mercoledì 10 gennaio 2024

Gli alberi in città aiutano chi ci vive...



Gli alberi non minacciano la nostra “sicurezza” o, comunque, non la minacciano più di tanti altri eventi e tante altre situazioni che viviamo più o meno consapevolmente. Nel tempo dell’emergenza climatica è evidente come con venti superiori agli 80/90 km/ora ci sia il rischio che possa cadere non solo un albero, ma che possa cadere qualsiasi piccola o grande infrastruttura umana (tende, camini, lamiere, tegole, impalcature, verande, oggetti, vasi, grondaie, ecc,): il problema non sono gli alberi ma il vento forte, uno degli effetti più frequenti e potenti dei cambiamenti climatici. L’emergenza climatica ci mette davanti a due situazioni opposte: da un lato gli “eventi meteorologici estremi” e l’innalzamento della temperatura, dall’altro, in contesti urbani, l’altrettanto estremo bisogno dei “servizi ecosistemici del suolo verde e degli alberi”, questi ultimi, più longevi e stabili se rispettati e amati. In questa precaria situazione ambientale non può non prevalere il bisogno di suolo naturale (decentificato), permeabile e di alberi, tanti alberi, di arbusti, di siepi, che, come tanti piccoli tasselli di una grande “infrastruttura verde”, siano in grado di fornire enormi benefici per “sopravvivere in salute” ai cambiamenti climatici: assorbire grandi quantità di polveri sottili e CO2, raffreddare l’aria e fornire ombra d’estate mitigando le “ondate di calore”, assorbire con le radici l’acqua meteorica, custodire paesaggio, storia e identità secolari delle “umanità urbanizzate”.

Per tali ragioni sul “bisogno di sicurezza” dobbiamo “capovolgere” la nostra “visione”: un albero va lasciato in pace. Un albero, se malato, sarà meno vulnerabile se lo si fa potare da personale esperto, se non lo si fa oggetto di barbare “capitozzature” (tagliando tutte le sue braccia), se non si intacca il suo colletto con benne e cemento e se gli si crea lo “spazio” per le radici avvalendosi anche della tecnologia in grado di supportare questa operazione. Dobbiamo, con “onestà intellettuale”, attraversare una nostra “contraddizione”, una contraddizione insita nel nostro “modello di sviluppo capitalistico”, dove si preferisce criminalizzare l’albero, magari ferito da motoseghe ignoranti, piuttosto che le pieghe di un progresso falso che divora risorse naturali come il suolo e la vegetazione creando le premesse per un aumento esponenziale degli effetti dei cambiamenti climatici. Basta pensare ad un dato: da settembre 2022 a novembre 2023 le alluvioni verificatesi a Ischia, nelle Marche, in Emilia Romagna, in Toscana hanno comportato 50 vittime. Ma, codardamente, non agiamo e non lottiamo contro le “cause antropiche” che aumentano la probabilità di catastrofi naturali: una rimozione che ci porta dritti alla criminalizzazione degli alberi. Il 21 novembre “giornata nazionale degli alberi” ho scritto un breve post su fb: “Gli alberi? Dove vive la gente: lungo le strade, i marciapiedi, nelle piazze. Punto!”. Più di qualcuno leggendolo si è chiesto: cosa avrà voluto dire? Il caso ha voluto che in quei giorni il botanico Stefano Mancuso mettesse nero su bianco su cosa volesse significare creare in contesti urbani “infrastrutture verdi” e ha finito per rispondere in modo più autorevole del mio a quella domanda.

Sulla “narrazione dominante” che accompagna lo “sterminio degli alberi cittadini”, bisogna posare uno “sguardo ribelle”, invocando il loro carattere di “bene comune” e l’urgente necessità di considerarli “singoli elementi vitali” di una grande e diffusa “infrastruttura verde” da tutelare, mantenere e far crescere di quantità: gli alberi devono essere censiti, lasciati in pace e se hanno bisogno di cure vanno curati uno ad uno...

 Dante Schiavon 


Continua:  http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2023/12/togliere-lasfalto-liberare-la-terra-e-far-crescere-gli-alberi/

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