sabato 6 dicembre 2025

Per un giornalismo nonviolento...

 


Il giornalismo nonviolento, pur non essendo un metodo formalmente codificato, come la Comunicazione Nonviolenta (CNV) di Rosenberg, può essere definito come un approccio all'informazione che applica i principi di Ahimsa (non-danneggiamento) e Satyagraha (forza della verità) di Gandhi, concentrandosi sulla comprensione dei bisogni e la ricerca di soluzioni, anziché sulla polarizzazione e la sensazionalizzazione.

Ecco i principi chiave che potrebbero definire il giornalismo nonviolento:

1.  Concentrarsi sulla struttura, non sulla contesa ("Principio strutturale")

  • Identificare e rivelare i bisogni: andare oltre la denuncia delle azioni immediate e identificare i bisogni umani universali (es. libertà, sicurezza, dignità, riconoscimento) che sono insoddisfatti e che guidano il conflitto.

  • Contestualizzazione completa: non limitarsi a riportare chi ha fatto cosa, ma fornire il contesto storico, sociale ed economico che ha portato all'evento. Rifiutare le narrazioni semplicistiche che dividono le parti in "buoni" e "cattivi."

  • Denunciare la violenza strutturale: riconoscere e denunciare non solo la violenza visibile (guerra, terrorismo) ma anche la violenza strutturale (povertà, disuguaglianza, discriminazione sistemica) che è spesso la radice del conflitto.

2.  Sostenere l'empatia e il dialogo ("Principio relazionale")

  • Dare voce a tutte le parti: dare spazio equo alle voci di tutte le parti in conflitto, le "vittime" in primo luogo, ma anche agli "oppressori", ai mediatori e, soprattutto, ai cittadini comuni che cercano soluzioni.

  • Uso consapevole del linguaggio: evitare il linguaggio che polarizza o demonizza. Utilizzare termini che descrivano i fatti e l'impatto della sofferenza, piuttosto che etichette morali o giudizi (es. descrivere la violenza senza usare un'etichetta legale definitiva se non confermata, per mantenere aperto il dialogo).

  • Rifiuto della sensazionalizzazione: non focalizzarsi sui dettagli più violenti o sanguinosi al solo scopo di aumentare l'audience (giornalismo della tragedia), ma riportare la sofferenza con dignità e rispetto.

3.  Orientamento alla soluzione ("Principio costruttivo")

  • Coprire le iniziative di pace: invece di concentrarsi unicamente sul fallimento dei negoziati o sull'escalation, dedicare spazio e attenzione alle iniziative di pace, mediazione e riconciliazione in corso, anche se su piccola scala (es. gruppi di collaborazione palestinesi/israeliani e non solo foto di massacri).

  • Rappresentare la complessità: riconoscere che le soluzioni sono raramente binarie. Evitare di ritrarre la pace come l'assenza di guerra; mostrare invece il processo complesso e incrementale attraverso cui le relazioni vengono ricostruite.

  • Responsabilità del lettore/ascoltatore: fornire ai lettori e agli ascoltatori informazioni che li rendano cittadini attivi e informati sulla possibile risoluzione del conflitto, piuttosto che spettatori passivi e spaventati.

In conclusione, mentre il giornalismo tradizionale spesso utilizza il conflitto come prodotto (attraverso la logica della contesa e del dramma), il giornalismo nonviolento, che chiamo provocatoriamente "antigiornalismo", cerca di usare la sua influenza per promuovere il dialogo e individuare il terreno comune necessario per una pace duratura. Tenendo sempre presente la massima: una "brutta pace" (= tregua militare in cui tacciono le armi) è sempre meglio di una bella guerra (= l'accanimento sanguinoso e devastatore con cui si difendono i confini ritenuti "giusti").


