Le campagne elettorali permettono anche di incontrare o reincontrare persone e temi che nel tempo si finisce, per le vicende della vita, col trascurare. A me è capitato di partecipare, ad inizio campagna, ad un incontro (molto informale e molto “umano”) tra persone a vario modo interessate alla salvaguardia bioregionale ed al rilancio della “agricoltura contadina”.
Nella nostra società ipertecnologica, industrializzata e mercificata ormai in ogni suo aspetto, parlare di “agricoltura contadina” può sorprendere. Ci sarà chi pensa sia un residuo del passato, o una situazione tipica dei paesi “sottosviluppati”; ci sarà chi pensa sia un vezzo da radical-chic. Sicuramente per molti è un qualcosa di folkloristico, di residuale, di testimoniale…
Anche le anime tradizionali della sinistra non hanno mai avuto un buon rapporto con questa idea della vita e della agricoltura: la tradizione socialista e comunista la ha sempre considerata un residuo precapitalista da eliminare per poter poi procedere anche nelle campagne al superamento del capitalismo; la tradizione ecologista la ha a volte mitizzata (rendendola di fatto una icona tanto graziosa quanto inutile), a volte sfruttata a fini di conservazione (nel senso più gretto del termine) della “natura”, trasformandola in un ghetto assai poco appetibile per i giovani, e ancora altre volte purtroppo la ha solo cavalcata a fini propagandistici.
Ciò ha impedito di valutarne sino in fondo le potenzialità. Particolarmente interessanti per chi vive in un’area densamente industrializzata ed inquinata, in una società sempre più disgregata e debole sotto il profilo della socialità.
L’agricoltura contadina infatti non è un relitto del passato, un misto di paganesimo e miseria. L’agricoltura contadina è un approccio con la vita e con la società profondamente diverso da quello legato al paradigma capitalista: è una forma di attività umana che dà primato al soddisfacimento diretto dei bisogni umani - nel pieno rispetto delle esigenze della biosfera; è una forma di produzione che cerca il miglior equilibrio ecologico dell’ambiente antropizzato, massimizzando non il profitto ma il prodotto netto. È, per dirla con un concetto semplice, una concezione dell’attività umana basata sulla sostenibilità e sulla durevolezza e non sulla rapina del presente.
Certo, se viene relegata ad un ruolo testimoniale, museale, non può che presentarsi o come strategia di sopravvivenza per soggetti marginalizzati, più o meno profondamente esclusi dalla “società civile”, o per altri versi come vezzo, passatempo e fornitore di prodotti di nicchia per ricchi (la versione “ecological chic” dello sfruttamento di classe). Occorre invece valorizzarne a fondo le potenzialità di salvaguardia, conservazione e sviluppo della biodiversità degli esseri e degli ambienti, nonché dell’ambiente culturale, facendone a tutti gli effetti parte piena della società.
L’agricoltura contadina è un approccio sapiente e rispettoso alla attività agricola, al territorio non urbanizzato (ma si potrebbe e dovrebbe applicare anche al territorio urbanizzato!), basato non sul mero mantenimento quanto sullo sviluppo dei saperi tradizionali, del corretto rapporto con i cicli biologici, geologici, ecologici in genere. È inoltre recupero e sviluppo di una socialità immediata che il mondo attuale sta perdendo. Per ottenere ciò, perché essa sia anche attrattiva per i giovani, occorre che il ruolo economico, sociale, culturale della agricoltura contadina sia fino in fondo riconosciuto, e che chi vi si dedica abbia fattualmente gli stessi diritti e l’accesso agli stessi servizi di qualunque altro cittadino.
Devo ammettere che pure se di formazione agraria avevo da qualche anno un po’ abbandonato lo studio di queste tematiche. Mi ha dunque fatto molto piacere, grazie all’invito degli amici di cui sopra, riprendere il filo di una analisi, che dovremo recuperare collettivamente. Perché l’approccio della agricoltura contadina possa uscire dalla dicotomia sopra delineata, e grazie a forme di sostegno, di valorizzazione, e soprattutto di interrelazione sociale, possa fornire il proprio contributo.
Da non sottovalutare anche sotto il profilo del “prodotto sociale” costituito da un mantenimento attivo del territorio (con prevenzione di molte calamità e conseguente riduzione dei costi di ripristino) e dalla disponibilità di prodotti più sani di quelli della agricoltura industriale, a costi sostenibili per la grande maggioranza.
Ecco perché personalmente, e credo con me tutto Potere al Popolo, assumo l’impegno di continuare ed approfondire il confronto con la Campagna per l’Agricoltura Contadina, a partire dal lavoro per giungere ad una legge quadro che ne definisca i contorni ed il ruolo, e le consenta di dare al Paese ed al mondo il contributo che è in grado di dare. Tutt’altro che marginale, oltretutto.
Mario Ori
Candidato al Senato di "Potere al Popolo" nel collegio uninominale n. 5 (Modena)
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