La presenza di microplastiche in acqua potabile pone la questione degli eventuali relativi rischi per la salute umana in rapporto all’esposizione.
L’Organizzazione mondiale della sanità a tal proposito ha pubblicato un primo resoconto, un tentativo di porre le basi di una ricerca indirizzata verso l’osservazione di acqua potabile imbottigliata e da rubinetto.
I rischi potenziali sono da imputare alle stesse microparticelle, ma anche a prodotti chimici come additivi e derivati dal degrado delle medesime ed infine a batteri che possono colonizzare i microframmenti strutturando il noto “biofilm”.
Le microplastiche sono ubiquitarie nell’ambiente e questo è un fatto certo. Com’è intuibile il rapporto OMS stima che ci siano una miriade di vie di trasporto in acqua dolce, di cui le più significative sono
- il deflusso superficiale,
- l’efflusso di acque di scarico in generale,
- il deposito atmosferico diretto.
Nell’acqua confezionata una piccola parte delle microplastiche proviene dal trattamento di purificazione stessa e dall’imbottigliamento.
Non è possibile per il momento descrivere danni alla salute da ingestione di microplastiche da acqua potabile, perché non esistono ancora studi effettuati sull’uomo, bensì solo pochi eseguiti su animali, ma ad una concentrazione molto alta e quindi poco sovrapponibili alla situazione umana.
Inoltre le microparticelle offrono all’adesione di germi un’area troppo piccola, per cui l’eventuale biofilm batterico risulta piuttosto scarso e quindi irrilevante rispetto, per esempio, alle eventuali infestazioni idriche da deiezioni umane e animali.
Le direzioni verso cui il report propone di volgere la ricerca sono fondamentalmente due:
- affinare il reperimento e la successiva rimozione di microplastiche dall’acqua potabile, usando tecniche che permettano la selezione di particelle sempre più piccole, nell’ordine del nanometro;
- incentivare gli studi che osservino le eventuali conseguenze sulla salute, quindi le malattie correlate ad ingestione di microplastiche bevendo acqua, sempre che ce ne siano.
Testo di Alessia Marcocci
(Fonte: Arpat)
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