domenica 31 luglio 2016

In Siberia si prepara l'Armageddon... - Voragini impressionanti si aprono nel permafrost




C’era nell’aria da tempo la minaccia di qualche fatto naturale eclatante, l’inizio di effetti devastanti sul nostro pianeta legati ai cambiamenti climatici.

Avevamo iniziato a registrare da qualche anno lo sbiancamento e la morte dei coralli delle barriere coralline australiane, la lunga siccità dell’Africa orientale e il dramma del Polo Nord i cui ghiacci vanno rapidamente fondendosi e che 5 mesi l’anno è diventato navigabile, ora tocca al permafrost della Siberia e dell’Alaska che a causa dell’innalzamento delle temperature del pianeta va rapidamente sciogliendosi, immettendo nell’atmosfera il micidiale CH4, ossia metano. Un gas serra 22 volte più aggressivo della CO2. Il fenomeno dello scioglimento del permafrost sta maggiormente interessando tutta la regione della Siberia, dove si aprono improvvisamente crateri e dove il terreno tra improvvisi sprofondamenti e nascita di “doline” sta letteralmente modificando la morfologia di questa regione russa.

E’ comparso così all’improvviso in Siberia, in località di Batagai, nel distretto di Verchojanskij, un cratere di dimensioni impressionanti. Gli abitanti locali sono terrorizzati perché pensano che questo immane cratere possa pian piano inghiottirli, in effetti si allarga giorno dopo giorno e al momento misura 2 Km di lunghezza. I locali, dando credito ad antiche leggende, hanno definito questo cratere come “la porta dell’Inferno“. I primi segni del cratere di Batagaika, si sono avuti alcuni anni fa, quando i soliti “sapienti” dicevano che il fenomeno del riscaldamento globale dell’atmosfera era un’invenzione di noi ambientalisti, ma all’inizio era di pochi metri di diametro poi, all’improvviso, ha iniziato ad aprirsi ad una velocità impressionante, fino a raggiungere le attuali dimensioni. Oggi finalmente le bocche di questi negatori della realtà tacciono perché il precipitare degli eventi negativi sul pianeta, causati dai cambiamenti climatici, aumenta giorno dopo giorno, si da avvalorare la tesi: aumento della temperatura terrestre = disastri naturali.

Secondo gli ultimi rilievi dei geologi, il cratere starebbe crescendo al ritmo di più di 18 metri l’anno. Per molti scienziati questo è un fenomeno sconosciuto in cui non si riesce ancora a capire dove porterà.

Per gli scienziati russi è probabile che il cratere Betagaika sia l’inizio di un presagio di qualcosa di terribile ancora da affermarsi. Qualcosa che, ovviamente, ha a che fare con i cambiamenti climatici. Pertanto gli scienziati pensano che potranno apparire ancora molti altri crateri, tali da sconvolgere tutta la regione della Siberia.

Filippo Mariani 



(Fonte: A.K. Informa n. 31)

sabato 30 luglio 2016

Bioregionalismo e politica - Il mito della democrazia e l'ordine naturale delle cose



La revisione storica
Armato di una semplice teoria economica e politica, nel mio libro[2] presento una ricostruzione revisionista della storia moderna occidentale: dell'emergere dagli ordini feudali [che erano entità non statali] degli Stati monarchici assoluti e della trasformazione del mondo occidentale, cominciata con la rivoluzione francese e completata con la fine della prima guerra mondiale, che ha visto il passaggio degli Stati monarchici a quelli democratici e l'assurgere degli Stati Uniti al ruolo “di impero universale”. Gli scrittori neo-conservatori, come Francis Fukuyama, hanno interpretato questa evoluzione come un progresso della civiltà e hanno proclamato la “fine della storia” che sarebbe arrivata con il trionfo della democrazia occidentale e la globalizzazione ([quest’ultima necessaria] per rendere il mondo sicuro per la [realizzazione della] democrazia). La mia interpretazione teorica è invece completamente diversa. Essa comporta la distruzione di tre miti storici.

Il primo mito
Il primo e più fondamentale mito [da sfatare legato alla democrazia] è che l'emergere da un ordine precedente (il periodo feudale) degli Stati sia stata la causa del progresso economico e civile che ne è seguito. La teoria ci induce invece a ritenere che tale progresso ci sarebbe comunque stato nonostante, e non a causa, la formazione degli Stati.
Lo Stato può essere definito convenzionalmente come: un’agenzia che esercita un monopolio territoriale, imposto con la forza, sia sulla decisione finale da prendersi in caso di controversie (giurisdizione) sia sulla tassazione[3]. Per definizione quindi, ogni Stato, a prescindere dalla sua particolare costituzione è economicamente ed eticamente inadeguato. [Perché è inadeguato?] Ogni monopolio è un “male” dal punto di vista del consumatore. Intendiamo per monopolio la mancanza di libero accesso ad una particolare linea di produzione: solo un’agenzia A può produrre il servizio od il prodotto X.[4]
Ogni monopolio è “maligno” per i consumatori perché, essendo protetto dall'ingresso di altre agenzie nella propria linea di produzione, il prezzo dei suoi prodotti sarà più alto e la loro qualità inferiore di quanto potrebbe invece essere in caso di libero accesso da parte di altre agenzie [cioè essendo il mercato aperto alla competizione di altre agenzie che operassero nella stessa linea di produzione]. Ovviamente il fatto che proprio il potere supremo di prendere decisioni sia esercitato in regime di monopolio è particolarmente “maligno”. Al contrario di altri monopoli che producono beni di qualità inferiore [e prezzo superiore rispetto a un regime di competizione], un monopolio giudiziario oltre a produrre servizi di qualità inferiore produce dei veri e propri “misfatti”, perché un tale monopolista è giudice supremo di ogni conflitto e quindi anche di quelli che lo riguardano direttamente. Di conseguenza, invece di tendere a prevenire e risolvere conflitti, un giudice supremo monopolista sarà portato naturalmente a causare e provocare conflitti da comporre a proprio vantaggio.[5]
Non solo nessuno, potendo evitarlo, accetterebbe un tale monopolio nella fornitura di servizi giudiziari, ma [non accetterebbe] nemmeno il fatto che sia il giudice monopolista a determinare unilateralmente il prezzo dei propri “servizi”. È facilmente prevedibile, che un tale monopolista userebbe sempre più risorse (proventi della tassazione) per produrre sempre meno beni e perpetrare sempre più misfatti. Questa situazione non è la ricetta per la protezione dei cittadini ma per la loro oppressione e sfruttamento. Il risultato del costituirsi di uno Stato, quindi, non è la pacifica cooperazione [economica tra i cittadini] e l'ordine sociale, ma il conflitto, la provocazione, l'aggressione, l'oppressione e l'impoverimento in altre parole la de-civilizzazione (imbarbarimento). Questo, soprattutto, è quello che ci ha mostrato la storia degli Stati. Essa è infatti, in primo luogo, la storia di milioni di vittime innocenti del potere statale[6].