Alfonso Navarra - Disarmisti Esigenti - alfiononuke@gmail.com





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giovedì 4 dicembre 2025

Emilia Romagna. “Per il Clima – Fuori dal Fossile”

 


Il Coordinamento ravennate “Per il Clima – Fuori dal Fossile” condivide la presa di posizione di RECA (Rete Emergenza Climatica e Ambientale Emilia Romagna) e di AMAS-Er (Assemblea dei Movimenti Ambientali e Sociali Emilia Romagna) in merito alle recenti scelte della Regione Emilia Romagna, che sul territorio ravennate impattano in maniera significativa, e appoggia ogni forma di mobilitazione che RECA e AMAS-Er vorranno proporre. Riportiamo e facciamo nostro il comunicato stampa delle due reti sociali:

Abbiamo appreso che la Regione Emilia-Romagna sta lavorando per arrivare ad un aggiornamento del Patto per il lavoro e il clima, realizzato nel 2020 e che RECA (Rete Emergenza Climatica e Ambientale, che raggruppa più di 80 tra  Associazioni e Comitati che si occupano dei temi ambientali) non aveva sottoscritto.

Abbiamo avuto modo di leggere il materiale predisposto, senza che esso ci sia stato inviato da parte della Regione e, ancor più, senza essere stati chiamati per svolgere un confronto attorno ad esso.

Riteniamo l’esclusione di RECA dal confronto in atto un vero e proprio “vulnus” democratico, indice di una chiusura e di un atteggiamento sprezzante nei confronti di chi non condivide le scelte prodotte dalla Regione sulle politiche ambientali. Due fatti sono particolarmente gravi ed inaccettabili: il primo è che la giunta Bonaccini, all’epoca della messa a punto del Patto del 2020 chiamò anche RECA al tavolo del confronto, mentre oggi non ci è pervenuto analogo invito da parte della giunta De Pascale. Il secondo, che rende ancora più intollerabile questa vicenda, è che, nella fase iniziale della nuova legislatura, in un incontro apposito svolto tra il Presidente De Pascale e RECA, esattamente il 24 febbraio di quest’anno, lo stesso Presidente ci rassicurò sul fatto che RECA sarebbe stata coinvolta in tutti i passaggi significativi di confronto sui temi ambientali, arrivando a criticare il suo predecessore per non averlo fatto dopo che RECA non aveva firmato il Patto per il lavoro e il clima! Questa palese dimostrazione di incoerenza e di discrepanza tra gli impegni presi e la pratica messa in atto la dice lunga sull’affidabilità della Giunta regionale e del suo Presidente: peraltro, questo scarto va ben al di là dei rapporti tra Regione e RECA, ma, come dimostrano molte vicende, rischia di essere proprio la cifra del modo di essere del governo regionale in carica.

Venendo al merito delle questioni presenti all’interno del documento di base per l’aggiornamento del Patto per il lavoro e il clima, intanto ci tocca constatare come l’analisi proposta appare completamente scentrata rispetto ai processi in atto, decisamente edulcorata, probabilmente per non voler riflettere sulla crisi economica, sociale e ambientale che investe anche la nostra regione. Infatti, dire che oggi  siamo passati da una situazione di una “globalizzazione senza attriti” ad una “globalizzazione condizionata” significa non prendere atto che, in realtà, oggi viviamo, invece, in un mondo dominato dai nazionalismi, dalle guerre commerciali e dalla guerra vera e propria come strumento per regolare i rapporti internazionali.
Allo stesso modo, se non con uno stravolgimento ancora più incredibile, bisogna essere veramente fuori dal mondo per dire che “nel suo discorso sullo Stato dell’Unione del settembre 2025, 
la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha sottolineato l’urgenza di rafforzare le politiche europee su alcuni fronti strategici: sicurezza, neutralità climatica, autonomia energetica, casa accessibile, qualità del lavoro.
Ha rilanciato il programma per un’industria europea più competitiva e ribadito la necessità di garantire che la transizione ecologica sia anche una transizione giusta e inclusiva”, quando proprio quel discorso ha sancito l’idea che 
l’Unione Europea debba attrezzarsi per giocare un ruolo importante nel mondo dominato puramente dai rapporti di forza e, su questa base, affermato la necessità di passare ad una vera e propria economia di guerra.

