Per la prima volta nella storia della sua politica egemonica, gli Usa stanno vivendo il rischio di autarchia.
Quattro passi
Sospinti dal volano "spirituale" detto destino manifesto, a mezzo del quale si sentivano detentori della verità e, contemporaneamente, obbligati a diffonderla, gli Usa, in nome del loro dio, dapprima si sono presi la terra occupata dai nativi, una razzia di stampo unnico in terra occidentale. Successivamente, hanno distribuito ai contendenti del mondo, per informarli sulle carte che avevano in mano e sulle regole del gioco in corso, il biglietto da visita delle bombe nucleari di Hiroshima e Nagasaki. Paesi canaglia ed esportazione della democrazia in pectore. Anche se il massiccio impiego del napalm in Vietnam ne era stato un tragico-degno prodromo, nello shock incredulo del resto del pianeta per le due bombe vigliacche, forse nessuno ha potuto intendere che la dimensione etica della lealtà, presente nelle guerre combattute sul campo, era stata annientata insieme ai 214.000 civili sciolti nelle due esplosioni per mano dei buoni. Ma i preposti a riflettere, chiusi nelle loro cabine di studio, protetti dalle malevole critiche successive ai funghi atomici, erano già avanti, con quanto anticipo, sarebbe bello saperlo. Appena si verificarono le condizioni i benedetti da dio, nel 1947 posero sul tavolo mondiale la carta dell’European Recovery Program, più noto come Piano Marshall. Vale a dire vagonate di aiuti per la ricostruzione post-bellica. I buoni così fanno per obnubilare la carta giocata in Giappone e, soprattutto, per creare le condizioni necessarie al fine di piazzare in Europa, a ovest della Cortina di ferro, le loro basi militari camuffate da Nato. Erano avanti a tutti. Gli accordi di Bretton Woods, del 1944, ponevano il dollaro statunitense al centro della rete dei mercati internazionali. Per poi slegare la valuta verde dall’oro con lo Smithsonian agreement del 1971, anch’essa un’azione per proseguire ad essere l’ammiraglia della flotta dei paesi atlantici.
Se lo scopo era l’egemonia mondiale, andava da sé che era necessario predisporre quanto avrebbe impedito o contrastato un eventuale ed esiziale espansionismo russo-sovietico. Con la resa del Giappone e le successive guerre nel sud-est asiatico, proseguiva la strategia di deterrenza del mondo non in loro possesso. La guerra fredda era un treno silenzioso per tutti ma chi vi viaggiava sapeva della sua alta velocità. Non si poteva tralasciare nulla. L’approvvigionamento di fonti di energia era fondamentale: cinque delle sette sorelle, le multinazionali che detenevano il dominio del mercato del petrolio, erano, sono statunitensi; la diffusione edulcorata del modello, del benessere e della forza americana, confluivano nella produzione e distribuzione hollywoodiana per passare, come un’endovena di piacere, nelle sinapsi delle platee, oltre che subliminali iniettori dia violenza, quale caposaldo di un’intera cultura. Tu vuò fà l’americano, il brano di Renato Carosone del 1956, ebbe grande successo perché scorrazzava entro un flusso emozionale già presente in tutti. Il boom economico del nostro dopoguerra godette anche dell’energia portata dalle note e dal testo della canzonetta.
Non si guardava in faccia a niente, quello che serviva allo scopo di stare in sella al mondo i cow boy lo facevano e basta. Il rischio di finire male, non gli permetteva di dormire sonni tranquilli. Svegli, con gli occhi sbarrati, qualunque invenzione poteva tornare utile. Se la corsa agli armamenti alimentava l’economia americana e demoliva quella sovietica, non da meno doveva essere quella allo spazio. Barare faceva, secondo i rinchiusi nella cabina, parte del gioco. L’allunaggio statunitense, già messo in discussione da tempo a causa di diversi particolari che ne potrebbero rivelare la pantomima, è ora tornato in auge per i continui rimandi della Nasa al nuovo sbarco lunare. Soprattutto all’argomento che viene addotto: la tecnologia disponibile non fornisce le garanzie necessarie ai rischi annessi. Se quella degli anni Sessanta del secolo scorso lo è stata, come si spiega che quella attuale non lo sia? Intanto pare abbiano conficcato nel suolo lunare la loro bandiera e lasciato un messaggio di pace rivolto all’universo. Se di sceneggiata si può temere, gli sceneggiatori, i buoni, non hanno tralasciato nulla, o quasi.
