Per riequilibrare l’ecosistema non è necessario compiere un’analisi esaustiva di tutte le cause che determinano le condizioni di squilibrio e gli effetti talora devastanti che ne derivano, perché tale ricerca sarebbe, come di fatto è, difficile e si presta a quel dibattito che è occasione o alibi per rinviare ogni possibile soluzione del problema. Sarebbe velleitario, tra l’altro, presumere che l’uomo possa progettare e gestire un modello di interventi per il riequilibrio dell’ecosistema, continuando a violentare la natura anziché assecondarla, con azioni che limitano o inibiscono la sua capacità di rigenerarsi.
Come sarebbe velleitario chiedere, per ciò che riguarda la produzione di energia, un’immediata sospensione delle attività estrattive dei combustibili fossili al fine di non immettere nell’aria l’anidride carbonica, derivante dalla combustione di quelle materie prime che lasciate nel sottosuolo non avrebbero generato nessuno squilibrio. Allo stesso modo non si può chiedere di sospendere quelle attività antropiche che sono possibili cause di alluvioni, frane, esaurimento dell’acqua e di materie prime non rinnovabili, desertificazione e quant’altro, mentre si deve chiedere almeno un uso intelligente delle risorse e di lasciare l’ambiente, quando si effettua un intervento, in condizioni migliori di come lo si è trovato.
Cosa fare?
Tra le soluzioni dei problemi ambientali, non sono certamente auspicabili quelle di chi propone o addirittura sperimenta (non si sa con quali autorizzazioni) interventi con lo spargimento di prodotti chimici nell’atmosfera per spostare venti e piogge, per modificare la temperatura, per eliminare l’effetto serra, perché le conseguenze sono di una portata tale da rendere impossibile qualunque tipo di controllo. Ritengo che non siano soluzioni idonee, anzi inquietanti per i rischi che comportano, anche quei tipi di intervento permessi, come lo smaltimento delle scorie atomiche, il sotterramento della CO2 e tutti quelli che prevedono l’inserimento di corpi estranei nel sottosuolo.
Gli interventi che mi rassicurano sono quelli basati su principi biologici e con l’ausilio delle piante, e sarebbe opportuno concentrare le ricerche su questi, per risolvere i problemi del nostro tempo. Le ricerche di quest’ultimo trentennio sul risanamento ambientale hanno portato alla scoperta di piante che consentono di realizzare interventi (in alternativa a quelli tradizionali, molte volte realizzati con opere invasive) con sistemi naturali, che comportano una riduzione dei costi ed un impatto ambientale positivo facilmente immaginabile. Si sono scoperte piante che svolgono contemporaneamente una serie di funzioni che ad esempio, impiegate per la regimentazione delle acque, consentono contemporaneamente il recupero delle falde acquifere, il consolidamento dei versanti e la bonifica dell’acqua, della terra e dell’aria circostante, piante che possono essere utilizzate anche come foraggio per gli animali e per infiniti altri impieghi, inclusa la produzione di energia pulita proveniente dalla loro biomassa.
La scelta dell’impiego di biomassa per la produzione di energia potrebbe essere anche una scelta strategica per il nostro Paese dove le colture dedicate trovano terreno fertile e assolato, ci liberano dal debito di CO2 (dal 2008 ogni giorno accumuliamo un debito di 3,6 milioni €), creano posti di lavoro e potrebbero essere un’occasione per rilanciare ricerca, economia e sviluppo agrario e industriale. Con le biomasse dedicate, oltre al gas, si può produrre biodisel, etanolo e ricavare materie prime vegetali, come la clorofilla e la cellulosa. E’ importante anche tener conto che gli impianti a biomassa non hanno i limiti ed i problemi dell’eolico e del solare di cui parlerò più avanti.
Cogliere le opportunità che la natura ci offre
La soluzione auspicabile è di cogliere le opportunità che ci offre la natura e adottare i risultati della ricerca che la assecondano. Nel pianeta il ciclo dell’acqua, il ciclo dell’anidride carbonica sono cicli naturali che si succedono e s’intersecano armonicamente. La forza vitale della natura, che nell’uomo è l’istinto di sopravvivenza, si riscontra in tutto il creato, e gli scienziati illuminati, assecondati da questa forza, stanno facendo in tutto il mondo ricerche per la produzione di energia pulita.
Queste ricerche hanno evidenziato i vantaggi in termini economici e ambientali dell’impiego di biomasse provenienti da colture dedicate. Le ricerche si sono spinte sino a trasformare in risorse anche materie che rappresentano tuttora costi e problemi per lo smaltimento, con processi di biodegradazione che trasformano in energia le biomasse in genere, inclusi i liquami delle fogne e la parte organica dei rifiuti urbani e industriali. E’ questa la sfida da cogliere, la capacità di trasformare gli esiti delle attività antropiche in risorse (trasformare e non sotterrare come avviene per la Co2) adottando ad esempio il sistema inventato da un nostro ricercatore, Andrea Capriccioli, che alimentato con acqua e CO2, produce metano e ossigeno, trasformando un problema in una risorsa; il sistema ha tra l’altro la capacità di immagazzinare e riprodurre energia diventando un volano per il fotovoltaico e il solare.