Il secondo mito
Il secondo mito riguarda la transizione dalle monarchie assolute agli Stati democratici. Non solo i neo-conservatori interpretano questo sviluppo come progresso, ma c'è un accordo pressoché universale sul fatto che la democrazia rappresenta un progresso nei confronti della monarchia e che sia la causa dello sviluppo morale ed economico recente. Questa interpretazione è particolarmente curiosa alla luce del fatto che la democrazia è stata invece la fonte di tutte le forme di socialismo:[7] del socialismo democratico europeo, del liberalismo e del neo-conservatorismo americano così come del socialismo internazionalista, quello sovietico, del fascismo italiano e del nazionalsocialismo in Germania. Ma più importante è il fatto che la teoria contraddice questa interpretazione: sia la monarchia, sia la democrazia sono inadeguate in quanto Stati, ma la democrazia è peggiore della monarchia.
Dal punto di vista teorico, la transizione dalla monarchia alla democrazia riguarda né più né meno il fatto che un “proprietario” monopolista ereditario, il principe o il re, sia sostituito da un “curatore” monopolista temporaneo e intercambiabile, il presidente, il primo ministro, e i membri del Parlamento. Sia i re sia i presidenti democratici produrranno dei misfatti[8], ma un re, poiché “possiede” il monopolio e può venderlo o tramandarlo ai propri eredi, si curerà degli effetti delle proprie azioni sul valore di questo suo capitale. In quanto proprietario del capitale sul “suo” territorio[9], il re sarà relativamente orientato al futuro. Per conservare e migliorare il valore della sua proprietà, egli lo sfrutterà moderatamente e in maniera calcolata. Al contrario, un curatore democratico temporaneo e intercambiabile non “possiede” il paese ma, per il tempo che rimane in carica, gli è consentito di usarlo a proprio beneficio. Questo non solo non elimina lo sfruttamento, anzi lo rende di corte vedute (orientato al presente) e non calcolato [(sfrenato)], cioè condotto senza alcun riguardo per il valore futuro del capitale presente nel paese.[10]
Neppure il libero accesso [da parte di tutti i cittadini] a qualsiasi carica dello Stato è un vantaggio della democrazia (rispetto ad un regime monarchico, in cui l'accesso al potere è regolato discrezionalmente dal sovrano). Al contrario, è solo la competizione nella produzione di merci e servizi che è buona cosa mentre la competizione nella produzione dei misfatti non è affatto cosa buona. I re, che giungono alla loro carica in funzione della loro nascita, possono essere o dei dilettanti incapaci di fare danni o invece degli uomini decenti (mentre se sono dei pazzi, di essi ci si prenderà cura rapidamente e se necessario verranno eliminati proprio dei parenti più stretti, preoccupati del futuro della dinastia). Questo [processo di salita al potere] è in un acuto contrasto con [quanto avviene per] la selezione dei governanti democratici per mezzo delle elezioni popolari che rende praticamente impossibile, per una persona incapace o decente, di arrivare al vertice dello Stato. Presidenti e primi ministri raggiungono le loro posizioni come risultato della loro efficienza in quanto demagoghi moralmente privi di inibizioni. Pertanto la democrazia fa si che virtualmente solo persone pericolose giungeranno ai vertici del governo.
In particolare la democrazia può essere vista come un mezzo per promuovere nella società un aumento del tasso di preferenza temporale ([un maggior] orientamento al presente) ovvero condurre ad una maggiore una “infantilizzazione”[11] della società stessa. Un [ulteriore] risultato della democrazia è il continuo aumento delle tasse, della circolazione di denaro cartaceo [(al posto di denaro merce, come oro e argento]), dell'inflazione di denaro cartaceo, un infinito flusso di nuova legislazione e un debito “pubblico” continuamente crescente. Così la democrazia conduce alla riduzione dei risparmi, all'aumento dell'incertezza legale, al relativismo morale, all'illegalità e al crimine. Inoltre, la democrazia è uno strumento di confisca e redistribuzione della ricchezza e del reddito.[12] Essa conduce al prelievo, per mezzo della legge, della proprietà di alcuni, coloro i quali hanno [gli abbienti], e alla distribuzione di quanto preso loro ad altri, quelli che non hanno [i non abbienti][13]. E poiché è presumibile che sia qualcosa che ha valore ciò che è ridistribuito, si tratta di qualcosa che coloro i quali “hanno”, hanno troppo e coloro i quali “non hanno”, hanno poco. Tale redistribuzione fa sì che l'incentivo a produrre qualcosa di valore sia sistematicamente ridotto.[14] In altre parole, la proporzione delle persone dai comportamenti, dalla forma e dall'apparenza poco corretta aumenterà e la vita sociale diventerà sempre meno piacevole.
Infine, per ultimo ma non ultimo, l’avvento della democrazia ha causato un radicale cambiamento nella condotta delle guerre. Poiché è possibile esternalizzare i costi della propria aggressione nei confronti di altri (attraverso il ricorso alla tassazione) sia i re che i presidenti saranno più che “normalmente” aggressivi e guerrafondai.[15] Comunque, il motivo che ha un re per dichiarare una guerra è tipicamente una disputa di proprietà o ereditaria. L'obiettivo di questa guerra monarchica è tangibile e di carattere territoriale: guadagnare il controllo su un territorio e sui suoi abitanti. Per conseguire questo obiettivo è nell’interesse del re distinguere fra i combattenti (i suoi nemici e interessanti dell'attacco) e i non-combattenti e le loro proprietà (affinché vengano tenute fuori della guerra e non vengano danneggiate [visto che in caso di vittoria entreranno a fare parte del patrimonio reale e sarà necessario spendere soldi per ricostruirle]). La democrazia ha invece trasformato le guerre limitate dei sovrani in guerre totali. La ragione della guerra [da territoriale] è diventata ideologica: [con l’avvento della democrazia si fa una guerra per] la democrazia, la libertà, la civilizzazione, l'umanità. Gli obiettivi sono adesso intangibili ed elusivi: la conversione ideologica degli sconfitti, preceduta dalla loro resa incondizionata (la quale, poiché non si può mai essere certi della sincerità di una conversione, può richiedere mezzi come l’omicidio di massa di civili). E la distinzione tra i combattenti e i non-combattenti diventa sempre più sfumata e, alla fine, scompare e il coinvolgimento popolare nella guerra di massa, la leva universale obbligatoria e le adunanze oceaniche, così come i “danni collaterali” diventano parte integrante della strategia di guerra.