Guardando, poi, in modo più ravvicinato, ai temi sociali e ambientali proposti nel documento, che dovrebbero rappresentare le scelte di fondo che si intendono compiere nei prossimi anni, ci tocca ribadire la critica  che già svolgemmo a proposito del Patto del 2020 e che, oggi, appare non solo confermata ma rafforzata.
In buona sostanza, ci troviamo di fronte ad un solco profondo tra gli intenti proclamati e le politiche concrete attuate. Gli esempi sarebbero moltissimi e, quindi, ci limitiamo a segnalarne solo alcuni. Si continuano ad avanzare contenuti che sembrano utili a tutelare la risorsa acqua, ad affermare l’idea dell’economia circolare nel ciclo dei rifiuti, a promuovere una mobilità sostenibile, nel momento stesso in cui le politiche concrete vanno nella direzione della privatizzazione dell’acqua, ad incrementare la produzione dei rifiuti, ad andare avanti con le grandi opere, che comportano forte consumo di suolo e incentivano il traffico veicolare privato su strada.


Sulla transizione energetica, viene riproposto l’obiettivo di coprire i consumi finali di energia elettrica con le fonti rinnovabili al 2035, ma 
senza che esso venga supportato da una credibile pianificazione degli interventi che lo rendano possibile, e intanto si prosegue sostenendo l’economia del fossile, come nel caso del rigassificatore e del progetto di cattura e stoccaggio della CO2 di Ravenna, e in quello del metanodotto della “linea Adriatica”. 

Una vera e propria “perla” è poi il ragionamento sviluppato nella parte finale in tema di partecipazione, dove si fa un’esaltazione del ruolo fondamentale della stessa da parte dei cittadini, senza riuscire a citare lo strumento delle leggi di iniziativa popolare, e in specifico le 4 proposte di legge sui temi ambientali promosse ancora dal 2022 da RECA e Legambiente regionale e di quella per fermare definitivamente l’autonomia differenziata, proposta dal Comitato regionale contro ogni autonomia differenziata, che giacciono nei cassetti della Regione, senza che ci siano segni che esse vengano realmente discusse!

Insomma, non ci pare esagerato sostenere che siamo di fronte ad un’operazione di pura propaganda, che contraddice platealmente la realtà che viviamo tutti i giorni e che, invece, reclama una svolta profonda nelle politiche ambientali e sociali della Regione. E che si potrebbe realizzare proprio discutendo e approvando le proposte di legge di iniziativa popolare sui temi dell’acqua, dei rifiuti, dell’energia e dello stop al consumo di suolo, che, probabilmente non a caso, l’attuale maggioranza di governo continua ad ignorare.


RECA (RETE EMERGENZA CLIMATICA E AMBIENTALE Emilia Romagna)

AMAS-ER (Assemblea dei Movimenti Ambientali e Sociali Emilia Romagna

mercoledì 3 dicembre 2025

Prospettive per la pace e i diritti umani dei popoli...


"Le prospettive per la pace e i diritti umani dei popoli dipendono da un insieme di fattori: il riconoscimento della pace come un diritto umano fondamentale e il conseguente superamento del ius ad bellum (diritto di fare la guerra), la promozione della giustizia sociale e dello sviluppo sostenibile, e la coltivazione di una cultura di pace attraverso l'educazione, il dialogo e la diplomazia. La pace è vista non solo come assenza di violenza, ma come un processo positivo per costruire società più giuste e inclusive, garantendo a tutti i diritti fondamentali come il cibo, la salute e l'educazione."  (Il parere di AI)



Gli avvenimenti internazionali, ed i loro riflessi sulla situazione nazionale, non permettono di fare previsioni ottimistiche e indicano la necessità di azioni forti e ben ragionate per opporsi ai tentativi in atto, da parte dei poteri forti occidentali, di incrementare guerre ed aggressioni, e di frustrare le aspirazioni dei popoli verso la pace, l’autodeterminazione e un avvenire migliore.
 
