Il problema è generato dal sistema che vuole risolverlo. Piccole
note sull’incantesimo della logica.
1.
Come tutte le creazioni, anche il linguaggio logico-razionale e la
sua semantica corrisponde a un’esigenza umana. Che consiste nello
sbrigo delle faccende quotidiane, qui dette amministrative.
Il perdurare dell’esigenza, quindi il valore della sua creazione,
tende a eluderne la messa in discussione. Essa diviene dogma e chi
s’è visto s’è visto. Tanto che, anche se qualcuno ci prova, la
forza della maggioranza si inalbera o fa spallucce, sommergendo di
solitudine il malcapitato.
Il dogma si realizza a causa dell’inconsapevolezza di chi lo
subisce. La sua natura ha le caratteristiche del sortilegio e
dell’incantesimo. Identiche a quelle dell’idolatria,
dell’accredito, della speranza.
Lo stato visibile del dogma, è l’abitudine, una specie di circolo
vizioso il cui potere è quello di farci riconoscere a noi stessi.
Infatti in occasione di impedimento a replicarla si avverte
spaesamento e il desiderio di tornare presto a casuccia. Qualcosa di
simile avviene con la routine, spezzata la quale, qualcosa non va.
L’abitudine è anche una sorta di padrone occulto di noi stessi,
nonché di risposta all’autoindulgenza. L’assuefazione che
implica, vincola e limita i nostri comportamenti, le nostre scelte, i
nostri pensieri e anche i sentimenti. All’abitudine diamo la
responsabilità di quanto facciamo, di come viviamo.
A volte ci si trova a confrontarsi con l’idea di poter liberarsi
dall’abitudine. Nella maggioranza dei casi, si abbandona subito il
confronto. La forza di volontà che richiederebbe per spuntarla
tagliandone i lacci, ci pare utopica. E l’utopia si concretizza
lasciandoci perdenti e ancora posseduti dall’abitudine.
L’ipotesi che non serva alcuna forza di volontà per smettere
un’abitudine, non ci sfiora. E non ci sfiorerà mai finché
resteremo prede inebetite del mondo logico-razionale, quello che
altre dipendenze, ci fanno credere essere il solo esistente, in
quanto dall’ambito amministrativo è stato illuministicamente
incaricato di gestire anche le faccende umano-relazionali, che di
amministrativo non hanno nulla.
Emancipati dai dogmi scientisti, un altro mondo si apre agli occhi.
Liberi dal conosciuto dei saperi cognitivo-analitici, nasce un altro
uomo. Il cui potere non è più in ciò che ha, ma in ciò che è.
Per quanto riguarda le abitudini-dipendenze, non farà più
riferimento alla forza di volontà, ma alla sua disponibilità – se
non interesse – all’autoindulgenza. Non più a qualcosa di
esterno più forte di noi, ma al proprio potere creativo, ovvero alla
verità che possiamo reimpossessarci di noi stessi senza alcun uso
della forza, spezzando, in un momento, le catene dalle quali
credevamo utopico liberarci.
2.
Una delle creazioni umane divenuta abitudine e poi dogma è quella di
affidarsi all’idea che il linguaggio e il pensiero
analitico-logico-razionale sia il solo traghetto per navigare indenni
sui mari delle menzogne ciarlatane. Come sopra accennato, essa
corrisponde all’esigenza amministrativa del quotidiano e della sua
organizzazione. Successivamente, l’infatuazione illuministica, ci
ha fatto inconsapevolmente credere che quel linguaggio potesse
soddisfare anche gli ambiti opposti all’amministrativo, qui
detti relazionali.
La caratteristica prima del contesto amministrativo e piatto è
quella della condivisione della semantica. Un evento che in ambito
relazionale, multiforme e alogico tende ad essere fortuito e
occasionale. L’inconsapevolezza di quanto inconveniente sia mutuare
all’ambito umano il linguaggio idoneo a quello amministrativo, è
all’origine, non solo di incomprensioni ed equivoci, ma del
risentimento e conflitto che da questi ne emergono.