Il terzo mito
Infine, il terzo mito infranto è la convinzione che non esistano alternative alle democrazie sociali occidentali, all'americana. Di nuovo, la teoria dimostra il contrario. Prima di tutto, questa convinzione è falsa perché le moderne social-democrazie non costituiscono un sistema economico stabile e sono destinate a collassare sotto il proprio peso parassitario,[16] in maniera del tutto simile all'implosione del socialismo sovietico di due decenni orsono. Ma cosa ancora più importante è che una stabile alternativa alla democrazia esiste. Il termine che propongo per quest’alternativa è: “ordine naturale”.
In un ordine naturale ogni risorsa scarsa, inclusa tutta la terra, è posseduta privatamente, ogni impresa è finanziata da clienti paganti volontariamente oppure da donatori privati e l'ingresso in qualsiasi linea di produzione, inclusa quella della protezione della proprietà, dell'arbitraggio dei conflitti e della difesa, è libero.
Se lo Stato disarma i propri cittadini per potere essere capace di derubarli più facilmente, rendendoli più vulnerabili ad attacchi criminali terroristici, l’ordine naturale, al contrario, è caratterizzato da una cittadinanza armata. Quest’ultima caratteristica è, infatti, favorita dalle compagnie di assicurazione, le quali svolgono un ruolo importante in quanto fornitori di sicurezza e protezione in un regime di ordine naturale. Gli assicuratori incoraggeranno i loro clienti a detenere armi, offrendo loro il pagamento di premi bassi se essi sono armati e ben addestrati all'uso delle armi. Per loro natura, le assicurazioni sono agenzie difensive. Siccome solo i danni accidentali e non ha auto-inflitti, causati o provocati sono assicurabili, gli aggressori e i provocatori si vedranno negare la copertura assicurativa e rimarranno pertanto più deboli [di fronte ad aggressioni da parte di terzi][17]. Poiché gli assicuratori devono indennizzare i propri clienti in caso di conflitto, devono preoccuparsi continuamente della prevenzione delle aggressioni criminali, del recupero della refurtiva e della cattura dei responsabili dei danni causati[18].
Inoltre la relazione tra assicuratori e clienti è di tipo contrattuale. Le regole del gioco sono mutuamente accettate e definite. Un assicuratore non può “legiferare” o, in maniera unilaterale, cambiare i termini del contratto. In particolare se un assicuratore vuole attrarre una clientela pagante[19] deve tenere conto, nei propri contratti, della possibilità di conflitto non solo tra i propri clienti ma specialmente con i clienti di altre assicurazioni. L'unica possibilità per un assicuratore in grado di coprire in maniera soddisfacente questo ultimo caso è di essere legato contrattualmente a un arbitro terzo. Comunque non basterà un qualsiasi arbitro perché gli assicuratori in conflitto tra loro devono concordare sull'arbitro o l'agenzia di arbitraggio da scegliere e, per essere accettabile agli assicurati, un arbitro deve offrire un prodotto (una procedura legale e un giudizio effettivo) che dia luogo al consenso morale più ampio possibile tra gli assicuratori e i clienti. Così, contrariamente alle condizioni statuali, un ordine naturale è caratterizzato da una legge stabile e prevedibile e da una migliorata armonia legale.
Inoltre, le compagnie di assicurazione promuovono lo sviluppo di un ulteriore elemento di sicurezza. Gli Stati non solo hanno disarmato i loro cittadini portandogli via le armi, ma le democrazie in particolare hanno  privato i propri cittadini del diritto all'esclusione promuovendo invece, attraverso politiche di non discriminazione, di azioni positive, e multiculturali un’integrazione forzata.[20] In un ordine naturale il diritto all'esclusione inerente alla stessa idea di proprietà privata è invece restituito ai legittimi proprietari.
Così per ridurre i costi di produzione della sicurezza e migliorarne la qualità, un ordine naturale si caratterizza per un aumento di discriminazione, di segregazione, di separazione spaziale, di mono-culturalismo (omogeneità culturale), di esclusività e di esclusione. In aggiunta dove gli Stati hanno indebolito le istituzioni sociali di intermediazione (i nuclei familiari, le chiese, di accordi tra gruppi, le comunità locali, i circoli) e i livelli di autorità ad essi associati per incrementare il loro potere nei confronti di individui sempre più isolati e uguali l'un l'altro, un ordine naturale è distintamente non ugualitario: elitista, gerarchico, proprietario, patriarcale e autoritario e la sua stabilità dipende essenzialmente sull'esistenza di una aristocrazia naturale conscia di sé stessa e volontariamente riconosciuta [dagli altri cittadini].

Strategia
Come può l'ordine naturale emergere dalla democrazia? Nel mio libro, chiarisco il ruolo delle idee, degli intellettuali, delle elite e della pubblica opinione nella legittimazione e delegittimazione del potere statale. Un ruolo importante ha la secessione e la proliferazione di entità politiche indipendenti verso la realizzazione di un ordine naturale e il come fare a privatizzare la proprietà “pubblica” e quella “socialista”.[21]

INTERVENTO CHE IL PROFESSOR HANS HERMANN HOPPE HA FATTO DURANTE IL CONVEGNO TENUTOSI ALL'UNIVERSITA' DI PADOVA. GRAZIE A MAURIZIO BALESTRIERI PER LA TRADUZIONE.


