L’agricoltura, attività primaria, fonte basilare per l’approvigionamento alimentare dell’uomo, si fonda su alcuni elementi imprescindibili: la disponibilità di terra, l’abbondanza d’acqua, la conoscenza di buone tecniche agronomiche.
Veniamo all’ultima di queste condizioni, la conoscenza. Da tempo immemorabile, da quando il primo uomo o donna ha posto a dimora un seme ed ha appreso a curarlo, allevarlo, seguirlo fino ad ottenere la pianta voluta, le sementi sono sempre state riproducibili, esse sono state selezionate in base alle esigenze umane e, per fare un esempio, la vite che conosciamo noi, non è certamente la stessa che allignava, suo areale originario, sui monti del Caucaso ove si ritiene essa abbia suscitato l’interesse degli uomini per la prima volta.
E’ una semplice legge naturale quella della selezione, prendete, anche oggi, nel duemila, qualunque seme di infestante, per esempio il comunissimo amaranto, cominciate ad isolarne i semi, coltivatelo nell’orto, liberatelo dalle altre consorelle, non ci vorranno molte generazioni e vedrete che questo amaranto arriverà a produrre chicchi più grossi, diventerà sempre più imponente, certamente perderà quella rusticità che aveva l’amaranto selvatico che aveva quello preso in campagna, spontaneo.
Bene, applicate questo semplice meccanismo su vasta scala, prendete in considerazione popolazioni di contadini in ogni parte del mondo, distanti tra loro, operanti in ambienti alquanto differenti: tutto ciò nel corso di decine di migliaia di anni ha prodotto la biodiversità rurale.
Per semplificare: esistevano qualcosa come 12.000 varietà di riso e crescevano ed alimentavano popolazioni dalle sabbie desertiche alle ricche ed irrigue pianure asiatiche, ovvero esistevano varietà di riso asciutto, dai colori, fogge, dimensioni le più incredibilmente diverse.
Per semplificare: esistevano qualcosa come 12.000 varietà di riso e crescevano ed alimentavano popolazioni dalle sabbie desertiche alle ricche ed irrigue pianure asiatiche, ovvero esistevano varietà di riso asciutto, dai colori, fogge, dimensioni le più incredibilmente diverse.
Certo, se ci si reca in un negozio di prodotti macrobiotici o biologici si possono trovare rissi a chicco nero, rosso, con un pò di fortuna anche il cossiddetto “selvatico” ma dovete immaginare un’abbondanza infinitamente maggiore.
Agli inizi del Novecento, i ricercatori dell’Istituto Vavilov, San Pietroburgo, poi Leningrado, istituto intitolato giustamente a quell’insigne botanico che aveva percorso i continenti alla ricerca, raccolta e catalogazione di tutto il germoplasma esistente, e fino alla dissoluzione dell’Urss, hanno custodito, sopravvivendo persino all’assedio nazista, i ricercatori si lasciarono morire di fame pur di non intaccare quella meraviglia accumulata nelle loro celle, migliaia e migliaia di varietà di verse di ogni tipo di orticola, cereale, di ogni pianta utile per l’umanità, avevano accumulato una quantità di germoplasma imponente.
Questa biodiversità era dovuta ad una molteplicità di fattori, dal clima, alle tecniche colturali, alle tradizioni delle tante popolazioni di agricoltori presenti sul pianeta.
Come mai, oggigiorno, in tutto il pianeta, sempre per attenerci al riso, di varietà non ne esistono che poche centinaia e pure esse a rischio di estinzione?
E’ stata, principalmente, colpa della cossidetta “rivoluzione verde” ovvero dell’introduzione massiccia, in ogni angolo del globo, ovunque possibile, di una meccanizzazione totale, i trattori, le trebbiatrici, dappertutto o quasi hanno sostituito i buoi, i cavalli, gli asini.
L’introduzione massiccia di fertlizzanti chimici, l’agricoltura è passata in poche decine d’anni da attività di sussistenza o al più di scambio su piccola o media scala ad attività industriale. I sostenitori di questa modernizzazione, mentendo spudoratamente, sostengono che tutto questo abbia migliorato e aumentato le speranze di vita dell’umanità: certamente, di quella parte che quegli strumenti produceva e rivendeva.
Consiglio un libro molto interessante, almeno uno “Olocausti tardo vittoriani” e si leggerà, tra le altre cose, che il PIL di Calcutta, agli inizi del Settecento era superiore a quello di Londra.