Dall’interno del crogiolo dove tutto il nostro piccolo mondo ruota
si mischia e viene ordinato e organizzato a mezzo della logica, che
come un guerriero uccide il disordine e l’assurdo, non ci si avvede
di un effetto collaterale che mai si sarebbe voluto e che, anche se
fatto presente, viene negato, come detto, facendo spallucce. Il
mistero che la logica analitica cerca di indagare resta irrisolto.
Non tanto per l’inadeguatezza dello strumento, quanto perché è
proprio la ricerca logica a creare il mistero.
3.
Di queste vicende, futili per buona parte di noi, se ne sono occupati
ricercatori di varia estrazione. La difficoltà a diffondere la
cultura che da essi possiamo evincere, tende a dimostrare lo spessore
del carapace scientista che come un Alien di Hans Ruedi Giger ci
avvolge la faccia e, simbolicamente, tutto quanto le sta dentro.
“La fisica
classica si è data una forma sistematica. Ma la sua pretesa di
costruire una descrizione del mondo chiusa, coerente, completa,
espelle l’uomo dal mondo che descrive, non solo in quanto abitante
di questo mondo, ma anche, l’abbiamo già detto, in quanto suo
descrittore. [...] Ignoreremo sempre e del tutto il rapporto tra il
nostro mondo che la scienza rende trasparente e lo spirito che
conosce, percepisce, crea questa scienza. [...] La natura ha mille
voci e noi abbiamo appena cominciato ad ascoltarla. Ma, da circa due
secoli, il demone di Laplace infesta le nostre immaginazioni,
rispunta senza tregua e, con lui, rispunta l’incubo del non senso
del tutto, la solitudine allucinata di chi, per così lungo tempo,
aveva creduto di essere l’abitante di un mondo fatto a sua
misura.”.
Ilya Prigogine,
La nuova alleanza, Torino, Einaudi, 1999, p. 80-81.
“Non si
combattono più miopi ed ingenue pretese, che basterebbe ripetere ad
alta voce per far ridere i ragazzi e ridicolizzare chi le sostiene.
Si combatte il tipo stesso di conoscenza prodotta dal sapere
sperimentale e matematico della natura”.
Ilya Prigogine,
La nuova alleanza, Torino, Einaudi, 1999, p 88.
“La conoscenza
oggettiva non è passiva, essa costruisce i suoi oggetti. Quando
consideriamo un fenomeno come oggetto di esperienza effettiva, gli
supponiamo, a priori, prima di farne una qualsiasi esperienza
effettiva, un comportamento legale, che obbedisca a un insieme di
principî. In effetti, sostiene Kant, possiamo fare questo tipo di
supposizione, l’oggetto che percepiamo risponde alle nostre attese,
perché è già sottomesso a questo ordine legale, perché è, in
quanto percepito come oggetto di possibile conoscenza, il prodotto
dell’attività sintetica a priori dello spirito.”
Ilya Prigogine,
La nuova alleanza, Torino, Einaudi, 1999, p. 89.
“Le possibilità di matematizzare i comportamenti fisici si
limitano ai comportamenti più banali. [...] È proprio questo
carattere intercambiabile, di cui Hegel fa una condizione per la
matematizzazione, a sparire, quando si oltrepassi la sfera meccanica
verso una sfera superiore”
Ilya Prigogine, La nuova alleanza, Torino, Einaudi, 1999, p.
94-95.
“Non è infatti ancora per nulla pacifico che la logica e le sue
regole fondamentali siano in grado di offrirci, in generale, un
criterio per il problema dell’essente come tale. [...] Chi parla
contro la logica è [...] in modo tacito o espresso, sospettato di
arbitrio. Si fa valere questo semplice sospetto come una prova e
un’obiezione, ritenendosi esonerati da un più ampio ed autentico
esame della questione”.
Martin Heidegger, Introduzione alla metafisica, Milano,
Mursia, 1972, p. 36.
“Ogni possibile proposizione è formata legittimamente e, se non ha
un senso, è solo perché noi non abbiamo ancora dato un significato
ad alcune delle sua parti costitutive”.
Ludwig Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus e Quaderni
1914-1916, Torino, Einaudi, 1995, p 77-78, (5.4734).
