Difficile raccontare la mattinata del 24 gennaio 2016, per cui comincerò da lontano. Io e Paolo non andiamo spesso a fare dei giri, anche brevi, per cui ci sia da prendere l'auto, ma tutte le volte che gli propongo qualcosa, lui non mi dice mai di no; alla mia richiesta: "Andiamo........?" lui semplicemente risponde: "Come vuoi..., se ti fa piacere.....!" ed anche questa volta, in cui gli avevo fatto una proposta un po' "strana" ha acconsentito, anzi, aveva acconsentito già da tempo, ma io, nella mia testolina, non riuscivo a trovare il momento giusto.
Mesi fa durante un'ispezione di lavoro avevo conosciuto un "allevatore particolare", lui stesso si definisce "poeta e filosofo", ed in effetti l'avevo trovato alquanto "ragionativo" e dedito al capire quel che gli succede attorno e vede e vive, bontà sua, la realtà, in maniera alquanto poetica. Mi aveva regalato un libriccino di poesie sue e nel tempo, in seguito, mi aveva fatto avere ancora, altri libri, tra cui quello che ho preferito, le quartine, di Omar Kayam, che anche Paolo ha divorato. Dal canto mio gli avevo fatto avere il libro di Paolo su Treia , "Storie di vita bioregionale". Dopo averlo letto, mi ha mandato un messaggio che diceva che aveva trovato una treia. Dopo un piccolo misunderstanding mi aveva scritto che è un pietrone di circa un quintale che si adoperava per trebbiare il grano e che, come diceva il "librino" che gli avevo dato, forse il nome Treia poteva derivare da quell'arnese.
Così oggi alle 10 eravamo all'azienda agricola dove vacche, maiali, operai, casari e un titolare sempre presente, fanno il loro lavoro. Ci siamo incontrati "dietro alla porcilaia", dove si sentivano grugnire gli animali ed arrivavano gli odori consueti. Dopo brevissime presentazioni ci ha mostrato la sua treia e ci ha raccontato l'ipotesi che si è fatto del nome del paese raccontandoci come forse veniva usata, per trebbiare appunto il grano, trascinandola sul prodotto raccolto fino a schiacciare i semi, liberandoli dall'involucro che sarà stato poi allontanato sollevando il tutto aiutati da qualche folata di vento. Questa operazione veniva effettuata sopra ad una supefice di terra resa liscia ed uniforme da da un impasto di letame bovino spalmatoci sopra e lasciato essiccare, che diventava duro come il cemento e sterile. La pietra chiamata "treia" è stata da lui ritrovata dopo averla sepolta in gioventù, quando, dopo l'avvento della meccanizzazione e dei trattori in particolare, il lavoro di 50 persone poteva essere svolto da tre, quattro persone, ma per far questo, con quei mezzi, il terreno andava livellato il più possibile e quindi, via le pozze dove una volta i bovini si andavano ad abbeverare e via tutte le "pietre" come questa, che erano diventate inutili e che, se abbandonate in superficie, potevano danneggiare gli attrezzi.
Il paesaggio sarà stato superficialmente diverso, certamente più selvatico, ma anche oggi è di una bellezza che lascia senza fiato. Si tratta dell'area preappenninica del modenese.
Argomento molto caro al nostro "ospite", quello dell'abbandono della montagna: non si capisce però se in fondo in fondo, questa situazione non la veda come un contributo alla salvezza del Pianeta, perché "se tutte le colline e le montagne fossero abbandonate dall'uomo, ritornerebbero ad essere rigogliosi boschi", come erano nel lontano passato. In montagna si produce meno e produrre costa di più, prova ne sia che i terreni ad una certa altitudine, costano meno e sono lo stesso poco richiesti, mentre in pianura, pur a prezzi considerevoli, appena si rendono disponibili, vengono "bruciati". In montagna, gli agricoltori hanno si dei contributi e si pagano meno tasse, ma basta un problema, perché queste facilitazioni vengano tolte, pena la perdita di tutta o parte la quota di introiti che consentono la sopravvivenza di tante aziende.
Poi abbiamo fatto una visita nella stalla: Paolo non ne aveva mai vista una così, di animali da latte. Questa è un'"industria" e gli animali, tenuti nel miglior modo possibile, devono rendere. I foraggi sono tutti locali e biologici, ma i cereali che compongono i mangimi che si devono per forza di cose somministrare e che costituiscono circa il 50% della razione, chissà da dove arrivano? Comunque, e questa è un'impressione che provo anch'io in molti allevamenti, gli animali sembrano "sereni", pur nel loro vivere confinati. Intanto che facevamo avanti da un lato e indietro dall'altro e dopo aver visto le fosse dove il letame viene raccolto per poi essere convogliato in due grossi contenitori circolari in cemento, ed essere infine utilizzati per la concimazione dei campi, lui, col forcone, sistemava il fieno davanti agli animali. Ad un certo punto tra il fieno spuntava una gallina accovacciata, l'ha fatta sollevare e, ha estratto da in mezzo al fieno un uovo e me l'ha dato: era caldo! Stasera ci faremo un piccolo zabaione.
Il nostro accompagnatore-poeta ci ha parlato di San Francesco, così chiamato perchè figlio di una donna provenzale, mentre il suo vero nome pare fosse Giovanni. In un primo tempo la sua regola era di vivere del proprio lavoro, senza chiedere elemosine, perchè si impediva il senso dell'arroganza e del "merito"del dare e ricevere. San Francesco propugnava una esistenza assolutamente priva di ego.
Infine, prima di andarsene per badare ad una zia anziana, ci ha mostrato da lontano una maestà, una di quelle colonne che si vedono a volte lungo certe strade con su in cima una edicola con madonne, bambini e santi vari. Avrebbe notato che al solstizio estivo, al tramonto, alle 9 meno un quarto circa, la punta della maestà "fora" il sole che cade e di questa storia ne ha fatta una poesia:
Minuta maestà,
che da sempre discreta,
al solstizio d'estate,
fori il sole al tramonto,
siimi benigna e la mia opra asseconda,
che il padre e la madre ti furon devoti,
senza danno arrecarti.
Chissà se fu costruita appositamente in quella posizione, ma a noi piace pensare di si.
Caterina Regazzi
L uovo caldo estratto dal fieno mi da da pensare....
RispondiEliminaL uovo caldo della gallina estratto dal fieno mi da da pensare.....
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