giovedì 6 aprile 2017

Treia. Festa dei Precursori 2107 - "L'Accademia Georgica e lo sviluppo dell'agricoltura bioregionale" - Intervento del prof. Alberto Meriggi del 23 aprile 2017


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"Il cibo dei nostri padri è il cibo giusto anche per i nostri figli" (P.D'A.)

Ringrazio l’amico Paolo per l’invito. È bene che si sappia che intervengo a questo dibattito sull'alimentazione bioregionale, organizzato  al Circolo vegetariano di Treia, perché non si può dire di no ad un caro amico, pur nella consapevolezza di non avere una specifica  competenza nella materia di cui si sta trattando. Al riguardo avrei potuto parlare solo dei miei ricordi di vita contadina fino a quasi trent’anni, nella quale le erbe erano le regine della produzione spontanea del campo, della coltivazione dell’orto e dell’alimentazione umana e animale, di tante famiglie come la mia in queste zone. Ma su questo sono stati scritti, anche di recente, molti libri e non mi addentro nella questione.

Paolo mi chiede sempre di fare il mio mestiere, cioè lo storico, e dunque di trovare riscontri nel passato di Treia e del circondario riguardanti il tema che aleggia più di ogni altro nell’incontro che si sta svolgendo: oggi il tema riguarda le erbe e il loro uso e valore.

Per storicizzare l’argomento ritorno alle mie ricerche svolte nel tempo nell’Archivio della nostra più importante istituzione culturale, l’Accademia Georgica, e vado a rispolverare qualche importante documento. L’Accademia Georgica di Treia, come più volte ho ricordato anche in questa sede, tra la fine del Settecento e i primi dell’Ottocento, si occupò soprattutto di agricoltura e si adoperò per migliorarla attraverso la sperimentazione di nuove tecniche di coltivazione e anche di prodotti non conosciuti nelle Marche. L’impegno principale venne dedicato all’importazione e alla sperimentazione di nuove colture, soprattutto erbacee e cerealicole.

Questi tentativi e obiettivi nascevano dalla consapevolezza che solo aiutando la natura si poteva aumentare la produzione di ciò che la terra offriva con conseguente miglioramento del tenore di vita delle popolazioni. Era la teoria fisiocratica che circolava nell’Europa del tempo e che la nostra Accademia abbracciò.

Dico subito che le sperimentazioni e gli studi teorici degli accademici venivano pubblicati in una rivista, il “Giornale di Arti e Commercio” la cui divulgazione rese famosa l’Accademia Georgica in tutta Europa.

Gli studi teorici degli accademici erano affiancati da accurati esperimenti condotti nei poderi dei soci o nell’Orto Botanico dell’Accademia. Sarebbe troppo lungo elencare tutte le sperimentazioni fatte dagli accademici per tentare di migliorare la produzione agricola e le condizioni di vita nelle campagne. Ricordo soltanto quelle esperienze agrarie legate alle erbe, o meglio alle erbacee, i cui risultati segnarono una importante svolta nel settore agricolo. Voglio prima, però, sottolineare che gli accademici, consapevoli che il prodotto dei campi non dipendeva solo dal sapiente lavoro dell’uomo ma anche dalle condizioni climatiche, iniziarono nel 1799 osservazioni meteorologiche sistematiche allo scopo di conoscere meglio gli effetti delle condizioni atmosferiche sulle colture e sull’uomo.

Più tardi, nei primi anni dell’Ottocento, l’Accademia importò dal Meridione d’Italia una foraggera, nuova per le Marche, la sulla, e la diffuse nella zona determinando in poco tempo la valorizzazione agricola delle immense distese di terreno argilloso le quali, fino ad allora coltivate col vecchio sistema del maggese o per lo più lasciate incolte, trovarono nella nuova foraggera la pianta adatta alla locale rotazione, dando così anche un notevole impulso alla produzione zootecnica. La rivoluzione apportata dalla sulla nelle Marche trova la sua dimostrazione indiretta nello stesso Catasto perché, mentre nel Gregoriano (1816) i terreni argillosi presentavano un estimo bassissimo, le stesse terre hanno poi dato una produzione più alta, ben riscontrabile nel nuovo Catasto (1870) in cui l’estimo subì una spiccata inversione.

Analoga attenzione l’Accademia rivolse verso altre foraggere come l’erba medica, la lupinella, il lojetto e la verza alta o “Gran cavolo di Aniou”, e la rapa da foraggio. L’attività dell’Accademia è stata, quindi, particolarmente significativa nella diffusione della coltivazione delle foraggere, che sono poi diventate colture usuali nella zona. Le foraggere non erano conosciute né dai contadini locale né tantomeno dai proprietari dei fondi, in quanto esigenze di mercato e il fabbisogno alimentare imponevano nelle campagne la monocoltura granaria la quale, però, causava l’esaurimento della fertilità naturale dei terreni, rendendo indispensabile lasciare i campi inutilizzati nel lasso di tempo necessario al recupero della fertilità. Con i foraggi, invece, si evitava di lasciare incolti i terreni rendendo più celere il recupero della fertilità e, nel medesimo tempo, si otteneva un abbondante nutrimento per il bestiame.

Come operavano gli accademici? Scambiavano esperienze e consigli con colleghi e agronomi d’Italia e d’Europa, ma soprattutto scambiavano semi di nuove piante qui sconosciute. Ad esempio un contributo di fondamentale importanza che si deve all’Accademia treiese è l’introduzione della patata nelle campagne marchigiane. L’accademico più attivo qui a Treia, Fortunato Benigni, esaltando il valore nutritivo delle patate e della loro farina, adatta anche a fare il pane, scrisse: “Tolga Dio che questa nostra provincia debbasi mai trovare nelle lacrimevoli circostanze di soggiacere ad una carestia, come è avvenuto altre volte. Vedrebbesi allora chiaramente di qual vantaggio sia la coltura e moltiplicazione di una pianta così benefica”.