“Noi sentiamo che, persino nell’ipotesi che tutte le possibili
domande scientifiche abbiano avuto risposta, i nostri problemi vitali
non sono ancora neppure sfiorati”.
Ludwig Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus e Quaderni
1914-1916, Torino, Einaudi, 1995, p,108, (6.52).
“Sembra giusto ritenere che la scienza, soprattutto a partire dal
secolo XVII, con la sua strutturazione meccanicistica, abbia scisso
il sapere dal senso comune. [...] Con l’introduzione, inoltre, di
tecniche sempre più raffinate e invadenti di formalizzazione
matematica, essa avrebbe sottratto agli uomini comuni, al pensiero
popolare, la visibilità della natura”.
Ludwig Wittgenstein, Della certezza, Torino, Einaudi, 1978, p.
VII, (dalla prefazione di Aldo Gargani).
“È scomoda una teoria la quale attribuisce a noi stessi la
responsabilità del mondo in cui pensiamo di vivere”.
Paul Watzlavick (a cura di), La realtà inventata. Contributi al
costruttivismo, Milano, Feltrinelli, 2008, p. 17.
“La maggior parte degli scienziati si seontono ancora oggi
‘scopritori’, coloro che rivelano i segreti della natura e
allargano lentamente ma con sicurezza il campo del sapere umano; e
innumerevoli filosofi si dedicano al compito di assicurare a questa
conoscenza faticosamente acquisita l’inconfutabilità che tutti si
aspettano dalla verità ‘autentica’”.
Paul Watzlavick (a cura di), La realtà inventata. Contributi al
costruttivismo, Milano, Feltrinelli, 2008, p. 19.
“Alle radici della visione della fisica classica stava la
convinzione che il futuro fosse determinato dal presente, per cui un
attento studio del presente permette di svelare il futuro. [...].
Eppure in un certo senso questa possibilità di previsione illimitata
è stata un elemento essenziale dell’immagine scientifica del mondo
fisico. Possiamo forse definirla il mito fondatore della fisica
classica. [...] Il realismo ingenuo della fisica classica, che
supponeva che le proprietà della materia fossero «là»
indipendentemente dall’apparato sperimentale, ha dovuto essere
rivisto”.
Ilya Prigogine, Dall’essere al divenire, Torino, Einaudi,
1986, p. 192.
“La nostra esperienza del mondo consiste nell’ordinare in classi
gli oggetti che percepiamo. Tali classi sono costrutti mentali e
perciò di un ordine di realtà completamente diverso da quello degli
oggetti stessi. Le classi sono formate non solo in base alle
proprietà fisiche degli oggetti, ma soprattutto in base al
significato e al valore che hanno per noi. [...] Ciò che viene
definito la ‘realtà’ di un oggetto è, appunto, la sua
appartenenza ad una classe; per cui chiunque lo consideri un membro
dell’altra classe deve essere folle o cattivo”.
Paul Watzlavick, John H. Weakland, Richard Fisch, Change – Sulla
formazione e soluzione dei problemi, Roma, Astrolabio, 1974, p.
107.
“È assai probabile che la realtà sia quella che noi rendiamo tale
o, per dirla con le parole di Amleto, ‘... non v’è nulla di
buono o di cattivo, che il pensiero non renda tale’”. Noi
possiamo soltanto congetturare che alla radice di questi conflitti di
punteggiatura ci sia la convinzione, saldamente radicata e di solito
indiscussa, che esista soltanto una realtà, il mondo come lo
vedo io, e che ogni opinione diversa dalla mia dipenda
necessariamente dalla irrazionalità dell’altro o dalla sua
mancanza di buona volontà”.
Paul Watzlavick, Janet Helmick Beavin, Don D. Jackson, Pragmatica
della comunicazione umana, Roma, Astrolabio, 1971, p. 87.
“È per questo che Gödel affermava: «Il mio teorema mostra
solamente che la meccanizzazione delle scienze matematiche, e cioè
l’eliminazione della mente e delle entità astratte, è
impossibile»”.
