Il Decreto Legislativo relativo al Testo Unico Forestale approvato dal Consiglio dei Ministri il 1 dicembre 2017 è un assalto ai boschi italiani. Il documento che segue, inviato a tutti i politici, redatto dall'Associazione European Consumers, compartecipe della Rete Bioregionale Italiana, si prefigge l'obiettivo di supportare i destinatari nell'adeguata conoscenza delle criticità e delle gravi conseguenze del provvedimento emanato dal governo...
All'Onorevole Presidente della Repubblica
All'Onorevole Presidente del Consiglio
Agli Onorevoli Ministri Agli Onorevoli Parlamentari Deputati e Senatori
Agli Onorevoli Presidenti delle Commissioni e Sottocommissioni Parlamentari
Agli Illustrissimi Presidenti delle Regioni italiane
All'Illustrissima Associazione Nazionale dei Comuni Italiani – ANCI
Agli Illustrissimi Sindaci dei Comuni Italiani
OSSERVAZIONI NUOVA LEGGE FORESTALE
Questo documento si prefigge l'obiettivo di supportare i destinatari nell'adeguata conoscenza delle criticità e delle gravi conseguenze del provvedimento emanando.
Si sottolinea l'opportunità di
affrontare l'argomento sulla base di dati scientifici, senza
contrapposizioni ideologiche ispirate dalla campagna politica in
atto, in quanto proprio sulla base di informazioni e dati
disponibili, non risulta che in Italia vi sia una situazione di
emergenza tale da richiedere l'adozione di tale provvedimento, le cui
misure adottate risultano irragionevoli ad effetto permanente e dalle
gravissime ripercussioni ambientali e climatiche, oltre che non
economicamente sinergiche e produttive per il Paese.
E' necessario affrontare con
consapevolezza il tema, alquanto importante e di GRAVE impatto, così
come lo si legge nel Decreto legislativo che riguarda le
“Disposizioni
concernenti la revisione e l’armonizzazione della normativa
nazionale in materia di foreste e filiere forestali”,
in attuazione del “Collegato agricolo”, secondo la delega
ricevuta dal Parlamento nel settembre 2016.
La delega appare del tutto
disgiunta, nonostante i preamboli, da un contesto di protezione della
biodiversità, di percezione degli ecosistemi forestali come
fornitori di servizi ecosistemici e non soltanto di economia diretta.
Si tratta di un provvedimento
che rasenta l'incostituzionalità e che potrebbe arrecare gravi danni
ai boschi italiani sul piano ecologico, paesaggistico ed economico,
grazie alla visione miope di come dovrebbe essere impostato il
rilancio dell’occupazione nelle aree interne del Paese.
Non vi è sufficiente richiamo
alle convenzioni di protezione della biodiversità, delle specie
protette e in via di estinzione a livello regionale e nazionale, dei
suoli, della complessità strutturale.
La stessa direttiva 92/43/CEE
“Habitat” è appena citata rimandando a “piani di coordinamento
territoriali” e non alla protezione integrale del patrimonio
rappresentato in “toto” dalle specie e dagli habitat protetti
dalla Rete Natura 2000. Nemmeno vi sono riferimenti diretti alla
Direttiva
2009/147/CE Uccelli, alla Convenzione di Rio de Janeiro sulla
Diversità Biologica (CBD), alla Strategia Nazionale per la
Biodiversità. Le norme di protezione dovrebbero essere prioritarie
in particolare nella gestione della vegetazione forestale indigena
naturale e spontanea che dovrebbe essere favorita sempre, ovunque e
comunque. Il bosco non è riconosciuto nel suo valore naturale, ma
solo come potenziale patrimonio economico.