Ovvero, l’imposizione della tecnologia occidentale, della agronomia europea in tutto il mondo ha provocato la distruzione, l’erosione dei suoli, l’impoverimento in consistenti parti del mondo. E questo è avvenuto, prima che vi ponessero rimedio, negli stessi paesi che questo sconvolgimento avevano causato ed esportato.
Negli anni ‘20, nelle pianure sconfinate dell’ovest americano, già terreno di pascolo per milioni di bisonti, sterminati al pari dei nativi americani, grazie all’adozione della coltura in linea di cereali a pedita d’occhio, le rese celebri dai romanzi di John Steinbeck, “dust bowls” le tempeste di sabbia che erosero milioni di ettari rendendoli aridi e desertificando aree di stati interi, i contadini americani, specie i piccoli conobbero fame e disperazione. Gli Americani cambiarono sistema di coltura, capirono che se la prateria era un habitat equilibrato, le graminacee, nutrimento per i bisonti, sradicate per far posto alla monocultura cerealicola, dovevano quantomeno praticare un sistema di rotazione per non impoverire il terreno e ripetere , alla prima tempesta, i disastri suddetti.
Renè Dumont, agronomo francese ha parlato nelle sue opere di questi ed altri sconvolgimenti soprattutto egli si è dedicato ai paesi francofoni, dall’Indocina all’Africa equatoriale: ovunque la “rivoluzione verde” ha prodotto sconquassi similari.
Il resto del mondo, politicamente soggetto, a quale dei due blocchi, capitalista o comunista non ha fatto nessuna differenza, è stato, ed è in parte ancora, solamente luogo di produzione massiccia di fibre, legname, cereali destinati all’alimntazione, all’industria del primo mondo.
E’ conosciuta abbastanza la distruzione totale delle foreste equatoriali per far posto alla monocultura della palma da olio in diverse aree del mondo, Indonesia, in primis.
E già qui saremmo ad un passo dal baratro: paesi che non hanno avuto autonomia politica hanno subito grazie a classi dirigenti comprate e corrotte un tanto al chilo, il depauperamento totale di pari passo con la perdita di ogni libertà anche della propria biodiversità originaria.
Non è finita qui, con la nascita delle biotecnologie, con la scoperta degli OGM, il quadro diventa fosco, il futuro alimentare dell’umanità, già precario, minaccia di saltare completamente.
Non è finita qui, con la nascita delle biotecnologie, con la scoperta degli OGM, il quadro diventa fosco, il futuro alimentare dell’umanità, già precario, minaccia di saltare completamente.
Multinazionali come Syngenta, Novartis, Monsanto hanno cominciato a brevettare ed esportare in ogni parte del mondo, trovando resistenze di qualche peso in Europa, sementi che di quel processo di selezione naturale di cui parlavamo all’inizio, non hanno più nulla a che vedere: laddove per passare dall’uva del Caucaso ci abbiamo impiegato millenni, questi, in camice bianco, in pochi giorni, agendo sul Dna, combinando segmenti di organismi viventi anche diversi tra loro, per esempio, DNA del merluzzo nelle fragole e così bioingegnerizzando, manipolano tutto il manipolabile e sono arrivati a determinare in un campo pericoloso come il vivente quello che si fa con le automobili, per poterne vendere di più, hanno ideato l’obsolescenza programmata, ovvero, dopo un certo numero di anni queste, tac! si scassano e tocca comprarne un’altra.
Pazienza, uno può pure andare a piedi, questa tecnica applicata grazie alle possibiltà della bioingegneria alle semnti ha portato per dirne una, all’invenzione di cotone, di riso contenenti un gene, il famigerato “Terminator” che sterilizza il seme rendendolo irriproducibile.
Ecco, come si può leggere in Monoculture della mente, Vandana Shiva, che decine di migliaia di contadini indiani, stato del Karnataka, arrivano a suicidarsi in massa: la carestia, il mancato arrivo del monsone non avevano permesso a questi contadini in possesso di questi semi OGM il riacquisto della semente per l’annata successiva, per evitare che i debiti ricadano sui figli, il capofamiglia si toglie la vita… o passa alla guerriglia naxalita assaltando e distruggendo depositi Monsanto.