Lo sciopero che si è svolto il 28 novembre u.s. contro le politiche di austerità e di diseguaglianze sociali del governo italiano; le manifestazioni nazionali previste per domani in difesa dei diritti del popolo palestinese e la liberazione della Palestina; le manifestazioni che continuano da parte delle formazioni palestinesi e filopalestinesi anche in favore dei militanti palestinesi arrestati e sotto processo in Italia, indicano (pur nell’evidente riflusso di tutte quelle forze che avevano aderito in modo forse superficiale ai cortei di sostegno alla Palestina nel momento dell’apice dei bombardamenti su Gaza e di partenza delle flottiglie) una strada giusta, ma difficile da seguire e certamente non esaustiva.
 
Impressionante – infatti - è la compattezza con cui governo, magistratura e forze di sicurezza italiane, ed anche di altri paesi europei, perseguono il compito di colpire come “terroristi” attivisti palestinesi in Italia vicini alla Resistenza di quel popolo: come Anan Yaesh, Alì, Mansur, Mohamed. Emblematici sono il “foglio di via” da Milano imposto al responsabile delle comunità palestinesi Hanoun e l’arresto con minaccia di espulsione dell’imam di Torino per aver criticato lo stato genocida di Israele. Anche nel Regno Unito associazioni filopalestinesi coma Action Palestine sono accusate di “terrorismo” e loro membri arrestati. Situazioni non dissimili troviamo in Francia (dove chi aderisce al movimento BDS di boicottaggio di Israele è processato per “antisemitismo”) o in Germania. Intanto continua inesorabile la fornitura di armi, munizioni, finanziamenti ad Israele che se ne serve per violare sistematicamente la tregua a Gaza, uccidendo centinaia di civili, e per attaccare e invadere altri paesi come il Libano, e per espandere la brutale colonizzazione della Cisgiordania,
 
In tutto questo il piano di pace di Trump si dimostra per quello che è: un piano neo-coloniale, sostenuto anche da stati arabi reazionari, che non riconosce alcun diritto all’autodeterminazione dei Palestinesi, subordinandoli ad un’amministrazione coloniale gestita direttamente dal Presidente degli Stati Uniti e loschi figuri. Il piano prevede il disarmo dell’unica arma in mano al popolo di Palestina, quella delle formazioni della Resistenza: da Hamas, alla Jihad, al Fronte Popolare- Operazioni di disarmo simili sono previste per gli Hezbollah del Libano, unici veri alleati dei Palestinesi insieme a Yemen e, pur a distanza, l’Iran. Anche le astensioni di Russia e Cina sulla risoluzione ONU che approvava il piano di Trump appaiono pilatesche. Evidentemente i due grandi Paesi capofila dei BRICS, già impegnati in Ucraina e sul fronte del Pacifico, non se la sono sentita di mettersi di traverso e hanno lasciato soli i Palestinesi.
 
E proprio dal settore ucraino provengono altre inquietanti notizie. Sembrava essersi aperto uno spiraglio con la presentazione di un piano di pace proposto da Trump sulla falsariga degli accordi presi con Putin in Alaska, ma i malefici nani europei si sono messi di traverso e cercano di sabotare ogni trattativa. Forse la Von Der Leyen, la Kallas, Starmer, Macron, Merz sono ancora convinti di poter prolungare la guerra con qualche aiuto ai nazifascisti di Kyev, in parte già programmato. Anche la pubblicazione maliziosa di alcune telefonate compromettenti dell’inviato di Trump. Witkoff, indicano che anche negli USA il partito della guerra non demorde.
 
Tuttavia l’esercito ucraino appare vicino al collasso, a corto di uomini, con decine di migliaia di disertori e renitenti, con interi reparti semi-accerchiati e privi di coperture e rifornimenti perché mandati allo sbaraglio da Zelensky, sempre più indebolito anche dagli scandali interni per corruzione e in una situazione di crollo di consensi. Zelensky e la sua corte di nazifascisti appaiono sempre più come Hitler ai tempi di Stalingrado o quando era chiuso nel bunker e dava ordini a fantomatiche divisioni già distrutte dall’Armata Rossa. L’Ucraina, più la guerra va avanti, più rischia sempre maggiori distruzioni e perdite di territorio; ma agli Europei, con i loro sogni di riarmo e di contare nuovamente a livello internazionale dopo molti rovesci e umiliazioni, non interessa, o forse i loro dirigenti sono troppo stupidi per capirlo.
 
