Prendo spunto dal recente articolo pubblicato su Casale News dal titolo "Il futuro del Monferrato fra i tagli agli enti locali e una 'maxiprovincia del vino' La manovra bis di Tremonti riaccende il dibattito sulle prospettive del territorio" per esprimere alcune semplici riflessioni.
Ovviamente è scattata subito la peculiarità italica dell'eccezione per salvarne qualcuna in extremis con interventi ad hoc in base alla potenza dell'interlocutore politico locale e della lobbying coinvolta.
Ma per noi casalesi riemerge l'occasione per valutare eventuali ripercussioni sulla nostra area e prospettive favorevoli, se lo saranno. Torna in auge ad esempio l'ipotesi di aggregarci con Vercelli, di cui si è discusso a lungo negli anni passati, grazie soprattutto all'impegno dell'Associazione Nuove Frontiere, mentre a livello politico locale si è trattato dell'ennesimo bluff mediatico ai fini elettorali con contorno di ostilità pregiudiziali.
Sugli aspetti storici e culturali che giustificherebbero una simile ipotesi aggregativa, ero già intervenuto in numerosi sedi e contesti, dimostrando che sarebbe certamente legittimo e giustificato ampiamente dalle vicende storiche e sociali, citandone copiosamente.
Qui aggiungo soltanto alcuni aspetti curiosi, analogie che possono essere sconosciute ai più. Ad esempio il fatto che Vercelli, esattamente come Casale era stata colpita a tradimento nel 1859 con la riforma amministrativa delle giurisdizioni territoriali (dall'alessandrino Ministro Rattazzi), infatti in quanto importante provincia, sperava addirittura in un ampliamento dei suoi confini, ed invece fu eliminata e declassata a capoluogo di circondario ed assorbita da Novara, città con la quale non aveva nulla da condividere, esattamente come Casale che fu assorbita da Alessandria, città da sempre rivale ed ostile.
E' legittimo sospettare la mano pesante di qualche potente personaggio molto influente politicamente, che abbia determinato questa scelta. I sospetti si posero su Quintino Sella, che dopo il conte Camillo Benso di Cavour fu il maggiore statista italiano dell'epoca ed essendo biellese favorì enormemente il suo territorio, che con i suoi interventi di sostegno divenne insediamento della maggiore industria tessile italiana.
Negli anni a venire intervenne per bloccare ogni tentativo dei vercellesi di ripristinare la provincia, infatti vi riuscirono solo nel 1927 in epoca fascista e proprio per motivi connessi al fascismo, per una rivalità pericolosa tra le due sedi fasciste di Vercelli e Novara, che fu risolta appunto con il ripristino della provincia di Vercelli per intercessione (pensate un po' il paradosso) di un casalese, Cesare Maria De Vecchi di Valcismon, potente gerarca fascista atipico in quanto non violento e scomodo per la sua filosofia pacifista, moderata e filo monarchica.
Per quanto riguarda Casale, invece, sappiamo tutti che l'intervento di declassazione e danneggiamento provenne dalla volontà dell'alessandrino Urbano Rattazzi, all'epoca Ministro dell'Interno, che potenziò enormemente la sua città di appartenenza fornendole una vasta giurisdizione territoriale a scapito di Casale e per tale motivo i casalesi riconoscenti gli hanno pure dedicato una statua in città ad imperitura memoria.
Per quanto riguarda le proposte avanzate recentemente dall'astigiano, non avrei nulla in contrario se i propositi fossero seri e non ci sarebbe neppure bisogno di sforzarsi molto per trovare giustificazioni storiche e culturali, considerando i forti legami con il Monferrato storico di quasi tutto l'astigiano.
Basti pensare che Giovanni II, il marchese Paleologo che governò lo stato di Monferrato dal 1338 al 1372 (successore di Teodoro I, capostipite della dinastia dei Paleologo di Monferrato, provenienti da Bisanzio) intendeva costituire ad Asti la capitale dello stato e vi insediò la corte per parecchi anni dopo la metà del XIV secolo. Per propositi seri intendo significare (e vale esattamente per entrambe le ipotesi aggregative, quindi anche per Vercelli) che Casale dovrebbe essere considerata co-capoluogo e non solo città facente parte della provincia, altrimenti cambierebbe ben poco in termini positivi, si sposterebbe solo il baricentro geografico e politico, ed i politici locali continuerebbero ad essere privi di autonomia, come lo sono ora, subordinati al capoluogo.
Forse l'unico beneficio deriverebbe dal fatto che gli astigiani, lo so per esperienza, sono più dinamici ed intraprendenti degli alessandrini, ma non è detto che riescano a contagiarci positivamente, nel lungo periodo potrebbe anche avvenire il contrario …
Se invece di consentire alle province di ristrutturarsi per superare i 300 mila abitanti, lo scopo di quest'ultimo raffazzonato intervento politico fosse quello di ripristinare le vecchie province di grandi dimensioni, allora torneremmo indietro di un secolo e mezzo, ma a questo punto non avrebbero più senso le regioni, che sono un'invenzione recente e che all'epoca di Urbano Rattazzi e Quintino Sella non esistevano e salvo qualche eccezione, non hanno alcuna giustificazione storica.
Per concludere, occorrerebbe che i nostri politici possedessero una maggiore cultura storica, sarebbe loro di grande utilità.
