Quando parliamo di guerra, molti di noi
(italiani delle ultime generazioni) fanno riferimento ai racconti dei
nostri genitori o dei nostri nonni, e le immagini che si formano nella
nostra mente sono quelle di quadri, foto o filmati di repertorio, o
quelle dei servizi giornalistici, o quelle ricostruite al cinema dai
grandi film sulle guerre di ogni epoca, dalle battaglie de Il Gladiatore di Ridley Scott, ad Apocalypse Now di Francis Ford Coppola, per fare giusto due esempi.
Purtroppo la guerra è una realtà anche oggi in molti paesi del mondo
e se consideriamo solo i 4 principali conflitti attivi, nel 2014 si
sono contate quasi 80.000 vittime in Siria, tra le 20.000 e le 50.000
vittime in Iraq, quasi 15.000 in Afghanistan e oltre 10.000 nelle
rivolte del movimento Boko Haram in Nigeria, Niger, Camerun, Ciad: siamo
già a 150.000 morti, senza contare gli altri 50.000 morti relativi ad altri 50 conflitti attivi. (fonte: Wikipedia)
Nel 2014 sono morte a causa delle
guerre, guerriglie, rivoluzioni armate, colpi di stato, occupazioni e
invasioni territoriali quasi 200.000 persone, 1 persona ogni 2 minuti e mezzo;
solamente nel terribile conflitto in atto in Siria sono morte 80.000
persone all’anno negli ultimi 4 anni, più di 200 al giorno, 4 milioni
sono i profughi fuggiti dal paese, quasi 8 milioni gli sfollati. (fonte:
Amnesty International)
Inutile aggiungere che la maggior parte
delle vittime sono donne e bambini, o civili coinvolti in bombardamenti o
rappresaglie, e che il danno provocato dalle guerre si estende poi a
milioni di feriti e alla creazione di una generazione di invalidi, di orfani, di vedove, di profughi e a lunghi anni di ricostruzione fisica, economica, sociale e culturale di interi paesi.
Un dato altrettanto preoccupante
riguarda ovviamente i governi e il loro coinvolgimento nei conflitti
armati: ogni anno sono tantissimi i soldi investiti in armamenti,
munizioni, veicoli, ordigni e risorse umane destinate alla Difesa
militare, sia interna (forze di Polizia, che fanno capo al Ministero
degli Interni) che estera (Esercito, che fa riferimento al Ministero
della Difesa).
Gli Stati Uniti d’America spendono ogni
anno circa 600 miliardi di dollari nel comparto militare, e questa cifra
supera la somma degli importi degli altri 7 stati che maggiormente
investono in spese militari (Cina, Russia, Arabia Saudita, Francia,
Regno Unito, India e Germania), su un totale mondiale di oltre 1.700
miliardi di dollari, equivalenti a quasi 5 miliardi di dollari al giorno, 204 milioni ogni ora, 3,4 milioni di dollari spesi ogni minuto. (Fonte: Sipri)
Nel suo piccolo l’Italia investirà nel 2015 quasi 30 miliardi di euro nel comparto militare, cioè circa 80 milioni di euro al giorno:
oltre 10 miliardi di euro finiranno in stipendi e pensioni per i
174.500 uomini e le donne di Esercito, Marina e Aeronautica, sempre più
comandanti (oltre 90 mila tra ufficiali e sottufficiali) che comandati
(circa 82 mila i militari della truppa).
Una informazione ancora più inquietante è che l’Italia è anche uno dei maggiori produttori di armi al mondo:
si stima che negli ultimi 25 anni siano state vendute a 123 paesi del
mondo armi italiane per un valore pari a 54 miliardi di euro, nulla in
realtà al confronto dei due grandi produttori, USA (più di 66 miliardi
di dollari nel 2013 dall’esportazione di armi) e Russia, che vendono
principalmente a India, Arabia Saudita, Cina e Pakistan.
Runak Bapir Gherib, 14 anni, ridiscende dai Monti Sinjar in Iraq con la madre e la sorella.
(foto di Zmnako Ismael, del collettivo Metrography, 2014)
È evidente che il fenomeno della guerra è
molto complesso, e il suo campo morfogenetico risale agli albori della
civiltà, se è vero che i primi scontri armati tra due gruppi di uomini
sono stati ritratti da graffiti risalenti a 20.000 anni fa, e che in tutti i miti della creazione ci sono racconti di guerre, battaglie, scontri tra dei e demoni, come anche lo stesso Dio della Bibbia viene spesso chiamato “Signore degli eserciti”.