Compito dei pacifisti ed antimperialisti italiani che non possono intervenire direttamente nei teatri di operazioni in Medio Oriente o Ucraina, è quello di fare pressioni con le lotte locali per un cambio di politica estera del governo, per un blocco totale delle politiche di riarmo e sostegno ad Israele, per una difesa dei salari e dei diritti dei lavoratori italiani, e perché ogni risorsa disponibile sia usata per il rilancio di uno stato sociale, per finanziare sanità ed istruzione pubbliche, per la lotta alle ingiustizie salariali e fiscali, e alla povertà ormai dilagante.
 
Dicembre 2025, Vincenzo Brandi






Veneto. Processo agricolo di produzione biologica nei Regolamenti di Polizia Rurale (RPR) comunali...

 


Sono decine d’anni che la popolazione residente nelle aree agricole di varie fasce rurali del Veneto si lamentano invano perché vessati dalle derive dei pericolosi pesticidi di sintesi, in gran parte interferenti endocrini sconosciuti all’evoluzione, prodotti a tavolino per uccidere la vita, nebulizzati a milioni di tonnellate più volte all’anno, pesticidi che producono sugli esseri viventi effetti cancerogeni, teratogeni e mutageni e ben 37 di questi, autorizzati dall’UE, contengono i famigerati PFAS.

Lamentarsi solo non serve, bisogna pensare a cambi strutturali legislativi per accelerare la conversione all’agricoltura biologica dall’agricoltura che utilizza prodotti di sintesi (la cosiddetta difesa integrata). Questo è anche quello che recita la legge nazionale sul biologico che ha tra l’altro come fine “Promuovere la conversione alla produzione biologica ...” e inoltre Gli agricoltori convenzionali adottano le pratiche necessarie per impedire l’inquinamento accidentale delle coltivazioni biologiche”.


Per entrambi i processi agricoli, difesa integrata e biologico, a livello europeo e nazionale, esistono regolamenti che però sono stati applicati dalla Regioni e dai Comuni solo per il processo di difesa integrata.


Quindi anche per il processo di agricoltura biologica le Regioni devono produrre le direttive e le linee guida per mettere in grado i RPR - Regolamenti di Polizia Rurale comunali di integrare al loro interno il processo bio col processo di difesa integrata.


Con questo inserimento si darà pari dignità ai due processi, si definirà chiaramente la responsabilità istituzionale per il controllo e la gestione dei conflitti e dei danni creati dalle derive tossiche dovute ai trattamenti dei pesticidi.


Tra l’altro questa proposta aiuterebbe la gestione ed il controllo nella conversione al biologico nei numerosi distretti biologici che stanno nascendo in Italia. 


Su questo tema si invitano gli enti interessati ed  anche il pubblico a due incontri programmati che si svolgeranno:

 

1 – MERCOLEDI’ 3 DICEMBRE 2025 ore 15.00

     a Santa Lucia di Piave (TV) presso sede dell’Università delle tre età UNITRE APS, in Via Foresto Est 1/b.

2 – GIOVEDI’ 4 DICEMBRE 2025 ore 15.30

     a Conegliano presso l’Università Aperta AUSER, in Via Maset 1 (1° piano).

 

Gianluigi Salvador gianlu.cali@libero.it




martedì 2 dicembre 2025

...cronache dalla Terra di mezzo...

 



 
Dicembre è il mese della rinascita del sole, il solstizio d’inverno. Il ventuno è una data magica festeggiata nell’antichità come Sol Invictus. Possiamo iniziare il nuovo capitolo sotto la luna nuova che in questi giorni illumina il nostro cielo. 
 