[1] Hans Hermann Hoppe. Traduzione di Maurizio Balestrieri, 18 ottobre 2009. La traduzione del testo originale in lingua inglese, che si trova a questo indirizzo web: http://j.mp/3ywD1B, è completa ad eccezione dei primi due e dell’ultimo paragrafo.
[2] “Democrazia: il dio che ha fallito”, H. H. Hoppe, Liberilibri, 2006. http://j.mp/In9nm (NdT).
[3] Nessun altro oltre lo stato può imporre tasse sul territorio in cui lo stato è presente. Basti pensare alla lotta contro il pizzo.
[4] Nel campo della telefonia in Italia fino agli anni ’80,  la SIP era il monopolista delle telecomunicazioni perché non era possibile, per legge, per nessuna altra azienda occuparsi di telecomunicazioni. E così era anche con l’ENEL nel settore della produzione e distribuzione di energia elettrica. (NdT)
[5] Ad esempio, alzerà l’aliquota IVA e se qualcuno tenterà di opporsi attraverso il sistema legale verranno poste in essere delle norme apposite per impedire che ci possano essere ricorsi in materia tributaria o sugli espropri. (NdT)
[6] Le vittime dei conflitti del XX° secolo scatenati dagli stati (prima e seconda guerra mondiale e conflitti regionali). (NdT)
[7] E’ chiaro il disprezzo per l’autore dell’ideologia socialista, ovvero una ideologia che nega il valore fondamentale della proprietà privata.
[8] Agendo entrambi in regime di monopolio. (NdT)
[9] Le terre, le strade, i palazzi, i paesaggi, ecc.
[10] La differenza è la stessa che esiste tra la cura con la quale il proprietario di un appartamento tratta gli infissi, le porte, i pavimenti, i bagni e di come li tratta un inquilino che abiterà un appartamento non suo per un periodo di tempo limitato. Se devo costruire, ad esempio, una strada per avere il consenso della popolazione locale, non mi interessa se quella strada distrugge il paesaggio e l’economia di una vallata che attraversa perché danneggia il turismo di quel luogo, perché questo danno si manifesterà nel lungo periodo e nel lungo periodo non sarò più al mio posto e non sarò nemmeno chiamato a rispondere dei danni che ho creato.  (NdT)
[11] Basti pensare ai “bamboccioni”, che stanno a casa con babbo e mamma fino a 35 anni, o alle persone che spendono tutto quello che hanno senza risparmiare per la vecchiaia, che acquistano a credito spendendo di più di quello che hanno perché attratti dal luccichio dei gadget e della moda. (NdT)
[12] Riduzione dei risparmi: se c’è inflazione è preferibile spendere i propri risparmi materializzandoli in beni tangibili anziché farseli erodere progressivamente ed irrimediabilmente dall’inflazione; incertezza legale, relativismo morale ed illegalità: il continuo ed inarrestabile flusso di nuove leggi e regolamenti non fa altro che creare confusione e nella notte scura tutte le vacche sembrano nere, ovvero non si sa più dove stia il male ed il bene perché qualunque cosa si faccia c’è una legge od una norma amministrativa che si infrange; crimine: il fatto che i cittadini sono privati delle armi fa si che le armi le abbiano solo i delinquenti. (NdT)
[13] Basti pensare alle imposte progressive sul reddito. (NdT)
[14] Se mi prendono forzatamente quello che ho per darlo ad altri che hanno meno perché hanno lavorato meno di me o hanno risparmiato meno di me, che incentivo ho io a comportarmi correttamente, a risparmiare e a produrre di più se poi verrò espropriato dei miei guadagni?  (NdT)
[15] Rispetto a coloro i quali devono pagare di tasca propria le attività belliche, anziche farle pagare al contribuente. (NdT)
[16] Esistono delle ragioni teoriche del perché questo avverrà e sono legate alla impossibilità, in assenza di un sistema di prezzi originatisi dal libero scambio, di valutare quale azione o scelta economica sia da fare o meno. (NdT)
[17] Non potranno sottoscrivere dei contratti di protezione a loro favore perché si tratta di persone che causano guai con il loro comportamento provocatorio, rimanendo quindi non protetti da attacchi portati loro da terzi ancora più aggressivi di loro o dal personale di sicurezza delle assicurazioni deputato alla cattura di persone che hanno causato danni a terzi. (NdT)
[18] Perché li rimborsino o siano messi ai lavori forzati per ripagare la vittima. (NdT)
[19] La clientela qui paga volontariamente il servizio di protezione offerto e non forzosamente (tassazione), come avviene per i servizi di protezione erogati dallo stato. (NdT)
[20] Qui il concetto è quello della forzata integrazione, anziché quella che avviene per libera scelta quando, ad esempio, si chiama dalle Filippine una collaboratrice domestica offrendole contrattualmente un alloggio e uno stipendio. (NdT)
[21] Tutto questo è spiegato estesamente nel libro. (NdT)



venerdì 29 luglio 2016

Quel che serve è una biopolitica ed una spiritualità laica - Alcuni concetti bioregionali in parole semplici



Il bioregionalismo è una forma attuativa dell’ecologia profonda. Nel senso che l’ecologia profonda analizza il funzionamento delle componenti vitali e geomorfologiche ed il bioregionalismo riconosce gli ambiti territoriali in cui tali componenti si manifestano.

Per fare un esempio concreto: il funzionamento generale dell’organismo vivente viene compreso attraverso il riconoscimento e lo studio delle sue funzioni vitali e dei modi in cui tali funzioni si manifestano ed il bioregionalismo individua gli organi specifici che provvedono a tale funzionamento e le correlazioni fra l’organismo e l’insieme degli organi che lo compongono, descrivendone le caratteristiche e la loro compartecipazione al funzionamento globale. Per cui non c’è assolutamente alcuna differenza fra ecologia profonda e bioregionalismo, sono solo due modi, due approfondimenti che partono dallo stesso approccio, per comprendere e descrivere l’evento vita.

Abbiamo inserito come terzo elemento componente “l’osservatore”, cioè l’Intelligenza Coscienza che anima il processo conoscitivo. Ovvero la capacità osservativa e lo stimolo di ricerca e comprensione della vita che analizza se stessa. Anche questo processo di auto-conoscenza, ovviamente, è parte integrante del processo individuativo svolto nell’ecologia profonda e nel bioregionalismo. A volte questa intelligenza intrinseca nella vita è anche detta “Biospiritualità” – E cosa si intende per biospiritualità? Biospiritualità è l’espressione, l’odore sottile, il messaggio intrinseco, che traspira dalla materia tutta. Il sentimento di costante presenza indivisa.. la consapevolezza dell’inscindibilità della vita, riconoscibile in ogni sua forma e componente, partendo dal “soggetto” percepiente. La conoscenza “suprema” significa essere consapevoli che tutto quel che “è” lo è in quanto tale. Perché l’esistente è uno, non può esserci “altro”…

Altro aspetto importante del discorso è quello della Solidarietà al Tutto (anziché Umana) per far trasparire una visione meno antropocentrica e più rivolta al rispetto dell’Uno e Molteplice che ci circonda ed in cui siamo. Il termine più appropriato per noi sarebbe Cooperazione Attiva, quindi cooperare alla maniera del fare o dell’agire cioè del concludere e arrivare a soluzioni e propositività negli intenti, orientati sempre verso l’alto, cioè lo Spirito.

