Tutti gli studi sull’inquinamento dell’ambiente mettono tra le prime cause, dopo l’agricoltura industriale, le modalità del trasporto.
Parlando delle modalità del trasporto, è innegabile che il trasporto individuale che ha sostituito il trasporto collettivo, a partire dal dopoguerra, sia stato determinante per la produzione dell’inquinamento atmosferico.
Il prof Stefano Maggi, ordinario di storia contemporanea all’Università di Siena, presidente della Fondazione Cesare Pozzo, con un suo saggio, con accuratezza, esamina questo periodo e indica l’arrivo della utilitaria determinante per la svolta a favore della mobilità individuale.
“A metà anni 50 la diffusione di migliaia di veicoli spinsero a costruire sempre più strade e poi sempre più parcheggi, cambiando paesaggi e cambiando anche la percezione dello spazio pubblico, sempre più occupato dagli autoveicoli in sosta o in movimento. Nel periodo del miracolo economico si è verificato un cambiamento di prospettiva, passando dalla garanzia del servizio di trasporto collettivo alla realizzazione e manutenzione di infrastrutture, dove gli italiani possono muoversi e sostare sempre di più con i propri veicoli, accompagnato dal passaggio dal ferro del treno e del tram alla gomma degli autobus urbani e dei pullman extraurbani. La volontà tipica di eliminare tutto ciò che ostacolava i movimenti in auto ha portato allo squilibrio a favore del motore che è entrato come cosa normale nella mentalità comune, con la credenza di fondo che auto e moto fossero simboli di sviluppo e di benessere; quindi chi prendeva il mezzo pubblico era povero, mentre i ricchi andavano in macchina, sempre più grande e lussuosa quanto più erano ricchi. Un pensiero ancora oggi duro a morire, ma sbagliato, come ha scritto nel 2012 Gustavo Petro, Sindaco di Bogotà – Un paese è sviluppato non quando i poveri posseggono automobili, ma quando i ricchi usano mezzi pubblici e biciclette- “.
Accanto allo squilibrio della mobilità per i viaggiatori è iniziato anche lo squilibrio del servizio di mobilità merci che dall’essere prioritario su rotaia è passato ora in Italia a più del 90% su strada.
Da queste scelte è nato l’errore, che ora si cerca di correggere con la CURA DEL FERRO, che significa il recupero delle ferrovie stoltamente abbandonate o dismesse e dal tentativo di riportare su ferro il trasporto merci.
Sembra sia ormai compreso, da tutta la politica, anche in Italia, che il disastro ambientale sia stato determinato dalla scelta sbagliata di favorire la mobilità stradale rispetto la mobilità ferroviaria. Anche l’opinione pubblica ha ormai compreso l’importanza della difesa dell’ambiente. La scelta di favorire il trasporto pubblico è parte importante per farlo e non può più essere rinviata.
I piani nazionali compresi quelli finanziati dalla Unione europea dovrebbero essere redatti per favorire il ritorno alla mobilità su ferro. Naturalmente anche il piano italiano PNRR (piano nazionale di ripresa e resilienza), dovrebbe essere, quindi, redatto in osservanza di quanto stabilito in sede europea, soprattutto per il servizio merci.
Riteniamo che nel Lazio la priorità delle priorità sia il recupero della Orte Civitavecchia Capranica, parte mancante per il congiungimento dei Due Mari Tirreno e Adriatico, dato che si allaccia ad Orte alla ferrovia Ancona Falconara Terni Orte. La vera ed unica Ferrovia dei Due Mari è la Ancona-Orte-Civitavecchia. Tutti gli esponenti politici, la ritengono indispensabile per il riequilibrio del territorio, per il Centro Italia e per l’Italia intera.
Le recenti dichiarazioni pubbliche dell’importanza della Orte Civitavecchia, soprattutto per il trasporto merci e quindi viaggiatori e turistico, fatte anche nell’ultima riunione, indetta dal comitato assieme ad altre associazioni quali l’AICS Ambiente, l’Associazione europea dei ferrovieri, la Confesercenti e vari comitati, da parte del Presidente di Trenitalia Michele Meta, di consiglieri regionali del Lazio Antonello Aurigemma e Enrico Panunzi, dell’assessore ai Trasporti dell’Umbria Enrico Melasecche e in precedenti riunioni e convegni da parte dei politici di tutte le estrazioni, a partire dal Presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti e dal vice presidente Daniele Leodori, l’assessore ai trasporti della Regione Lazio Mauro Alessandri, Consiglieri regionali e di tanti studiosi del territorio fra cui professori universitari, il Presidente del Censis Giuseppe De Rita, la senatrice Anna Donati coordinatrice della Associazione Mobilità Dolce, fanno ben sperare perché sia intrapreso il percorso per la riapertura della linea.
L’Europa chiede di cambiare e tornare almeno per il trasporto merci al ferro. Per quanto riguarda la Orte Civitavecchia, dopo i tanti soldi spesi 220 miliardi di vecchie lire e altri 123 miliardi finalizzati al termine dei lavori, mai spesi, ma incamerati dalle FS, l’Unione Europea ha con atti concreti affermato la sua indispensabilità e priorità rispetto altre scelte. Infatti è già stato redatto un progetto di ripristino dalla ITALFERR, azienda partecipata FS, per il quale è stata anche fatta la conferenza dei servizi, cofinanziato con 1 milione di € dalla UE, 300 mila € dall’Interporto Centro Italia, 300 mila € dalla Autorità Portuale di Civitavecchia, 400 mila € dalla Regione Lazio. Quindi grazie al progetto approvato i lavori per la riapertura sono immediatamente cantierabili e la Regione Lazio ha più volte assicurato la volontà di procedere alla ripresa dei lavori per la riapertura, anche attraverso la sua inclusione nel PNRR.
Cosa pensare se per malaugurata sorte, dato che ancora si riscontrano assurde resistenze, non dovesse avvenire? chi e soprattutto per quale motivo potrebbe ancora avanzare fittizie difficoltà, quando da tutti è riconosciuta la priorità della scelta?
Chiediamo e ci attendiamo, quindi, che dalle parole si passi ad azioni concrete. Chiediamo e ci attendiamo l’avvio immediato dei lavori per riapertura della ferrovia dei DUE MARI al servizio merci, viaggiatori e turistico. Chiediamo e ci attendiamo dalle istituzioni risposte coerenti.
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