Circa 2500 anni fa Euripide si domandava se davvero Giove avesse creato gli uomini o se non fosse il contrario. Da allora schiere di filosofi hanno formulato ipotesi provvisorie. Ancora oggi molti non credono affatto che dio sia solo la proiezione delle nostre alienazioni, dei nostri timori e delle nostre speranze. Studiare l’origine delle religioni non significa verificarne il contenuto, se esse abbiano inventato un creatore immaginario o non siano piuttosto l’espressione di un faticoso percorso per comprenderne l’esistenza reale. come diceva pascal noi siamo ugualmente incapaci di capire il nulla da cui siamo stati tratti e il tutto in cui siamo inghiottiti e tuttavia lo sforzo della mente individuale e collettiva di avvicinarsi all’assoluto costituisce l’avventura più nobile dello spirito umano. 
 
Il potere dichiara che il giovane arrestato di nome Gesù figlio di Giuseppe è morto perché aveva le mani bucate e i piedi pure, considerato il fatto che faceva il falegname e maneggiando chiodi spesso si procurava degli incidenti sul lavoro… 
 
Il non vuoto che anche come la fisica quantistica ci segnala, ha in sé il potere di frenare la corsa ammattita verso il vuoto vero, alla quale l’uomo ha educato se stesso. E' tutto molto semplice, il vuoto è solo un concetto astratto.
 
Il vuoto è un concetto storico proprio della dimensione/ osservazione analitica del reale. Tuttavia emozioni e sentimenti dimostrano come la separazione tra noi e la realtà sia solo un’apparenza… 
 
Oggi l’ovvio era così sovraffollato che ho preferito traslocare nell’assurdo. 
 
la sfida della modernità, diceva Antonio Gramsci, è guardare alle cose senza che sia il potere egemone a indicarci il punto di vista, penetrandone il senso con coraggio. qualche anno dopo Jean Baudrillard torna a ragionare sul concetto di rapporto con il significato e giunge alla conclusione che dove di informazione ce n’è sempre di più di significato ce n’è sempre di meno. 
 
Vasco Biondi racconta le luci della centrale elettrica. anni di musica tra la via Emilia e la via lattea: progetto musicale il cui nome è preso in prestito da un paesaggio della montedison quando di notte si trasforma in luci e fumo. 
 
la plastica sta contribuendo alla nascita di nuovo termini e questo non sorprende se si pensa che il 71% del pianeta è ricoperto di acqua e sulla sua superficie galleggiano oltre 5000 miliardi di pezzi di plastica pesanti 200 mila tonnellate.
 
“Plasticene” il nuovo termine legato alla plastica ed alla sua diffusione planetaria. Plastivoro è il termine per indicare un organismo attratto dalle plastiche per il colore o perché parti della sua dieta. Plastisfera è quell’insieme di micro organismi unicellulari o pluricellulari che colonizzano i frammenti di plastica in sospensione negli oceani...

(Sarà vero?)

Ferdinando Renzetti
 



venerdì 28 novembre 2025

Aree interne. Il problema dell'abitare...

 


Quando si parla di diritto all’abitare il riferimento è quanto accade nelle grandi città. Ma tra le tante cause a rendere difficile il ritorno nella montagna di mezzo e nelle aree interne è proprio la disponibilità di alloggi, nonostante gli immobili vuoti e inaccessibili. Mancano i dati per comprendere l’entità del fenomeno, a cui dedica attenzione un rapporto di Oxfam Italia.

Per una famiglia italiana, ormai, quasi il 40% della spesa mensile si concentra sull’abitazione, tra affitto o mutuo e utenze. Il dibattito sul problema-casa è tornato in modo prepotente, complice la trasformazione delle aree urbane legato al fenomeno degli affitti brevi e la pubblicazione di alcuni testi divulgativi di grande impatto, come “L’Italia senza casa” di Sarah Gainsforth o “Città in affitto” di Gessi White, usciti entrambi per Laterza. C’è però, nel dibattito pubblico, uno strabismo che non permette di osservare ad oggi una parte considerevole del problema, legato all’accesso alla casa nella montagna di mezzoin quei territori classificati come aree interne che pure potrebbero tornare ad ospitare persone espulse dalle metropoli o che in città non vogliono più stare
 

