Spilamberto. Il 15 giugno 2017 aveva piovigginato e dalla cassetta della posta spuntava l'angolo di una bustona contenente l'ultimo numero di Lato Selvatico, si era un po' bagnata, ma senza grandi danni, dal che ne ho tratto un omen. Questo numero della rivista "underground" (come viene definita dall'editore), celebra il 50° numero del 25nnale, e riporta tutte le copertine e brevi sunti degli articoli contenuti nelle diverse edizioni trascorse.
Caterina ed io ringraziamo Giuseppe Moretti per l'invio di questa opera di memoria, molto utile a descrivere il percorso bioregionale in Italia. La narrazione -per quel che ci interessa- comincia dal n.1 di Lato Selvatico, uscito per il solstizio invernale del 1992, prosegue sino alla descrizione della fondazione della Rete Bioregionale, nel n. 8 del 1996, proseguendo sino al momento in cui l'esperienza aggregativa subisce una scissione, nel 2010, dalla quale sorse il nuovo gruppo Sentiero Bioregionale. Ed è proprio la descrizione di questo fatto, come percepito e vissuto da Giuseppe Moretti, che vorrei qui riportare, per compensare ed integrare le mie precedenti relazioni sullo stesso tema.
Allora il n. 37 del 2010 di Lato Selvatico inizia con l'annuncio dell'uscita della maggior parte dei suoi referenti... (...)
"Dunque cosa è successo nella Rete Bioregionale? Niente che non sia già successo nell'ambito di comunità o gruppo di persone in ogni luogo, società e latitudine del pianeta. E' successo che una piccola minoranza ha iniziato a pretendere che la pratica vegetariana-vegana diventasse la linea guida della Rete Bioregionale Italiana.... (...) Un atteggiamento questo che andava a cozzare con l'ultimo paragrafo del "documento d'intesa" della Rete stessa, che così recita: "nell'introdurre questo concetto (riferito al bioregionalismo) si richiede la sensibilità di esporlo in modo che ogni persona, gruppo o realtà sociale, lo senta proprio e nel proprio luogo si organizzi per realizzarlo.". Dire perciò che per essere un buon bioregionalista occorre essere vegetariani o vegani poneva dei "paletti" inammissibili ad una Rete che aveva fatto del rispetto per i percorsi, le storie e le vite di chi, con spirito sincero e volontà d'intenti, si accosta all'ipotesi bioregionalista. Insomma la visione bioregionale è una visione inclusiva, non esclusiva, e questo perché l'obiettivo che si propone (il ritornare ad essere un filo della trama della vita) è molto più importante della somma delle nostre peculiarità, inclinazioni o convincimenti (per quanto in buona fede essi siano). Inutile dire che s'è fatto l'impossibile da parte nostra per evitare la rottura ma alla fine ci siamo arresi all'evidenza che non si poteva più lavorare costruttivamente e serenamente assieme, e così prima uno poi altri la maggioranza dei referenti locali ha lasciato la Rete Bioregionale. Ora si dirà "ma se c'era una maggioranza come mai questa non si è imposta?". Semplice, perché la Rete era (ed è ancora?) una organizzazione orizzontale, cioè senza capi, dirigenti o amministratori, e quindi il rivendicare una maggioranza significava imporre il volere di una parte sull'altra. Detto questo e per sgomberare la strada a possibili fraintendimenti non è stata una diatriba fra bioregionalismo e vegetarismo (o veganismo), poiché queste anime all'interno della Rete da sempre convivono nel rispetto reciproco. Il punto è che quando ci si lascia travolgere dall'idealismo è facile che questo poi sfoci nel fondamentalismo."
Ecco ho riportato, quasi integralmente, la spiegazione fornita da Giuseppe Moretti, che ringrazio per la chiarezza e la sincerità, in merito alle ragioni che lo spinsero a "dimettersi" da coordinatore e da membro della Rete Bioregionale (vedi il relativo scambio di email del luglio 2010:
Ordunque, cosa ho da dire io al proposito di questa "scissione"? Espressi il mio parere in diversi miei articoli e risposte a persone che mi chiedevano ragguagli. Il fatto è che sostanzialmente mi trovo d'accordo con Giuseppe Moretti sul "metodo" inclusivo e pertanto pur essendo io vegetariano dal 1973 ed avendo illustrato le ragioni ecologiche e salutistiche di questa mia scelta, sin dall'incontro fondativo della Rete nella primavera del 1996 ad Acquapendente, ma non avendo il mio perorare tale causa incontrato il favore della maggioranza dei convenuti accettai tranquillamente di far parte della Rete, sapendo -appunto- che ognuno ha il proprio percorso e non si possono mettere paletti alle altrui funzioni e modi di vita.