Il Decreto è sbilanciato verso
la promozione e sostegno delle attività produttive ed
imprenditoriali in campo forestale non disciplinate in relazione ai
loro potenziali impatti ecologici. Non vi è un indirizzo efficace
per orientare la gestione e le tecniche silvocolturali con
l’obiettivo di ridurre al minimo gli impatti ecologici e evitare il
danneggiamento dei servizi ecosistemici. Si ricorda che tagli rasi e
ceduazioni sono, insieme agli incendi, causa principale del degrado
degli ecosistemi forestali, favoriscono l’erosione, riducono la
diversità strutturale e la disponibilità di nicchie ecologiche per
le specie animali. Questa evidenza non è minimamente presa in
considerazione.
L’art. 2 (Finalità), al c. 1,
lett. c) spiega in modo esplicito che le finalità del decreto sono
finalizzate a: “promuovere e tutelare l'economia forestale,
l'economia montana e le rispettive filiere produttive nonché lo
sviluppo delle attività agro-silvo-pastorali attraverso la
protezione e il razionale utilizzo del suolo e il recupero produttivo
delle proprietà fondiarie frammentate e dei terreni incolti o
abbandonati, sostenendo lo sviluppo di forme di gestione associata
delle proprietà forestali pubbliche e private”.
Nel decreto manca un riferimento
alla zonizzazione del patrimonio forestale e a una distinzione tra
boschi da destinare alla produzione, boschi degradati, che devono
essere oggetto di restauro, e boschi che devono restare tal quali per
ragioni ecologiche, paesaggistiche, culturali per i quali non devono
essere previste operazioni di taglio se non in circostanze
eccezionali.
Il successivo art. 3 Sotto appare
totalmente in contrasto con sani principi scientifico-ecologici,
equiparando in una stessa definizione i terreni destinati (da
riflettere sul termine) a foresta che abbiano “superato il turno”
con i terreni agricoli in cui non è più stata esercitata attività.
Il c. 2, lett. g) definisce,
infatti, i terreni
abbandonati o incolti:
“fatto salvo quanto previsto dalle normative regionali vigenti, i
terreni destinati a foresta, nei quali i boschi cedui hanno superato,
senza interventi selvicolturali, almeno della metà il turno minimo
fissato dalle norme forestali regionali, ed i boschi d’alto fusto
in cui siano stati attuati interventi di sfollo o diradamento negli
ultimi 20 anni, nonché i terreni agricoli sui quali non sia stata
esercitata l’attività agricola da almeno 3 anni, in base ai
principi e alle definizioni di cui al regolamento (UE) n. 1307/2013
del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 dicembre 2013 e
relative disposizioni nazionali di attuazione, ad esclusione dei
terreni sottoposti ai vincoli di destinazione d'uso”.
I boschi naturali sono ecosistemi
spontanei che, in assenza di attività selvicolturali, evolvono in
modo autonomo aumentando i servizi ecosistemici associati (qualità
delle acque, conservazione del suolo e difesa dal dissesto, habitat
per la fauna selvatica). I terreni agricoli sono ambienti artificiali
che richiedono un apporto di energia per rimanere tali. Tale assurda
confusione sulla gestione del territorio e sulla biodiversità e le
funzioni degli ecosistemi può avere gravissime conseguenze oltre ad
essere indizio di scarsa conoscenza del concetto di “sostenibilità”
ed “ecocompatibilità” da parte degli estensori.
Il c. 2, alla lett. a) dell’art.
5 esclude dalla definizione di bosco anche “le formazioni di specie
arboree, associate o meno a quelle arbustive, originate da processi
naturali o artificiali e insediate su superfici di qualsiasi natura e
destinazione anche a seguito di abbandono colturale o di preesistenti
attività agrosilvopastorali riconosciute meritevoli di tutela e
ripristino dal piano paesaggistico regionale …”. Ignorando le
leggi a protezione di questi importantissimi ambiti ecotonali che
spesso innalzano, più che diminuire, il valore estetico di questi
per niente definiti “paesaggi storici”.