Un problema che finalmente viene messo in luce nel rapporto di Oxfam Italia dedicato al tema, “Diritto alla casa. Non per tutti”. Lo fa andando a descrivere il paradosso dei “vuoti”, cioè delle case non occupate, che sono in tutta Italia ben 9.581.772 e che corrispondono al 27,2% delle abitazioni complessive. Questo dato, spiega Oxfam, sembra negare l’emergenza abitativa, ma “in realtà è il riflesso di un Paese spaccato e le cui ragioni sono principalmente individuabili nello svuotamento delle aree interne, nella crisi demografica, nella difficoltà di manutenzione e ristrutturazione di molti immobili che per essere adeguati agli standard abitativi e di efficientamento energetico attuali richiederebbero interventi molto costosi, nonché dal clima di sfiducia reciproca fra proprietà e locatari, derivante da una legislazione che non garantisce né l’una né gli altri dai comportamenti lesivi della controparte”.

“L’inutilizzo delle case, sul mercato privato, è attribuibile – spiega il rapporto – a diverse dinamiche come l’emigrazione e lo spopolamento delle aree interne, la presenza di seconde case in località turistiche e strategie di investimento anche in prospettiva di trasferimento intergenerazionale della ricchezza immobiliare.

Come fa notare Oxfam, “le conseguenze sociali ed economiche impongono una seria riflessione su come rimettere in circolo questi vuoti sia per contenere l’allarmante abbandono delle aree interne, sia per evitare l’avanzamento della cementificazione ovvero l’utilizzo di suolo per favorire nuove costruzioni, sia per valorizzare un enorme capitale attualmente immobilizzato“.

Abitare i vuoti, tornare ad occupare le case libere nell’Italia più lontana dai centri che erogano servizi, obbliga ad uno sforzo ulteriore: “il disagio abitativo – sottolinea Oxfam – è anche connesso alla mancanza di servizi essenziali in determinati contesti territoriali, come ad esempio in alcune periferie delle grandi città o nelle aree interne. Per rispondere al disagio abitativo le persone hanno cercato di farvi fronte adattandosi ad abitazioni sottodimensionate rispetto alle proprie esigenze, accettando di vivere in alloggi mancanti di adeguata manutenzione e con conseguenti inefficienze energetiche, o ubicati in zone fortemente periferiche o ancora ricorrendo ad eccessivo indebitamento.

Le indicazioni di policy che chiudono il rapporto così chiedono di “incentivare il recupero e la riconversione del patrimonio privato inutilizzato o sottoutilizzato (incluso il patrimonio in disuso degli enti religiosi) adottando ad esempio misure dissuasive nei confronti di chi lascia l’immobile inutilizzato e premianti per chi sceglie di metterli in locazione di lungo periodo“. Nel recupero di spazi per l’abitare in zone interne o periferiche, invita poi a “prevedere la riqualificazione anche dei servizi connessi che rendano possibile la pendolarità con centri nevralgici per l’attività economica e produttiva”. È un altro modo di intendere l’abitare che Mauro Varotto definisce “appenninismo” nel suo intervento nel libro “Montagna a bassa definizione” (Donzelli, 2025), invitando a considerare l’abitare un verbo di moto, cioè collegato alla mobilità e capace di superare “quelle riduzioni dell’abitare all’oggetto edificio e alla permanenza in un solo luogo”, un’idea di casa e dell’abitare storicamente molto poco montanaro.

Resta in ogni caso evidente che per ri-abitare la montagna servono case a disposizione. E i pochi dati a disposizione confermano che non è l’esperienza di una singola famiglia quella racconta da Emiliano Cribari nel libro “Soltanto d’Estate” (Bottega Errante edizioni). Il tema poco a poco sta entrando anche nel dibattito pubblico: la casa in Appennino è stata, ad esempio, al centro della riflessione della Scuola di ecologia politica di montagna, organizzata dal 10 al 12 ottobre a Castiglione dei Pepoli (BO). Sarebbe così fondamentale, per il futuro prossimo, che le istituzioni responsabili raccolgano e garantiscano l’accesso a dati statistici puntuali che permettano di cogliere il fenomeno. Non è così, ad esempio, per gli ultimi report Istat dedicati al tema dell’abitazione, come quelle sulla spesa per consumi delle famiglie, sui prezzi delle abitazioni e sul numero delle compravendite, le cui tavole si limitano ad offrire dati aggregati a livello regionale o, al più, scorporando quelli che riguardano tutte le città e i Comuni sotto i 50mila abitanti.