Continuai a restare vegetariano accettando di convivere in un mondo pressoché composto di non vegetariani, a cominciare dai membri della mia famiglia sino ai compagni di viaggio bioregionalisti, spiritualisti od ecologisti che fossero.
Ovviamente non smisi di ritenere valide le mie scelte alimentari limitandomi però a spiegarne le ragioni senza imposizioni. Il problema all'interno della Rete, in verità, subentrò allorché uno dei suoi membri fondatori, convertitosi nel frattempo per sue ragioni personali al veganesimo, iniziò una campagna "confessionale" per spingere gli altri membri ad accettare le sue conclusioni. Questo atteggiamento, facendosi un po' insistente, "costrinse" Giuseppe Moretti, Etain Addey ed altri bioregionalisti, che non ritenevano opportuno piegarsi alle "imposizioni vegane", alle dimissioni ed all'uscita dalla Rete.
Io rimasi nella Rete, per le stesse ragioni espresse nell'articolo di Lato Selvatico su riportato, ovvero non ritenevo argomento sufficiente, la differenza di opinione sul modo di alimentarsi, tale da obbligarmi a prendere una decisione di parte in proposito, sì o no che fosse. Dice bene Giuseppe riguardo all'esercizio di potere di una maggioranza sulla minoranza. Essendo sempre convissuto con tutti, non ritenni opportuno accodarmi ad una maggioranza di onnivori transfughi e nemmeno pensai di restare in una minoranza vegetariana (o vegana che fosse). Restai perché non c'erano ragioni di andarsene... Infatti con la partecipazione alla Rete, che non è una associazione verticistica, ognuno poteva e può convivere nell'accettazione delle differenze (pur fastidiose che fossero o siano), d'altronde non avviene così anche nella società (in senso ampio) e nel contesto della natura?
Siamo forse d'accordo con tutti i nostri fratelli umani, possiamo accettare la comunanza con gli altri animali indistintamente? Eppure nel contesto bioregionale siamo tutti presenti e vivi! Certo se una presenza è troppo fastidiosa ed impossibile da sostenere non è obbligatorio conviverci, in quel caso come ultima ratio si potrà allontanare l'importuno, come avveniva nelle tribù dei pellirossa in cui un elemento socialmente insostenibile veniva prima rabbonito e si tentava di emendarlo dalle sue fisime ma se proprio non era possibile si ricorreva all'esclusione dalla comunità. Un buon modo per insegnare la convivenza civile a chi non sa mantenerla.
Eppure questo, forse, è un esercizio di potere di una maggioranza su una minoranza? Può darsi... Ma in questo caso la maggioranza non se ne andava dalla tribù originaria...!
Da parte mia un tentativo di riappacificazione con i membri transfughi dalla Rete non è mai stato escluso, ho continuato a cercare un dialogo con i "colleghi" di Sentiero Bioregionale e nel maggio 2016 mi recai con Caterina all'incontro di Sentiero Bioregionale (avendo ottenuto il permesso di Giuseppe), che si teneva in Val Samoggia, cercando un riavvicinamento e riproponendo le mie buone intenzioni. Giuseppe rispose che i "tempi non sono ancora maturi"... quindi attendo che maturino un dì, magari prima della dipartita visto che l'anzianità avanza, e se non sarà in questa vita magari succederà nella prossima, chissà?
Non si finisce mai d'imparare.
Paolo D'Arpini
Articoli da altre fonti sulla scissione della Rete Bioregionale Italiana avvenuta nel 2010 - https://www.google.it/search?rls=aso&client=gmail&q=scissione+rete+bioregionale+paolo+d%27arpini&authuser=0&gws_rd=cr&ei=OX1DWZ2xKoX-Utq0qfAK#authuser=0&q=scissione+rete+bioregionale+2010++
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