La caduta dell’Urss pareva corrispondere al successo pieno, quindi alla veridicità del destino manifesto. Insieme all’Unione Sovietica, si sfalda il Patto di Varsavia. La Nato non ha che da raccogliere le preghiere di paesi mendicanti, precedentemente a est della cortina di ferro. L’accerchiamento dei paesi fuori controllo prosegue, e l’egemonia veleggia nell’aria rarefatta delle vette più alte.
Non c’era altro da fare! Ma non era questo il pensiero dei progettatori della storia. La fomentazione delle rivoluzioni colorate e lo sfruttamento delle primavere arabe, facevano gioco strategico, tanto per l’accerchiamento fisico e politico, quanto per l’aspetto dell’approvvigionamento energetico. In ogni caso, da fare ce n’era. Meglio sbarazzarsi del tutto o sottomettere gli antichi nemici. Così quando la Russia, dopo essere riuscita a rimettere insieme i cocci e a risalire la scala di valori che ha di se stessa, è divenuta agli occhi americani, nuovamente preoccupante, la predisposta brace ucraina si è incendiata allo scopo di balcanizzare la Russia, per ritornare a credere nelle fine della storia.2. Da rammentare che il rispetto della dottrina Monroe, che prevede di tenere alla larga il nemico dai confini statunitensi e che i conflitti centro e sudamericano non possano vedere la presenza di forze militari extracontinentali, non è mai dimenticato, e fa sempre da sfondo alle opere di pace in giro per il mondo. A balcanizzare, c’erano riusciti in Jugoslavia e poi strappando il Kosovo alla Serbia, perché non applicare il medesimo criterio ai nemici rossi? Ammansire la Russia e con essa i paesi dell’Asia centrale – Turkmenistan a parte, piuttosto restio ad allineamenti e votato alla neutralità e a una indipendenza politica profonda – era la miglior mossa per arrivare ai confini cinesi, con ancora il vessillo del destino manifesto in mano.
La Cina, ultima arrivata nel grande gioco capitalistico, con un codazzo di altri paesi asiatici, tra cui Pakistan e India, nel silenzio mondiale, quello che avvolge le orecchie della maggioranza, aveva in pochi decenni risalito la scala della vita. Dalla miseria analfabetica era divenuta un colosso economico in grado di infastidire la corsa all’egemonia degli americani. E anche più. Il costo del capitalismo orientale, assai inferiore a quello occidentale, ha sparigliato le carte. Ci volevano altre idee. In realtà le avevano già trovate. Quelli sono avanti, mica indietro, come spesso si sente affermare. Alimentazione dell’immigrazione, cancellazione delle culture, alimentazione dell’Unione europea che non ha alcun tessuto connettivo che unisca i paesi che ne fanno parte, fluidità di genere, abbattimento delle identità nazionali e biologiche, cultura woke, ambientalismo, globalismo, economia verde, economia circolare, impatto zero, inclusività, passaporto vaccinale o dispotismo sanitario, mercificazione di uteri, uomini e scienza, ordoliberismo, precarietà, controllo digitale, vita a punti, non sono problemi in sé per i quali azzannarsi, non hanno niente a che vedere con i diritti delle minoranze e con la democrazia (o il posticcio che ne resta), come invece viene raccontato. Il tutto, disinteressandosi in modo incommentabile al nichilismo galoppante e il suo strascico di stragi, di autolesionismo e lesionismo. Anche il Great Reset, portato avanti anche a colpi di telegiornali quotidiani, di magli olimpionici, e festival canori, non è che fumo negli occhi per attirare verso le frenetiche onde dell’attualità al fine di nascondere da quelle lunghe e rivelatrici della rivoluzione capitalistica in corso. Non sono infatti che le nuove carte sul tavolo, giocate dagli americani e dai collusi europei, il cui scopo non è certo quello di libertà dichiarato, con tanto di guerre per la pace – quelle sì ossigeno puro all’economia americana – ma quello di abbassare i costi del capitalismo, altrimenti geo-perdente e quelli di autosostentamento del sistema in via di bancarotta (1) e di un apparato militare in difficoltà (2) che alimenta in tutti i modi la sua bombola ad ossigeno (3, 4). Allora sì che il destino diverrebbe autarchico.
Lorenzo Merlo
Note
https://www.ariannaeditrice.it/articoli/gli-stati-uniti-tra-debolezza-e-ambiguita
https://comedonchisciotte.org/cosa-diavolo-sta-succedendo-a-trieste/
https://www.ariannaeditrice.it/articoli/andare-a-funghi-nel-mondo-multipolare
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