Nel discorso dell’ecologia va incluso anche quello della Biopolitica per trasmettere un messaggio che la Politica deve essere inserita sempre in Bios cioè nella Vita, che è un qualcosa che non appartiene solo all’uomo. 

E poi l’Economia Partecipativa, poiché l’economia deve tornare ad essere a misura delle cose reali e non dei mercati subliminali di borse e speculatori e noi dobbiamo tornare a ridiventare fruitori attivi e non passivi (come avviene nel sistema corrente della cosiddetta "moneta debito"), ecco il senso di Partecipazione e Sovranità di questo mezzo di scambio che è il denaro.

Paolo D'Arpini


Rete Bioregionale Italiana - bioregionalismo.treia@gmail.com

giovedì 28 luglio 2016

Contrastare l'inquinamento acustico per salvaguardare la salute psicofisica umana ed animale



L'inquinamento acustico costituisce uno dei maggiori problemi ambientali in Europa; almeno un cittadino europeo su quattro sarebbe esposto a livelli di rumore da traffico stradale oltre i limiti o musiche ad alto volume,  per un totale di oltre 125 milioni di persone.
Tra gli effetti nocivi di tale inquinamento sugli esseri umani c'è il disturbo del sonno, che può a sua volta causare problemi più gravi come ipertensione o malattie cardiache.
C'è inoltre una crescente evidenza scientifica circa gli effetti nocivi del rumore antropico nel solo nella comunità umana ma anche  sulla fauna selvatica; in natura, infatti, molte specie ricorrono alla comunicazione acustica per importanti aspetti della loro vita come trovare cibo o individuare un compagno: l’inquinamento acustico può potenzialmente interferire con queste funzioni.
La legislazione europea mira a ridurre tale inquinamento e mette in evidenza anche la necessità di tutelare e preservare le aree che non risultano ancora toccate da questo problema. Le cosiddette zone tranquille sono una componente importante del paesaggio sonoro europeo e possono costituire - in ambito urbano ed extra-urbano - un'opportunità per il recupero psico-fisico di cittadini europei spesso altamente disturbati dal rumore.
La Direttiva europea sul rumore ambientale 2002/49/EC definisce zone tranquille extra urbanequelle aree che non sono interessate dal rumore di traffico, industria o attività ricreative, rumore cioè prodotto da attività umane. Un'area quieta in ambiente extraurbano non è necessariamente silenziosa, ma piuttosto una zona in cui vi siano alcuni tipi di rumore, come il rumore dell'acqua che scorre o il canto degli uccelli, che di solito sono percepiti come piacevoli.
Potenziali aree quiete in Europa
Un recente report dell'Agenzia europea per l'ambiente fornisce una prima mappatura delle potenziali zone tranquille nelle regioni rurali europee ed offre una panoramica su come queste zone potrebbero dare beneficio alle popolazioni umane ed animali.
Dal rapporto risulta che circa il 18% della superficie europea può essere considerata “tranquilla”, ma il 33% risente potenzialmente dell’inquinamento acustico.
La distribuzione delle zone silenziose è fortemente correlata alla densità di popolazione ed ai trasporti.
Altri fattori, come l'altitudine, la distanza dalle coste e l'uso del suolo, influenzano notevolmente la presenza di attività umane e di conseguenza del rumore. I paesi con una densità di popolazione relativamente bassa, come Finlandia, Islanda, Norvegia e Svezia, hanno la più alta percentuale di zone tranquille. Le zone più rumorose tendono a trovarsi in aree con densità abitativa più elevata, come in Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi. Aree remote come la regione alpina o vicino alla costa mediterranea possiedono anch'esse un'alta percentuale di zone tranquille. Circa il 27% dei siti protetti Natura 2000 in Europa hanno ampie zone tranquille, anche se un quinto dei siti protetti sono esposti a livelli elevati di rumore.
Alcune azioni sono state intraprese per proteggere le aree tranquille in campagna, ma il rapporto dell'Agenzia europea sostiene che ci sia ancora molto da fare per ridurre l'inquinamento acustico in queste zone, al fine di proteggere la salute umana e la biodiversità. Tra le misure possibili, ad esempio, c’è l'introduzione di una normativa nazionale o locale che limiti certe attività commerciali o ricreative nelle zone tranquille.
Il report dell'Agenzia europea si basa sul rapporto Guida alle zone quiete, pubblicato dalla stessa Agenzia nel 2014, che proponeva un metodo (Quietness Suitability Index - QSI) per poter identificare potenziali aree quiete in zone extra-urbane.
Nell'ultimo report si sviluppa ulteriormente e si applica il metodo QSI per mettere insieme una mappa - dell'Europa nel suo complesso e dei singoli paesi - che possa servire ad identificare le aree in cui è necessario intervenire per ridurre il rumore e per identificare potenziali zone tranquille da proteggere.

(Fonte: Arpat)

mercoledì 27 luglio 2016

Dimensione urbana bioregionale - Per una nuova forma dell'urbano...

In genere architetti e speculatori discutono banalmente dei prossimi grattacieli che ogni anno vengono eretti nella metropoli di New York o Shanghai mentre la discontinuità, la rottura, il nuovo nascono dal progettare e realizzare la "nuova forma dell'urbano" a partire dallo smontaggio dei prodotti e dal loro costo energetico, dal ridisegno dei trasporti e soprattutto da un nuovo-antico rapporto con la campagna.




Il giardino come bene comune, il giardino come confine del territorio fra città e campagna, questo il nuovo morfema urbano.

È quest´ultimo il nuovo registro entro cui progettare la dimensione urbana bioregionale come manifestazione di una nuova catena corta che vede la campagna in città e viceversa l´urbano seminato nella campagna.

Per questo devono cambiare letteralmente le competenze e le professioni con cui progettare le città, partendo dal sistema di scambio energetico e dal terreno bioagricolo, come paradigmi del "Green ring" attorno al quale generare "metropoli".

"Metropoli" cioè "madre di città", questo il significato originario e fondante della città greca , capace non solo di essere città ma soprattutto di generare città e per generare città dobbiamo partire dalla loro sostenibilità alimentare ed energetica.

