martedì 25 aprile 2017

La Dea Madre, le sibille ed il culto della natura nelle Marche


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Parlare della Dea Madre senza contestualizzarla significa non legare alla propria vita, alle proprie origini tutto quello che il concetto del femminino sacro può significare. Parliamo di Culti Egizi, Siberiano, Anatolici, parliamo di erbe, di divinazione, di energie, con faticosi percorsi che spesso vengono da lontano o non ci “risuonano” dentro perfettamente. Ecco perché ritrovare la nostra dea madre è importante, dopo secoli di cancellazione e di spinta al maschile, al patriarcato, che ha voluto combattere la sensibilità femminile di fatto devastando la dignità delle donne, e abbrutendo la civiltà. In realtà non possiamo dire che ci sia stata un’era piena di pace e di amore, non possiamo al momento sapere come vivevano i nostri antenati più remoti; sicuramente ci sarà stata un’era dove l’organizzazione era diversa, con regole diverse, che per un tempo funzionarono.

Cercherò di riportare il pensiero  in un passato dove non c’era la tv a condizionarci, e le regole erano dettate dalle stagioni e da chi si occupava dei culti religiosi.

Vicino la bella Visso (dove nel palazzo del comune troneggiava un affresco che ritraeva la sibilla picena), c'è lo splendido santuario di Macereto, datato 1300.

Interessante é il portale dove possiamo ammirare dei bassorilievi particolari: vediamo degli uomini abbigliati e un ominide svestito dall'aspetto rozzo, primitivo che si recano al cospetto di una donna riccamente vestita. Le portano dei doni. Il rozzo non può essere una scimmia, più probabile rappresentasse una fascia di popolazione dedita a vita rude, ignorante, che si rivolge a questa donna per...? Cure mediche, consulti di che tipo? Se é un pastore o un contadino cosa può volere, auspicio sul raccolto, un problema di salute, una richiesta di aiuto per qualche motivo, oppure... sapere quali sono i confini del territorio dove portare al pascoli e terreni da coltivare.


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Molte sono le leggende sulle sibille, ma escluse queste rappresentazioni di Macereto e dipinti più recenti, non ci giungono tramandate immagini e informazioni precise di come fosse e come vivesse. Anche le storie della sibilla di Antoine de la Sale, Andrea da Barberino, il Tannhauser di Wagner, che si ispirano a leggende locali, sono come vedere la sibilla riflessa allo specchio, ma non vediamo chi c’è di fronte allo specchio. Emergenze archeologiche significative non ci sono state finora perché come sappiamo da sempre i ritrovamenti sono finiti nelle collezioni private o una volta asportati manufatti dai contadini, la tomba veniva sistematicamente occultata o distrutta. Troviamo gli anelli di cupra usati come battiporta, spade usate come scannagalline, sarcofagi come abbeveratoi maiali o depositi di mangime.  Nei casi in cui i reperti sono stati recuperati e portati nei musei, spesso sono stati catalogati male, e con la guerra spesso dispersi.  Ma questa volta siamo stati più fortunati: una frana ha coperto con qualche metro di terra e protetto per secoli una necropoli particolare, del VI secolo prima di cristo: a Montedinove. Una serie di tombe nel fianco di una collina, tutte donne e tutte bardate allo stesso modo, riccamente, tipo madonne in processione, tutte con una punta di lancia conficcate vicino alla tempia destra. L’ipotesi formulata dagli archeologici è che fossero donne provenienti da un borgo vicino per maritarsi, e per questo sepolte tutte insieme, ma non è verosimile: più logico ed elementare supporre che fossero appartenenti ad una casta di sacerdotesse, molto importanti, molto venerate e intoccabili: le Sibille. Su una tomba sopra alla donna c'era sepolto un uomo. Gli ornamenti dell’uomo sono molti simili a quelli del Guerriero di Capestrano, il cui aspetto suggerisce essere un eunuco, sacerdote di alto rango custode della Sibilla per conto della quale effettuava i sacrifici, a scopo divinatorio e propiziatorio.

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Al tempo di Roma e fino al medioevo, queste figure ancora dovettero esistere, ancora con grande potere, se a Macereto le ritraggono sul portale, come ad ammettere questa venerazione, tollerata sì, ma controllata, tenuta d’occhio dalla chiesa. Qui nel Piceno vigeva la legge salica, la proprietà terriera ereditaria che neanche i romani si permettevano di infrangere, e le Sibille erano non solo custodi della divinità dea madre (culto di Cibele?) e di varie arti come la conoscenza delle erbe e i loro usi, forse la cosmologia, ma il più significativo ruolo di potere lo avevano grazie alla conoscenza della geometria, la geodesia: tracciare i confini dei terreni, delle proprietà. Cosa che la chiesa non poteva sopportare e nel tempo riuscì a sopraffare e distruggere per potersi appropriare di tutto. Nel tempo il culto si era comunque modificato, troviamo nel II secolo che gli arcigalli, gli alti sacerdoti della dea Cibele, sono eunuchi vestiti da donna, con addosso esattamente gli stessi paramenti che in passato erano riservati alla Sarcedotessa Sibilla. E comunque anche oggi possiamo capire come sia possibile perdere e dimenticare millenari culti e tradizioni: anche per esempio la conoscenza delle erbe, comune a tutti, si è persa nel giro di una – due generazioni: per quanto ne parliamo, quanti di noi sono capaci di fare un orto o estrarre un oleolito da un’erba spontanea? Quante delle nostre chiese, centinaia, di cui non si sa più neanche dove siano le chiavi, nascondono, oltre a tesori d’arte, culti più o meno misterici nelle fondamenta? Ecco come negli anni, nei secoli, basta una pestilenza, un cambiamento politico, una calamità naturale, una invasione di barbari, e si dimenticano le divinità, il significato dei simboli, i riti, ma resta il mito, la leggenda, che arrivano fino a noi.

Simonetta Borgiani
















Intervento alla Tavola Rotonda su La Civiltà della Dea - Treia, Circolo vegetariano VV.TT.,  25 aprile 2017


(P.S. Le teorie e informazioni narrate sono frutto delle ricerche di Giovanni Rocchi, Medardo Arduino e Simonetta Torresi)

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