Sì, l’abbiamo piantata anche noi in giardino, la qualità alimentare, a casa di Caterina a Spilamberto… e le piante sono venute su belle forti e con tanti semi. L’amaranto combatte e vince. Anche le nostre campagne sono piene di amaranto selvatico e spesso durante le passeggiate erboristiche ne abbiamo raccolto foglie e semi.
In verità da quando l’agroecologo Giuseppe Altieri mi aveva scritto consigliando di procurarmi alcuni semi della qualità sudamericana, quella più ricca di sostanze e dai grani più robusti, sono andato alla ricerca di amaranto in varie erboristerie e centri del naturale finché ne ho trovato un tipo che veniva venduto come alimento, con dei semini rotondi più o meno grandi come il sesamo. Con Caterina li abbiamo cucinati e ci sono pure piaciuti molto, ne vien fuori una pastella mucillaginosa e saporita.
Ma il motivo per cui ci siamo decisi a tentare la semina dell’amaranto, come ultima ratio di sopravvivenza rurale, è perché abbiamo letto su alcuni bollettini di guerra contro gli OGM che questa pianta resiste alle contaminazioni e resiste pure al più mortifero pesticida della Monsanto, che deve sempre accompagnare le coltivazioni transgeniche.
E tutto partì dalla ricerca di un gruppo di scienziati britannici del Centro per l’Ecologia e l’Idrologia, secondo cui si è prodotto un trasferimento di geni tra piante modificate geneticamente e l’amaranto. Le piante inca amaranto (kiwicha in Perù) hanno invaso le piantagioni di soia transgenica della Monsanto negli Stati Uniti come in una crociata per fermare queste dannose imprese agricole e passare un messaggio al mondo.
In quello che sembra essere un altro esempio di saggezza della natura, aprendo la strada, la specie amaranto è diventata un incubo per la Monsanto. Curiosamente, questa azienda nota per il suo male (”Mondiablo”) definisce questa erba sacra per gli Inca e gli Aztechi, come pianta infestante o erba maledetta. Il fenomeno di espansione della amaranto nelle colture in oltre venti stati degli Stati Uniti non è nuovo. E questa modesta pianta combattente, l’amaranto, merita di essere salvata, anche per celebrare le capacità e l’intelligenza della natura che si è opposta al gigante delle sementi transgeniche.
Nel frattempo negli Stati Uniti si preoccupano di come rimuovere questa pianta rustica che supera la tecnologia Monsanto: si riproduce in quasi tutte le condizioni climatiche, non si infetta da malattie o insetti che non hanno bisogno di prodotti chimici. Non sarebbe quindi meglio ascoltare il messaggio della natura e provare la trasformazione dei prodotti alimentari amaranto?
“Già diversi anni fa alcuni agricoltori di Atlanta avevano notato che i focolai di amaranto hanno resistito al potente erbicida “Roundup” a base di glifosato e divorato campi di soia GM. nel suo sito web la Monsanto raccomanda gli agricoltori di mischiare glifosato con erbicidi come 2,4-D, vietato in Scandinavia perché correlato con il cancro. E ‘curioso che il New York Times che oltre 20 anni fa ha scritto che Amaranto potrebbe essere il futuro del cibo nel mondo ora chiama questa pianta un “superweed” o “pigweed”, termini dispregiativi che riflettono una concezione di amaranto come una piaga. Secondo un gruppo di scienziati britannici del Centro di Ecologia e Idrologia, si è prodotto un trasferimento di geni di piante geneticamente modificate e di alcuni “indesiderabili” erbe come amaranto. Questo fatto contraddice le affermazioni di esponenti di organismi geneticamente modificati (OGM), che affermano che l’ibridazione tra una pianta geneticamente modificata e un impianto non modificato è semplicemente impossibile”. (Asociacion Civil Develar)
Sempre negli Stati Uniti gli agricoltori hanno dovuto abbandonare cinquemila ettari di soia transgenica e altre cinquantamila son gravemente minacciate a causa dell’amaranto che ha deciso di opporsi alla multinazionale Monsanto, tristemente famosa per la sua produzione commerciale di semi transgenici.
L’amaranto considerata per l’agroindustria transgenetica una pianta diabolica è invece una pianta sacra e santa. Appartiene agli alimenti più antichi del mondo. Ogni pianta produce una media di 12.000 chicchi e le foglie, più ricche di proteine della soia, contengono vitamine A e C, e sali minerali. Dal punti di vista nutritivo l’amaranto ha certamente più proteine della soia e contiene anche vitamine A e C.
Paolo D’Arpini
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