Per continuare lo sviluppo urbano tipo Londra o Shanghai servono architetti o al massimo urbanisti, mentre per pensare, coordinare e progettare la nuova metropoli occorrono ambientalisti, agronomi, giardinieri, ingegneri energetici ed designer per gli oggetti.

La "catena corta" tra produttori e consumatori, meglio cittadini consapevoli è il paradigma della nuova progettazione, coniugata con la rete lunga cioè la visione e la responsabilità dello smontaggio dei prodotti come sequenza della catena del valore industriale.

Oggi infatti in una fase "preistorica" dell´industria, diciamo nel paleolitico abbiamo la concezione industriale che pensa se stessa come attività di progettazione, fabbricazione e al massimo logistica prima del consumo.

Poi ci si affida a quel mostro devastante e ultraconservatore che è la cosidetta GDO, la grande distribuzione che crede ideologicamente di distribuire le merci ai consumatori, ma in realtà come Wal-mart dimostra serve a comandare sui produttori, governando sulla liquidità derivata dai consumatori come una vera e propria arma politica per ridurre i costi ed impedire ogni innovazione dei prodotti.

Per questo da Walmart alla Coop la grande distribuzione è il nemico, il nemico che comanda il consumo e la sua forma devastata e devastante sia della forma della città sia dell´autonomia del cittadino.

Drammatica nella Cina odierna la dinamica dello sviluppo delle città, tutte inequivocabilmente costruite attorno al Mall, al centro commerciale che diventa il centro della vita e il centro della forma umana del vivere.

Centri commerciali sempre più grandi, periferie sempre più vaste, standardizzione dei prodotti, distruzione dei mercati agricoli, crescita dei trasporti, inquinamento atmosferico e inquinamento delle menti tramite il comando della pubblicità, questo lo scena-rio della trasformazione urbana più vasta e veloce nella storia recente.

Proprio perché riteniamo che la forma della città sia il cuore della polis e dunque della politica, pensiamo che ripartire da progettare metropoli, meglio smontare quelle attuali e rimettere al centro i paradigmi della catena corta agricola e della rete lunga ecologica sia decisivo per entrare nella nuova "fase industriale" dove lo smontaggio dei prodotti finalmente farà parte della loro progettazione.


Designer dello smontaggio, ingegneri del disassembling, queste le nuove professioni da inventare e coniugare con i giardinieri e i bioagricoltori per progettare certo insieme ad i bioarchitetti e gli ingegneri ambientalisti la nuova forma dell´urbano.

Per questo vogliamo aprire una discussione sulle contraddizioni ed opportunità attuali sulla forma della città, attraversando i progetti di Gas, gruppi di acquisto solidale, le esperienze dei farmers market, le strategie per riorganizzare la logistica ed i trasporti per le produzioni alimentari biologiche come il progetto di City logistic di Pro.B.E.R, gli esempi di "mercatali" in Toscana ed altre regioni, la nuova funzione del giardino in città verificata e sostenuta da Bio-habitat, metodo ispirato al biologico, ed una critica serrata al modello devastante e energivoro dell´iper-auto-megalopoli.

Ritornare alla città vuol dire ritrovare il giusto equilibrio fra agorà e demos, fra sistema urbano e campagna, in realtà cibo per il corpo e cibo per la mente.


Laddove la "parola diventa carne", là avviene il magico e sacro confine dell´umano con il suo futuro, per questo dalla "Casetta" si produce la nuova genetica dell´urbano e della sua qualità.

Oscar Marchisio

martedì 26 luglio 2016

Sopravvivere bioregionalmente senza farsi mancare niente...




"Da Bruges a Gent..." Siamo nelle Fiandre e nelle Fiandre -si sa- la gente ha il pallino della sopravvivenza ecologica, almeno questo è il ricordo che ho del Belgio. Degli allevamenti di capre in casa, del giardino fatto ad orto, dei servizi igienici alla siberiana, della doccia all'aperto, delle biciclette, della raccolta di legna secca in giro per i boschi, del dormire tutti in un letto per scaldarsi meglio....  (P.D'A.)

Questa sotto è l'esperienza di Steven Brommer nella sua casa:

 Ridurre l’impatto ambientale consumando meno risorse del nostro
pianeta è possibile? Secondo Steven Vromman, cittadino belga di 50
anni, sopracciglia chiare e fisico asciutto, sì. Steven, più
conosciuto come Low Impact Man, ha deciso il Primo Maggio 2008 di
vivere con una impronta ecologica bassissima, mantenendo, comunque,
una buona qualità della vita. «Sulla terra ci sono sei miliardi
settecentomila abitanti, dividendo il pianeta per ogni singolo
individuo, la quantità di terra a disposizione di ognuno è di 1,6
ettari. Se tutti vivessero come i cittadini del mondo occidentale,
come i belgi con una media di 5,1 ettari, ci vorrebbero tre pianeti!».
Steven aveva già una coscienza ambientalista e non possedeva un
automobile: il suo impatto ambientale era di 3,5 ettari. Low Impact
Man non è andato a vivere nella foresta come un eremita, è rimasto a
casa sua, a Gent, ricca città delle Fiandre a 56 km da Bruxelles. Ha
deciso di modificare le sue abitudini quotidiane e ha apportato
innovazioni “verdi” alla sua abitazione.

ENERGY BIKE – Per alimentare il suo computer, utilizza l’energia
generata pedalando su una bicicletta da passeggio collegata con un
generatore di corrente e una batteria. Con venti minuti di pedalate ha
elettricità per utilizzare 1 ora il computer. Ha scelto un computer
portatile perché consuma meno di un normale computer da scrivania. Low
Impact Man non è un bieco oppositore della tecnologia, anzi, crede nel
suo valore informativo, usa Facebook per trovare velocemente notizie,
ha un blog – che ritiene essere un grande strumento divulgativo -
seguitissimo . Usa il weblog, che è diventato anche un libro, per
condividere la sua esperienza e riceve moltissimi commenti. Ha un
lettore mp3 che funziona a manovella con una dinamo. «Quando lo uso in
pubblico qualcuno mi guarda con espressione sorpresa». Ha sostituito
tutte le vecchie lampadine di casa con quelle ecologiche, ha messo uno
strato di carta velina trasparente sui vetri delle finestre ottenendo
così lo stesso effetto delle finestre a doppio vetro. Trattenere il
calore è fondamentale per consumare minore quantità energia possibile.
La temperatura in casa è di 18 gradi. Tra i termosifoni e il muro c’è
uno strato di alluminio, così il calore non si disperde sulla parete,
ma è reindirizzato nell’ambiente casalingo. Il pavimento è isolato
tramite un soppalco di 10 centimetri fatto di sughero - «È un ottimo
materiale isolante ed è naturale» – dice Steven Vrommer che ha
“cacciato di casa” la televisione, il ferro da stiro, il bollitore e
il forno a microonde. I giornali non li compra, li consulta in
biblioteca.

