con il sesto vibrazionale. Come i primi possono essere materialmente zittiti, togliendoci per esempio il sapore di un cibo, così il terzo occhio è sempre dormiente per coloro che non si sono ancora ripuliti dall’inquinamento della messe di dati della conoscenza cognitiva o superficiale. Terzo occhio, le cui informazioni divengono disponibili alla coscienza, solo dopo un’altra emancipazione, quella nei confronti dell’esperienza pregressa, delle emozioni e dei sentimenti, quali informatori/creatori della realtà.

Divenire, meglio, ritornare la vibrissa ricettiva e di conoscenza che già siamo è recuperare l’ancestrale che vive in noi e fare della vita la straordinaria esperienza di bellezza che è, normalmente, affogata in questioni che la impediscono, fino a mutarla in sofferenza e malattia. È in questo il senso di chi sostiene che siamo nati per il paradiso e viviamo nell’inferno.


Lorenzo Merlo



lunedì 29 aprile 2024

Roma. Eirenefest dal 31 maggio al 2 giugno 2024 - Festival del libro per la pace e la nonviolenza

 



Eirenefest il festival del libro per la pace e la nonviolenza è giunto alla sua terza edizione, consolidando un evento nazionale e promuovendo la realizzazione di 3 festival locali, Bisceglie, Firenze e Valdarno.

L’edizione nazionale si svolgerà dal 31 maggio al 2 giugno 2024 - al quartiere San Lorenzo di Roma, con ingresso libero e gratuito.

Venerdì 31 maggio, dal mattino ai giardini del Verano studenti e scuole romane daranno vita a laboratori sulla nonviolenza. Dal pomeriggio del venerdì fino alla domenica 2 giugno tre giorni ricchi di presentazioni di libri, confronti con gli autori e relatori sui temi attuali come: 

Conflitti: dal conflitto alla trasformazione nonviolenta; Educazione: dalla militarizzazione all’educazione alla pace e alla nonviolenza; Arti: dai paradigmi della violenza alle arti e culture per la pace; Ambiente: dalle crisi ambientali alla prospettiva ecopacifista.

Concluderà il festival la Festa della Repubblica Multietnica che inizierà il pomeriggio del 2 Giugno concludendosi a tarda notte.

 Olivier Turquet  olivier.turquet@gmail.com











Per conoscere i protagonisti ed ogni  altra informazione, iscriversi gratuitamente al 
Festival: https:// www.eirenefest.it -   Programma  disponibile on line all’indirizzo

https://www.eirenefest.it/programma-festival/

Treia. Resoconto della Festa dei Precursori del 27 e 28 aprile 2024

 

Dopo alcuni giorni di freddo quasi invernale è tornato il Sole!


Ed anche questa volta "l'abbiamo sfangata'! E abbiamo trascorso dei bei momenti  a Treia,  a questa Festa dei Precursori del 27 e 28 aprile 2024, organizzata dal Circolo Vegetariano VV.TT., in collaborazione con Auser Treia. 

Già da prima dell'inizio dell'evento, erano attese diverse persone che sarebbero state ospiti da noi; hanno cominciato ad arrivare dal venerdì 26: Mara e Tina del gruppo Scintille di Luce di Vignola e Upahar,  Venu ed Emilio Dolcini, musicisti e cantori di bajan. Il 27 invece sono arrivati Michele, Emanuela e una nuova amica, Donatella. Con tutti loro e con altri arrivati, per partecipare all'intero evento o per un pranzo o una cena, si è creato un clima di familiarità e di condivisione, anche caotico e faticoso a volte, ma tanto appagante per me ed immagino per tutti gli altri.

Sia venerdì che sabato sera ci siamo riuniti per la prima volta nella sala al piano "di sopra" per i canti bajan, dove, chi aveva già partecipato ad altre edizioni, ha detto che ci sono migliori vibrazioni e nonostante i suoi dolori alla schiena, Upahar è riuscito a esprimere la sua devozione nella vocalità, forse come mai prima. 

Domenica mattina un'escursione paesaggistica in zona Schito di Chiesanuova di Treia ci ha portato prima da Maria Giovanna Varagona, al suo b&b-museo della tessitura,  per una esposizione-dimostrazione della storia e delle tecniche della tessitura su telai tradizionali, oltre ad una curiosa descrizione dei modi di dire legati a questa attività antichissima. 

Poi, con Gigliola Rosciani, abbiamo fatto una passeggiata in  uno splendido viale di Cipressi, lungo il quale insistono diverse strutture, ville storiche come il Palazzo delle Cento Finestre e Villa Carnevali, osservando e riconoscendo erbe qua e là. 

Nel pomeriggio,  dopo il pranzo condiviso, ci siamo spostati  nel locale del Circolo Vegetariano,  dove si è tenuta una tavola rotonda, con la presentazione di libri sulla Rinascita Economica di Fabio Conditi e sugli alberi monumentali delle  Marche di Valido Capodarca. Nell'occasione si festeggiavano i 40 anni del Circolo Vegetariano, e il presidente, Paolo D'Arpini, ha fatto un piccolo intervento con tanto di poesia. Io ho ringraziato i presenti, non riuscendo di fare a meno di lamentarmi della rara presenza dell'amministrazione locale. Michele Meomartino, presidente della Rete Olistica Italiana, ha moderato l'incontro con il suo proverbiale senso dell'equilibrio mentre l'architetto Antonello Andreani, musicista ed editore,  ha "alleggerito" l'atmosfera con le sue  libere note di chitarra. 

Abbiamo concluso la serata condividendo il cibo da ognuno portato,  quel che c'era. 

Caterina Regazzi



Intervento integrativo di Paolo D'Arpini

"Chiudi gli occhi e vedrai con chiarezza
Smetti di ascoltare e sentirai la verità.
Resta in silenzio e il tuo cuore potrà cantare.
Non cercare il contatto e troverai l'unione.
Sii quieto e troverai l'onda dello spirito.
Sii delicato e non avrai bisogno di forza.
Sii paziente e compirai ogni cosa.
Sii umile e manterrai la tua integrità."
(Meditazione Taoista)

Le qualità, le sensazioni, le attrazioni e repulsioni che appaiono nel campo della coscienza, sono proiezioni come lo sono i sogni che appaiono al sognatore. Tutto si risolve nella stessa realtà, unica ed indivisibile, inspiegabile perché non vi è nessuno a cui poterla spiegare….

La nostra mente è il risultato di una combinazione psichica e energetica delle forze combinate dalla natura in questo caleidoscopio che è la coscienza individuale. In effetti nulla ci appartiene (se inteso specificatamente) oppure tutto ci appartiene (se inteso come la totalità del conosciuto)... 

Cosa volete che sia una bella parola proferita in silenzio od una brutta parola urlata al vento? Andiamo avanti perché tornare indietro è impossibile... nel senso che non si può correggere nulla degli eventi vissuti (nel passato), possiamo solo osservare con maggiore attenzione gli eventi che si presentano davanti ai nostri occhi nel presente...

Qualcuno allora potrebbe chiedersi come sia possibile modificare ciò che è già descritto nel destino. Eppure nel pensiero c'è  una leva di movimento, se un chiaro intento si manifesta nel pensiero possiamo scoprire che le ispirazioni che abbiamo avuto su qualsiasi argomento innovativo vengono poi seguite a ruota da una messe di interventi nello stesso filone...

Sincronicità? Onda? Nel bioregionalismo si chiama "il grande flusso", e la funzione dei precursori è appunto quella di avviare un processo evolutivo dell'intelligenza umana... per questo è importante che i precursori non assumano su di sé una specifica "laurea" o "copyright", il loro lavoro è solo quello di preparare il terreno, seminare e procedere (come Jonny seme di mela)... 

Ognuno comincia a qualche punto e poi prosegue e lascia il suo percorso come esempio.

Relatori alla Tavola Rotonda del 28 aprile 2024 -  Fabio Conditi, Michele Meomartino, Valido Capodarca




Bhajan con Uphar Anand e Venu ed  Emilio Dolcini: 
https://www.facebook.com/caterina.regazzi/videos/1110958213568279

Album fotografico della Passeggiata a Schito di Giampaolo Damiani:    https://www.facebook.com/photo?fbid=1152956479227790&set=pcb.1153000609223377

Album fotografico della Tavola Rotonda del pomeriggio del 28 aprile 2024 di Emanuela Tinari:    https://www.facebook.com/photo/?fbid=10230221847200593&set=pcb.10230221851600703


venerdì 26 aprile 2024

Solvay punienda est

 


Sono emblematici i risultati del “mini monitoraggio sperimentale” della Regione Piemonte, molto mini e molto sperimentale -oltre che con decenni di ritardo- in quanto limitato a 127 persone -volutamente- pescate lontano dal polo chimico Solvay del sobborgo Spinetta Marengo di Alessandria, ovvero nei Comuni di  Montecastello, Cassine, Castellazzo Bormida, Frascaro, Sezzadio, Basaluzzo, Bosco Marengo, Capriata d’Orba, Frugarolo, Castelspina, Casal Cermelli.

La Regione, infatti, a complice copertura della multinazionale belga, evita le analisi del sangue di massa della popolazione alessandrina più vicina all’epicentro inquinante dello stabilimento, che pur il sindaco fa finta di reclamare. Perché sarebbero la “pistola fumante” dei danni provocati dall’azienda: già evidenziati dagli eccessi di patologie e morti  nelle indagini epidemiologiche, compresa la nostra con l’Università di Liegi precisamente mirata sui cancerogeni Pfas e allarmante.

Eppure i Pfas sono stati trovati nel sangue campionato dal minimonitoraggio, secondo la nota  della Regione pubblicata dal settimanale Il Piccolo: “Da una prima valutazione emerge un quadro relativamente tranquillizzante rispetto alla presenza dei Pfas storici la cui presenza risulta mediamente sotto la soglia dei 20 nanogrammi/millilitro, individuato dalle National Academies of Sciences (NAS) quale limite di attenzione. Tale limite viene invece superato in alcuni casi se alla sommatoria dei Pfas previsti dalla NAS si considera la presenza di ADV (miscela di congeneri con differenti caratteristiche per il quale non esistono limiti)”.

I micidiali ADV e C6O4 sono Pfas di brevetto esclusivo della Solvay: che li avrebbe dunque sparati in atmosfera a decine di chilometri di distanza da Spinetta Marengo, come già dimostrato avviene  nelle falde e in Bormida per queste sostanze, tossiche, cancerogene, indistruttibili.  

Vengono, infine, i brividi a leggere la “scrupolosità” espressa dalla Regione disponibile ulteriormente a monitorare  gli organi delle persone con il Pfas nel sangue: chi ha già  sviluppato o svilupperà un tumore a tiroide rene testicolo eccetera.  


 
movimentodilottaperlasalute@reteambientalista.it

giovedì 25 aprile 2024

I limiti del linguaggio logico-razionale...

 




Il problema è generato dal sistema che vuole risolverlo. Piccole note sull’incantesimo della logica.


1.

Come tutte le creazioni, anche il linguaggio logico-razionale e la sua semantica corrisponde a un’esigenza umana. Che consiste nello sbrigo delle faccende quotidiane, qui dette amministrative.

Il perdurare dell’esigenza, quindi il valore della sua creazione, tende a eluderne la messa in discussione. Essa diviene dogma e chi s’è visto s’è visto. Tanto che, anche se qualcuno ci prova, la forza della maggioranza si inalbera o fa spallucce, sommergendo di solitudine il malcapitato.

Il dogma si realizza a causa dell’inconsapevolezza di chi lo subisce. La sua natura ha le caratteristiche del sortilegio e dell’incantesimo. Identiche a quelle dell’idolatria, dell’accredito, della speranza.

Lo stato visibile del dogma, è l’abitudine, una specie di circolo vizioso il cui potere è quello di farci riconoscere a noi stessi. Infatti in occasione di impedimento a replicarla si avverte spaesamento e il desiderio di tornare presto a casuccia. Qualcosa di simile avviene con la routine, spezzata la quale, qualcosa non va.

L’abitudine è anche una sorta di padrone occulto di noi stessi, nonché di risposta all’autoindulgenza. L’assuefazione che implica, vincola e limita i nostri comportamenti, le nostre scelte, i nostri pensieri e anche i sentimenti. All’abitudine diamo la responsabilità di quanto facciamo, di come viviamo.

A volte ci si trova a confrontarsi con l’idea di poter liberarsi dall’abitudine. Nella maggioranza dei casi, si abbandona subito il confronto. La forza di volontà che richiederebbe per spuntarla tagliandone i lacci, ci pare utopica. E l’utopia si concretizza lasciandoci perdenti e ancora posseduti dall’abitudine.

L’ipotesi che non serva alcuna forza di volontà per smettere un’abitudine, non ci sfiora. E non ci sfiorerà mai finché resteremo prede inebetite del mondo logico-razionale, quello che altre dipendenze, ci fanno credere essere il solo esistente, in quanto dall’ambito amministrativo è stato illuministicamente incaricato di gestire anche le faccende umano-relazionali, che di amministrativo non hanno nulla.

Emancipati dai dogmi scientisti, un altro mondo si apre agli occhi. Liberi dal conosciuto dei saperi cognitivo-analitici, nasce un altro uomo. Il cui potere non è più in ciò che ha, ma in ciò che è. Per quanto riguarda le abitudini-dipendenze, non farà più riferimento alla forza di volontà, ma alla sua disponibilità – se non interesse – all’autoindulgenza. Non più a qualcosa di esterno più forte di noi, ma al proprio potere creativo, ovvero alla verità che possiamo reimpossessarci di noi stessi senza alcun uso della forza, spezzando, in un momento, le catene dalle quali credevamo utopico liberarci.


2.

Una delle creazioni umane divenuta abitudine e poi dogma è quella di affidarsi all’idea che il linguaggio e il pensiero analitico-logico-razionale sia il solo traghetto per navigare indenni sui mari delle menzogne ciarlatane. Come sopra accennato, essa corrisponde all’esigenza amministrativa del quotidiano e della sua organizzazione. Successivamente, l’infatuazione illuministica, ci ha fatto inconsapevolmente credere che quel linguaggio potesse soddisfare anche gli ambiti opposti all’amministrativo, qui detti relazionali.

La caratteristica prima del contesto amministrativo e piatto è quella della condivisione della semantica. Un evento che in ambito relazionale, multiforme e alogico tende ad essere fortuito e occasionale. L’inconsapevolezza di quanto inconveniente sia mutuare all’ambito umano il linguaggio idoneo a quello amministrativo, è all’origine, non solo di incomprensioni ed equivoci, ma del risentimento e conflitto che da questi ne emergono.

Dall’interno del crogiolo dove tutto il nostro piccolo mondo ruota si mischia e viene ordinato e organizzato a mezzo della logica, che come un guerriero uccide il disordine e l’assurdo, non ci si avvede di un effetto collaterale che mai si sarebbe voluto e che, anche se fatto presente, viene negato, come detto, facendo spallucce. Il mistero che la logica analitica cerca di indagare resta irrisolto. Non tanto per l’inadeguatezza dello strumento, quanto perché è proprio la ricerca logica a creare il mistero.


3.

Di queste vicende, futili per buona parte di noi, se ne sono occupati ricercatori di varia estrazione. La difficoltà a diffondere la cultura che da essi possiamo evincere, tende a dimostrare lo spessore del carapace scientista che come un Alien di Hans Ruedi Giger ci avvolge la faccia e, simbolicamente, tutto quanto le sta dentro.

“La fisica classica si è data una forma sistematica. Ma la sua pretesa di costruire una descrizione del mondo chiusa, coerente, completa, espelle l’uomo dal mondo che descrive, non solo in quanto abitante di questo mondo, ma anche, l’abbiamo già detto, in quanto suo descrittore. [...] Ignoreremo sempre e del tutto il rapporto tra il nostro mondo che la scienza rende trasparente e lo spirito che conosce, percepisce, crea questa scienza. [...] La natura ha mille voci e noi abbiamo appena cominciato ad ascoltarla. Ma, da circa due secoli, il demone di Laplace infesta le nostre immaginazioni, rispunta senza tregua e, con lui, rispunta l’incubo del non senso del tutto, la solitudine allucinata di chi, per così lungo tempo, aveva creduto di essere l’abitante di un mondo fatto a sua misura.”.

Ilya Prigogine, La nuova alleanza, Torino, Einaudi, 1999, p. 80-81.


“Non si combattono più miopi ed ingenue pretese, che basterebbe ripetere ad alta voce per far ridere i ragazzi e ridicolizzare chi le sostiene. Si combatte il tipo stesso di conoscenza prodotta dal sapere sperimentale e matematico della natura”.

Ilya Prigogine, La nuova alleanza, Torino, Einaudi, 1999, p 88.

“La conoscenza oggettiva non è passiva, essa costruisce i suoi oggetti. Quando consideriamo un fenomeno come oggetto di esperienza effettiva, gli supponiamo, a priori, prima di farne una qualsiasi esperienza effettiva, un comportamento legale, che obbedisca a un insieme di principî. In effetti, sostiene Kant, possiamo fare questo tipo di supposizione, l’oggetto che percepiamo risponde alle nostre attese, perché è già sottomesso a questo ordine legale, perché è, in quanto percepito come oggetto di possibile conoscenza, il prodotto dell’attività sintetica a priori dello spirito.”

Ilya Prigogine, La nuova alleanza, Torino, Einaudi, 1999, p. 89.


“Le possibilità di matematizzare i comportamenti fisici si limitano ai comportamenti più banali. [...] È proprio questo carattere intercambiabile, di cui Hegel fa una condizione per la matematizzazione, a sparire, quando si oltrepassi la sfera meccanica verso una sfera superiore”

Ilya Prigogine, La nuova alleanza, Torino, Einaudi, 1999, p. 94-95.


“Non è infatti ancora per nulla pacifico che la logica e le sue regole fondamentali siano in grado di offrirci, in generale, un criterio per il problema dell’essente come tale. [...] Chi parla contro la logica è [...] in modo tacito o espresso, sospettato di arbitrio. Si fa valere questo semplice sospetto come una prova e un’obiezione, ritenendosi esonerati da un più ampio ed autentico esame della questione”.

Martin Heidegger, Introduzione alla metafisica, Milano, Mursia, 1972, p. 36.


“Ogni possibile proposizione è formata legittimamente e, se non ha un senso, è solo perché noi non abbiamo ancora dato un significato ad alcune delle sua parti costitutive”.

Ludwig Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus e Quaderni 1914-1916, Torino, Einaudi, 1995, p 77-78, (5.4734).


“Noi sentiamo che, persino nell’ipotesi che tutte le possibili domande scientifiche abbiano avuto risposta, i nostri problemi vitali non sono ancora neppure sfiorati”.

Ludwig Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus e Quaderni 1914-1916, Torino, Einaudi, 1995, p,108, (6.52).


“Sembra giusto ritenere che la scienza, soprattutto a partire dal secolo XVII, con la sua strutturazione meccanicistica, abbia scisso il sapere dal senso comune. [...] Con l’introduzione, inoltre, di tecniche sempre più raffinate e invadenti di formalizzazione matematica, essa avrebbe sottratto agli uomini comuni, al pensiero popolare, la visibilità della natura”.

Ludwig Wittgenstein, Della certezza, Torino, Einaudi, 1978, p. VII, (dalla prefazione di Aldo Gargani).


“È scomoda una teoria la quale attribuisce a noi stessi la responsabilità del mondo in cui pensiamo di vivere”.

Paul Watzlavick (a cura di), La realtà inventata. Contributi al costruttivismo, Milano, Feltrinelli, 2008, p. 17.


“La maggior parte degli scienziati si seontono ancora oggi ‘scopritori’, coloro che rivelano i segreti della natura e allargano lentamente ma con sicurezza il campo del sapere umano; e innumerevoli filosofi si dedicano al compito di assicurare a questa conoscenza faticosamente acquisita l’inconfutabilità che tutti si aspettano dalla verità ‘autentica’”.

Paul Watzlavick (a cura di), La realtà inventata. Contributi al costruttivismo, Milano, Feltrinelli, 2008, p. 19.


“Alle radici della visione della fisica classica stava la convinzione che il futuro fosse determinato dal presente, per cui un attento studio del presente permette di svelare il futuro. [...]. Eppure in un certo senso questa possibilità di previsione illimitata è stata un elemento essenziale dell’immagine scientifica del mondo fisico. Possiamo forse definirla il mito fondatore della fisica classica. [...] Il realismo ingenuo della fisica classica, che supponeva che le proprietà della materia fossero «là» indipendentemente dall’apparato sperimentale, ha dovuto essere rivisto”.

Ilya Prigogine, Dall’essere al divenire, Torino, Einaudi, 1986, p. 192.


“La nostra esperienza del mondo consiste nell’ordinare in classi gli oggetti che percepiamo. Tali classi sono costrutti mentali e perciò di un ordine di realtà completamente diverso da quello degli oggetti stessi. Le classi sono formate non solo in base alle proprietà fisiche degli oggetti, ma soprattutto in base al significato e al valore che hanno per noi. [...] Ciò che viene definito la ‘realtà’ di un oggetto è, appunto, la sua appartenenza ad una classe; per cui chiunque lo consideri un membro dell’altra classe deve essere folle o cattivo”.

Paul Watzlavick, John H. Weakland, Richard Fisch, Change – Sulla formazione e soluzione dei problemi, Roma, Astrolabio, 1974, p. 107.


“È assai probabile che la realtà sia quella che noi rendiamo tale o, per dirla con le parole di Amleto, ‘... non v’è nulla di buono o di cattivo, che il pensiero non renda tale’”. Noi possiamo soltanto congetturare che alla radice di questi conflitti di punteggiatura ci sia la convinzione, saldamente radicata e di solito indiscussa, che esista soltanto una realtà, il mondo come lo vedo io, e che ogni opinione diversa dalla mia dipenda necessariamente dalla irrazionalità dell’altro o dalla sua mancanza di buona volontà”.

Paul Watzlavick, Janet Helmick Beavin, Don D. Jackson, Pragmatica della comunicazione umana, Roma, Astrolabio, 1971, p. 87.


“È per questo che Gödel affermava: «Il mio teorema mostra solamente che la meccanizzazione delle scienze matematiche, e cioè l’eliminazione della mente e delle entità astratte, è impossibile»”.

Michel-Yves Bolloré, Olivier Bonnassies, Dio. La scienza. Le prove -L’alba di una rivoluzione, Milano, Sonda, 2024, p. 339.


“David Hilbert è stato uno dei più grandi matematici del ventesimo secolo. A lui si deve la stesura di un elenco di problemi che i matematici dell’epoca avrebbero dovuto impegnarsi a risolvere in futuro. Uno di questi gli pareva particolarmente essenziale: dimostrare che la matematica costituisce un sistema contemporaneamente completo e coerente. [...] In effetti se fosse possibile tale dimostrazione, in teoria si potrebbe giudicare la falsità o la veridicità di qualunque proposizione logica. Hilbert non esitava a chiamarla la soluzione «finale» al problema della logica. [...] È evidente qual era l’ideologia dietro a questa ricerca: quella di «delimitare» il reale, di rinchiuderlo in se stesso, di dire «ecco, abbiamo analizzato completamente la questione, adesso circolate, non c’è più niente da vedere, abbiamo esaurito la realtà, l’abbiamo racchiusa nelle nostre equazioni» che come abbiamo visto si trovava al centro del positivismo logico e del materialismo dialettico che dominavano le scienze sul finire del diciannovesimo secolo”.

Michel-Yves Bolloré, Olivier Bonnassies, Dio. La scienza. Le prove -L’alba di una rivoluzione, Milano, Sonda, 2024, p. 331.


“Certamente è al teorema di Gödel che pensa il celebre fisico e cosmologo Paul Davies nella conclusione del suo libro intitolato La mente di Dio, quando dichiara: «Ma in definitiva, è quasi certamente impossibile una spiegazione razionale del mondo inteso come un sistema chiuso e completo di verità logiche. Siamo tagliati fuori dalla conoscenza ultima, dalla spiegazione ultima, per via di quelle stesse regole che ci spingono a cercare tale spiegazione [...] Se desideriamo andare oltre, dobbiamo affidarci a un concetto diverso di ‘comprensione’ rispetto a quello suggerito dalla razionalità. La via mistica è forse una strada verso tale comprensione. Io non ho mai vissuto un’esperienza mistica, ma mantengo la mente aperta riguardo al valore di queste esperienze. Forse rappresentano l’unico modo per trascendere i limiti che la scienza e la filosofia non possono varcare, l’unica via possibile vero l’Ultimo».

In Michel-Yves Bolloré, Olivier Bonnassies, Dio. La scienza. Le prove -L’alba di una rivoluzione, Milano, Sonda, 2024, p. 343.


4.

Nonostante quanto accennato finora possa bastare per rivisitare la propria idolatria scientista, tanto quella della vulgata, quanto quella degli esperti scienziati, in questo discorso sui limiti del mondo evinto dalla logica, almeno un cenno alla fisica quantistica va fatto. Questa infatti, pare idonea a rappresentare quanto prima era esclusiva della magia. Ovvero di quella scienza giustamente detta suprema il cui campo non era la metà del mondo ma l’intero. Il cui regolamento non è duale ma olistico. Il cui destino è riunirsi alla grande ricerca umanistica condotta da millenni dalle tradizioni sapienziali del mondo intero. Una via percorribile da chiunque si emancipi dal dominio della materia. Qualunque sia il sui linguaggio, con esso saprà narrare che dietro ogni consistenza fisica ve n’è una immateriale.

Lorenzo Merlo 





“La fisica atomica ha distolto la scienza dalla tendenza materialista”.

Werner Heisenberg, Fisica e filosofia, Milano, Il Saggiatore, 1961, p. 65.


“La morte dello scientismo, del suo determinismo, del suo sogno di una scienza trasparente capace di accedere ai segreti dell’Universo è stata una specie di agonia per i premi Nobel che hanno vissuto l’avventura quantistica”.

In Michel-Yves Bolloré, Olivier Bonnassies, Dio. La scienza. Le prove -L’alba di una rivoluzione, Milano, Sonda, 2024, p. 279.

mercoledì 24 aprile 2024

"Grandi alberi delle Marche" di Valido Capodarca e Francesco Nasini - Recensione

 


Il volume "Grandi alberi delle Marche"  di  Valido Capodarca e Francesco Nasini completa un viaggio, nel tempo e nello spazio, iniziato nel 1984 quando, con la pubblicazione di “Marche, 50 alberi da salvare” da parte della Casa Editrice Vallecchi, per la prima volta i Marchigiani, e non solo, potevano conoscere i più importanti monumenti arborei della loro regione. 

Il libro non si limitava a indicarne la localizzazione, ma indagava anche sui loro rapporti con le forze naturali e con le vicende storiche dei paesi che li ospitavano e quelle umane di chi era stato a contatto con loro. Il viaggio proseguiva nel 2007 con “Alberi monumentali delle Marche”, pubblicato da Roberto Scocco Editore, il quale aggiornava le vicende degli alberi del libro precedente e, approfittando dei censimenti nel frattempo effettuati da enti pubblici o cittadini privati, ne faceva conoscere i nuovi. 

Il grande censimento regionale effettuato dal C. F. S. nel 2010/2012, ma soprattutto l'attività sempre più diffusa dei social, portavano alla scoperta di numerosissimi alberi monumentali finora nascosti. Questo fa sì che si rende necessaria la pubblicazione di questo nuovo libro che completa il viaggio fra i più significativi alberi delle Marche che aveva preso avvio 40 anni fa. 

Valido Capodarca









La presentazione del presente volume si tiene, nell'ambito della Festa dei Precursori, al Circolo Vegetariano VV.TT. di Treia, presenti l'autore e l'editore, alle ore 16 del 28 aprile 2024, con il patrocinio morale del Comune di Treia e la collaborazione di Auser Treia.


domenica 21 aprile 2024

11. Quell'Articolo dimenticato...


"L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo". (Articolo 11 della Costituzione)


Noi restiamo sempre dell’idea che il Patto Nato vada sciolto, come fece il Patto di Varsavia nel 1991. Sergio Mattarella, lecitamente, è di diverso avviso. Però non è lecito che vada affermando che la Nato è un’alleanza difensiva che attacca solo chi aggredisce un suo membro. 

Proprio lui non può dimenticare che nel 1999, senz’alcun mandato Onu, la Nato attaccò la Serbia di Milosevic che non aveva attaccato nessun membro Nato: oltre 2 mila morti, quasi tutti civili. Proprio lui che era ministro della difesa e vicepremier di D’Alema  quando fece partecipare l’Italia a 78 giorni di bombardamenti su Belgrado e il Kosovo, con 1.200-2.500 morti (quasi tutti civili) e fiumane di profughi, proprio lui che  chiamò la prima guerra in Europa dal 1945 “ingerenza umanitaria”.

Definisce “ingerenza umanitaria della Nato” che nel 2001, senza mandati specifici dell’Onu, la Nato invase l’Afghanistan dei talebani, che non avevano attaccato nessun membro Nato: oltre 200 mila morti, più 80 mila in Pakistan? Oppure che, nel 2003, sempre senza avallo preventivo dell’Onu, Usa, Inghilterra, Italia e Spagna invasero l’Iraq di Saddam Hussein, che non aveva attaccato nessun membro Nato: dagli 800 mila al milione di morti? Oppure che, nel 2011, aggirando ancora l’Onu, la Nato bombardò la Libia di Gheddafi, che non aveva attaccato nessun membro Nato, ma fu messo in fuga dalle bombe e brutalmente trucidato, a tacere i morti e i migranti? Oppure che, sempre senza mandato Onu, la Nato stia partecipando alla guerra contro la Russia che non aveva attaccato nessun membro Nato?

Non ci sono i soldi. Per sanità e scuola. Ci sono per le armi.

Non ci sono soldi. E’ il caso dell’istruzione, per la quale il nostro Paese -ultimo in Europa- destina l’8% della spesa pubblica contro una media Ue27 pari al 10%. È il caso della sanità con un rapporto spesa/Pil del 6,8%, contro il 10,9% della Germania. E’ il caso del massimo storico delle famiglie in povertà assoluta, che oggi sono l’8,5% delle famiglie residenti; si tratta di 5,7 milioni di persone, tra le quali 1,3 milioni sono minorenni. Anzi, l’ulteriore aumento  per le spese militari peggiorerà il debito pubblico e l’impatto sociale. 


Rete Ambientalista  

movimentodilottaperlasalute@reteambientalista.it


sabato 20 aprile 2024

L'alternativa veg-nonviolenta...

 


E’ un periodo di profonde incertezze, inquietudini, paure. I conflitti in corso (Ucraina, Palestina; Israele, Iran) minacciano di trasformarsi in una guerra totale; l’economia vacilla, la disoccupazione incombe, lo spettro della fame e di nuove malattie  si allarga minaccioso, poi c’è la tragedia dei migranti che disperati bussano alle porte del continente europeo, i delitti giornalieri che rasentano il delirio, la vigliacca violenza alle donne  che l’OMS stesso considera un problema di proporzioni epidemiche; la droga, la violenza giovanile, il clima impazzito, l’inquinamento, insomma una vera e propria visione apocalittica.

A queste enormi tragedie, che oggi più che in passato caratterizzano la storia umana, noi contrapponiamo l’edificante cultura dell’universalismo/vegan, biocentrica, sincretista, perché…


La scelta vegan va alle cause dei problemi, non cura i sintomi e questo rende migliore l’essere umano perché lo rende responsabile delle sue azioni, favorisce lo sviluppo di una coscienza umana più giusta e solidale, apre alla compassione, alla condivisione delle altrui necessità vitali, al rifiuto della violenza in tutte le sue manifestazioni verbali, morali, fisiche; induce una mentalità di pace, di non predominio, di rispetto dell’altro, valorizza le differenze e la vita in tutte le sue espressioni,  aumenta la responsabilità personale verso se stessi e verso la collettività, sviluppa il senso critico positivo, costruttivo.


Noi siamo profondamente convinti che è la coscienza degli uomini a determinare la condotta personale e collettiva, che ogni azione buona o malvagia è sempre il frutto di un pensiero che a sua volta è l’essenza stessa del sentimento che alberga nella coscienza di ognuno; che l’adozione su scala mondiale dell’universalismo/vegan pone le basi per una società libera dai problemi che l’affliggono, crediamo sia il modo più semplice e potente per rendere migliore questo mondo, per i seguenti motivi:


Violenza, prevaricazione, guerra

La filosofia vegana ripudia la violenza in qualunque forma si manifesti, sull’uomo, sull’animale, sulla natura. E se un essere umano rispetta l’animale e rinuncia a mangiare carne per non nuocere ad un essere diverso dalla sua specie certamente non nuocerebbe al suo simile.  L’accettazione indifferente e passiva di ciò che causa l’uomo agli animali abitua a convivere con la logica della supremazia del forte sul debole, induce insensibilità del cuore e disprezzo della vita in senso lato. Questo preclude all’uomo lo sviluppo di una coscienza giusta, sensibile e solidale che è la condizione morale, civile e spirituale imprescindibile per porre le basi di un mondo finalmente libero dalla violenza, dall’ignoranza, dalle malattie e dal dolore.


Le malattie

L’OMS afferma che il 90% delle morti nel mondo sono causa di cattivo stile di vita e che il 75% delle malattie sono dovute alla cattiva alimentazione, che il 34% delle neoplasie è attribuibile al consumo di carne ed un altro 30% è attribuibile al fumo di sigaretta. 

 Infarto, ictus, diabete, ipertensione, Alzheimer e moltissime altre patologie moderne sono direttamente relazionate al consumo di grassi saturi e proteine animali. La scelta vegan è in grado di assicurare longevità e ottima salute, come confermano gli istituti di ricerca più accreditati nel mondo e coloro che hanno adottato questo stile di vita.

Economia, lavoro, disoccupazione

In Italia ogni anno l’apparato medico sanitario assorbe 115 miliardi di euro, 26 di questi solo per prodotti farmaceutici. Il 75% della spesa sanitaria in Italia e in Europa viene assorbita per curare gli effetti della cattiva alimentazione. L’alimentazione vegan risulta essere molto meno costosa in termini di spesa rispetto ad una alimentazione onnivora. La cultura vegan fa riferimento alla produzione alimentare biologica che rispetta la biodiversità. Questo favorisce un maggior impiego di personale, di conseguenza ne possono beneficiare  le economie personali, locali e sociali. Il settore per la produzione della carne ha un deficit di 10 mila miliardi di euro l’anno, oltre ad una bassissima possibilità di impiegare personale lavorativo.

In una realtà sociale vegan, eserciti, industrie delle armi,  farmaceutiche, tribunali, istituti di sperimentazione ecc. gradualmente si ridurrebbero fino a scomparire o a ridursi drasticamente e la sconfinata massa umana che ora lavora in questi settori non resterebbe disoccupata, perché  il sistema vegan rinnova l’essere umano nel suo modo di pensare e agire e lo proietta verso la sintonia di forze concordi in onestà, senso di giustizia, capacità di condivisione, solidarietà, in cui ci sarà benessere e lavoro per tutti.


Inquinamento generale

Gli animali d’allevamento producono gas serra più di tutti i veicoli del mondo, compresi treni, aerei e navi.  Il 51% dei gas serra è attribuibile al settore agro zootecnico. Ogni mucca produce ogni anno gas quanto un’automobile per 70.000 km. Tutti gli animali d’allevamento sommati generano 130 volte più escrementi dell’intero genere umano. Inoltre gli allevamenti sono responsabili dell’80-90% di emissioni di ammoniaca che provocano le piogge acide. Il biossido di carbonio generato per produrre una sola bistecca è pari alla quantità prodotta da un’automobile per 40 km.


Risorse energetiche

Per produrre proteine dalla carne serve 4 volte più energia rispetto un’alimentazione a base vegetale, 10 volte più terreno coltivabile, 25 volte più acqua, 130% più pesticidi, 1200% più fertilizzanti. Servono 25 kcal di cereali per ottenere una sola kcal di carne bovina, 11 volte più rispetto all'energia necessaria per produrre grano. Il rapporto è di 57 a 1 per la carne di agnello, 40 a 1 per quella di manzo, 39 a 1 per le uova, 14 a 1 per il latte e la carne di maiale, 10 a 1 per il tacchino, 4 a 1 per il pollo. Per produrre carne di maiale si consuma 15 volte più energia di quanto occorre per produrre frutta e verdura.


Distruzione delle foreste

La superficie di un terreno grande 7 volte l’Europa viene utilizzata per produrre mangimi per gli animali d’allevamento. Il 70 % delle terre coltivabili in Occidente è usato per allevare e nutrire gli animali. Il 75% delle foreste pluviali è stato abbattuto per coltivare monoculture e per adibire il terreno a pascolo di animali.

Fame nel mondo

 La causa della fame nel Terzo Mondo sono i debiti contratti dai contadini costretti a coltivare prodotti voluttuari e monoculture invece di vegetali utili al loro sostentamento. Le monocolture oltre al impoverire rapidamente il terreno richiedono molti fertilizzanti che i contadini sono costretti ad acquistare chiedendo prestiti ai quali gli usurai applicano interessi anche del 60%. In breve diventa impossibile pagare i debiti e i contadini devono vendere le loro terre per somme ridicole. Il numero di contadini che si è suicidato in India tra il 1997 e il 2007 ha raggiungo la cifra di 183.000 persone, in media uno ogni 30 minuti.

Il consumo di carne è la causa principale indiretta della povertà e della  fame. Oltre 800 milioni di persone nel mondo soffrono la fame, e per capire cosa significa bisognerebbe provarla. Mandare a letto i bambini che piangono perché hanno fame è un dramma che chiede giustizia. Senza il minimo sostentamento alimentare si è inermi di fronte alle malattie e si muore per deperimento. Un esercito sconfinato di volontari è impegnato ad arginare la fame nel mondo ma se abituati a consumare carne essi stessi, senza volerlo, ne sono la causa.


PROMUOVERE

Programmi di educazione morale, civile e spirituale delle masse attraverso l’insegnamento nelle scuole di ogni ordine e grado dell’etica universale del biocentrismo e del veganismo spingendo ogni Stato ad impegnarsi a formare la coscienza morale dei cittadini: la pace, la giustizia, la fraterna collaborazione, l’onesta ecc. devono essere insegnate a scuola con lo stesso impegno delle altre discipline scolastiche; al infine di:

- uscire dalla cultura sintomatologica e perorare lo sviluppo della cultura delle cause dei problemi;

- evidenziare gli aspetti etici, salutistici ed economici del sistema vegano;

- creare un Parlamento Mondiale con l’obiettivo di tutelare la pace nel mondo

e la sovranità dei popoli smilitarizzati;

- adottare una lingua comune, oltre alla lingua nazionale;

- educare l’infanzia alle virtù morali, alla giustizia, alla rettitudine, alla tolleranza, all’altruismo, alla dignità, alla fraterna collaborazione;

- sensibilizzare l’animo umano alla bontà, alla compassione, alla condivisione, alla valorizzazione delle differenze formali e sostanziali, al rispetto della vita in tutte le   sue manifestazioni.

 

Franco Libero Manco - francoliberomanco@fastwebnet.it