martedì 24 gennaio 2012

Arrendersi a se stessi.. l'unica via nella Spiritualità Laica



Più volte ho parlato della Spiritualità Laica come di una via in cui non possono esserci dogmi o indicazioni religiose.

Questa è la via in cui non si segue alcuna via. Il percorso è completamente assente, nella spiritualità laica ciò che conta è la semplice presenza di se stessi in se stessi  e questo non può essere un percorso ma una semplice attenzione allo stato in cui si è.

La coscienza è consapevole della coscienza. In un certo senso quel che viene “richiesto” per essere centrati nel proprio Spirito è la stessa cosa chiamata “abbandonarsi a Dio” nella via devozionale o “indagine discriminante” nella ricerca dell’auto-conoscenza. Ed è normale che sia così poiché la spiritualità laica non può essere nulla di nuovo ma solo un “modo descrittivo” di un qualcosa che c’è già, infatti se quel qualcosa non ci fosse già che senso avrebbe esserne “consapevoli”?

Perciò Spiritualità Laica e Consapevolezza sono la stessa identica cosa. Ma noi sappiamo che la  consapevolezza di sé è purtroppo spesso macchiata da immagini sovrimposte, create dalla nostra mente, queste immagini sono ciò che noi abbiamo immaginato possa essere la spiritualità ed il nostro Essere. Magari come abbiamo sentito  definire noi stessi e lo spirito nella religione in cui siamo stati educati, oppure nel sistema morale in cui crediamo, oppure nel metodo da noi adottato per il controllo della mente, etc.. Tutte queste sovrimposizioni alla consapevolezza sono come “il credere nella realtà del serpente” (nell’esempio di Shankaracharia in cui il serpente è visto come tale finchè non subentra la conoscenza che si tratta di una corda arrotolata), oppure il conformarsi alle regole dei testi sacri, alle norme etiche, all’intelligenza raziocinante, alle giustificazioni scientifiche e dir si voglia.

Per fortuna la spiritualità laica non può conformarsi a nessuna di queste cose, altrimenti non sarebbe laica. Accettare se stessi come qualcosa di completamente insondabile ed inconoscibile, non conformabile ad alcun assioma di derivazione intellettuale o religiosa, significa restare sospesi nel vuoto essendo vuoto.

Impossibile poter scorgere i confini del proprio essere... impossibile rendere il nostro Sè un oggetto di conoscenza.  Questa impossibilità di identificazione in qualsiasi forma strutturale (di pensiero e non) è contemporaneamente anche la “forza” della laicità spirituale. Non vi sono porti sicuri di approdo, non vi è barca, non c’è un mare, nessuno e nulla da ricercare… solo la corrente della vita, della coscienza, solo il senso di essere presenti.

In questa mancanza di condizioni è possibile sentire il nostro io arrendersi, la nostra mente sciogliersi, scoprendo così il centro che non è un centro perché è tutto ciò che è.

Questa, mi sembra, è anche l’esperienza descritta nella storia buddista dell’incontro di Mahakashyapa con il Buddha. Avvenne che Mahakashyapa si avvicinasse al Buddha e da questi semplicemente fu toccato, nulla di più, nessuna istruzione, nessuno sguardo, un banale tocco forse inavvertito, uno struscio leggero come può avvenire fra due persone che si incontrano.

Eppure in quel momento preciso Mahakashyapa divenne consapevole di se stesso, della sua perenne presenza in se stesso, al contatto di tale meraviglia si mise semplicemente a danzare. Come farebbe un ubriaco od un matto. Infatti anche un matto è solo cosciente della sua realtà, ignorando quella del mondo, ma nel matto esiste ancora contingenza e speculazione, il mondo per lui è “diverso” non è come gli altri lo percepiscono ma il “suo mondo personale” come lui lo immagina continua ad esistere….

E questa è la differenza interiore fra un “matto” e Mahakashyapa.

Dal punto di vista dell’osservatore esterno –però- la considerazione può essere la stessa. E così apparve anche agli occhi di Ananda, il fedele discepolo del Buddha. Ananda si lamentò con il Buddha dicendogli: “Cos’è questo? Forse è un pazzo, forse ha avuto una profonda esperienza, ma è la prima volta che egli ti vede, com’è possibile che sia stato così colpito? Io son vissuto per quaranta anni assieme a te ed ho toccato i tuoi piedi con devozione innumerevoli volte, eppure nulla di tutto ciò mi è mai accaduto..”.

Il Buddha non rispose, non poteva rispondere alla domanda di Ananda perché Ananda era il suo stesso ostacolo al raggiungimento della Consapevolezza.

Il fatto è che Ananda era il fratello maggiore del Buddha e quando si presentò a lui per essere iniziato gli chiese: “Io sono tuo fratello maggiore, prima di accettare di divenire tuo discepolo ti chiedo un favore, poiché dopo non potrei più farlo, ti chiedo di poter stare sempre alla tua presenza, di poter dormire nella tua stessa stanza e di poter introdurti qualsiasi persona in qualsiasi momento senza che tu possa dire –ora non è il momento per me di parlare con questa persona- promettimi questo prima di accettarmi come seguace”.

Il Buddha acconsentì e questo fu il costante impedimento di Ananda a raggiungere la Consapevolezza, evidentemente era il suo destino, ed infatti si realizzò solo dopo che il Buddha lasciò il corpo.

In verità Ananda avrebbe potuto in ogni momento rinunciare alle sue pre-condizioni, avrebbe potuto essere leggero e fuori da ogni “contesto” come lo era stato Mahakashyapa ma la cosa non fu possibile ed è giusto che sia così poiché in tal modo poté svolgere il suo destino in modo esemplare, come avviene ad ognuno di noi.

A dire il vero non è necessario che ognuno di noi si uniformi ad un modello o si conformi ad un ipotetico ideale, non è questo lo scopo della spiritualità laica, bensì quello di lasciarsi andare ed essere qualsiasi cosa si è senza porre condizioni di sorta, basta essere ciò che siamo coscientemente e amorevolmente.

Ho scritto questa storia pensando ad un discorso da me fatto con un'amica  al proposito del “cosa fare” per essere se stessi…

Possiamo pensare di “fare” un qualcosa se fosse possibile per noi modificare in ogni caso quel che noi siamo, ma è possibile ciò?

Possiamo noi cambiare noi stessi?

Apparentemente possiamo modificare, attraverso il nostro accondiscendere alle naturali pulsioni interne, quelle che sono le forme esteriori del nostro manifestarci ma come possiamo cambiare la realtà intrinseca della coscienza che sempre e comunque siamo?

Per questo nella spiritualità laica è futile ogni tentativo di seguire una morale o di sentirsi in colpa per l’ipotetica immoralità…

In tal senso la spiritualità laica e l'amoralità (totale assenza di morale e del suo opposto) sono la stessa cosa.

Paolo D’Arpini

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