Nel recente studio di ARPAT sull’utilizzo di fitofarmaci in Italia viene proposto un nuovo indicatore di pressione ambientale che non si basa semplicemente sulla quantità usata, ma cerca di associare informazioni sulle proprietà ambientali, eco-tossicologiche e tossicologiche di ciascuna sostanza attiva con lo scopo di migliorare la comprensione del grado di pressione esercitato da tali prodotti sull’ambiente e rendere confrontabili quantità derivanti da prodotti caratterizzati da un diverso comportamento e destino ambientale.
Sicuramente la quantità di fitofarmaci impiegata in un dato territorio è un indicatore significativo di per sé, ma in questo lavoro si è cercato di affinarlo ulteriormente affiancandogli una specie di “peso specifico ambientale” per caratterizzare meglio la pressione esercitata sull’ambiente.
Secondo gli ultimi dati di vendita ISTAT, in una decina di anni il quantitativo venduto annuo di prodotti fitosanitari si è ridotto di circa un terzo, cioè da 90.000 tonnellate di fitofarmaci si è passati a poco più di 60.000 tonnellate nel 2012.
In Italia, per quanto riguarda la tipologia di prodotti utilizzati (fonte SIAN), circa il 50% è rappresentata da composti a base di rame e a base di zolfo, mentre poco più del 40% sarebbero prodotti organici di sintesi, il restante 10% da altri prodotti.
La classe dei prodotti organici di sintesi comprende circa 400 diverse sostanze attive in commercio, ma solo una decina di queste copre il 50% della quantità totale venduta. Alcune delle sostanze appartenenti a questa categoria possono rappresentare un rischio per l’ambiente, soprattutto per il loro possibile impatto sulla risorsa idrica, come dimostrano i risultati del monitoraggio delle acque in Italia degli ultimi anni .
Per elaborare il nuovo indicatore è stato scelto di incrociare i dati relativi alle vendite, differenziati per sostanza attiva forniti dal SIAN, con i gli indicatori ambientali proposti dalla banca dati Footprint, prodotta nell’ambito di un progetto finanziato dalla Commissione Europea.
La BD Footprint assume determinati indicatori e delle classi di impatto potenziale che vanno da 1(basso) a 3 (alto) sulla base di valori soglia individuati dagli stessi autori.
Si può così ottenere, tenendo conto dei valori specifici per ogni indicatore, un profilo per ogni sostanza attiva sia di tipo qualitativo che quantitativo; In questo modo possono essere confrontate fra loro più sostanze attive sia in fase preventiva, potendo, ad esempio, scegliere fra più prodotti di analogo utilizzo agronomico quello a minore impatto, sia in fase consuntiva, dovendo, ad esempio calcolare la pressione esercitata in un determinato territorio e in un determinato periodo temporale attraverso le quantità utilizzate di prodotti e il loro rispettivo “peso specifico” ambientale.
Con questa metodologia sono state analizzate 500 sostanze a cui è stata attribuita una classe di impatto potenziale (CIP) sia per singolo recettore/proprietà che per matrice/comparto.
Moltiplicando la quantità venduta di ciascuna sostanza attiva per il relativo fattore (1,2,3), secondo la classificazione di impatto di ciascun indicatore, si ottiene la quantità di impatto potenziale.
Sommando le quantità di impatto potenziale di ciascuna sostanza attiva utilizzata, si ottiene la quantità di potenziale impatto totale, che divisa per la quantità impiegata effettiva, restituisce la CIP media per ciascun indicatore o la CIP media per
comparto/matrice.
Tenendo conto della CIP di ogni sostanza attiva utilizzata in un dato territorio per un dato periodo e delle quantità utilizzate, è possibile monitorare nel tempo gli andamenti dell’utilizzo di sostanze attive con diverso impatto sull’ambiente.
Lo studio riporta un quadro riepilogativo, per ciascun indicatore, della CIP media calcolata sui consumi di fitofarmaci in Toscana ed in Italia in quattro anni presi come riferimento (1997, 2002, 2007, 2012).
Per l’Italia, diversamente da quanto ci saremmo potuti aspettare, considerata l’evoluzione normativa e una maggiore attenzione in fase autorizzativi per la produzione e il commercio di nuove sostanze la CIP media non è variata molto, perché da diversi anni, come detto in precedenza, un numero ristretto di sostanze attive copre oltre il 50% del mercato dei prodotti organici di sintesi.
Una situazione diversa, leggermente “più movimentata” possiamo registrarla in Toscana, dove si apprezzano sia miglioramenti (mobilità, tossicità verso pesci e uccelli, effetti sulla riproduzione) che qualche peggioramento (affinità per l’acqua, persistenza in acqua). Va detto che rispetto all’Italia, la Toscana presenta proprie peculiarità produttive (vite soprattutto) che fanno prevalere l’uso dei fungicidi rispetto a insetticidi ed erbicidi.
L’indicatore elaborato può trovare un’utile applicazione ad esempio come supporto nella fase progettuale di pianificazione territoriale o settoriale finalizzata ad una maggiore tutela ambientale o come strumento di monitoraggio e di valutazione del risultato di strategie sostenibili in ambito agricolo.
A monte però sarebbe necessario disporre di dati aggiornati sull’impiego di fitofarmaci, che rimane purtroppo in Italia un problema irrisolto da anni. I dati di vendita SIAN sono disponibili con 2 anni di ritardo e sono sottostimati rispetto al quantitativo reale impiegato. Il registro dei trattamenti, previsto dalla normativa, rimane un foglio di carta nel cassetto dell’azienda e le informazioni contenute non circolano.
La carenza è nota da tempo a chi opera sul territorio, sarebbe migliorabile ad esempio attraverso l’informatizzazione dei registri di trattamento, ma questa esigenza sembra poco percepita a livello amministrativo centrale. L’informazione che si potrebbe ricavare dai registri di trattamento consentirebbe fra l’altro di ottimizzare e aggiornare prontamente i profili di analisi dei soggetti preposti, a vario titolo, al controllo o alla gestione delle risorse idriche.
Fonte: http://www.arpat.toscana.it/notizie/arpatnews/2015/
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