Neanche si rendono obbligatori
seri studi pedologici e geomorfologici per poter orientare
l’eventuale scelta tra “conservazione” e “gestione”, con
particolare riferimento allo stato del suolo e all’erosione. Con
l’approvazione di questa legge 147.568 ha di bosco (castagneto da
frutto, dati INFC) vengono addirittura declassati a “non bosco”
(art. 3 e 5) con la massima riduzione delle garanzie di eventuale
protezione.
In tutto il nuovo Codice
Forestale, nessun articolo fa riferimento ai boschi da proteggere
come tali, mentre ricorre costantemente il richiamo alla “gestione
attiva” oggetto principale dell’art. 6 (Programmazione e
pianificazione forestale).
La “gestione attiva” cui si
fa riferimento nel testo coincide con i tagli forestali senza
considerare azioni mirate alla naturale e libera evoluzione del bosco
verso forme complesse capaci di garantire la conservazione della
biodiversità e la massima efficienza dei servizi ecosistemici. Si
lascia, altresì, alle Regioni la possibilità di applicare la
“gestione attiva” anche nelle aree protette (art. 7).
La “gestione attiva” viene
percepita quale antidoto all’abbandono senza distinguere tra aree
di conservazione, esercizio delle attività selvicolturali, aree
degradate. Questa visione semplicistica può solo causare nuovi
guasti ambientali e aprire l’illogica supremazia dell’economia
sull’ecologia su temi così strettamente biosferici. Si mina la
conservazione del Capitale Naturale italiano, si ignorano le funzioni
delle foreste nella mitigazione dei cambiamenti climatici, lotta
all'effetto serra, stoccaggio del carbonio; difesa del suolo e delle
acque.
Il Decreto nella sua attuale
stesura contravviene agli obiettivi della Convenzione sulla
Biodiversità delle Nazioni Unite (1992)1.
Va a tal proposito segnalato che l’attuazione di programmi di
rewilding è auspicata dalla UE che, per altro, supporta tali azioni
con specifici finanziamenti della Banca Europea degli Investimenti
nell’ambito delle strategie comunitarie a sostegno del Capitale
Naturale2.
La mancata considerazione per gli aspetti positivi dell’abbandono
dal punto di vista della qualità ecologica e dei servizi
ecosistemici non è minimamente presa in considerazione dal decreto.
Altri punti rappresentano
addirittura una diretta aggressione al patrimonio paesaggistico in
spregio oltre che della Costituzione anche di convenzioni
internazionali.
Il comma 2 dell’art. 3
inserisce i castagneti da frutto nell’arboricoltura da legno
(impianti di legnose reversibili a turno breve). I castagneti si
caratterizzano per un lunghissimo ciclo di vita degli alberi e
rappresentano un paesaggio tradizionale unico e andrebbero trattati a
parte. Sempre secondo il comma 2, tutti boschi di neoformazione,
insediatisi su terreni ex-agricoli, siccome non rientrano nella
categoria dei boschi, potrebbero essere disboscati, nonostante il
loro grande valore nella creazione di reti ecologiche efficienti.
Nell’art. 4 i castagneti sono
assimilati al bosco e nel comma II dell’art. 3 rientrano quindi gli
impianti di castagno su terreni agrari in una logica di arboricoltura
da legno e non da frutto. Entrano a far parte di arboricoltura da
legno tartufaie e noccioleti (che non producono legna) che possono
anche essere “oggetto di ripristino colturale”.
Anche per il comma 1 l’Art. 5
“Aree escluse dalla definizione di bosco”
i castagneti da frutto
sono esclusi dal bosco per altro in contrasto con la classificazione
adottata dalla FAO per il “Forest Resources Assessment”3.
Questo faciliterà il cambio di destinazione d’uso, che adesso è
di difficile autorizzazione proprio perché il castagneto è
considerato bosco.