Michel-Yves Bolloré, Olivier Bonnassies, Dio. La scienza. Le
prove -L’alba di una rivoluzione, Milano, Sonda, 2024, p. 339.
“David Hilbert è stato uno dei più grandi matematici del
ventesimo secolo. A lui si deve la stesura di un elenco di problemi
che i matematici dell’epoca avrebbero dovuto impegnarsi a risolvere
in futuro. Uno di questi gli pareva particolarmente essenziale:
dimostrare che la matematica costituisce un sistema
contemporaneamente completo e coerente. [...] In effetti se fosse
possibile tale dimostrazione, in teoria si potrebbe giudicare la
falsità o la veridicità di qualunque proposizione logica. Hilbert
non esitava a chiamarla la soluzione «finale» al problema della
logica. [...] È evidente qual era l’ideologia dietro a questa
ricerca: quella di «delimitare» il reale, di rinchiuderlo in se
stesso, di dire «ecco, abbiamo analizzato completamente la
questione, adesso circolate, non c’è più niente da vedere,
abbiamo esaurito la realtà, l’abbiamo racchiusa nelle nostre
equazioni» che come abbiamo visto si trovava al centro del
positivismo logico e del materialismo dialettico che dominavano le
scienze sul finire del diciannovesimo secolo”.
Michel-Yves Bolloré, Olivier Bonnassies, Dio. La scienza. Le
prove -L’alba di una rivoluzione, Milano, Sonda, 2024, p. 331.
“Certamente è al teorema di Gödel che pensa il celebre fisico e
cosmologo Paul Davies nella conclusione del suo libro intitolato La
mente di Dio, quando dichiara: «Ma in definitiva, è quasi
certamente impossibile una spiegazione razionale del mondo inteso
come un sistema chiuso e completo di verità logiche. Siamo tagliati
fuori dalla conoscenza ultima, dalla spiegazione ultima, per via di
quelle stesse regole che ci spingono a cercare tale spiegazione [...]
Se desideriamo andare oltre, dobbiamo affidarci a un concetto diverso
di ‘comprensione’ rispetto a quello suggerito dalla razionalità.
La via mistica è forse una strada verso tale comprensione. Io non ho
mai vissuto un’esperienza mistica, ma mantengo la mente aperta
riguardo al valore di queste esperienze. Forse rappresentano l’unico
modo per trascendere i limiti che la scienza e la filosofia non
possono varcare, l’unica via possibile vero l’Ultimo».
In Michel-Yves Bolloré, Olivier
Bonnassies, Dio. La scienza. Le prove -L’alba di una
rivoluzione, Milano, Sonda, 2024, p. 343.
4.
Nonostante quanto accennato finora possa bastare per rivisitare la
propria idolatria scientista, tanto quella della vulgata, quanto
quella degli esperti scienziati, in questo discorso sui limiti del
mondo evinto dalla logica, almeno un cenno alla fisica quantistica va
fatto. Questa infatti, pare idonea a rappresentare quanto prima era
esclusiva della magia. Ovvero di quella scienza giustamente detta
suprema il cui campo non era la metà del mondo ma l’intero. Il cui
regolamento non è duale ma olistico. Il cui destino è riunirsi alla
grande ricerca umanistica condotta da millenni dalle tradizioni
sapienziali del mondo intero. Una via percorribile da chiunque si
emancipi dal dominio della materia. Qualunque sia il sui linguaggio,
con esso saprà narrare che dietro ogni consistenza fisica ve n’è
una immateriale.
Lorenzo Merlo
“La fisica atomica ha distolto la scienza dalla tendenza
materialista”.
Werner Heisenberg, Fisica e filosofia, Milano, Il Saggiatore,
1961, p. 65.
“La morte dello scientismo, del suo
determinismo, del suo sogno di una scienza trasparente capace di
accedere ai segreti dell’Universo è stata una specie di agonia per
i premi Nobel che hanno vissuto l’avventura quantistica”.
In Michel-Yves Bolloré, Olivier
Bonnassies, Dio. La scienza. Le prove -L’alba di una
rivoluzione, Milano, Sonda, 2024, p. 279.