Abbiamo posto alcune domande a Giovanni Carrada, un professionista il cui lavoro quotidiano è finalizzato alla divulgazione scientifica e del patrimonio culturale. Biologo, è un autore, un consulente e un docente indipendente che si occupa di comunicazione della scienza e dell’innovazione. Fra i suoi principali interessi c’è la comunicazione tesa a favorire il dialogo e la comprensione reciproca fra mondo scientifico, imprese che producono tecnologie avanzate e società...
È abbastanza generalizzata una sostanziale sfiducia nei confronti delle istituzioni pubbliche, anche verso enti tecnici e scientifici come possono essere le ARPA. Come è possibile comunicare dati e informazioni scientifiche in questo contesto sociale?
La mia esperienza mi dice che a volte bisogna “fare la tara” su questo tipo di percezioni, spesso diffuse fra chi svolge ruoli scientifici e tecnici e che nascono da “scottature” vissute in occasione di particolari vicende. Critiche e attacchi sono quasi inevitabili quando si producono dati che non fanno comodo a qualcuno, ma non è detto che riflettano un sentimento generalizzato.
È vero che viviamo un momento storico in cui gli esperti non godono più del rispetto e della fiducia di una volta, ma c’è grande varietà nel livello di fiducia di cui gode questa o quella particolare categoria di esperti, e oggi sta a ciascuna di loro conquistare e continuare a meritare fiducia. Sia attraverso il proprio lavoro, sia attraverso un’attività di comunicazione capace di valorizzarlo.
Le cose si fanno naturalmente più difficili nel momento in cui una vicenda balza agli onori della cronaca, e soprattutto se assume una connotazione politica. Quando c’è una polemica in corso si tende a prendere posizione in base alla propria collocazione politica, anche in ambito molto locale, più che in base a quanto i dati fanno pensare sia effettivamente avvenuto.
La differenza in questi casi la può fare il capitale di visibilità, credibilità e fiducia che l’Agenzia è stata in grado di costruire “in tempo di pace”, quando cioè non ci sono polemiche in corso. Magari fornendo informazioni, servizi o attività educative che i cittadini in generale o particolari categorie possono trovare utili e interessanti, oppure coltivando i rapporti con i media. Un fatto di cronaca importante o una polemica sono però anche momenti in cui si può godere di un’attenzione molto più grande che “in tempo di pace”, e avere l’attenzione delle persone è la condizione essenziale per poter comunicare efficacemente, oltre che la risorsa più scarsa nell’attuale mondo della comunicazione. Bisognerebbe cercare di vedere questi momenti anche come un’opportunità che bisogna avere il coraggio di cogliere, anziché solo come un problema al quale sopravvivere tenendo la testa più bassa possibile.
Le agenzie ambientali sono enti tecnici, i temi da loro trattati hanno una complessità non facile da rendere comprensibile a tutti. Quali suggerimenti può dare ai comunicatori delle agenzie ambientali?
Ogni esperto è facilmente vittima della “maledizione dell’esperto”, quel fenomeno psicologico studiatissimo per cui quando sappiamo qualcosa troviamo molto difficile metterci nei panni di chi non la sa. Per questo, ogni volta che dobbiamo comunicare qualcosa, non dobbiamo dimenticare di ricordare, sia pur brevemente, di che cosa parliamo e perché è importante. Basics are the beginning, come dicono gli americani, ma senza la pretesa di fare di chi ci ascolta un piccolo esperto: comunicare non è insegnare.
Poi, ogni spiegazione non è altro che un percorso da quello che ci ascolta sa già o che ha già un interesse a sapere, a qualcosa che non sa ancora. E questo percorso va costruito fornendo delle tappe intermedie accessibili, interessanti e possibilmente coinvolgenti. Seguendo un filo chiaro e senza fare divagazioni. Usando un linguaggio semplice. All’interno di un semplice ragionamento o di una storia.
Senza dimenticare che comunicare non è neppure fornire un elenco di informazioni, ma stabilire una relazione con qualcuno. È chiaro però che alle spalle ci sono altri livelli che a mio avviso le Agenzie ambientali potrebbero presidiare meglio.
Penso ad esempio all’organizzazione dei temi e delle tipologie di dati, che appaiono piuttosto frammentate e non sempre corrispondenti alle classificazioni intuitive dei non esperti. Alla mancanza di un’identità precisa – tematica, istituzionale, grafica – del soggetto che comunica. Alla scarsità di eventi o appuntamenti capaci di richiamare e focalizzare periodicamente l’attenzione dei cittadini e dei media sulle agenzie, le loro attività e i problemi di cui si occupano. Alla mancanza di canali di comunicazione e di singoli prodotti espressamente pensati per le esigenze dei cittadini, o attraverso i quali anche i cittadini si possano esprimere.
Questi sono aspetti di sistema di cui oggi è diventato indispensabile farsi carico, date l’importanza e la sofisticatezza della comunicazione alla quale è chiamata qualsiasi organizzazione che cerchi o abbia bisogno di un dialogo con l’opinione pubblica.
Le agenzie ambientali, fra i loro compiti istituzionali, hanno quello di raccogliere, organizzare e diffondere i dati ambientali. Che impressione ha della situazione esistente in tal senso e cosa dovrebbero invece fare le agenzie ambientali?
La mia personale impressione è che i cittadini conoscano poco sia le Agenzie, sia questo loro importantissimo compito. E che la comunicazione di questi dati possa fare un salto di qualità. Chi per mestiere produce ed elabora dati usa i numeri con estrema naturalezza perché ai suoi occhi parlano da soli, ma per quasi tutte le altre persone non è così. I numeri sono astrazioni che la mente maneggia con grande difficoltà.
Noi siamo primati, quindi animali visivi, e il nostro cervello capisce molto più facilmente i dati quantitativi quando sono proposti sotto forma di immagini piuttosto che di singole cifre o di tabelle.
Oggi viviamo in un mondo sempre più basato sui dati, ma per fortuna non abbiamo più a disposizione solo i grafici usati nelle pubblicazioni tecniche. Oggi si sviluppano infografiche sempre più chiare, belle, capaci di mettere in evidenza gli aspetti o il senso più importante di un fenomeno e magari anche interattive. È molto più probabile che prodotti di questo tipo risultino efficaci, vengano ripresi dai media e vengano condivisi sui social network, che sono diventati la vera piattaforma di distribuzione dei contenuti.
Come esperto di comunicazione, ed anche come cittadino, cosa si aspetta dall'attività di comunicazione e informazione di un’agenzia ambientale?
L’informazione ambientale è sempre più concentrata sulle grandi questioni, spesso di respiro globale, come i cambiamenti climatici, ed è dominata da una negatività – quando non da un catastrofismo – che a mio avviso possono avere l’effetto paradossale di allontanare i cittadini dai temi ambientali, percepiti come lontani dai propri interessi o sui quali il singolo possa fare poco. O addirittura così ansiogeni da far scattare meccanismi di rimozione psicologica.
A farne le spese è stata l’informazione più locale e quella sulle tante componenti della qualità dell’ambiente, vale a dire proprio di ciò di cui si occupano le Agenzie regionali e di cui i cittadini hanno comunque bisogno. Soprattutto quando succede qualcosa di preoccupante, ma non solo.
Forse questo è un altro problema dietro il quale si cela un’opportunità. Le Agenzie potrebbero diventare protagoniste di un’informazione ambientale più vicina e concreta, una fonte affidabile che aiuta a conoscere il proprio territorio e tutela i cittadini sia dalle minacce che non ricevono sufficiente attenzione, sia dalle esagerazioni cui spesso i media si lasciano andare. Ma dovrebbero farlo creando dei canali e dei prodotti su misura dei cittadini.
Intervista a cura di Arpat
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