Il comma 8 dell’art. 7
stabilisce che le regioni e le province autonome, coerentemente con
quanto previsto dalla Strategia forestale dell'Unione europea,
possono promuovere sistemi di pagamento dei servizi ecosistemici
(PSE) generati dalle attività di gestione forestale sostenibile e
dall'assunzione di specifici impegni silvoambientali informando e
sostenendo i proprietari, i gestori e i beneficiari dei servizi nella
definizione, nel monitoraggio e nel controllo degli accordi
contrattuali.
Il comma 9 fissa i principi e
criteri generali nel cui rispetto deve avvenire. Ma nella presente
versione di Decreto legislativo l’interpretazione che emerge
propone l’avvio di sostegno economico a filiere produttive,
piuttosto che l’utilizzo di risorse pubbliche per azioni di tutela
e ripristino dell’ambiente nell’interesse della collettività
come previsto dalla Costituzione (articolo 117 lettera s). Un
corretto utilizzo dei PES dovrebbe comprendere anche il restauro
degli ecosistemi forestali e dei relativi servizi ecosistemici e
avviare forme di sostegno a presidio del territorio e delle
produzioni sostenibili locali.
Il comma 10 favorisce qualunque
tipo di utilizzazione forestale purché si abbia rinnovazione
ignorando gli stessi concetti scientifici alla base del principio di
sostenibilità delle attività antropiche del comparto forestale.
Secondo l’articolo 8 risulta
che un bosco naturale può essere eliminato purché sia “compensato”
con un’altra opera che non deve essere necessariamente vicina
fisicamente e potrebbe anche non essere un rimboschimento. La
compensazione potrebbe addirittura risolversi nel semplice versamento
di “una quota corrispondente all’importo presunto dell’intervento
compensativo previsto” in un fondo forestale regionale. Questo
articolo è studiato per ridurre, anziché aumentare, il patrimonio
forestale nazionale.
L'articolo 12 favorisce
addirittura gli interventi nei “terreni silenti”, ovvero non
gestiti, che dovrebbero essere invece lasciati ove possibile alla
libera evoluzione. Si offre opportunità a regioni e provincie di
affidare queste aree abbandonate a privati invece di abbandonarle
alla natura.
Manca nella legge una prospettiva
di indirizzo tecnico-scientifico per indirizzare la gestione
forestale verso forme ecosostenibili. Potrebbero essere addirittura
finanziate pratiche selvicolturali, come cedui e tagli rasi, che
causano il degrado degli ecosistemi forestali, dei suoli e della
biodiversità. Non vi è alcuna visione sinergica, olistica e
multidisciplinare, ma un orientamento verso interventi basati su una
logica antropocentrica del tutto disgiunta da una seria analisi
scientifica su basi ecologiche del tutto trascurata o comunque
demandata a interessi locali di Comuni e Regioni e spesso
transnazionali delle grandi multinazionali del legname e dei pellets.
La legge forestale del Piemonte: una perfetta applicazione delle nuove regole
All’avanguardia rispetto alla
nuova normativa nazionale la regione Piemonte ha già aggredito
violentemente la gestione sostenibile delle foreste riducendo del 50%
la superficie a bosco della regione. Con la legge regionale 12 agosto
2013 una serie di superfici boschive perdono lo status di bosco,
perdendo anche la tutela riservata ai boschi dai piani comunitari e
dai trattati sulla gestione sostenibile delle foreste e sul controllo
delle emissioni di anidride carbonica. Questa legge è perfettamente
in linea con le nuove direttive nazionali.
Secondo la legge regionale sono
stati esclusi dalla definizione di bosco "i terrazzamenti e i
nuclei abitativi abbandonati e rimboschiti da decenni, i
rimboschimenti eseguiti con i fondi della PAC (Politica Agricola
Comunitaria), le aree comprese nel paesaggio agrario e pastorale di
interesse storico".
La regione Piemonte ritiene
quindi disboscabili tutti i terrazzamenti naturalmente imboschiti,
anche se efficienti per stabilizzare versanti e proteggere il
territorio dall'azione erosiva dell'acqua. Si ritiene possibile
abbattere i boschi cresciuti nel corso di secoli, nelle aree
edificate e poi abbandonate, non definendo cosa diventeranno.