DOCCIA CON ACQUA PIOVANA - Steven ha fuori dalla sua casa a piano
terra una cisterna nella quale raccoglie acqua piovana che utilizza
per il bagno. L’acqua corrente del rubinetto serve solo per bere,
cucinare e lavare i piatti. Bagnoschiuma e shampoo sono banditi,
preferisce una tradizionalissima saponetta. Si rade con lamette usa e
getta e schiuma da barba. I suoi due bambini Adam (10 anni) e Marieke
(13 anni) usano la doccia e non sono obbligati ad alcuna restrizione
perché “i bimbi fanno l’opposto di quello che gli si comanda. Ogni
tanto sono loro a dirmi papà ma questo non è ecologico!” Steven è
divorziato e i figli vivono con lui due settimane al mese.

BOLLETTE MENO SALATE – «Prima pagavo 100 euro al mese, ora solo 40».
Il costo delle bollette di Steven è sceso vertiginosamente. «D’estate
anche l’impianto di riscaldamento dell’acqua rimane spento e, se
serve, l’acqua la scaldo sul fornello a gas. L’impatto ecologico è
minore». In media utilizza 2 o 3 kilowatt al giorno di elettricità,
arrivando saltuariamente a 7 e il consumo di acqua è enormemente
basso: 15 litri al giorno per Low Impact Man contro i 120 litri
consumati generalmente procapite. Anche il cibo gli costa meno,
infatti Steven Vrommer compra solo prodotti locali, spesso dalle
fattorie, il latte per esempio. «Se compri alimenti che vengono da
paesi lontani c’è il consumo di energia per il trasporto con navi e
aerei». Così facendo acquista cibo non confezionato: prezzo basso e
assenza di produzione di rifiuti perché ha dei contenitori – sempre
gli stessi – che utilizza per andare a fare la spesa. Di buste di
plastica neanche a parlare. Nel salotto ha varie piante e coltiva
pomodori e insalate. È vegetariano - infatti con la carne si produce
un alto tasso di emissioni di CO2.

"Non è difficile vivere in armonia con il pianeta, dobbiamo, però,
tenere sempre in mente che ne abbiamo uno. Dobbiamo solo cambiare un
po’ il nostro modo di pensare"


lunedì 25 luglio 2016

Ecologia profonda. Vespe e natura



È una delle cose che indispone e atterrisce di più i vacanzieri: il
ronzio delle vespe. A tutti, infatti, sarà capitato di concedersi un
picnic in montagna all’ombra di un larice, o un pasto frugale, al
mare, in spiaggia. Poi, all’improvviso, ecco le vespe che cominciano a
girare attorno al nostro panino e noi che facciamo di tutto per
evitarle, compiendo mosse a volte talmente azzardate che alla fine
veniamo punti.

Ma la domanda dal punto di vista scientifico e:”siamo davvero sicuri
che vivremmo in un mondo migliore senza le vespe?” La risposta:
assolutamente no.

Le vespe, infatti, sono importantissime per l’ambiente e la
biodiversità, ossia il numero di specie animali e vegetali che ci
circondano. In particolare hanno un impatto enorme sull’abbondanza di
artropodi, il più grande raggruppamento tassonomico animale,
comprendente ragni, insetti, centopiedi, zecche; poiché presiedono la
catena alimentare. In loro assenza prolifererebbero parassiti che
creerebbero problemi all’equilibrio biologico.

Alcune specie depongono le uova in altri organismi; le larve si
sviluppano a loro discapito regolando il numero di insetti in un
determinato habitat. A loro volta le vespe sono importanti per la
sopravvivenza di specie come le rondini e i falchi, che abitualmente
si nutrono di imenotteri. La verità è che sappiamo poche cose di
questo animale. Sociale, come le api e le formiche. Ce ne sono
moltissimi. Si contano infatti 110mila specie e probabilmente ce ne
sono altrettanti da classificare. Lo dimostra un recente studio
condotto in Costa Rica che ha portato all’identificazione di 186 nuove
specie in un singolo punto della foresta equatoriale.
Dalle nostre parti abbiamo a che fare soprattutto con la vespa comune
(Vespa vulgaris), o vespa di terra; altrettanto noto è il calabrone
(Vespa crabro), detto anche vespa gigante, le cui femmine possono
raggiungere i cinque centimetri di lunghezza.

di Gianluca Grossi


Fonte www.rivistanatura.com

domenica 24 luglio 2016

Ecologia mancata - Dall'inavvertenza e dalla virtualizzazione la sconfitta umana




L'umanità è stata sconfitta. Sconfitta da se stessa e dalla propria incapacità a comprendere quanto grandioso fosse il compito al quale essa avrebbe dovuto assurgere. Un compito che la natura, Dio, l'universo, chiamatelo come vi piace, le aveva affidato: quello di proteggere il mondo, la Terra, la sua casa, sua madre. Proteggere i suoi figli. La vita.

E invece l'umanità si è sconfitta da sé.

Ed il suono di questa sconfitta si ode in ogni angolo del mondo. Nei rantoli di sofferenza di uomini, donne e bambini che muoiono di fame, di guerra, di stenti, di lavoro, di depressione. Nei lamenti di animali sgozzati a milioni. Nel suono di ferro delle industrie inquinanti. Nel suono del cemento che cade in pezzi sotto le sferzate del tremore della Terra. Nel rumore assordante delle auto incolonnate su strade di città infestate dal bruciare di benzina. Nel boato che fa un albero quando schianta a terra, ormai senza vita, col suo grido di dolore inimitabile. Nel suono dello sciacquettio delle onde di un mare inquinato.

L'umanità si è vinta da sé.

Francesco Salistrari

sabato 23 luglio 2016

Se "l'amore per la vita" diventa ideologico - Il caso conclamato dei vegani talebani



Succede non di rado che qualcuno in televisione, intervistato sulle motivazioni della  sua scelta vegetariana, ci  tiene a precisare di non essere vegano per non adottare una scelta estrema considerata da “talebani”. E così succede che alcuni considerino estremisti tutti coloro che sono coerenti con una loro positiva visione delle cose, perorando per contro la politica della moderazione, delle mezze misure, come la più sensata e razionale. Se avesse adottato lo stesso criterio ogni grande mistico, scienziato o letterato saremmo ancora all’età della pietra.