Da un punto di vista linguistico
riusciamo a trovare uno spunto interessante: il termine “guerra” deriva
dalle lingue germaniche, da “werra” (da cui deriva anche il termine
inglese “war”), che significava “contesa, discordia, mischia”,
delineando una manifestazione disordinata, impulsiva ed emotiva, incontrollata dell’aggressività,
che si avvicina al campo semantico del termine greco “pòlemos” (da cui
il nostro “polemico”) che si rifà alla radice del verbo “pàllo”, che
significa “lanciarsi, gettarsi” (da cui deriva anche “pàle”, lotta, da
cui deriva la nostra “palestra”).
Il termine latino “bellum” (da cui
l’aggettivo “bellico”) si rifà invece a “duellum”, cioè allo scontro a
due, ed era inteso come la guerra organizzata e strategica,
gerarchicamente condotta, frutto quindi non più di un istinto
incontrollabile, ma di una meticolosa razionalità e intenzionalità: come dice un moderno teorico della guerra, Carl von Clausewitz: “La
guerra non è dunque, solamente un atto politico, ma un vero strumento
della politica, un seguito del procedimento politico, una sua
continuazione con altri mezzi”.
I filosofi, i sociologi e antropologi hanno discusso a lungo sull’istinto naturale dell’uomo all’aggressività,
ed è interessante che Freud stesso, rispondendo alla domanda posta da
Albert Einstein alla comunità scientifica nel 1933: “Perché la guerra?”,
va oltre la sua tipica visione legata all'inconscio e allo scontro
interiore nella psiche di ognuno tra il principio di distruzione e morte
(Thanatos), opposto alla pulsione di vita e amore (Eros), e prende in
considerazione gli aspetti "esterni" dei conflitti tra gruppi sociali,
facendo riferimento alla mancanza di una legge e autorità superiore
capace di redimerli.
Battaglia tra romani e barbari all'epoca delle guerre marcomanniche
(Sarcofago di Portonaccio, Roma, Museo Nazionale Romano - Palazzo Massimo alle Terme)
Il vero problema della guerra quindi non è l’aggressività in sé,
che nella sua parte sana è il Guerriero interiore, è il Terzo Chakra,
si manifesta nel coraggio, nella determinazione, nella forza di volontà,
e soprattutto non è un problema la difesa di uno spazio, di un
territorio, di un confine, il rispetto dei limiti: è un diritto, è un
dovere, è un istinto individuale, è l’arte marziale, l’Arte della Guerra
di Sun Tzu.
Il vero problema della guerra è
quando essa è frutto di una logica scelta motivata da un interesse di
tipo economico, sociale, personale e il casus belli è
sempre una provocazione, un’invasione, la rottura di una regola,
l’utilizzo della forza che diventa violenza, abuso, prevaricazione,
attacco più o meno leale e più o meno dichiarato: perché non ci può
essere il calore del cuore e delle emozioni nelle atrocità a cui
assistiamo nelle guerre, ci può essere solo una lucida, fredda e
disumana scissione razionale dalla realtà.
James Hillman parla dell’archetipo della guerra, e lo identifica nell’idea di “Nemico” che è dentro di noi,
il quale mobilita le energie e le pulsioni aggressive, alimenta la
paura, l’odio, la collera, la vendetta, che rende tollerabile anche il
rischio della morte: “il nemico è la levatrice della guerra”, dice
Hillman, perché rende possibile altri due elementi indispensabili per la
guerra, cioè la coesione sociale e la legittimazione morale (e sul tema
della “guerra santa”, legittimata da una religione, magari torneremo in
un prossimo articolo).
Per togliere energia al campo
morfogenetico della guerra, occorre che ciascuno lavori ai propri
conflitti interiori, al Nemico che ha dentro, perché la sana
aggressività di cui il mondo, la natura, la Vita ha sempre avuto e
sempre avrà bisogno non ha niente a che vedere con il giudizio, con la
crudeltà, con la punizione, con la tortura, con la strage, con
l’eliminazione totale dell’avversario: non è reprimendo il Guerriero che
si ottiene la pace nel mondo, anzi, si alimenta il senso di
frustrazione che produce poi la vendetta e il rancore.
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