Manca una definizione per le
"aree comprese nel paesaggio agrario e pastorale di interesse
storico" e non esiste alcun censimento che stabilisca quali
siano queste aree. Addirittura sono esclusi dallo status di boschi le
aree rimboschite con i contributi europei della Politica Agricola
Comunitaria.
Anche se sono stati spesi i soldi
dei contribuenti per il rimboschimento di ampie aree, la regione
Piemonte ha deciso che sarà possibile tagliare liberamente i boschi
nati dalle azioni di rimboschimento.
L'azione della Regione Piemonte
mira a facilitare lo sfruttamento del territorio e delle risorse
naturali, a spese della salvaguardia di foreste e boschi facilitando
l'arricchimento di pochi a spese della collettività, che si deve
sobbarcare rischi idrogeologici e ambientali.
Conclusioni
Lo schema del decreto rivela il
vero intento che è quello di promuovere l'attività imprenditoriale
e valorizzare l'economia, invece di tutelare il patrimonio
ambientale.
Il Decreto esprime un’Italia
contraddittoria e trasversale rispetto alle diverse tematiche
politiche del paese, specie in tema di economia, bioeconomia,
ambiente, energia, clima e non delinea in alcun modo i veri criteri
innovativi di programmazione e pianificazione forestale, finendo per
garantire agli enti locali la massima libertà di scelta rispetto
alle strategie di gestione forestale, per necrofili interessi locali.
La normativa stigmatizza
negativamente l'Italia in uno scenario di contrasto e di lotta al
cambiamento
climatico che
passa anche attraverso la sfida di Rewilding, intesa a promuovere la
rinaturalizzazione e la fornitura di strumenti in questo senso, come
ad esempio gli interventi svolti per ricreare l’alveo naturale dei
fiumi in modo da contare su aree che supportano alluvioni naturali,
zone umide e selvagge che favoriscono la ricreazione di un ambiente
sparito, favorendo allo stesso tempo particolari forme di turismo a
contatto con la natura, come il birdwatching.
Il Paese ha assunto degli impegni
negli accordi internazionali, come il protocollo di Kyoto, la
Convenzione sulla Biodiversità, le stesse Strategie Nazionali, per
cessare il degrado ambientale e contrastare normative contro Natura,
secondo le indicazioni internazionali.
Di talché, si ritiene necessario
e non procrastinabile informare IMMEDIATAMENTE del contenuto del
Decreto tutti i cittadini, i comitati e le associazioni, con ogni
mezzo, affinché essi prendano coscienza delle criticità e dei
palesi vizi di incostituzionalità che il provvedimento rivela,
stante l'indifferibilità dell'approvazione nemmeno urgente che non
lascia il tempo al nuovo Governo di insediarsi dopo le elezioni
previste per il 4 marzo.
In attesa di riscontro scritto ex
L. 241/90.
Distinti saluti.
Roma il 22 febbraio 2018
Marco Tiberti
Responsabile Nazionale Agromafie
in Gruppi Ricerca Ecologica
Avv. Vittorio A. Marinelli
Presidente di European
Consumers
Dr. Pietro Massimiliano Bianco
Consulente di European Consumers
e Gruppi Ricerca Ecologica
1 Convenzione
sulla Biodiversità (Convention on Biological Diversity).
http://www.isprambiente.gov.it/it/temi/biodiversita/convenzioni-e-accordi-multilaterali/convenzione-sulla-biodiversita-convention-on-biological-diversity;
http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=LEGISSUM%3Al28102
2 Bank
On Nature: First loan agreement backed by Natural Capital Financing
Facility signed in Brussels.
http://europa.eu/rapid/press-release_MEMO-17-915_en.htm
3 Global
Forest Resources Assessments
http://www.fao.org/forest-resources-assessment/en/
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