Luca Martinelli

Articolo pubblicato su l’Altramontagna ripreso da Salviamo il Paesaggio




giovedì 27 novembre 2025

Treia: “Operare in modo disinteressato per il bene comune”...



Noi cittadini  di Treia  di buona volontà stiamo tutti lavorando, sia pure in modo disgiunto e differenziato, ad un cambiamento della società,  a favore del bene comune. 

In generale, per come capisco dalle situazioni in cui mi vengo a trovare qui a Treia,  è talvolta difficile poter trovare sinergie d’intenti e collaborazione disinteressata. Ciò è dovuto al fatto che ognuno di noi si è fatto un’idea precisa di quelle che debbono essere le priorità per attuare questo “cambiamento”.

Spesso prevalgono i punti di vista personali e magari  le “associazioni” si rompono o la fiducia reciproca si inquina a causa di dubbi e sospetti. Credo che, per evitare queste cadute, occorra esser pronti a rinunciare a qualsiasi aggregazione strutturata operando in termini di piccole azioni  di rete seminativa, sperando che nel tempo e con la maturazione della coscienza collettiva possano manifestarsi le condizioni adatte ad un cambiamento non “indirizzato” ma spontaneo.

L’importante è non demordere e proseguire nell’azione disinteressata, nei limiti del possibile, lasciando che in ogni situazione si creino i presupposti per una collaborazione elettiva, nella consapevolezza del fine comune, ed allo stesso tempo sapendo che ogni “associazione” dura il tempo limitato del compimento dell’azione in corso.

Ma da questa  riflessione desidero trarre alcune considerazioni su alcuni aspetti della  società  in cui viviamo: “solo una personalità debole ha bisogno di simulacri in cui identificarsi”, e questo è proprio ciò che avviene in quelli che, speranzosi, si rispecchiano  solo nell’ideale specifico e limitato  che essi  amano! Tale atteggiamento, spesso, è passivamente e acriticamente imitativo, e può attecchire in uomini di spirito debole, con vocazione forte all’identificazione esteriore,  che vogliono realizzare un proprio disegno.

E l’interesse collettivo? Dal punto di vista della sintesi dovrebbe trovarsi nell’adesione al concetto di “bene collettivo”. A questo proposito mi sovviene il pensiero di Goethe da Dio e Mondo: “Per orientarsi nell’Infinito / distinguer devi e poscia unire”.

E’ vero che la mente dell’uomo capace, in tempi simili, anela ad uscire dalla solitudine ed a produrre risultati positivi. Ma è altresì importante avere la grandezza interiore che consente di sopportare anche le persone imperfette. Se si tentasse di opporsi al male con i mezzi abituali il crollo che ne risulterebbe sarebbe rovinoso con conseguente umiliazione.

Per meglio chiarire il  significato di questo “momento storico” (che non appartiene solo alla stagione ma anche alla maturazione morale dell’uomo), riporto qui un insegnamento del saggio Ramana Maharshi relativo all’armonia sociale.

“Una società è l’organismo; i suoi membri costituenti sono gli arti che svolgono le sue funzioni. Un membro prospera quando è leale nel servizio alla società come un organo ben coordinato funziona nell’organismo.    Mentre sta fedelmente servendo la comunità, in pensieri, parole ed opere, un membro di essa dovrebbe promuoverne la causa presso gli altri membri della comunità, rendendoli coscienti  ed  inducendoli ad essere fedeli alla società, come forma di progresso per quest’ultima.”.

Paolo D’Arpini - Rete Bioregionale Italiana


P.S.
Un esperimento di aggregazione solidale a vantaggio della comunità è la “Fierucola delle Eccellenze Bioregionali” che si svolge a  Treia l’8 dicembre di ogni anno (finché Dio vuole!)...