Ebbene si, noi vegan siamo talebani, siamo talebani dell’amore e della vita; siamo gli estremisti del bene, del rispetto non solo di alcuni appartenenti alla famiglia dei viventi, ma di tutti, nessuno escluso; noi difendiamo il diritto all’esistenza di ogni essere in grado di soffrire, il diritto a non essere imprigionato, sfruttato, violentato, ucciso; il nostro amore per la vita si estende dall’uomo all’animale e difendiamo da ogni ingiustizia l’essere umano e l’animale allo stesso modo di chi difenderebbe suo figlio dalle grinfie di un assassino.

Noi non siamo per le mezze misure; aderiamo totalmente ad ogni cosa ritenuta giusta. Noi non vogliamo ridurre la violenza, la tortura, le ingiustizie, il numero dei morti (sia umani che non) ma abolirle definitivamente. Non volgiamo solo non uccidere ma non causare sofferenza alle vittime del nostro egoismo; non vogliamo ridurre la violenza ma abolirla; non vogliamo gabbie più grandi ma vuote; non chiediamo mattatoi più salubri ma rasi al suolo: per questo noi siamo estremisti, talebani. Ma siamo estremisti anche nella tolleranza verso chi non ha ancora la capacità di aprirsi agli ideali dell’amore universale; verso chi ha bisogno di ampliare la propria coscienza e liberarsi dal propria ristretta visione delle cose; verso chi cerca di trovare giustificazioni per non rinunciare al piacere della gola e magari accusa inconsapevolmente sensi di colpa quando qualcuno gli fa notare gli effetti prodotti dalla sua scelta di vita.

Franco Libero Manco - Vegano talebano 

venerdì 22 luglio 2016

La comunicazione scientifica talvolta aiuta l'ambiente



Sta proseguendo il programma di iniziative promosso dal Gruppo di lavoro "Comunicazione" per costruire un tessuto comune di conoscenze ed esperienze fra i comunicatori delle agenzie ambientali, che può favorire l'obiettivo della integrazione della comunicazione del Sistema nazionale per la protezione dell'ambiente (SNPA), ora istituito formalmente con la legge approvata definitivamente dal parlamento lo scorso 15 giugno.

Si è tenuto, infatti, a Trieste, il 16 e il 17 giugno 2016, presso la SISSA - Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati, master in Comunicazione della Scienza “Franco Prattico”, il seminario formativo “Comunicare la scienza, comunicare l'ambiente”.
Le due giornate hanno permesso un confronto particolarmente interessante fra due punti di vista, da una parte i docenti e gli studenti del master, che hanno presentato le loro conoscenze e approfondimenti sul complesso tema di comunicare la scienza, dell'altra i comunicatori delle agenzie ambientali hanno proposto la loro esperienza quotidiana e le difficoltà da affrontare nel comunicare l'ambiente.
Nico Pitrelli
Nico Pitrelli, direttore del master in Comunicazione della Scienza, ha parlato delle “nuove pratiche e funzioni nella comunicazione della scienza”, evidenziando come oggi giorno le funzioni e le pratiche dei giornalisti scientifici sono cambiate. La scienza non è più considerata attendibile di per sé, ma, per essere accettata, deve essere "robusta socialmente". La conoscenza è filtrata dall'identità politica e sociale e non è più possibile "trasmettere" contenuti, ma è necessario instaurare un dialogo fra scienza e cittadini. In questo quadro per i giornalisti scientifici si delineano nuovi ruoli: da traduttori, gatekeepers e principali disseminatori dell’informazione scientifica ai non specialisti a intellettuali pubblici, organizzatori di piattaforme, curatori.
Donato RamaniIl tema della “notiziabilità ambientale nell'ecosistema digitale” è stata trattata da Donato Ramani, che ha delineato i rischi della comunicazione della scienza nell'era digitale, da un modello di comunicazione della scienza democratico, dialogico, centrato sul pubblico a un modello “incorporato”, unilaterale, business-oriented e persuasivo. La mancanza di tempo ha esacerbato un già esistente disequilibrio tra i reporter e le loro fonti, che favorisce uno squilibrio nei confronti delle fonti "forti". In Gran Bretagna il 60% delle news si basano interamente o in gran parte su materiale già pronto; Un ulteriore 20% ne è influenzato in diversa misura.
Chiara Saviane
Chiara Saviane ha illustrato invece la questione della “interazione tra scienziati e policymakers”, distinguendo fra i possibili ruoli che i primi possono svolgere. Ha quindi trattato di come si può comunicare in modo efficace, avendo ben chiaro il motivo del proprio coinvolgimento ed il proprio obiettivo, conoscendo i propri interlocutori ed adattando il messaggio di conseguenza, essendo accurati, concisi e credibili.
A conclusione della giornata del 16 giugno, Giulia Annovi Giulia Annoviha infine parlato di “Dati e ambiente: come rendere più fruibili le informazioni ”. L'assunto da cui partire è che le risorse sul Web devono essere aperte e riutilizzabili, per aumentare il coinvolgimento del pubblico nel processo decisionale, chiare e disponibili, per chi in base ad esse deve prendere decisioni per l’intera società. Per assolvere a questo obiettivo ha affrontato i vari aspetti relativi a come si può fare una buona comunicazione dei dati, a partire dal loro reperimento, passando per la loro strutturazione e visualizzazione, Comunicazione dei dati dal reperimento alla storiasino a costruire una "storia" a partire da essi.

Il venerdì 17 giugno è stato dedicato all’incontro con gli studenti del primo anno del master in Comunicazione della Scienza, dove è stato presentato il Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (SNPA) e le attività che si stanno portando avanti per una comunicazione integrata del sistema, da parte di Marco Talluri (Arpa Toscana e coordinatore GdL Comunicazione delle Agenzie), mentre Mauro Bompani (Arpae Emilia Romagna) ha raccontato gli aspetti di carattere comunicativo affrontati nella profonda riorganizzazione della sua agenzia, a seguito dell'affidamento ad essa da parte della Regione delle competenze autorizzative in materia ambientale, che prima erano affidate alle Province.
platea del seminario
Si è quindi svolta una discussione incentrata sul ruolo del comunicatore e sulla funzione della comunicazione nell’ambito del SNPA, aprendo la possibilità a forme di tirocini e stage da parte degli allievi del master presso le diverse agenzie.
Prossimi appuntamenti previsti per settembre: