Le foreste non sono solo legna: sono sistemi complessi, scrigni di biodiversità, spazi vitali depositari di valori etici, storici, spirituali, paesistici fondamentali per la salute del Pianeta Terra e dei suoi abitanti. Ciononostante, in Italia prevale un riduzionismo economico che degrada le foreste a materia inerte da sfruttare.
Oltre agli interessi della filiera del legno, si aggiunge adesso l’utilizzo dei boschi a fini energetici: pratica sconfessata da circa 800 scienziati, nonché dall’E.A.S.A.C. e da un recente studio su “Nature”.
Incrociando i dati ISPRA ed EEA, un mio studio (Epidemiol Prev 2019; 43 (4):300-304.) evidenzia che bruciare biomasse legnose causa 1/3 di tutto il PM2,5 atmosferico, provocando circa 20.000 morti/anno in Italia. Il metano, che emette 2000 volte meno PM2,5, causerebbe solo 10 morti/anno; eppure incentiviamo di tagliare e bruciare legno.
Secondo i dati 2017 di GSE ed ENEA, ogni anno disporremmo di circa 26 milioni di tonnellate di biomasse vergini, mentre ne bruciamo circa 52 milioni, il doppio e vediamo tagliare diffusamente alberi nelle città e foreste italiane. Tagli estesi e diffusi possono alterare profondamente il bilancio del carbonio: i boschi funzionano come serbatoi, diventando fonte che aumenta la CO2 in atmosfera o pozzo che la sequestra negli alberi in accrescimento.
I boschi governati a ceduo, da pozzo potrebbero quindi anche diventare sorgenti di CO2 gravemente climalterante. Riguardo poi ai dati di aumento della superficie forestale diffusi dal Mipaf, il computo non comprende le volumetrie delle biomasse forestali, che risultano invece molto ridotte a seguito dei tagli. Il terzo inventario forestale nazionale (INFC 2015) non ha ancora completato i rilievi a terra, senza i quali è impossibile calcolare densità e volume complessivo e ogni stima è incompleta e provvisoria.
Certamente poi il taglio molto frequente su superfici sempre più estese favorisce il dissesto idrogeologico, mentre lasciare crescere le foreste secondo cicli naturali ci proteggerebbe dalle sempre più frequenti, drammatiche alluvioni.
Infine, i boschi ricchi di biodiversità sono fondamentali per il benessere e la salute delle persone. Il Prof. Qing Li (2008) in una vastissima indagine su tutte le prefetture del Giappone ha evidenziato la correlazione diretta tra maggiore copertura forestale e minore mortalità da cancro. Negli Stati Uniti ci sono circa 7 miliardi di frassini; un insetto ne ha uccisi circa 100 milioni e nell’insieme delle 15 Contee americane più colpite è stata trovata (Donovan GH et al.. Am J Prev Med. 2013 Feb; 44(2): 139-45) una correlazione significativa tra moria dei frassini e delle persone: tra il 1990 e il 2007 si è verificato un eccesso di 15.080 morti premature per malattie cardiovascolari e di 6.113 per malattie delle basse vie respiratorie.
Come se non bastasse, la ceduazione riduce molto la biodiversità, fatto che secondo la World Allergy Organization causa molteplici patologie allergiche, croniche e tumorali. Anche l’Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services (IPBES) parla chiaro (7.2020): ”La riduzione di biodiversità porterà a Pandemia peggiori di quella attuale”.
Le evidenze scientifiche sono inequivocabili: tagliare e bruciare estesamente alberi incrementa le malattie, le morti precoci e accentua i cambiamenti climatici mentre alberi e foreste vivi ci proteggono e sanificano.
Cittadini e decisori politici lo devono tenere sempre presente; i legittimi interessi economici devono venire sempre dopo la tutela della salute e della vita umana, senza contare che preservare le foreste per il benessere può dare molto più lavoro che tagliarle e mandarle in fumo.
A cura di Ugo Corrieri, Presidente SIMEF (Società Italiana di Medicina Forestale).
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