Nella comunità scientifica si fa sempre più chiaro come la crisi climatica rischi di raggiungere un punto di non ritorno (‘tipping point’). Putroppo, scienziati ed economisti legati a chi detiene le leve dell’economia, della politica e dei media egemonizzano la ricerca e diffondono visioni tecno-ottimiste. Non sarà però una nuova tecnologia miracolosa a scongiurare il disastro ecologico, ma la saldatura tra prospettiva anticapitalista, classe lavoratrice e movimento ecologista. Un contributo di Matteo Cini, ricercatore in fisica dei cambiamenti climatici.
I “social tipping points” rappresentano uno sviluppo della ricerca sui “tipping points climatologici”, o “tipping points” (“punti di non ritorno”) propriamente detti. Riprendiamo per punti essenziali il tema dei tipping points climatologici e vediamo di capire meglio questo concetto: i cambiamenti climatici non sono un processo di riscaldamento lineare e omogeneo condito da un aumento della frequenza e portata di eventi estremi (alluvioni, ondate di calore ecc ecc …). Questa visione è vera solo in prima approssimazione. Infatti, i cambiamenti climatici non sono fenomeni del tutto omogenei, basti pensare al fatto che l’anomalia termica registrata è diversa in diverse aree geografiche.
Ma soprattutto, per quello che riguarda i tipping points, non sono fenomeni lineari, progressivi. Esistono infatti fenomeni di carattere repentino, che avvengono su scale temporali piccole rispetto alle scale temporali tipiche, e si caratterizzano per essere fenomeni di fatto irreversibili.
Sono stati evidenziati almeno 9 sistemi climatologici (Tipping elements) che per effetto dei cambiamenti climatici potrebbero subire questo cambiamento brusco ed irreversibile (Tipping Point, TP). Tra questi c’è la perdita della foresta amazzonica, lo scioglimento della calotta glaciale della Groenlandia, cambiamenti strutturali nei cicli monsonici.
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