Un esempio pratico di come la natura ci viene incontro
Esiste in natura una pianta perenne e sempreverde, il vetiver, che vive in terreni acidi e alcalini (ph da 3 a 14) a temperature da -7 a +47 gradi, con radici fascicolate che scendono verticalmente nel terreno e sono robuste 1/5 dell’acciaio, che non è infestante, che può bonificare terra, acqua ed aria e può formare una siepe fitta alla base costituendo una vera e propria barriera filtrante. Grazie a queste sue qualità, tra le altre che possiede, il vetiver è un valido alleato per affrontare i problemi legati al ciclo dell’acqua, al ciclo dell’anidride carbonica e alla produzione di energia.
Come può inserirsi il vetiver nel ciclo dell’acqua
La siepe di vetiver, oltre a risolvere il problema del consolidamento dei versanti in frana, è un presidio per prevenire le frane e per arricchire le falde acquifere ed evitare il processo di desertificazione. Infatti, la siepe di vetiver che a differenza delle normali siepi è fitta sin dalla base, forma una barriera filtrante che trattiene i detriti a monte e lascia passare verso valle solo l’acqua e i limi sottili che si arrestano nelle immediate vicinanze. La siepe rallenta la velocità dell’acqua consentendole di penetrare nel terreno e mantenerlo umido, arricchendo le falde e riducendo da parte dei contadini l’esigenza d’emungere acqua dai pozzi; poi scorrendo in modo uniforme sulla superficie, l’acqua rimodella il terreno e non ruscellando protegge i semi e quindi il raccolto. L’acqua, ridotta la velocità e depurata dai detriti trattenuti dalla siepe, giunge nei canali con un carico inquinante ridotto e nelle quantità fisiologiche, evitando così le possibilità d’alluvione.
Queste qualità possono invertire il processo di desertificazione. Il processo di desertificazione è determinato dal fatto che il terreno è asciutto e a periodi di siccità si succedono periodi di pioggia intensa, che trova le piante ed anche il manto erboso indeboliti ed incapaci di resistere alla velocità dell’acqua, che porta via con sé piante, humus e detriti, rendendo il terreno sempre meno fertile sino a farlo diventare inerte, desertico.
La siepe di vetiver per quanto già esposto, trattiene l’humus, mantiene l’umidità del terreno, protegge la vegetazione, bonifica il terreno eliminando pesticidi e diserbanti, e consente l’accumulo di acqua in bacini dando un ulteriore contributo per il recupero di questa preziosa risorsa. Non c’è da meravigliarsi degli effetti che produrrebbe un inserimento del vetiver nel ciclo dell’acqua, se si considera che il 97% dell’acqua è nei mari e nelle grandi masse d’acqua e solo il 3% rimane sulla terra e nella terra; questi numeri ci danno l’immagine di un’immensa quantità di vapor acqueo che, dopo aver raggiunto i cieli, si riversa sulla terra sotto forma di pioggia, neve o grandine, gran parte della quale ci sfugge, per poi ritornare a mare. Quell’acqua è una provvidenza che viene dal cielo se è regimentata e raccolta in bacini, di contro se non è regimentata, è molte volte causa di disastri, alluvioni e morte.
Contributo del vetiver nel ciclo dell’anidride carbonica e per la produzione di energia.
Il ciclo della CO2 è collegato, sia con il ciclo vegetale, sia con le piogge che corrodono e modificano chimicamente le rocce scorrendo sulla loro superficie e portando in mare assieme ai detriti, sali e CO2 trasportati dalle acque di fiumi e canali. Se avrò l’opportunità e ne avrete interesse vi parlerò del contributo delle piante per il bilanciamento dei gas serra, mentre qui mi limiterò a comunicarvi che ogni pianta di vetiver assorbe 3 Kg di anidride carbonica l’anno, facendo a parità di superficie da 15 a 90 volte il lavoro di un bosco sano per l’eliminazione dei gas serra.
Ugualmente se mi sarà dato, in futuro parlerò più specificamente della produzione d’energia con le piante, mentre qui mi limito a farvi notare che il vetiver, essendo una pianta perenne, è un serbatoio inestinguibile di carburante ed un volano per qualunque tipo d’energia che non dipenda dalla volontà dell’uomo, come l’eolico ed il fotovoltaico, ma anche per le stesse biomasse che sono stagionali o episodiche, tipo quelle provenienti dalla potatura degli alberi, dai gusci di frutta secca e dalla pulizia dei boschi La natura ci viene incontro! E noi?
Benito Castorina *
* Docente di Economia Agraria e dell’Agroindustriale – Università di Cassino
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