Ora solo qualche altro rapido cenno a quella intensa attività di rinnovamento. Ricordo gli studi “sulla coltivazione della canapa affatto negletta nel territorio di Treia da cui esce una strabocchevole somma di denaro che impiegasi per comprarla dai forestieri”. Per la coltivazione della canapa vennero fatti degli esperimenti lungo il Potenza e specialmente si sperimentarono nuove tecniche di macerazione.

Gli accademici di Treia si occuparono spesso e a lungo dei problemi relativi alla produzione dell’olio d’oliva cercando da un lato di migliorare il metodo di estrazione e dall’altro di ricavare olio da fonti alternative, come i granelli d’uva, i semi di rapa, quelli di lino e quelli delle “perelle delle fratte” o sanguigno. In questo campo l’Accademia treiese ottenne ottimi risultati, tanto che l’iniziativa, da semplice sperimentazione, divenne una vera e propria attività commerciale. Il pontefice Pio VI, con chirografo del 14 dicembre 1782, concesse per 18 anni una “privativa per la macinazione dei vinaccioli e semi di lino” Insomma, una esclusiva per quella produzione. Gli accademici si impegnarono a far costruire una macchina apposita per tali operazioni.

I risultati ottenuti nella sperimentazione dell’estrazione dell’olio dai semi, specialmente dai vinaccioli, recarono grande fama all’Accademia in tutta Europa. È riconosciuto dagli addetti ai lavori che l’estrazione posteriore di altri oli dai semi di altre piante ha tratto origine dall’iniziativa treiese. Si sperimentò anche l’estrazione di olio dai semi di girasole e di rapa.

A proposito delle rape vi leggo il titolo di una memoria relativa ad una sperimentazione del 1783: “L’istruzione del coltivare il seme di rapa col doppio oggetto di cavar l’olio dal seme e di impiegare le rape della diradatura in parte per alimentare gli uomini e in parte per ingrassare i bestiami, particolarmente i buoi vecchi scartati dall’aratro, tanto nelle campagne dell’agro romano quanto nei campi e nei poderi delle Marche”.

Mi piace sottolineare anche l’estrazione dell’olio dai semi di lino che cadde in un periodo, il 1793/94, in cui il prezzo dell’olio d’oliva divenne altissimo. Molto interessante e utile fu pure l’estrazione di olio dalle “perelle delle fratte”, il sanguigno, dal corniolo. Era un olio che si prestava ottimamente per l’illuminazione. Curioso l’esperimento che si fece per quantificare la durata dell’accensione dei lumi con i vari oli. Olio di oliva 4 ore e 38 m; olio di ricino, che pure veniva estratto dai semi di Kerva, 6 ore e 3 m; olio di semi di rapa 6 ore e 31 m; olio di vinaccioli 7 ore e 57 m; olio di sanguigno 8 ore e 1 m.

A proposito dell’olio di sanguigno si legge in un documento: “Et il lume dell’olio di sanguigno è stato il più chiaro di tutti gli altri e più bello del lume di cera”.

Potrei ancora dilungarmi nell’elencare altre interessanti sperimentazioni, ricordo solo il tentativo di coltivare il grano saraceno “da cui si può ricavar farina per far polenta, o mescolata ad altre farine di cereali, per la preparazione di pane, focacce o altro”. Si fecero tentativi per migliorare la produzione di lino, canapa e del moro-gelso e sul miglior modo di coltivare il baco filugello.

Questi ultimi esperimenti andarono a buon fine tanto che il territorio di Treia si riempì di gelsi e di allevamenti di bachi e nell’Ottocento e primi Novecento le industrie più importanti in città erano le filande Ciceri, con annesso laboratorio bacologico, che producevano tessuti soprattutto di seta.

Come vedete non ho parlato né di cicoria, né di insalata, né di agli e cipolle e simili. Erano questi prodotti della terra, spontanei o coltivati in abbondanza e, ovviamente da sempre molto consumati. Gli accademici non li trascurarono, anzi cercarono di migliorare la loro produzione, evitando con nuovi accorgimenti il dilavamento delle acque e proteggendo gli orti e i poderi studiando nuovi tipi di siepi fruttifere da installare intorno alle piccole coltivazioni. Furono anche dei pionieri e dei precursori dei nostri tempi in materia di ecologia e ambiente, perché propugnavano una via biologica nella difesa delle coltivazioni. Studiarono e individuarono insetti utili all’uomo e alle piante, ma capaci di distruggere insetti nocivi, ciò per evitare l’uso di veleni. Nel 1794 l’Accademia, grazie ai suoi ottimi esperimenti in questo campo, fu chiamata a Roma per presentare i suoi studi sul modo migliore per distruggere le cavallette che infestavano il territorio di Viterbo.

Alberto Meriggi - almeriggi@alice.it


          Alberto Meriggi e Paolo D'Arpini davanti all'Accademia Georgica di Treia



Festa dei Precursori. Treia, 23 aprile 2017, traccia dell'intervento del Prof. Alberto Meriggi alla tavola rotonda su  "Agricoltura bioregionale"  



1 commento:

  1. “...un ottimo intervento, questo di Alberto Meriggi, in cui è menzionata anche la coltivazione della canapa, per la quale stiamo portando avanti una specifica campagna di rivalutazione. Il testo mantiene il profumo e la freschezza di un fiore. Direi che anche la contestualizzazione è parte di una comunicazione “diretta” che conserva però l'integrità della materia trattata  e la gradevolezza di una informazione recepibile da chiunque...” (P.D'A.)

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