Claudio Martinotti Doria
Nell'immagine: Claudio Martinotti Doria in poltrona
L'ennesimo decreto, compilato in fretta e furia da Tremonti ed i suoi collaboratori, perché praticamente obbligati, forse anche sotto dettatura esterna, ha riportato nuovamente in auge il discorso sulle province, sull'evenienza di una loro parziale abrogazione, aggregazione, modifica, ampliamento, ecc.. Ovviamente è scattata subito la peculiarità italica dell'eccezione per salvarne qualcuna in extremis con interventi ad hoc in base alla potenza dell'interlocutore politico locale e della lobbying coinvolta.
Ma per noi casalesi riemerge l'occasione per valutare eventuali ripercussioni sulla nostra area e prospettive favorevoli, se lo saranno. Torna in auge ad esempio l'ipotesi di aggregarci con Vercelli, di cui si è discusso a lungo negli anni passati, grazie soprattutto all'impegno dell'Associazione Nuove Frontiere, mentre a livello politico locale si è trattato dell'ennesimo bluff mediatico ai fini elettorali con contorno di ostilità pregiudiziali.
Sugli aspetti storici e culturali che giustificherebbero una simile ipotesi aggregativa, ero già intervenuto in numerosi sedi e contesti, dimostrando che sarebbe certamente legittimo e giustificato ampiamente dalle vicende storiche e sociali, citandone copiosamente.
Qui aggiungo soltanto alcuni aspetti curiosi, analogie che possono essere sconosciute ai più. Ad esempio il fatto che Vercelli, esattamente come Casale era stata colpita a tradimento nel 1859 con la riforma amministrativa delle giurisdizioni territoriali (dall'alessandrino Ministro Rattazzi), infatti in quanto importante provincia, sperava addirittura in un ampliamento dei suoi confini, ed invece fu eliminata e declassata a capoluogo di circondario ed assorbita da Novara, città con la quale non aveva nulla da condividere, esattamente come Casale che fu assorbita da Alessandria, città da sempre rivale ed ostile.
E' legittimo sospettare la mano pesante di qualche potente personaggio molto influente politicamente, che abbia determinato questa scelta. I sospetti si posero su Quintino Sella, che dopo il conte Camillo Benso di Cavour fu il maggiore statista italiano dell'epoca ed essendo biellese favorì enormemente il suo territorio, che con i suoi interventi di sostegno divenne insediamento della maggiore industria tessile italiana.
Negli anni a venire intervenne per bloccare ogni tentativo dei vercellesi di ripristinare la provincia, infatti vi riuscirono solo nel 1927 in epoca fascista e proprio per motivi connessi al fascismo, per una rivalità pericolosa tra le due sedi fasciste di Vercelli e Novara, che fu risolta appunto con il ripristino della provincia di Vercelli per intercessione (pensate un po' il paradosso) di un casalese, Cesare Maria De Vecchi di Valcismon, potente gerarca fascista atipico in quanto non violento e scomodo per la sua filosofia pacifista, moderata e filo monarchica.
Per quanto riguarda Casale, invece, sappiamo tutti che l'intervento di declassazione e danneggiamento provenne dalla volontà dell'alessandrino Urbano Rattazzi, all'epoca Ministro dell'Interno, che potenziò enormemente la sua città di appartenenza fornendole una vasta giurisdizione territoriale a scapito di Casale e per tale motivo i casalesi riconoscenti gli hanno pure dedicato una statua in città ad imperitura memoria.
Per quanto riguarda le proposte avanzate recentemente dall'astigiano, non avrei nulla in contrario se i propositi fossero seri e non ci sarebbe neppure bisogno di sforzarsi molto per trovare giustificazioni storiche e culturali, considerando i forti legami con il Monferrato storico di quasi tutto l'astigiano.
Basti pensare che Giovanni II, il marchese Paleologo che governò lo stato di Monferrato dal 1338 al 1372 (successore di Teodoro I, capostipite della dinastia dei Paleologo di Monferrato, provenienti da Bisanzio) intendeva costituire ad Asti la capitale dello stato e vi insediò la corte per parecchi anni dopo la metà del XIV secolo. Per propositi seri intendo significare (e vale esattamente per entrambe le ipotesi aggregative, quindi anche per Vercelli) che Casale dovrebbe essere considerata co-capoluogo e non solo città facente parte della provincia, altrimenti cambierebbe ben poco in termini positivi, si sposterebbe solo il baricentro geografico e politico, ed i politici locali continuerebbero ad essere privi di autonomia, come lo sono ora, subordinati al capoluogo.
Forse l'unico beneficio deriverebbe dal fatto che gli astigiani, lo so per esperienza, sono più dinamici ed intraprendenti degli alessandrini, ma non è detto che riescano a contagiarci positivamente, nel lungo periodo potrebbe anche avvenire il contrario …
Se invece di consentire alle province di ristrutturarsi per superare i 300 mila abitanti, lo scopo di quest'ultimo raffazzonato intervento politico fosse quello di ripristinare le vecchie province di grandi dimensioni, allora torneremmo indietro di un secolo e mezzo, ma a questo punto non avrebbero più senso le regioni, che sono un'invenzione recente e che all'epoca di Urbano Rattazzi e Quintino Sella non esistevano e salvo qualche eccezione, non hanno alcuna giustificazione storica.
Per concludere, occorrerebbe che i nostri politici possedessero una maggiore cultura storica, sarebbe loro di grande utilità.
Claudio Martinotti Doria
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