Ecco, come si può leggere in Monoculture della mente, Vandana Shiva, che decine di migliaia di contadini indiani, stato del Karnataka, arrivano a suicidarsi in massa: la carestia, il mancato arrivo del monsone non avevano permesso a questi contadini in possesso di questi semi OGM il riacquisto della semente per l’annata successiva, per evitare che i debiti ricadano sui figli, il capofamiglia si toglie la vita… o passa alla guerriglia naxalita assaltando e distruggendo depositi Monsanto.
Il quadro, ancorchè parziale ma credo possa dare le dimensione planetarie della facenda, è questo.
Consideriamo che si è agito sul seme, fonte primaria di vita, culla stessa di ogni essere vivente senza nessuna cautela, prevedendo solamente il guadagno immediato, studiando a tavolino, seguendo le leggi della domanda e dell’offerta come per qualsiasi altro bene strategico, il petrolio o il carbone: meno ce n’è più costa, maggiore sarà il valore aggiunto.
Ora, piccoli Davide contro Golia, ma il paragone non regge, Davide aveva molte più possibilità e Golia non controllava, come queste multinazionali, governi interi, catene editoriali al completo, come i “seedsavers” salvatori di semi, sono in lotta per preservare, ricercare, riprodurre quanto più possibile ed in ogni parte del mondo la biodiversità agricola originaria.
Impresa improba, nonostante i seedsavers negli Usa, pur divisi in due distinte associazioni, siano circa 50.000, in Europa molto meno, ciò che è stato salvato è nulla rispetto a quanto si è estinto per sempre, eppure… Eppure, è faccenda di questi ultimi tempi, una sentenza della Corte costituzionale europea, organismo UE, ha dato torto ad una associazione francese Kokopelli in causa da molti anni con una ditta sementiera, la Baumax Sas,
L’associazione Kokopelli attiva nella salvaguardia della biodiversità in vari paesi del mondo organizzando corsi di autoriproduzione delle sementi, di pratiche agricole sostenibili, che destina molta parte della vendita di queste sementi rare a queste attività non profit ed alla fornitura gratuita di semi a contadini in varie parti del pianeta, si è vista condannata per frode commerciale sarà costretta a pagare e non è la prima volta che accade migliaia e migliaia di euro di ammenda, sempre che la reiterazione del reato non porti il suo presidente, Dominic Guillet direttamente nelle patrie galere per qualche annetto.
Davide contro Golia era, in confronto, uno scontro alla pari. L’implicazione di questa sentenza che sanziona la non commerciabilità di sementi non inscritte nel catalogo nazionale prevede che solamente le grosse ditte sementiere, e, dietro di loro, le multinazionali, potranno vendere sementi, tutto il lavoro di recupero della memoria storica, gli studi di etnobotanica, le infinite sfumature di colori, profumi e sapori della biodiversità originaria sono destinati alla sparizione.
I seedsavers saranno condannati al piccolo scambio, tutt’ora legale tra di loro: completamente ininfluente rispetto al mercato nelle mani dei manipolatori. In pratica si potrà ancora scambiare la semenza del grano Carusieddu del Cilento ma se un contadino me ne chiede qualche quintale io non posso venderglielo, è semplicemente pazzesco, cedere ad un amico una bustina di semi di pomodoro gigante di Lecco è ben altra cosa dal procurare mais “scaiola” per seminarne ettari, nessuno è così ricco da poterlo fare.
Questa sentenza mette fine alla biodiversità, certificando che solamente chi è in grado, pagando, di registrare le proprie sementi nel catalogo ufficiale, potrà commercializzarle. Inoltre una varietà per essere inscritta in questo catalogo abbisogna di tante di quelle scartoffie e pratiche che , ad oggi, nessuna associazione di seedsavers è in grado di fare. gli enti pubblici, con poche eccezioni, latitano.
L’istituto Vavilov di San Pietroburgo è alla sfascio e da tanto. Restano, baluardi della biodiversità, le banche del seme costruite alle isole Svalbard dalle stesse multinazionali che hanno rapinato e dilapidato germoplasma in tutto il mondo.
Come per l’acqua, bene primario insostituibile per l’umanità, così il seme deve restare bene comune, libero e riproducibile, esso deve essere libero da brevetti, occorre lottare e sancire l’intangibilità del vivente.
Diversamente saremo ancora più schiavi di quanto già non lo siamo: se è possibile vivere senza un Cd o senza un film, sui quali pesano i diritti degli autori, non è pensabile che sui semi s’impongano diritti e copyright della stessa natura, ciò equivale a condannare alla fame miliardi di persone.
Teodoro Margarita
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